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Autore: T612    26/07/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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PRIMA PARTE - CAPITOLO II



 

7 maggio 2018, Fattoria Bonderant, Minnesota

 

-Sei sicuro che sia il posto giusto? 

-Fury dice di sì… è semplice capirlo, se ci riconosce e prova a scappare siamo nel posto giusto. -ribatte James svoltando nel vialetto sterrato mentre il rumore della pioggerella fine rimbalza contro il tettuccio della macchina, accompagnando il strusciare fastidioso dei tergicristalli in funzione.

-E se non scappa? -chiede Natasha dubbiosa, distogliendo l’attenzione dalle gocce che si rincorrono sulla superficie del finestrino, puntando lo sguardo sulla sagoma del caseggiato dalle finestre illuminate.

-Se non scappa vuol dire che Fury ha intercettato la pista sbagliata, ci ha inutilmente fornito questo catorcio di auto per muoverci e noi due fingeremo di esserci persi. 

-No, non fingiamo perché ci siamo davvero persi, James. -commenta Natasha celando un mezzo sorriso esasperato in direzione del compagno, mentre Google Maps sottolinea la tragicità della situazione con l’ennesimo “ricalcolo” della serata.

-Siamo nel posto giusto ‘Tasha, fidati. -conferma James mentre spegne il motore dell’auto, controllando di avere la pistola nascosta nella tasca interna della giacca prima di aprire la portiera correndo sotto il porticato. 

-Se lo dici tu… -commenta Natasha intascando il cellulare, sollevando il cappuccio della giacca a vento per ripararsi i capelli quando lo segue sotto la pioggia fino alla porta d'entrata. 

Mickey Bonderant si affaccia alla soglia con spavalda ignoranza, per poi riconoscerli da sotto i cappucci calati a coprire parzialmente il volto, tentando di chiudere loro la porta in faccia il più velocemente possibile una volta realizzata la consapevolezza, impossibilitato nell’intento dal piede di James che si era piazzato tra lo stipite e la porta evitandone la chiusura.

-Che ti dicevo? -rimarca il compagno con tono vagamente saccente mentre lei oltrepassa l’entrata con una spallata, bloccando ed immobilizzando il fuggitivo nel giro di qualche secondo.

-Okay, avevi ragione tu, risparmiati i commenti. -sbuffa Natasha allentando la presa sul collo del loro ostaggio, fronteggiandolo con tono accondiscendente. -Non siamo qui per ucciderti, ma ci servono informazioni.

-Se collabori faremo finta che non si sia mai verificato questo incontro, chiaro? -interviene James avvicinandosi a pistola spianata, entrando nel campo visivo del loro malcapitato.

-Si, мастер1.-conferma il presunto Bonderant annuendo energicamente, districandosi dalla sua presa scoccando ad entrambi uno sguardo carico di rispetto quasi reverenziale… Natasha deve ammettere che a volte avere ancora una discreta fama in determinati settori risultava decisamente comodo.

La telefonata che lo SHIELD aveva rintracciato per conto di Fury li aveva portati fino a quella Fattoria dispersa nel bel mezzo del nulla in Minnesota, era intestata a nome di Mickey Bonderant, un uomo che prima della seconda metà degli anni ‘90 non esisteva da nessuna parte. Dopo una ricerca più approfondita, si era scoperto che il suo vero nome era Mikel Bulgakov e faceva parte del gruppo di mercenari assoldati dal Dipartimento X nel ‘91, era uno dei pochi Agenti selezionati a cui non era stato somministrato il siero sviluppato da Howard Stark –non era il caso di sterminare l’intero squadrone della morte per colpa di un qualche errore nella nuova formula sperimentale– e in tutti quegli anni aveva avuto il compito di raccogliere e diramare informazioni sottobanco per conto del Leviathan. 

