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Autore: T612    19/07/2019    2 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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PRIMA PARTE - CAPITOLO I

 

Durante la Guerra Fredda c’era una teoria: l’uomo giusto, nel posto giusto al momento giusto, con le giuste abilità poteva essere più determinante di un intero esercito. 

- James “Bucky” Barnes1



 

5 maggio 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

Il lettore CD cambia traccia e le note di In the mood riempiono il salotto, mentre James posa il calice di vino e si alza da tavola, allungando una mano in direzione di Natasha facendo un mezzo inchino in attesa di risposta.

La donna sorride maliziosa afferrando la sua mano lasciandosi trascinare in piedi, afferrandola alla base della schiena stringendosela contro compiendo il primo passo indietro, venendo immediatamente seguito nel movimento con tempismo perfetto.

Un passo, due passi, incrocio, calcio e indietro, in una combinazione di movimenti perfettamente a tempo, mentre la sua mano sinistra sale agguantando la destra della donna, dandole una leggera spinta costringendola a girare su se stessa, facendo scontrare la schiena di Natasha contro il suo petto, depositandole un leggero bacio sulla carotide percependo un fremito e il suo battito cardiaco che accelera leggermente.

James continua a condurre il ballo, in quella coreografia carica di tensione cadenzata da passi e prese, mentre Natasha si piega lentamente al suo volere assecondando i suoi movimenti con sincronismo perfetto.

La danza è semplicemente una conversazione muta tra due persone, l’ennesima situazione in cui li vede entrambi a corto di parole, ma con un'intesa tale da rendere superfluo l’uso delle stesse… e James percepisce chiaramente il cambio di rotta quando Natasha sposta la mano dalla sua spalla alla sua nuca pretendendo il controllo, vantaggio che lui non vuole cederle al pari di un affronto sul campo di battaglia, dando inizio ad una lotta fatta di baci e tocchi sui punti sensibili che tradiscono velocemente la presa di posizione di entrambi.

James perde l’equilibrio quando Natasha porta il collo del piede sul retro del suo ginocchio spingendolo a piegarsi, rovinando entrambi contro il divano e salendo a cavalcioni sulle sue gambe, ostentando supremazia affondando un morso leggero sotto la sua mandibola facendogli tremare la spina dorsale. Nel compiere il movimento la donna sfiora il dispositivo impiantato sulla sua scapola, raffreddando immediatamente la protesi mentre il luccichio del metallo sostituisce l’illusione della pelle sintetica, ma il cambiamento passa velocemente in secondo piano suscitando in James il sospetto che quella sia una mossa voluta, testando la teoria vendicandosi spostando la mano di metallo sotto la maglietta della donna, percorrendo con le dita ormai congelate la fila di vertebre dalla cervicale alla lombare oltrepassando il bordo dei jeans strappandole un gemito, facendole inclinare la testa all’indietro fornendogli un pretesto per riprendere il controllo della situazione sfilandole la maglietta ed avventandosi sul suo collo per poi scendere tra l’incavo dei seni.

-Ah-a. -Natasha contraddice il suoi intenti afferrandolo per la nuca tirandogli leggermente i capelli, costringendolo a levare lo sguardo su di lei mentre la scia di macchioline rosse inizia a comparire sulla sua pelle candida. -Mio il compleanno, mie le regole.

James in tutta risposta si alza dal divano sollevandola da terra e trasportandola di peso fino alla loro camera da letto, perdendo anche la sua di maglietta per strada e tentando di far aderire la schiena della donna al materasso… ma come era prevedibile, le posizioni si ribaltano velocemente e Natasha risale di nuovo a cavalcioni su lui, tenendolo a distanza con una mano premuta a forza sulla sua spalla destra, costringendolo a posare la schiena contro la testiera del letto.

-Mio il compleanno, mie le regole… -ribadisce la donna spostando la mano dalla sua spalla, percorrendo in punta di dita il suo petto attraversando l’addome e raggiungendo la fibbia della cintura provocandogli tanti piccoli brividi, muovendo appena i fianchi contro il suo bacino per sottolineare il concetto sorridendo soddisfatta. -... mio il controllo.

-Agli ordini, любовь моя2. -sussurra dopo il paio di secondi necessari a connettere le sinapsi, a mezza voce e con il respiro pesante, mentre Natasha sorride e si avventa di nuovo sulle sue labbra riprendendo e portando a compimento quella dolce tortura3.

