Prima che il
sole tramonti
[…]
Noi abbiamo una
stessa
voce, una stessa
pena
e viviamo
affrontati
sotto povero
cielo.
(Cesare Pavese,
19-20 novembre ‘45)
“So
perché sei qui!” disse la strega del mare,
“ma è insensato, da parte
tua!
Tuttavia mi
piegherò al tuo desiderio poiché ciò
ti porterà sventura, o
mia principessa stupenda.”
(La Sirenetta,
da “Fiabe”, Hans Christian Andersen, ed. Einaudi)
Capitolo 1
C’era
una volta un drakkar
Questa
è la storia di come il dio dell’inganno
riuscì a raggirare gli dèi di Asgard
grazie a uno dei suoi molti, crudeli, intrighi. Sa di salsedine e
vento, il
racconto. Odora di mare e di spiagge baciate da un sole che non
tramonta né
svanisce per giorni, settimane, stagioni intere. Si dice che chi voglia
narrare
quanto avvenne, debba prima raggiungere una spiaggia e lasciarsi
bagnare dalla
spuma del mare. In fondo, lei è una delle protagoniste di
questa vicenda
antica.
C’era
una volta e c’è ancora, una penisola che
s’insinua come un artiglio nel Mar
Baltico: la sua punta più estrema, lo Skagen, guarda verso
la Scandinavia,
terra di Giganti e di dèi, dove il sole svanisce sei mesi
all’anno e l’inverno è
così rigido che la neve ricopre ogni cosa per mesi. Tra i
suoi fiordi settentrionali
più estremi e incantevoli, un tempo si diceva che sorgesse
anche la magnifica
Asgard, la dimora di Odino e degli Æsir, in tutto il suo
splendore. Ma di
questo, i vichinghi, che un giorno si sarebbero chiamati danesi, non
erano davvero
certi. Raramente si erano spinti tanto a nord, sebbene fossero
profondamente
devoti ai loro dèi guerrieri, fieri e orgogliosi. Dalla
spiaggia più estrema
dello Skagen partì, un’estate, un drakkar dalla
punta snella, agile e veloce.
Il suo scopo era raggiungere le terre fertili oltre il mare e trovare
abbastanza mercanzie e schiavi da poter commerciare a oriente e a
meridione, ma
una forte tempesta causata dal dio del tuono, certamente impegnato a
combattere
i giganti e i troll, fece sì che la nave si smarrisse,
perdendo la rotta.
Su
quell’imbarcazione svelta, viaggiava un uomo. Alcuni
sostengono che costui non
volesse solo mercanteggiare e razziare le più fertili coste
della vicina Gran
Bretagna, allora retta da tanti piccoli re che si facevano la guerra
tra loro;
armato di coraggio, di un particolare spirito
d’intraprendenza e del consiglio
di un navigante assai esperto, desiderava scoprire le coste a
settentrione,
inoltrandosi tra i fiordi d’inimmaginabile bellezza, spesso
avvolti da nebbie
invalicabili, forse frutto d’incantesimi potenti. Cercava la
ricca Asgard e voleva
osservarla con i propri occhi di uomo mortale per riportare, nella
terra da cui
proveniva, quelle che si dicevano fossero le abilità
particolari dei suoi
abitanti. I signori di Asgard, che dimoravano nelle zone più
estreme della
selvaggia penisola, conoscevano taluni segreti utili per affrontare le
tempeste
e orientarsi in mare anche nelle notti più buie, potevano
pescare a volontà,
cacciare anche le prede più difficili e possedevano armi
potenti – reliquie
d’inimmaginabile valore – capaci di non spezzarsi
nemmeno se usate per
combattere i Troll e gli Jotnar[1].
Così,
scelse di violare ogni vincolo precedentemente stabilito tra gli uomini
e gli
Æsir e di viaggiare alla scoperta dell’ignoto.
Oltre all’esperto di rotte, prese
con sé altri otto uomini e partì con un drakkar
robusto e veloce. Odino e la
sua gente, però, non erano inclini a perdonare coloro che
osavano venire meno
ai patti stabiliti fin dalla notte dei tempi: erano orgogliosi e fieri
e non
desideravano in alcun modo mescolarsi alla schiatta dei midgardiani[2].
Ogni tanto, alcuni di loro vagavano per le terre abitate dagli uomini.
Camuffandosi sotto mentite spoglie attraversavano villaggi e foreste,
oppure
s’imbarcavano sui loro drakkar da guerra, spacciandosi per
vagabondi o poeti,
spinti dalla curiosità e dalla noia, forse.