Per loro fortuna Bulgakov provava ancora un sano terrore misto a radicato rispetto per il proprio Maestro, consapevole che mettersi contro il Soldato d’Inverno non era poi una così grandiosa idea, tradendo il silenzio imposto da Madre Russia per salvarsi la vita… aveva affermato con tono di voce vagamente colpevole che ignorava chi fosse il compratore ed il perchè cercasse le capsule del Progetto Zephyr, semplicemente era apparsa la richiesta in uno dei vecchi network del mercato nero e lui aveva fornito la posizione del primo punto di estrazione come da accordi, snocciolando in fretta le coordinate degli ultimi due Dormienti restanti scongiurando entrambi di venire risparmiato.

Natasha e James avevano mantenuto fede alla promessa fatta, si erano dileguati velocemente come erano apparsi, confidando nel silenzio ed il buon senso reciproco, avvisando Fury con un collegamento via radio mentre James impreca tra i denti, lamentandosi del catorcio di auto che gli avevano fornito quando il motore brontola e muore per la terza volta consecutiva.

Avevano scoperto di avere relativamente poco tempo per raggiungere il luogo dove era previsto il recupero del secondo Dormiente, ricevendo la benedizione del loro Capo quando li aveva informati senza troppe cerimonie che per cause di forza maggiore avrebbero dovuto arrangiarsi a raggiungere il punto di scambio senza l’aiuto di Jet supersonici o agevolazioni di alcun genere.

-Non ce la faremo mai con questo catorcio… e siamo senza rinforzi. -afferma James puntando velocemente lo sguardo sul monitor del navigatore, appurando con un verso di strizza che si prospettava davanti a loro un’intera giornata di viaggio in macchina per raggiungere il punto di scambio entro la notte successiva.

-Ricorriamo ai vecchi metodi allora. -ribatte Natasha con tono pragmatico. -Che poi, perchè Nick ci ha fornito questo rottame?

-Perchè l’ultima volta che mi ha messo a disposizione un auto decente l’ho fatta schiantare contro un palazzo di proposito2. -rivela descrivendo i propri metodi poco ortodossi senza infamia e senza lode, limitandosi a pestare il piede sull’acceleratore immettendosi nell’autostrada, mentre Natasha liquida l’informazione con una scrollata di spalle perché non è di certo la cosa più spericolata che gli ha sentito fare.

Non ci mettono troppo a raggiungere la prima area di servizio accessibile dall’autostrada, abbandonando il catorcio fornitogli da Fury e rubando la prima utilitaria con segnalata nel quadrante abbastanza benzina da ricoprire l’intera tratta del viaggio, sostituendo le targhe per scampare al probabile inseguimento post-denuncia di furto, interrogandosi sul dover avvertire o meno il Colonnello su quel cambio di programma e sul quel “prestito” concesso in termini non del tutto legali. Natasha risolve velocemente la faccenda con un messaggio stringato nel canale di emergenza, reperendo un po’ di cibo e del caffè all’autogrill mentre James si ingegna per mettere in moto l’auto senza l’uso delle chiavi… richiamandole alla mente un forte sentore di deja vu di una situazione analoga risalente ad una vita fa, quando erano iniziati i primi sospetti sul ritrovamento di James e lei e Steve si erano cimentati in una caccia ai fantasmi dalle parti del New Jersey.

Natasha aveva tentato di camuffare uno sbadiglio quando si erano rimessi in strada a notte fonda, tentando di restare vigile fissando con gli occhi lucidi il dipanarsi veloce della scia bianca che tracciava il limitare della strada, ingollando un altro sorso di quel liquido nero insapore pregando che la caffeina facesse velocemente effetto.

-Se hai sonno dormi pure, Natalia. -commenta James beccandola a metà dell’ennesimo sbadiglio, desistendo alla sua obiezione con una risata soffocata definendola la “solita testarda” e sentendosi ribattere a tono con un sarcastico “senti chi parla”. -Davvero, amore. Ti sveglio alla prossima sosta per darmi il cambio, promesso.

