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Autore: Barbra    20/07/2019    1 recensioni
Questa fanfiction è un crossover tra l'Universo di Pokémon Adventures (il manga) e l'Universo di "Avatar, the Legend of Aang"/ "Legend of Korra". La storia si svolge, secondo la cronologia Pokémon, dopo gli avvenimenti di Sole e Luna. Secondo la cronologia di Avatar, dopo la morte di Korra e la nascita della sua successiva reincarnazione.
DAL TESTO: Il Maestro dell'Aria Meelo scese dalla tribuna dei giudici e si diresse verso la sedicenne senza una parola.
Era stato chiamato per controllare che la sua allieva non “sporcasse” la Prova dell'Acqua applicando tecniche del Dominio dell'Aria per tenere d'occhio gli avversari. Sapeva bene che la cieca, nel cui mondo non esistevano né forme né ombre, avrebbe usato il Senso del Sangue al posto del super-udito che i montanari le attribuivano. Tuttavia, non si aspettava uno scivolone così clamoroso da parte sua. || NOTA: canon-divergent || PERSONAGGI PRINCIPALI (non in elenco): protagonista OC, Sird (pg esclusivo del manga), Lunala, Giratina (Pokémon); Raava e Vaatu (Avatar). TERMINATA
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arceus, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avatar e Pokémon'
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21. Maschere




Lysandre, perché questo era il suo nome, l'aveva piantata in asso appena il baccano era iniziato.
La prima rivolta di Pokémon a cui avesse l'onore di assistere, le aveva detto, era uno spettacolo da non perdere. Sotto la città di Mogania addormentata, sotto l'influenza mistica della luna piena, lui era scivolato via dalle braccia della sua bellissima amante vampira come se non si sentisse fortunato ad averla. Indossata la divisa Rocket, l'aveva lasciata lì dov'era.
Era impossibile che dopo due settimane si fosse già annoiato.
Lunala rimase seduta sul letto a esaminare le possibili spiegazioni. Dopo cinque minuti capì che lui non sarebbe tornato. Irritata, si trasformò in una gatta e uscì in corridoio.
Camminava cercando una sua traccia, quando qualcosa le afferrò la coda bianca.
«Mew!» fece, tirando un poco.
Lunala si sarebbe rivoltata se lui non le si fosse immediatamente strusciato contro. Era un cucciolo, ma trattandosi di un Pokemon era grosso come un gatto adulto. Aveva grandi occhi celesti e una pelle rosea, spessa e liscia, priva delle rughe tipiche dei gatti nudi. Per creare intesa, decise di trasformarsi in un Meowth. Lunala divenne una femmina di puma bianco e lui un Persian dalla pelliccia color avorio. Lei si trasformò un leopardo e lui in un Liepard. Per ogni animale da lei scelto, c'era un Pokémon che gli assomigliava almeno alla lontana.
Con qualsiasi altra creatura, Lunala avrebbe pensato ad un rituale di corteggiamento. Mew invece stava giocando. Non capiva neppure di essere importuno: Lunala era tornata fertile con la luna piena, perciò non poteva dedicarsi ai cuccioli.
Tornò ad essere una gatta e gli soffiò. Per tutta risposta, Mew scomparve e riapparve con un calendario in mano. Sulla copertina era raffigurato un gatto nero stilizzato.
Parlare con Mew era come dialogare con un sordomuto. Lui aveva un suo codice, diverso da quello degli altri Pokémon quanto la lingua dei segni lo era dal linguaggio parlato degli umani. Occorreva del tempo per capirlo. Correva l'anno del Gatto, Lunala si era trasformata in un gatto e forse lui, a sua volta un felino nel cuore, era venuto a farle gli auguri. Perché si trovava nei dintorni e non aveva di meglio da fare.
Mew era infantile e bizzarro. Malgrado frequentasse luoghi inaccessibili all'uomo e non avesse formato alcun legame significativo con gli altri Pokémon, provava a socializzare un po' con tutti. Molto più intelligente e potente dei Cosmog, era quasi impossibile da catturare.
Il piccoletto afferrò la gatta con le sue cortissime braccia, come per abbracciarla. «Mew!» gridò, e la sollevò con sé in aria.