 

***

 

James ha perso il conto di quanti minuti –per non dire ore– ha sprecato a fissare il soffitto insonne… aveva altri piani per quella serata, ma si era convinto ad abbandonarli definendola una pessima idea ancora un paio di giorni prima, ottenendo una tacita conferma alle sue supposizioni quando era rientrato in casa quella sera vedendosi prelevare dalle mani da Natasha il cibo take-away e la bottiglia di vino, mentre il mazzo di rose rosse era finito nella spazzatura cestinando con esso anche la briciola di coraggio che aveva racimolato negli ultimi mesi facendo automaticamente pesare come un macigno la scatolina di velluto che nascondeva in tasca, gettandola nel primo cassetto che gli era capitato sotto tiro appena la compagna era scomparsa in cucina cercando un cavatappi. 

Non sapeva decidersi se era stato il sospetto che la donna non fosse ancora pronta a quel genere di passo a mandare in fumo i suoi piani, oppure se era finito per auto-sabotarsi da solo seguendo la paura atavica che l’aveva assalito un paio di giorni prima facendogli cambiare idea inizialmente, ma non poteva ignorare il fatto che era la terza notte di fila che si svegliava in preda agli incubi convinto che gli avessero strappato Natasha dalle braccia in modo irreparabile, reprimendo un grido per non svegliarla rendendola infelicemente partecipe ai propri deliri mentali.

James si passa le mani sul volto premendo i palmi contro le orbite, cercando di cancellare i flash sconnessi che gli affollavano il cervello… ottenendo prevedibilmente l’effetto contrario, ritornando con la mente al deposito ricolmo di scatoloni impolverati a Las Vegas.

-Dove sei? -biascica Natasha cogliendolo di sorpresa interrompendo il suo flusso di pensieri contorti, spostandosi le ciocche rosse arruffate dagli occhi, studiando il suo profilo in controluce alla ricerca del suo sguardo sfuggevole. -A milioni di chilometri da qui.

-Tu immagini dove. -sospira James in risposta inclinando leggermente il capo depositandole un bacio sulla tempia, concedendole una mezza verità. -Ti ho svegliata?

-Non proprio… sono le tre di mattina, James. -puntualizza Natasha trattenendo un mezzo sospiro, scoccando un’occhiata veloce alla sveglia posata sul comodino. -Abbiamo un briefing tra sei ore, puoi iniziare a torturarti appena metti piede nell’Helicarrier, non prima… l’avevi promesso.

-Apprezza il fatto che sia ancora qui e che non mi sia alzato per fumare.

Natasha alza gli occhi al cielo in risposta, scivolando al suo fianco incastrandosi in un abbraccio, posando il capo sulla sua spalla alla ricerca di un contatto.

-Hai voglia di parlarne? -mormora con le labbra premute contro il suo collo. -Oppure passiamo direttamente alla parte in cui ti metto a KO? 

-Ti piacerebbe… -commenta lasciando trasparire un vago tono di malizia nella voce, tentativo che fallisce miseramente quando Natasha si solleva su un gomito squadrandolo dall’alto alla ricerca del problema di fondo.

-James, seriamente… forse non è davvero niente, non ha senso che ci perdi il sonno prima del tempo.

-Vorrei fosse davvero così ‘Tasha. -mormora stropicciandosi gli occhi con fare rassegnato lasciando cadere l'obiezione nel silenzio, adeguandosi al discorso escludendo gli altri possibili appigli dovuti alla sua insonnia puntando sulla motivazione principale. -È solo che… hai presente la sensazione di quando sai che sta per succedere qualcosa di brutto? 

-Smettila. Se provi a dire che è tutta colpa tua, ti spedisco a dormire sul divano, intesi? -sbotta la donna interrompendolo, lasciandosi cadere sull’altra metà del letto reprimendo a stento uno sbadiglio. -Ho anch’io la mia dose di colpe, non dimenticartelo.

James serra le labbra con uno scatto secco, ritornando a rimuginarci sopra da solo… perché non riesce a scacciare dalla testa i ricordi di una vita fa che molto, troppo spesso alimentano ancora i suoi incubi svegliandolo di soprassalto, appurando sollevato solo il secondo successivo al momento di panico che la sua piccola ballerina è viva e sta dormendo al suo fianco ignara di tutto, che un legame vincolante non può offrirgli la certezza assoluta di non perderla di nuovo e che forse la soluzione migliore per proteggerla è concedersi la possibilità di potersi tirare indietro lasciandola libera di proseguire per la propria strada da sola.