Natasha aveva ceduto al sonno, consapevole a priori che James non avrebbe mai e poi mai rispettato i patti, risvegliandosi puntualmente quando il sole era già alto, con il collo indolenzito ed il profumo delle brioche –comprate nell’area di servizio che James si era lasciato alle spalle ancora diversi chilometri addietro– che riempiva l’abitacolo.

La donna aveva protestato con tono risentito, sottolineando il fatto che lui avrebbe dovuto svegliarla ancora un centinaio di chilometri prima, spiluccando svogliata la propria colazione, per poi impuntarsi riuscendo a farlo accostare dandogli il cambio, sorridendo soddisfatta tra sè e sè quando, mezz’ora ed un veloce battibecco dopo, James era finito per russare rumorosamente sdraiato sui sedili posteriori.

Natasha era sinceramente preoccupata per la sua insonnia… James non era mai stato un gran dormiglione, ma la carenza di sonno lo rendeva instabile, scostante e perennemente agitato, portandola all’esasperazione più volte del normale. 

Da quando avevano ritrovato la prima capsula criogenica James non riusciva a darsi pace, temendo un attacco a tradimento dopo aver incautamente disturbato quella chimera da cui non riusciva a liberarsi nonostante tutti i suoi sforzi, terrorizzato più dal perdere di nuovo lei nel tentativo di contrastarla che di affrontarla per l’ennesima volta. Natasha aveva solamente intuito a cosa andavano incontro, ma si era ormai rassegnata da anni all’idea che fosse controproducente aver paura delle ombre gigantesche proiettate sul muro, che a volte bastava semplicemente spostare l’angolazione della luce per ridimensionare il problema, nonostante fosse fin troppo consapevole che far cambiare idea a James sulle sue paure più radicate era un’impresa a dir poco ardua, se non impossibile. 

La soluzione più immediata era sfinirlo, concedendogli ed imponendogli qualche ora di sonno per ricaricare le batterie, optando occasionalmente per quelle coccole che raramente gli concedeva, scacciando la propria di paura inconscia che loro due una seconda occasione non se la meritavano davvero e poteva venirgli sottratta da un momento all’altro… preferiva non soffermarsi a pensare troppo spesso a quelle mattine in cui James si svegliava di soprassalto cercandola a tentoni tra le lenzuola, stringendosela tra le braccia con fare quasi possessivo eclissando il panico dettato dagli incubi, scacciando dalla mente quella sensazione opprimente alla bocca dello stomaco quando era lei a rientrare in casa da una missione in solitaria e i muri vuoti dell’appartamento gli restituivano una stilettata di ansia che veniva dissipata solamente una volta ritrovato il post-it caduto accidentalmente a terra dal tavolo in soggiorno.

Natasha aveva smesso ancora mesi addietro di definire James paranoico, sentendosi lei per prima una ipocrita nel giudicare troppo severamente certi suoi comportamenti, ripiegando nel tono scherzoso che serviva ad alleggerire quelle situazioni che si portavano dietro gli strascichi di risvolti un po’ più cupi… l’unica sua certezza era di non voler mai più sperimentare l’orribile sensazione di avvertire quel buco nero allo stomaco dettato da una mancanza che non sapeva definire all’interno della propria memoria lacunosa, lottando con le unghie e con i denti perché James non le scivolasse tra le dita, escludendosi da solo da quel muro di cinta che negli ultimi giorni le stava edificando attorno nel tentativo di proteggerla.