 


*


«Yueliang?» la chiamò una voce maschile. «Yueliang...!».
Gong si rigirò nel letto. Era confusa e soporosa. Dopo la crisi era rimasta immobile sul pavimento. Qualcuno l'aveva sollevata e portata in infermeria. Quel qualcuno, a ragionarci, doveva essere Lysandre. Era lui a chiamarla, sbagliando il suo nome.
«Mi chiamo Yue Guang» lo corresse. «Cosa è successo?».
«Hai avuto una crisi comiziale».
«Crisi comi-cosa...?!».
«Una crisi epilettica generalizzata, tonico-clonica. Il Mal Sacro».
Gong rimase stupita e angosciata. «Ho avuto una crisi epilettica?!».
«Esatto. Ti faranno degli accertamenti».


 

*
 


Sird era rimasta sveglia per calmarlo. Molti pensieri, nelle ultime ore della notte, l'avevano atterrito e scoraggiato. Dal timore di non poter più aiutare Sneasel e Murkrow a tornare come prima, alla convinzione di essere condannato a padroneggiare un'arte oscura, perché, rivolgendosi al passato, fin dall'infanzia si sentiva l'oscurità nell'anima.
La donna lo aveva ascoltato e si era sforzata di invalidare la sua logica con la propria. Lei, da osservatrice esterna, vedeva meglio il quadro della situazione. Lui tendeva facilmente a vedere il lato negativo di tutto, era un pessimista, e adesso era troppo agitato e stanco per ragionare lucidamente.
Contagiato dalla freddezza cristallina delle sue parole, Silver era riuscito a recuperare la calma, ma era rimasto giù di morale.
«Quanto al Dominio del Sangue... perché mi pare che sia stato quello, a spaventarti... è senza dubbio un'arte sui generis. Richiede cavie vive, per l'addestramento. Questo... questo, anche se non sei più un bambino, potrebbe portarti a reprimere la tua empatia e vedere gli altri come oggetti. Perciò potresti concentrarti sull'Acqua. Se ti allenerai, il potere di controllare il sangue crescerà all'unisono con il resto del tuo Dominio. Così lo userai soltanto al bisogno. Non ne diventerai un maestro, però potrebbe tirarti fuori dai guai come ultima ratio. Che ne dici?».
La sua risposta le arrivò in un sussurro malinconico. «Potrei».
«Silver, tu non sei un mostro. E non sei nemmeno una brutta persona come lo siamo io e tuo padre. Hai avuto una vita difficile, avresti potuto raggiungere il tuo punto di rottura in molte occasioni. Però ti sei tenuto sulla retta via, oscillazioni a parte. E sono sicura che non sia stato facile. Io non ci sono riuscita».
«Perché non lasci il Team Rocket?».
«Mai stata parte del Team Rocket».
Silver aggrottò la fronte.
Sird avviò una chiamata sul dispositivo denominato holovox, una specie di cellulare olografico. Gliel'aveva regalato il suo caro e fin troppo amico Lysandre, perché era stato lui a idearlo e ne aveva una scorta. Solo per questo, Silver avrebbe voluto strapparglielo dalle mani e buttarlo nelle fauci di Feraligatr.
Dall'altra parte, nessuno rispondeva.
La donna sbuffò: «Quella stupida... le ho mandato un messaggio un attimo fa e mi ha scritto che ci sarebbe stata!».
Finalmente qualcuno rispose, ma senza accettare la chiamata olografica.
«Scusate!» esclamò la voce di una ragazza. «Mi ero distratta un attimo...!».
L'espressione di Sird non era affatto contenta. In qualsiasi altro contesto, l'avrebbe rimproverata e richiamata all'ordine.
La modalità olografica fu attivata.
All'altro capo della linea c'era una ragazza graziosa e non molto alta, con gli occhi a mandorla di un particolare rosso cupo. Anche i capelli erano rossi. Rossi come quelli di Silver.
«Ciao, cuginetto!» lo salutò la sconosciuta.
Il ragazzo sobbalzò: «“Cuginetto”?!».
«Sì. Anche se... le nostre madri erano gemelle identiche. Quindi... boh... fratellastro...? Il mio nome legale è Meiko, non so se qualcuno ti abbia mai parlato di me...».
Lui non sapeva neanche di avere una cugina.
La ragazza indossava una divisa futuristica, dove la stoffa si accostava al metallo e ad altri tessuti che Silver non seppe riconoscere. Sul petto aveva una G gialla, e parlava con l'accento di Sinnoh. C'era un gruppo criminale, ormai sciolto, che portava il nome di Team Galactic e operava proprio in quella Regione.
«È uno scherzo?» domandò perplesso Silver.
«No no! Tua madre Ariana era qui a Sinnoh, quando ha ricevuto la notizia che tu eri sparito da Smeraldopoli. Era venuta a trovare la sua gemella malata. Per lei. la dipartita di mia madre è stata un colpo molto più duro del tuo rapimento. A quello ha reagito come se le avessero tolto un peso».