Circolavano molte leggende
su questi incontri, tanto che quando Erik, dopo il naufragio occorso,
si risvegliò
stanco e stracciato nel folto di una foresta non ricordando
assolutamente nulla
di come fosse finito lì, boccheggiante e inaspettatamente
vivo, credette
davvero di essere stato salvato da una fata dei boschi o da
un’Æsinna e di aver
visitato, in qualche modo, la ricca e bella Asgard, la dimora degli
dèi. C’era
infatti chi raccontava che il perimetro della terra degli
Æsir fosse stato
stregato dal dio degli inganni in persona e che se anche un abitante di
Midgard
ne avesse, in qualche modo, osato varcare i confini, al momento di
rientrare
nella sua terra avrebbe smarrito ogni ricordo, pensiero e memoria del
tempo
trascorso all’ombra della casa di Odino. E gli incantesimi di
Loki, questo
tutti lo sapevano nei Nove Regni, erano potenti e terribili quanto
quelli di
Padre Tutto.
♥
Dell’ingannatore
si raccontavano molte, troppe cose. Alcune storie erano totalmente
false; le
aveva fatte circolare lui stesso, per confondere i suoi nemici e
ampliare le
voci circa la sua grandezza. Altre, invece, col tempo erano state
mutate,
cambiate, arricchite di particolari o private di dettagli,
così da divenire
qualcosa di nuovo, diverso e irriconoscibile. Forse anche questa storia
è una
di quelle. Bisognerebbe chiederlo alla spuma del mare, ai fiordi alti e
immobili che si stagliano contro il cielo, a Loki stesso, che riderebbe
beffardo e prenderebbe a narrare una storia meravigliosa, fantastica,
allo
stesso tempo vera e finta.
Se
raccontasse, tuttavia, partirebbe senz’altro da lei.
C’era una ragazza,
ad Asgard. Il suo nome era Sigyn. Alla sua nascita, le Norne le avevano
cucito
addosso un destino oscuro, forse infelice, segnato da una profezia
funesta,
celata a lei stessa. Si erano decise a donarle un nome pesante,
affidandole il
compito di consolare le figlie degli uomini con la sua sola presenza,
ma le visioni
di Skuld spesso erano troppo difficili da interpretare o sciogliere[3].
Il suo fato si sarebbe rivelato a tempo debito: così
solevano dirle Freya e
Odino, forse nel tentativo di proteggerla dall’immagine,
carica di presagi, che
aveva mostrato loro la fonte di Mimir.
È
l’eccesso d’amore a far male, alle volte. Crea una
prigione dorata dentro cui
si soffre e si langue, arrivando ad anelare cose come la
libertà, la conoscenza
e anche la possibilità di sbagliare, alle volte. Il diritto
di essere se
stessi, di alzare la testa ed esporre un parere che non sia,
semplicemente, lo
specchio di quello di un altro. Sigyn era giovane, forse troppo. Era
nata dopo
una grande guerra, feroce e fratricida, che aveva visto gli
Æsir combattersi
aspramente: i figli di Asgard si facevano chiamare dèi, ma
sanguinavano,
morivano, soffrivano, amavano e odiavano come gli uomini, sebbene
fossero maledetti
da una vita lunga decine e decine di secoli.
Cosa
significa vivere migliaia di anni? Perdere il contatto con la
realtà, smarrire
lo stupore verso il mondo e la sua bellezza, dimenticare la fede.
Sigyn,
però, era giovane, giovanissima. Una ragazzina di schiatta
reale. Non le
apparteneva la malizia propria di chi ha perso il conto delle primavere
già
viste ed era ansiosa di conoscere il mondo oltre i confini di Asgard,
perché
spinta da un’inspiegabile nostalgia per
Midgard[4].
Sin da bambina, l’affascinava enormemente quel popolo
così simile a lei e,
appena poteva, si faceva narrare le storie delle sue genti –
fiabe, racconti e
leggende, perlopiù, nonché certe saghe che
parlavano di guerrieri indomiti e
fieri che conquistavano regni interi con la forza del loro braccio e
poco
altro. Per questo, non appena l’infanzia lasciò
spazio alla giovinezza, iniziò
a violare sempre più spesso gli ordini imposti,
avvicinandosi fin troppo ai
confini che dividevano la terra degli uomini da quella degli
dèi. Voleva vedere
com’erano i loro palazzi, ascoltare le melodie suonate
attorno ai fuochi,
danzare al suono dei corni e dei flauti canzoni nuove e diverse. Le sue
sorelle
maggiori la ascoltavano con una certa condiscendenza, mentre erano
impegnate a
raccogliere erbe medicamentose e radici per conto della regina Frigga.