Trovava ironico, ed allo stesso tempo destabilizzante, l’aver raggiunto la consapevolezza che la prospettiva del venire lasciata sola la spaventava molto di più dell’idea di essere amata solamente dopo che James aveva tentato di allontanarla, insicura sulla motivazione di fondo che l’aveva spinta a non essersi mai espressa prima su quella questione lasciata volutamente in sospeso… lei e James convivevano sotto lo stesso tetto ormai da quasi un anno e le cose tra di loro funzionavano a meraviglia, sorprendendosi ad interrogarsi più volte del necessario se era lecito desiderare di più, ma finendo sempre per assecondare la vocina nella sua testa che la bloccava dal ricambiare certe dichiarazioni, ricordandole inopportuna il suo ruolo di Vedova nel lavoro e nella vita.

Natasha è perfettamente consapevole di come tutto ciò sia terribilmente ingiusto nei confronti di James, al punto che negli ultimi giorni si stava impegnando seriamente nel correggere le proprie mancanze, pentendosi soprattutto per la fine che aveva fatto fare al mazzo di rose rosse che il compagno le aveva recapitato per il compleanno… a discapito dell’evoluzione della serata qualcosa tra di loro si era incrinato, una tacca superficiale che aveva creato uno squilibrio sordo ed indefinito, come una sorta di non detto che inconsciamente la avvisava di prepararsi ad un salto nel vuoto da cui dubitava istintivamente di uscirne illesa, nonostante lo sguardo rivoltole da James le prometteva di stringerle la mano per tutta la durata della caduta. Per esperienza personale aveva imparato che quando non gli servivano per farsi perdonare qualcosa, i fiori diventavano portavoce di discussioni scomode o decisioni difficili, stentando a credere che delle rose potessero semplicemente essere… rose. Forse la sua intuizione non nascondeva nulla di malvagio, forse i suoi sospetti erano infondati… forse, per una volta, lei aveva semplicemente paura dell’ignoto e non sapeva come prepararsi per affrontarlo.

Natasha continua a rimuginare sui propri pensieri negandosi il pranzo, macinando chilometri d’asfalto con il russare sommesso di James a farle da sottofondo in quella corsa contro il tempo, lasciando spazio ai primi lampioni illuminati quando finalmente abbandona l’autostrada assecondando il brontolio del proprio stomaco raggiungendo il primo McDrive visibile dalla carreggiata, fermando l’auto nel parcheggio semideserto volendo deliberatamente evitare di entrare in contatto con le altre persone.

-Quanto ho dormito? -chiede James con voce rauca spalancando gli occhi allarmato appena Natasha spegne il motore dell’auto, alzandosi a sedere di scatto schivando di poco il tettuccio della macchina, serrando gli occhi lottando contro un improvviso giramento di testa. -E perchè c’è odore di fritto?

-La nostra cena. -risponde la donna afferrando le buste di carta dal sedile del passeggero con una mano e slacciandosi la cintura con l’altra, per poi aprirsi la portiera mettendo giù un piede dall’auto. -Avanti, scendi e vieni a mangiare.

James la raggiunge a distanza di qualche secondo, reclamando il proprio cheeseburger ed imitandola nel sedersi sopra il cofano della macchina, sopprimendo uno sbadiglio recidivo addentando il panino.

-Non hai risposto alla domanda. -afferma lui dopo qualche morso, sollevando gli occhi al cielo quando lei finge di non comprendere la domanda. -Quanto ho dormito Natalia?

-Nove ore filate, ne avevi bisogno. -replica pacifica con una scrollata di spalle, addentando un chicken nuggets e porgendogli l’involucro di cartone tentando di stroncare sul nascere le possibili obiezioni. -Invece di contestare la scelta, potresti ringraziarmi per averti offerto la cena.

-Sai, per essere una che si batte costantemente per la parità dei sessi, tu offri la cena un quinto delle volte che la offro io… e il più delle volte non paghi nemmeno tu, usi la carta di credito di Stark. -replica a tono ottenendo una linguaccia in risposta, rubandole da sotto il naso un bocconcino di pollo dal contenitore per ripicca. -Scommettiamo? Dopo, il primo che si fa beccare dalle guardie offre di tasca propria una vera cena in un vero ristorante.