Ariana, Generale Rocket, lo aveva dato alla luce, Silver lo aveva sospettato fin dal loro primo incontro. Ma lei non era sua madre, semplicemente perché non aveva voluto esserlo.
La rossa continuò: «Ecco perché Giovanni si è rivolto a degli esterni per cercarti. Gli è andata maluccio...». Indicò la G dorata sulla sua divisa. «Galactic. Piacere, qui sono il Comandante Mars. Non so se ci rivedremo a Sinnoh o lì a Johto. Ciao cia...!».
Sird aveva interrotto il contatto.
Chiudere la chiamata a un Comandante era una mossa pericolosa. La donna però l'aveva fatto con disinvoltura, e adesso non sembrava preoccuparsene. O aveva un coraggio da leonessa, o nella gerarchia del gruppo era più in alto di lei.
«Non ci credo...!» mormorò disgustato Silver. «Tu sei una spia! Tu eri qui per distruggerci fin dall'inizio!».
Era la prima volta che si metteva nella stessa barca di suo padre. E suo padre non era neppure lì ad ascoltarlo.
Sird fece una smorfia: «La mia prima idea sul vostro Team era quella di accordarci per una fusione pacifica. Avrei fatto la mia offerta appena avessi avuto un quadro più chiaro della situazione. Noi a Sinnoh abbiamo bisogno delle terre libere di Kanto e della Regione che consideravamo la nostra metà storica: Johto. Tuttavia... quando mi sono informata meglio su tuo padre, ho capito che, appena stipulato l'accordo, avrebbe tentato di fotterci. Così l'ho fregato per prima. Il Team Rocket era stato ufficiosamente offerto “a chiunque gli riportasse suo figlio”, la voce era stata fatta circolare nel nostro ambiente. Ho agganciato il povero Orm e quel piccolo mostro di Carr e li ho fatti abboccare. Insieme, abbiamo raccolto l'offerta come Trio Bestia. Un trio di mercenari era più credibile di una donna sola. Beh... alla fine, sai com'è andata. Ti ho trovato io, ma a distanza di sei anni posso dire che Giovanni non ha rispettato la parola data. Ho fatto la brava, perché neppure io sono stata sincera ab initio. Però, ora basta. Il tempo è scaduto. Sai come si dice: se vai a letto col diavolo, prima o poi è ora di...».
Non completò la frase.
Silver rifletté in silenzio. Lei aveva scoperto tutte le sue carte, le sue rivelazioni erano state terribili. Eppure, il suo cervello riuscì a formulare solo una domanda: «E in tutto questo... perché mi hai sedotto?».
«Perché sei un gran bel pezzo di figliolo» fu la risposta. Sembrava ironica, ma in un attimo la donna tornò seria: «Silver... parlare con Pryce è stato illuminante. Lui lo sapeva: la pulciosa organizzazione di tuo padre è troppo poco, per te. Il Maestro del Duro Inverno era un artista e tu sei la più affascinante delle sue opere. Il tuo Spirito Compagno è una creatura del gelo e del Buio, già a due anni avevi una connessione così profonda con lui da convincerlo a seguirti ovunque, anche in un inferno di ghiaccio. Uno come Pryce non poteva fare a meno di notarlo. Quindi...».
Aprì una Pokéball vuota e ne estrasse un microchip. «...se starai con noi, tuo padre potrà tenersi la sua fortuna e tu diventerai un Comandante. Basterebbe inserirti questo chip sottopelle. Il computer centrale ti riconoscerebbe e risponderebbe ai tuoi ordini. Noi usiamo gli androidi al posto degli umani. Ecco cosa intendeva Celebi».
«E se usassi la mia influenza contro di voi?».
«Ci è già bastato Lysandre, “Venus”, per farci le ossa. Ti escluderemmo immediatamente. Allora?».
«No».
«Sicuro?».
Silver si portò una mano alla fronte e scosse rassegnato la testa. «Sird... sei una donna intelligente, scaltra, e piena di risorse... perché ti sei ridotta a fare la criminale?».
«Per denaro. E per il brivido del rischio. Ma soprattutto per denaro».
Il ragazzo le si avvicinò e le prese le mani nelle sue. «Cosa ti lega a quella gente?».
«I soldi. Cyrus paga bene».
«Con lui... stai facendo quello che facevi con mio padre? Lo stai manipolando per i tuoi fini?».
«Beh... chi può dirlo...?».
«Non sei una donna affidabile. Capirai, se me ne vado...».
La baciò sulla guancia. Lei gli prese la testa tra le mani e gli rispose premendo le labbra sulle sue.
«Tornerai. Presto» aggiunse sicura. Celebi non aveva motivo di mentire su ciò che sarebbe successo.
Silver interruppe il secondo bacio, girò i tacchi e lasciò la camera. Percorse rapido i corridoi e salì fino all'uscita del covo, nel negozio di souvenirs. Il proprietario lo riconobbe e lo salutò come avrebbe salutato suo padre, accennando un inchino molto formale.