Forse Natasha si aspetta che lui prosegua la discussione contraddicendola, ma quando ciò non avviene torna a cercarlo timorosa in punta di dita, tendendo una mano nella sua direzione sfiorandogli il viso in una carezza. 

-Vieni qui… a quest’ora dovremmo dormire. -sussurra conciliante, spazzando via le nubi temporalesche con l’accenno di un sorriso.

James la asseconda lasciandosi trascinare nel movimento circondandole la vita con un braccio, posando il capo tra l’incavo dei seni con l’orecchio premuto all’altezza del suo cuore, il rumore sordo del battito di Natasha che lo culla come una ninnananna, mentre la donna inizia a fargli i grattini sulla nuca con movimenti lenti e ritmici conciliandogli il sonno.

-Ti amo, lo sai vero? -mormora con voce assonnata, mentre il respiro rallenta e le palpebre fremono, facendo sempre più fatica a restare aperte.

-Dormi, James. -sentenzia Natasha stroncando brutalmente la dichiarazione appena proferita, ma lasciando trasparire nella voce una tacca di affetto mista all’esasperazione generale. -Ai tuoi incubi ci penso io.

 

***

 

3 maggio 2018, Helicarrier, in volo sopra Las Vegas

 

-Ci portano a terra tra una quindicina di minuti.

-Okay… ti serve una mano con la zip del vestito? -chiede James nascondendo la pistola sotto la giacca, mentre Natasha posa il cellulare sopra il bancone e si scosta i capelli in una risposta implicita. -Niente armi?

-Non in bella vista. -afferma rabbrividendo appena quando le sue dita le sfiorano la schiena chiudendole la zip, scostando lo spacco del vestito permettendogli di vedere una fondina cucita alla giarrettiera. -Solo una piccola precauzione, se le cose dovessero mettersi male. 

James annuisce annodandosi la cravatta al collo, mentre Natasha si arma di tacchi vertiginosi e controlla un’ultima volta il rossetto allo specchio.

-Come sto? -chiede mettendosi teatralmente in posa sorridendo maliziosa.

-Uno schianto, come al solito. -conferma James ricambiando il sorriso, porgendole il braccio in uno sfoggio di galanteria. -Andiamo, ci aspettano.

Alcuni agenti SHIELD li avevano scortati a terra mentre l’ombra dell’Helicarrier si nascondeva tra le nuvole che celavano il cielo trapuntato di stelle, avviandosi verso l’entrata del Red King Casinò recitando la parte dei neo-sposini in preda alla follia di Las Vegas… una finzione che negli ultimi tempi rappresentava una prospettiva che a James non dispiaceva affatto, anzi. 

Aveva colto l’occasione per giocare un paio di mani a poker assecondando la copertura, nel frattempo che Natasha perlustrava lo stabile con lo sguardo alla ricerca della porta di servizio segnalatole da Fury, che si era avvalso delle planimetrie dello stabile prima di farli scendere a terra. 

Un paio di giorni prima si era attivato un vecchio network del mercato nero attirando le paranoie di Nick, erano stati condivisi dei dati e delle coordinate via rete su un oggetto sospetto non meglio identificato, subito acquistato da un compratore anonimo ad una cifra folle. Con una verifica dei dati incrociata si era scoperto che il Casinò era una copertura edificata appositamente per nascondere l’accesso ad un’ ex-base sovietica, mandando in allerta il Colonnello richiamandoli in servizio ed andando a prelevarli personalmente a Parigi con la scusa di ottimizzare i tempi… forse era un falso allarme, ma era meglio controllare prima che la situazione degenerasse.

James aveva abbandonato il tavolo da gioco ad un cenno di Natasha, raggiungendola davanti alla porta di servizio nascosta dalle slot, coprendo la visuale alle telecamere mentre sfilava dalla pochette l’ultimo giocattolino regalatole da Stark mandando in tilt i circuiti del tastierino numerico, aprendo la porta con un leggerissimo scatto della maniglia senza attivare nessun tipo di allarme e chiudendola velocemente alle loro spalle. 

Natasha si era sfilata i tacchi ed aveva raccolto la gonna annodando le estremità ai fianchi accorciandola per aver più libertà di movimento, mentre James aveva cercato ed acceso il quadro elettrico, scovando delle scale che scomparivano nel seminterrato.

-Bingo. -esulta sfilando la pistola dalla giacca iniziando a scendere la scalinata addossandosi al muro, mentre la compagna lo segue come un'ombra a piedi scalzi guardandogli le spalle.