-Andata. -conferma Natasha sporgendosi nella sua direzione suggellando l’accordo con un bacio. 

-E chi vince sceglie dove andare a mangiare. -ribatte James con l’accenno di un sorriso ad illuminargli il volto.

-Va bene. -concede la donna. -Ma se vinci tu, niente Pancake Houses. 

 

***

 

9 maggio 2018, Helicarrier, nei cieli

 

-Allora? -chiede Fury con cipiglio severo appena mettono piede sull’Helicarrier.

-Andato, siamo arrivati tardi. -commenta James con tono monocorde sfilandole accanto, dirigendosi a passo spedito verso il loro alloggio. -Dovresti occuparti anche di una probabile denuncia di furto, Capo

-Già fatto. -conferma Nick con tono professionale, per poi voltarsi con sguardo confuso in direzione della donna quando James lo ignora e si sbatte rumorosamente la porta alle spalle. -É andata davvero così male

-No, in effetti poteva andare peggio… devo anche offrirgli una cena. -commenta Natasha a mezza voce accennando un sorriso forzato, deducendo dallo sguardo irritato di Fury che quella non era la risposta che cercava. -Quando siamo arrivati la capsula era già vuota, abbiamo visto un furgone blindato allontanarsi, ma non siamo riusciti ad inseguirlo… mi hanno vista, poi la situazione è precipitata.

-Quindi non abbiamo niente?

-Abbiamo le coordinate della terza capsula a San Francisco e il nome del Progetto. -lo aggiorna brevemente con tono deciso, allungando una mano in direzione del tablet che Fury stringeva sottobraccio, appuntando le informazioni richieste con tocchi precisi delle dita.

-Posso mandare già qualche Agente a controllare il deposito a San Francisco, nel frattempo cerco qualche informazione sul Progetto… Zephyr. -afferma Fury leggendo il nome in codice, per poi attivare il blocco schermo e rivolgerle nuovamente lo sguardo. -Per il resto… voi due state bene?

-Stiamo bene. -conferma con una scrollata di spalle e l’ennesima menzogna addolcita da un sorriso, parlando al plurale ma riferendosi solamente a se stessa. -James vuole solamente chiudere l’intera faccenda il più presto possibile… nulla di preoccupante.

-Okay, se lo dici tu. -ribatte il Colonnello con un tono di voce che Natasha non riesce a definire, sopprimendo il dubbio che la bugia proferita non abbia attecchito come desiderava. -Avete la serata libera, vi chiamo se ci sono novità.

-D’accordo… se non ti dispiace, Nick. 

Natasha si lascia scivolare attraverso la porta proseguendo a passo spedito lungo il corridoio, inserendo la combinazione cifrata sul tastierino numerico di fianco alla porta dell’alloggio che divideva con James, attraversando l’anticamera facendo scattare la fibbia a forma di clessidra depositando la cintura carica di munizioni sopra il tavolo all’entrata, perdendo le scarpe nel tragitto verso la camera da letto, trovando il materasso vuoto ed avvertendo il rumore della doccia in funzione che filtrava attutito dalla porta comunicante che portava al bagno privato.

Quando la missione era ufficialmente andata a rotoli, James aveva voluto aggirare a piè pari il rischio concreto di far naufragare tutte le loro conversazioni in un dibattito sui meriti e le responsabilità mancate, trascorrendo l’intero tragitto fino al punto di estrazione in silenzio e con una sigaretta che gli pendeva dalle labbra, mentre lei pestava il piede sull'acceleratore evitando di ragionare sui perché ultimamente lei e il compagno riuscivano solamente a collezionare un fallimento dopo l’altro. 

Una volta approdati alla base operativa, la donna non si era poi così sorpresa nel constatare il modo brusco in cui James aveva liquidato Fury… si era istintivamente assunta l’onere di giustificarlo facendo rapporto per entrambi, glissando su tutti quei segnali che urlavano un “troppo coinvolto” che professionalmente risultava un problema, ma allo stesso tempo forniva a James l’occasione perfetta per chiudere definitivamente il cerchio e voltare pagina.