Lui non si disturbò a ricambiare il saluto.
Doveva lasciare Mogania prima che qualcuno o qualcosa lo inseguisse.
«Ti ha rubato la sfera con il chip. Te ne sei accorta o hai il cervello nel brodo?».
Sird si guardò la cintura e si accorse che mancava una sfera. Poi si voltò nella direzione della voce, fingendo di averlo già scoperto.
Non vide nulla.
«Dove sei?» gli domandò.
Mesprit le apparve nella sua forma preferita, quella di un piccolo Pokémon dalla folta pelliccia grigia e i grandi occhi gialli, con il muso coperto da una maschera color magenta. Le sue due code fendevano l'aria come se lui fosse nervoso, il suo volto era impassibile.
Non era facile leggere il suo comportamento: la sua faccia non mostrava emozioni, la sua voce e l'atteggiamento del suo corpo invece sì.
Le lasciò cadere davanti un cartoncino e Sird dovette chinarsi a raccoglierlo. Mesprit non avrebbe mai rischiato di toccarla per sbaglio, condannandola così a perdere le sue emozioni dopo tre giorni.
«Hai capito, stellina?» le disse.
Sird aveva in mano una foto in bianco e nero.
Prese tempo: «Non chiamarmi “stellina”».
«Stellina, bambina, sgualdrina... non ti va mai bene niente!».
La donna indicò la fotografia. «Che significa?».
«Oh, allora non hai capito! Ora faccio come mio fratello: arrivaci».
Sird guardò di nuovo. L'uomo nella foto aveva sulla testa la piccola corona a fiamma della Nazione del Fuoco, e la metà superiore della parte sinistra del viso rovinata dalla cicatrice di una brutta ustione. «Questo è il Signore del Fuoco Zuko» commentò la donna. Non l'aveva mai visto, ma aveva saputo della cicatrice.
Da lì in poi, Mesprit lasciò andare la lingua: «Esatto. Quell'ustione termica gliel'ha fatta suo padre, quando ancora aveva tredici anni, in una punizione pubblica. Questo perché, spinto dagli insegnamenti dello zio, Zuko aveva risposto a un generale criticando il loro tradizionale metodo di guerra, di “pax” per intenderci, che prevedeva lo sterminio dei nemici sconfitti e l'annientamento della cultura conquistata. Che poi non è neppure quello che è successo nel caso dei Nomadi dell'Aria, però a maggior ragione...».
«E allora...?!» lo interruppe seccata Sird.
«Stella... hai preso proprio l'unico o il primo... il secondo, in realtà...».
Rifletté e ricominciò daccapo: «Hai preso l'unico elemento di quella famiglia che ha provato a ribellarsi e l'ha pagata cara. Mezzo viso ustionato a quel modo non è una cosina da niente».
«Non mi riguarda».
«So che in questa vita Zuko porta il nome di Red. Tu lo stai perseguitando come se fosse stato lui a ordinare lo sterminio, e invece è nato un secolo dopo. Accidenti, se ti riguarda!».
«Perché lo difendi?».
«Perché non è colpevole. E perché nella vita precedente non aveva il potere unico e caratteristico della sorella, ma ha allevato e addestrato un drago. Il che ha un certo valore. Capisci?».
Sird si buttò alle spalle la fotografia scuotendo la testa. «Va' via. È pazzesco che tu ti sia dato tanto da fare solo per impietosirmi!».
«Sai, soffiare una vecchia foto da un palazzo reale in un altro Universo è davvero un gran lavoro, per me» scherzò lo spiritello. «La prossima volta, ti porto il suo drago. È così buono che potresti pure salirgli addosso. Lascialo in pace: Zuko non è un tipo da guerra».
«Può darsi. Ho altri problemi, adesso».
Raccolse la foto e se la mise in tasca. Avrebbe potuto usarla per millantare di essere al comando di un'enorme rete criminale.
«Posso farti una domanda? Certo che posso! Tra i tuoi problemi c'è anche quel ragazzo che poco fa ti ha messo la lingua in bocca? Lascialo perdere: mela marcia. Dentro».
Sird si irrigidì. Mesprit non era Azelf, ma se quello era il suo giudizio, c'era da aspettarso che il Pokémon Volontà lo condividesse. «Che cosa intendi?!».
Mesprit fece segno di avere la bocca cucita.
Non mentiva quasi mai, ogni tanto sapeva quando fermarsi, ma sarebbe bastata una minima pressione per farlo parlare. Fu sufficiente un'occhiataccia. «Beh, non è che io mi senta la coscienza pulita neppure sul suo conto, però... diciamo che presto scatenerà un bel casino e tu non potrai fare niente per fermarlo. Restagli vicino, ma non affezionartici troppo. Intesi? Ora devo andare».
In un battito di ciglia, si smaterializzò a mezz'aria.