Si era palesato davanti a loro un magazzino convertito a deposito, diramandosi in pile e pile di scatoloni contenenti principalmente cianfrusaglie, celando in un angolo alla fine del labirinto l’oggetto del loro interesse, gelando istantaneamente il sangue ad entrambi.

-È vuota. -esordisce Natasha con tono ovvio, abbassando l’arma contemplando la capsula criogenica con diffidenza.

-Ci sono i segni della condensa sciolta, ‘Tasha. -ribatte James sfiorando il vetro con le dita. 

-Può essere qui da anni, amore… -azzarda la donna proponendo una valida ipotesi, indicando la patina di polvere che ricopriva tutte le superfici circostanti. -Non ci sono numeri seriali in vista, possono aver comprato solamente l’involucro e non il contenuto… per quanto ne sappiamo può essere una delle tue.

James non ribatte limitandosi ad arretrare di un passo prendendo le distanze dalla capsula, come se potesse animarsi di colpo imprigionandolo al suo interno senza apparente motivo, mentre Natasha avverte il cambiamento d’umore palesandosi al suo fianco artigliandogli la mano, impedendogli di naufragare incontro ai ricordi acuminati composti da lame ghiacciate.

-Sì, può essere. -concede James dopo qualche secondo schiarendosi la gola, ma usando comunque un tono di voce così debole da risultare bugiardo alle sue stesse orecchie. 

-Ehi… non farlo. Non iniziare a torturarti, pensa ad altro. -lo richiama la donna stringendogli la mano con più forza, costringendolo a distogliere lo sguardo dalla capsula criogenica. -Forse è davvero solo una capsula vuota, James.

-Per essere una spia, menti davvero male amore. -puntualizza lui consapevole di attirare le ire della donna, posandole le labbra sulla fronte placando in anticipo la probabile sfuriata, lasciando trasparire nel gesto quanto in realtà apprezzi il suo tentativo fallito di propinargli una bugia. 

-Avviso lo SHIELD? 

-Sì, voglio andarmene via da qui il prima possibile. 

 

***

 

6 maggio 2018, Helicarrier, nei cieli 

 

-Lo volete un caffè? -chiede Fury facendo cenno a James e Natasha di accomodarsi appena varcano la soglia, scostando una sedia dal tavolo reclamandola per sé quando fanno entrambi cenno di no con la testa.

-Abbiamo già fatto colazione, Nick. -replica Natasha accomodandosi di fronte al loro Capo appoggiando i gomiti sul tavolo, lasciando trasparire una leggera vena di impazienza mista a nervosismo nella tensione delle spalle. -Ci sono novità? 

James liquida con un cenno della mano l'occhiata indagatrice di Fury quando non lo vede prendere posto al tavolo, preferendo puntellarsi allo schienale della sedia di Natasha per nascondere meglio il fremito che gli percorre le ossa da quando ha aperto gli occhi quella mattina, in un palese segno di nervosismo che non riesce a sopprimere del tutto… il fatto che quella notte fosse riuscito a dormire qualche ora affievoliva i sintomi, ma non cancellava di colpo la sensazione che percepiva negli ultimi giorni dei suoi muscoli ridotti ad un fascio di nervi, timoroso ed allo stesso tempo scalpitante di conoscere finalmente il verdetto ai suoi sospetti.

-Il nostro uomo si chiama Nick Stanton… -replica Fury in risposta premendo l’indice sul ripiano di vetro, diramando una scia di reticoli azzurrini avviando la proiezione olografica dei dati raccolti, mostrando un fotogramma estrapolato dal circuito interno delle telecamere del Casinò. - ...o meglio conosciuto in Madre Russia con il nome di Nico Stanovich.

-Un infiltrato? -chiede Natasha zoomando con le dita sulla foto proiettata sul tavolo, studiandone le fisionomie e scostandosi appena per permettere al compagno di scrutare l’immagine da sopra la sua spalla. 

-A quanto pare… è espatriato nel ‘91, si è rifatto una vita qui in America. Sposato, due figli, un buon lavoro. -snocciola velocemente l’ex Direttore digitando dei comandi sulla superficie illuminata, accedendo ad una cartella di file disponendo sul tavolo delle ulteriori immagini. -La mattina del 3 maggio i vicini di casa si sono insospettiti nel non vedere nessun movimento, hanno chiamato la polizia e gli agenti in servizio hanno trovato i cadaveri dei familiari, i portatili in casa completamente ripuliti e tutti i documenti e i passaporti carbonizzati nel cestino.