Natasha si stiracchia desiderando ardentemente una doccia calda prima che la stanchezza prenda il sopravvento, massaggiandosi il collo ancora irrigidito dalla dormita in macchina, invidiando James per averla battuta sul tempo. Darebbe qualunque cosa per far tornare indietro le lancette dell’orologio al giorno prima di Las Vegas, chiudendo gli occhi illudendosi per qualche secondo che l’ultima settimana non si sia mai verificata… riporta alla mente la piacevole sensazione di venire svegliata dai baci di James, dei propri piedi nudi sul parquet che si trascinavano assonnati in cucina alla ricerca del caffè seguendo il profumo dei croissant, le note di un violino ed il chiacchiericcio dei turisti che filtrava attraverso la finestra del soggiorno che si affacciava sulla piazzetta di Montmartre.

Natasha riapre gli occhi mandando in frantumi quel sogno ad occhi aperti… non poteva ricreare quel genere di pace dei sensi, ma poteva procurarne una valida alternativa, mettendo da parte le preoccupazioni assillanti in favore dei pensieri peccaminosi.

-Sei in vena di compagnia? -propone spalancando la porta del bagno sorridendo maliziosa, abbassandosi la zip della tenuta da combattimento con fare provocante, liberandosi velocemente dello strato di pelle nera scalciandola in un angolo. -Non vorrei mai che finissi tutta l’acqua calda. 

-Non sia mai. -James ricambia il sorriso intuendo al volo le sue intenzioni, allungando una mano agguantandola per il polso e trascinandola sotto il getto d’acqua bollente, correndo con le mani al suo reggiseno sportivo facendola rabbrividire leggermente quando entra in contatto con le dita di metallo, liberandola completamente dalla biancheria intima lanciandola oltre il box doccia. -Così va molto meglio.

-Dici? -ribatte ironica ritrovandosi a corto di fiato nel giro di qualche secondo quando le labbra di James la reclamano bramose, facendo entrare in rotta di collisione le sue scapole contro la parete di piastrelle in una tacita risposta.

Di quel passo la serata può solo che migliorare.

 

***

 

9 maggio 2018, Porto di New York, Manhattan

 

-Ti prego, ho eseguito gli ordini.

-Gli hai eseguiti male, non hai più nessuna utilità ora come ora. -ribatte glaciale Yelena Belova, volutamente sorda alle suppliche di Nico Stanovich, ligia al dovere di seguire gli ordini impartiti da Madame B.

-Ho eseguito gli ordini! -continua a ripetere l’uomo, forzatamente inginocchiato a terra sul pontile con i polsi legati ed incatenato ad un blocco di cemento, tenuto sotto tiro da Dimitri che esegue le sue direttive impassibile e rigido come un fuso. 

-Hai commesso un errore di calcolo, ti sei fatto notare. -commenta Yelena con una punta di fastidio che traspare nella voce, perché probabilmente a causa di quel “piccolo” dettaglio Madame B avrebbe abbassato i suoi punti in graduatoria.

-Ho eseguiti gli ordini… -continua a ripetere Stanovich con convinzione decrescente, iniziando ad assimilare la consapevolezza di ciò che ha fatto davvero per eseguire le direttive di Madre Russia. -Ho ucciso la mia famiglia per compiacervi… Ho eseguito gli ordini!

-Ti sei fatto notare. -commenta indifferente Yelena, stanca di quelle suppliche che hanno l’unico risultato di irritarla, strappando un urlo soffocato a Nico quando gli imprime il marchio della clessidra sul collo per ottenere il punteggio promesso una volta ritrovato il corpo, ragionando in sordina sul come ripiegare al danno subíto evitando che i suoi punti in graduatoria ne risentano ulteriormente. - Non dovevi farti notare, hai mandato tutto al diavolo ed ora hai ciò che ti meriti… sapevi che sarebbe successo.