 
A Sinnoh




«Akebi. Momiji» chiamò la Comandante Eris.
Xerosic se l'era immaginata diversa. E invece era una donna asiatica sulla trentina, minuta e poco più alta di lui, con la pelle troppo bianca per affrontare i raggi del sole e i capelli azzurro ghiaccio, luminosi come sottilissimi fili di vetro.
Il primo pensiero dello scienziato era stato di poterla facilmente sovrastare per tentare la fuga. Lei l'aveva intuito e, anziché stringergli la mano, gli aveva afferrato il polso e aveva stretto la presa fino a fargli male. Le sue dita sottili gli avevano lasciato il segno. Il messaggio era chiaro: era molto più forte di quanto il suo fisico promettesse. E non indossava la sua tuta speciale, di questo lo scienziato era certo.
Xerosic fece un passo indietro quando le due ragazze, immobili come cadaveri freschi nelle loro teche trasparenti, risposero alla chiamata e aprirono gli occhi una dopo l'altra. Il loro torace cominciò ad alzarsi ed abbassarsi, mimando la respirazione.
Akebi, o Aliana, si alzò e andò a cercare la sua tuta rossa e il suo visore nel deposito. I suoi occhi dalle sclere arancioni, privi di pupilla, la facevano apparire cieca, ma la disinvoltura nei suoi movimenti suggeriva che non lo fosse affatto.
Momiji, l'androide dai capelli celesti, conosciuta da Xerosic come Mable, rimase sdraiata. I suoi occhi uniformemente azzurri ignorarono la terza scienziata già sveglia, l'androide dai capelli verdi di nome Bryony, e indugiarono sul viso umano e forzatamente inespressivo della Comandante Eris.
«Ben tornata, Principessa» la salutò a bassa voce.


 

A Johto



Silver aprì la sfera e mostrò il chip alla sorella.
«Hai qualcosa per analizzare questo?».
«Intendi tra le mie chincaglierie rubate? Forse. Sono in un deposito a Kanto. Guai a te se lo dici ai miei genitori!».
«Quasi non li conosco...».
Blue esaminò il chip rigirandoselo tra le dita. «Sembra... vecchio...? Dove l'hai preso?».
«Non è vecchio. È esteticamente rétro per fregare chiunque se lo ritrovi in mano. È un po' come se un generatore olografico fosse fatto come i vecchi telefoni a disco».
«Chi te l'ha detto?».
«Ho sentito due Reclute che ne parlavano. L'ho rubato appena si sono distratte. Dobbiamo sbrigarci».
Era strano che Sird gli stesse dando tanto tempo per scappare.
Seguire sua sorella, che era uscita dalla casa di Gold appena ricevuta la sua telefonata, era un metodo scontato per trovarlo. Non ci stava mettendo nessun impegno.
Silver avrebbe dovuto denunciarla a suo padre, oppure avrebbe almeno dovuto parlare del suo ritorno a Blue. Ma non c'era riuscito.
La Cosmog Luna, intanto, lo guardava allegra e forse aveva intuito il suo disagio. Senza aspettare il suo consenso, gli slatò in braccio. «Pew...!» fece.
«Gli piaci» lo informò Blue.
Luna rimase stupita e confusa: «Pew?».
«Intendo dire che ti sta simpatico».
«Pew!» approvò lei.
Nutrita dalle giuste influenze, la sua mente si stava evolvendo a una velocità sensazionale. In pochi giorni aveva fatto più progressi che nei precedenti diecimila anni. Stava cominciando a crescere, ma un umano non suscitava decisamente il suo interesse.