James si sporge oltre la spalla di Natasha facendo scorrere le immagini raccolte dai rilievi preliminari della scientifica, reprimendo il moto di disgusto analizzando il modus-operandi dell’esecuzione con sguardo indecifrabile.

-É uno dei tuoi? -chiede Natasha girandosi di tre quarti nella sua direzione spiando il suo profilo.

-Già. -commenta atono esponendolo come un dato di fatto. -Ma non capisco perché si sia concesso il lusso di una vita normale se era un operativo in servizio… è contro le regole.

-Forse… -interviene Natasha sollevando lo sguardo con un barlume speranzoso negli occhi, celando un ombra che tuttavia non promette nulla di buono. -Nick, hai i tabulati telefonici?

-Si, ma i miei tecnici non hanno riscontrato nulla di anomalo. L’ultima telefonata risale a circa un paio d’ore prima del ritrovamento della scientifica, ma il numero registrato chiamava sporadicamente… potrebbe essere rilevante? -chiede Fury scannerizzando entrambi con lo sguardo alla ricerca di uno stralcio di informazione.

-È un Dormiente. -conferma James scoccandole uno sguardo impensierito quando mette a fuoco l’intuizione della compagna. -La telefonata… 

-Devono aver pronunciato il codice di attivazione, ha cancellato le tracce del suo passaggio… il che significa eliminare la sua famiglia. -spiega la donna rivolgendosi a Nick, tamburellando con le dita sul ripiano in vetro prima di lasciarsi sfuggire dalle labbra la domanda spaventosa che assillava entrambi ormai da giorni. -Stanovich è entrato da solo al Casinò, ma è uscito con qualcuno, vero?

Fury si limita ad esporre il filmato della telecamera di sicurezza all’entrata del Red King in una risposta implicita, da dove si distingueva chiaramente la figura di Nick Stanton che varcava la soglia, tallonato da un uomo ben piazzato e dallo sguardo vagamente confuso.

James si pietrifica sul posto riconoscendo Arkady nonostante l’immagine sgranata, attirando lo sguardo dei suoi due interlocutori quando mette in pausa il filmato studiando il fotogramma alla ricerca di una certezza.

-Lo conosci, ragazzo? -chiede Fury scansionandolo con lo sguardo ed attendendo una risposta.

-No. -mente spudoratamente rifiutando a priori l’idea che un qualsiasi pazzo abbia messo in circolazione un soggetto instabile come Arkady, augurandosi in cuor suo di sbagliarsi. -Ma ha qualcosa di familiare.

James svincola dallo sguardo della donna puntandolo su Fury consolidando la menzogna, mentre gli occhi di Natasha lo trapassano da parte a parte captando la bugia, mordendosi la lingua obbligandosi a lasciar perdere quella discussione lasciata in sospeso alle tre di notte, ma che stava avendo comunque una tacita continuazione nella testa di entrambi.

-Potremmo rintracciare da dove è partita la telefonata, poi ci regoliamo di conseguenza. -interviene Natasha voltandosi e rivolgendosi a Fury, coprendogli le spalle decretando silenziosamente e di comune accordo di aver perso quel round nella loro guerra fatta di sguardi. -Puoi farlo, Nick?

-Provvedo il prima possibile. -replica Fury digitando un paio di comandi sulla tastiera olografica spiando la loro reazione con fare fintamente distratto, percependo la tensione sotto a quel loro silenzio urlato, scegliendo deliberatamente di giocare con il fuoco. -La mia conferma è solamente una formalità, non è vero? 

-Già. -rispondono entrambi all’unisono, mentre James spezza il respiro bruscamente avvertendo l’impellente bisogno di placare il picco di nervosismo con il fumo, allontanandosi guadagnando la porta sfilando il pacchetto di Marlboro dalla tasca interna della giacca in pelle.

-Routine… -avverte la voce attutita di Natasha giustificarlo oltre la porta chiusa che si è lasciato alle spalle, trattenendo la sigaretta tra le labbra mentre cerca i fiammiferi nelle tasche dei jeans, avviandosi a passo spedito verso l’area fumatori.

-Non volevi smettere? -lo insegue la compagna raggiungendolo a distanza di qualche secondo, intuendo in anticipo cosa lui stia cercando, rovistando nella borsa porgendogli il pacchetto di fiammiferi sigillato. 