-Ma che problemi avete?! -si infiamma Stanovich di fronte al suo tono di sufficienza, concedendosi di mostrare una facciata di insofferenza nei confronti della situazione dopo aver avuto la nefasta conferma di non uscirne vivo. -La Guerra Fredda è finita! Avete perso, rassegnatevi.

La traccia residua dello schiaffo brucia fastidiosamente contro il palmo di Yelena, rendendosi conto di non essere stata tempestiva come credeva, voltandosi in direzione di Dimitri appena in tempo per vederlo cedere di fronte all’impalcatura di bugie che gli aveva costruito intorno per renderlo devoto alla causa.

-Non dargli ascolto, солдат3.

-Avevi detto che la Guerra non era finita… -mormora Dimitri abbassando l’arma con sguardo vacuo, cercando disperatamente una risposta veritiera spostando freneticamente lo sguardo da lei a Nico spaesato. -Se ha rag-... 

-Non ha ragione. -riprende piccata afferrandogli il volto con entrambe le mani incatenando lo sguardo al suo. -C’è una Guerra in corso, non distrarti.

-Non darle retta, солдат3. -cerca di dissuaderlo Stanovich in un ultimo gesto disperato, boccheggiando a vuoto quando la pallottola gli stronca il respiro insieme allo sguardo furente della donna.

-Ho detto che devi stare zitto. -rimarca Yelena ottenendo un ultimo spasmo in risposta, espirando cercando di darsi un contegno ricomponendo la propria facciata autoritaria, indicando il cadavere di Nico a Dimitri con rinnovata determinazione. -Quello era un Traditore, non dargli ascolto. Sbarazzatene.

-Agli ordini. -risponde il Soldato dopo una leggera battuta d’arresto, affaccendanosi subito per seppellire il corpo nel fondali del porto. 

Yelena rinfodera l’arma osservando i movimenti di Dimitri, registrando la leggera titubanza nell’eseguire le nuove direttive, studiando il modo più adatto per riparare la tacca inflitta nella corazza di bugie che asservivano il Soldato a lei… valutando i pro e i contro di disfarsene se tale scalfittura dovesse risultare o meno un problema in futuro. 

Percepisce il tonfo del cemento che cade in acqua, seguito a breve dal gorgoglio sinistro che fa colare a picco il cadavere sotto il pontile, mentre aggiorna Novokov con un messaggio nel canale di comunicazione interno sull’operazione eseguita con successo, accennando ad un ulteriore taglio sul personale nel caso dovessero riscontrarsi determinate problematiche.

-Ho fatto, Yelena. 

-Perfetto, torniamo a casa. -commenta spiccia facendosi strada sul pontile deserto, sicura nel venire seguita da Dimitri e voltandosi interdetta quando ciò non avviene. -Ho detto andiamo

-Perché l’abbiamo fatto? -chiede l’uomo ancora fermo sul posto, scoccando uno sguardo venato dal rimorso in direzione dell’acqua torbida. -Aveva eseguito gli ordini.

-Ha messo i Traditori sulle nostre tracce, non avrebbe dovuto farlo. -ribatte Yelena con tono ovvio, scoccando uno sguardo accondiscendente a Dimitri, per poi cercare di stamparsi sul volto un sorriso conciliante con scarso successo. -Capisci la gravità della situazione, солдат3

-Credo di sì.

-Bene. Ora andiamo, abbiamo un compito da portare a termine… dobbiamo recapitare un messaggio e più persone si arrabbiano meglio è.





 

Note:

  1. Traduzione dal russo: “Maestro”.

  2. Till the end of the line: i riferimenti del caso si trovano al capitolo 5.

  3. Traduzione dal russo: “Soldato”.

   
 
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