 

*



Lysandre aprì la porta della sua stanza e rimase immobile sulla soglia, incredulo.
Sul suo letto si era appollaiata una gallina. Una giovane gallina bianca.
L'animale cantò una volta e poi si trasformò nella ragazza di nome Lilith, in camicia da notte. Ammiccò. «Eh...? Che pollastra! Vuoi vedere di nuovo?».
Di nuovo la gallina.
«Lilith... sei ubriaca?».
«No. Ma ora so che tu sai che non sono umana».
«Non ci voleva un genio. Il tuo corpo è tiepido, ma non sempre. A volte, ti dimentichi di alzare temperatura corporea alla tua versione umana. Fa lo stesso».
«Non sono abbastanza calda...!» si lamentò lei.
«A questo non rispondo. Dipende da cosa sei venuta a fare».
«Sono venuta a leggerti le carte!».
«Non ci credo, nelle carte» le ricordò annoiato lui.
«Si fa per ridere! Guarda...».
E inscenò una discussione stupida tra l'Imperatore e l'Imperatrice, agitando le due carte e imitando voci caricaturali.
L'uomo scosse rassegnato la testa e andò a sederlesi accanto. Lilith era troppo giovane per il suo lavoro.
«Scegli una carta» lo sollecitò lei, aprendo il mazzo a ventaglio. «Ma non la guardare. Tienila coperta».
Lysandre seguì controvoglia le sue istruzioni.
«Di che carta si tratta, secondo te?» continuò la ragazza.
«Due di picche».
«Ma no! Sono tarocchi!».
Lysandre girò la carta e il suo volto tradì una certa sorpresa. Non era il Diavolo, non era il Matto. Era il primo degli Arcani Maggiori: il Mago. Entità creatrice, era capace di incanalare l'energia celeste e cederla al mondo terreno, come mostravano la bacchetta rivolta verso il cielo e l'indice puntato a terra. Alcuni ci vedevano un prestigiatore, altri un artista o un artigiano.
«Il Mago è dominato dalla volontà e dall'intelletto...» spiegò Lilith. «Egli non lascia niente al caso. Nel mondo reale, un prestigiatore è colui che riesce a distrarre lo spettatore facendogli credere di voler fare una certa cosa, magari con una mano, mentre il poveretto dovrebbe stare attento ai movimenti dell'altra. E vogliamo parlare della tua...». Scelse la Stella, positiva e pacifica, connessa al serenissimo Jirachi, e la capovolse perché acquisisse un significato contrario, di pena e difficoltà. Il nome di Sird, nella sua lingua madre aliena, significava proprio “stella”. Lilith ci era arrivata a naso, sfruttando il suo notevole intuito e collegando tra loro Starmie e il ciondolo regalatole dal suo ragazzo. «…della tua non-tanto-adorabile Assistente...?».
L'uomo tacque e continuò a fissare la seconda carta. Non si preoccupava per se stesso. Ma Sird, vivendo la sua vita da comune mortale, era senz'altro vulnerabile.
La vampira avvicinò il viso al suo e cominciò a sussurrare, celando a stento la sua ira: «Quest'uomo è morto, ho ragione?» domandò premendogli l'indice sul petto. «È morto e tu ti sei impossessato del suo cadavere, come se fosse un costume, e l'hai usato per avvicinarti a Raava senza farti riconoscere. Divertente, vero? Chi mai se ne sarebbe accorto? Perché tu sei uno Spirito e il tuo “segno” visibile dall'esterno è la vita. Davvero pensavi che a Borgo Foglianova non ti avessi riconosciuto...?».







 













AUTRICE: ho detto a un'utente che mi sarei allontanata da EFP e infatti volevo farlo, poi mi sono resa conto di avervi rotto le scatole con una storia di 20+ capitoli inconclusa e allora ho deciso di provare a terminarla, o almeno a portarla a un punto in cui gli eventi passati si spieghino almeno in parte. Non sarà facile perché sto attraversando un periodo pesante e brutto e il mio umore è sotto i piedi, perciò ho molta difficoltà a scrivere, e non credo che le cose miglioreranno a breve. Quindi boh, perdonate il calo di prestazione e la carenza di entusiasmo...
 
   
 
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