-Serve davvero che ti risponda? -commenta lui scrollando le spalle incendiando lo zolfo ed aspirando la prima boccata, alludendo tacitamente alle altre diecimila discussioni lasciate in sospeso negli ultimi giorni, convincendosi che la sua fosse stata la scelta più giusta per entrambi.

-No, in realtà no. -ribatte trattenendo uno sbuffo, illudendolo di rinunciare ad intavolare una qualsiasi conversazione per quieto vivere, indugiando con lo sguardo un paio di secondi sul pacchetto di Marlboro che aveva abbandonato di fianco al posacenere prima di porre la richiesta. -Ne hai una anche per me? 

-Mh-m. -conferma sollevandosi appena dalla poltrona su cui era sprofondato, porgendole il pacchetto aperto ed accendendole un fiammifero quando lei si porta la sigaretta alle labbra, rassegnandosi a collaborare concedendole uno scorcio sui suoi pensieri intuendo la tattica di interrogatorio in corso. -Sono stanco dei fantasmi che continuano ad assillarmi dando il tormento ad entrambi… e non provare a contraddirmi, quei fantasmi li ho creati io.

-James… la risolviamo, ci riusciamo sempre.

-A che prezzo stavolta? -sbotta con una vena di ironia malcelata nella voce, lasciandosi scivolare sulla lingua la vera domanda che gli rubava il sonno negli ultimi giorni.

-Lo so cosa stai tentando di fare e non funzionerà. -ribatte Natasha a tono, picchiettando la sigaretta contro il bordo del posacenere sfidandolo con lo sguardo, decisa a spuntarla nella discussione vincendo la guerra in corso. -Non vado da nessuna parte, rassegnati.

James cerca di ignorare la vocina nella sua testa che si permette di dissentire sulle decisioni prese di recente, preferendo dare ascolto al macigno che gli opprime il petto smorzandogli il respiro ogni notte, scoprendosi terrorizzato all’idea dei possibili rischi nel ritrovarsi nuovamente tra le spire del Leviathan, convincendosi che mantenere invariata la loro situazione sia la soluzione migliore per entrambi… almeno fino a quando la minaccia imminente non si sarebbe risolta, poi avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per dichiararsi.

-Lo sai che così non andiamo da nessuna parte, vero? -sottolinea puntualmente la donna posando la schiena contro l’imbottitura della propria poltrona, attendendo il suo armistizio in silenzio, assecondando e ritorcendogli contro il suo ostinato mutismo. 

-Ho paura… l’ho detto, sei contenta ora? -l’ammissione gratta fastidiosamente contro la gola, scoprendosi insofferente a quel silenzio carico di aspettativa che stava dilatando il tempo oltre il sopportabile, imponendosi di terminare la frase mettendo da parte l’istinto che gli suggeriva di rimangiarsi la parola appena proferita. -Non riuscirei a perdonarmi se dovesse succederti di nuovo qualcosa di brutto a causa mia.

-Credevo avessimo già messo in chiaro che buona parte delle colpe sono condivise. -obietta Natasha appena lui deposita il mozzicone nel posacenere, per poi affondare nuovamente la schiena contro la poltrona, reclinando la testa all’indietro chiudendo gli occhi sfinito.

James avverte lo spostamento d’aria mentre la donna lo raggiunge a passi felpati, percependo la zaffata del suo profumo quando si siede sulle sue gambe, intrecciando le dita dietro alla sua nuca sollevandogli la testa, obbligandolo a ricambiare il suo sguardo.

-Non ti chiedi mai perché in questo genere di casini ci finiamo sempre in due? -lo interroga lei, con degli occhi verde foresta così penetranti da mandargli in subbuglio lo stomaco.

-Perchè in un modo o nell’altro finisco sempre per trascinarti con me, Natalia. -ribatte con una stilettata di cinismo nella voce che sopprime l’ovvietà dell’affermazione.

-Se non lo volessi, credi che sarei ancora qui? -chiede retorica la donna, sollevandogli il mento con due dita depositandogli un bacio a fior di labbra. -Non ti liberi così facilmente di me James, dovresti saperlo ormai.





 

Note:

  1. Tale citazione è esattamente la frase con cui si apre il volume di Brubaker, giusto per farvi capire l’antifona.

  2. Traduzione dal russo: “Amore mio”.

  3. Cito testualmente dal capitolo 20 di “Till the end of the line”: 

Se la metti così l’anno prossimo, per i 90, ci scoliamo una bottiglia, balliamo lo swing in salotto fino a quando non ci fanno male i piedi e concludiamo in bellezza con le acrobazie tra le lenzuola.

   
 
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