Pensavano che l’interesse verso Midgard si sarebbe rivelato
un interesse
passeggero, un sogno di bambina che Sigyn avrebbe perso o accantonato
una volta
adulta. Cosa c’era di tanto bello in un mondo dominato dalla
grettezza e dalla
miseria? Gli umani non erano che una copia imperfetta e fragile degli
Æsir,
niente di più. Contrariamente a quanto auspicato dalla
famiglia, però, Sigyn continuò
a sognare a occhi aperti, a fantasticare sulle fiabe che raccontava
tutto il
giorno alle sorelle stesse. Erano storie meravigliose, certo. Parlavano
di
draghi che custodivano tesori e di spade magiche piantate nel tronco di
enormi
frassini e di guerrieri invincibili, salvo che per un solo punto
seminascosto
del loro corpo. Alcune avevano per protagonisti gli stessi
dèi di Asgard, ma
questo Sigyn non poteva saperlo né immaginarlo,
perché, col passare del tempo e
per oscure ragioni, i nomi erano stati modificati, occultati,
consegnati
all’oblio[5].
Erik,
tuttavia, lo incontrò per caso. Un mattino, subito dopo
l’alba, la ragazza si
ritrovò a camminare sulla spiaggia. La notte prima
c’era stata una terribile
tempesta, talmente violenta che le onde erano arrivate a mutare parte
della
battigia, ridefinendone i contorni. Qua e là, spiccavano
detriti, alghe e pezzi
di legno giunti da chissà dove. Sigyn, stretta in un
mantello foderato che la
proteggeva dall’aria pungente del primo mattino, era in cerca
di certe radici
che servivano alla regina degli Æsir e che si trovavano
solamente in una radura
poco distante dalla riva del mare, ma aveva approfittato di
quell’incombenza
per respirare l’odore dell’aria salmastra,
osservare la distesa d’acqua
scintillante sotto i primi raggi del sole estivo. Camminando, si
accorse, però,
che le onde avevano portato fino a riva qualcosa di differente dal
solito.
Sentì il cuore accelerare il suo battito. Riconobbe tra la
sabbia frammenti di
remi e di oggetti senz’altro appartenenti al drakkar.
Aumentò il passo,
raccogliendo di volta in volta qualche fibbia od oggetto appartenuto
all’imbarcazione e all’equipaggio che,
presumibilmente, aveva dovuto scontrarsi
con la tempesta della notte precedente, finché non
trovò un uomo disteso sulla
spiaggia. Un uomo di Midgard, dedusse dagli abiti, privo di sensi.
Non
avrebbe dovuto avvicinarsi. Era proibito dalle leggi di Odino, farlo.
Gli Æsir
avevano il compito di difendere Midgard, ma agli incauti che osavano
sfidare
Padre Tutto e varcare i confini dell’Yggdrasill non andava
prestato alcun
soccorso. Chi avesse osato violare le leggi stabilite da Odino e, prima
di lui,
da Bor il Grande in persona, sarebbe stato punito, com’era
già capitato nei
confronti del figlio ribelle del re, tanto tempo prima. Se il sovrano
di Asgard
avesse scoperto che gli aveva disobbedito, senz’altro non si
sarebbe fatto
scrupolo nel punirla con severità nonostante le fosse
affezionato come a una
figlia. La ragazza era difatti una delle giovani nobilissime cui
Frigga, la
regina sua moglie, si era circondata al fine di insegnare loro i molti
segreti
della magia in suo possesso. Si trattava di incantesimi benigni, legati
alla
natura e alla divinazione, lontani dal seiðr che Padre Tutto
stesso usava ed
erano, invece, appannaggio di altri. Ma esiste
davvero, il caso? O la
vita non è fatta, piuttosto, d’incredibili
coincidenze legate l’una all’altra
dalle mani svelte e implacabili delle Norne, che filano e tessono il
destino
degli uomini e degli dèi? C’è chi dice
che, a volte, le tre sorelle uniscano i
destini di due anime con un filo d’oro, tinto di rosso:
così facendo, due
esistenze sono chiuse in un vincolo indissolubile, resistente come la
più
terribile delle maledizioni e intenso come la vita stessa. Per un
istante, uno
solo, Sigyn smise di respirare, pensare, parlare.
Dotata
com’era di un animo gentile, non riuscì a far
finta di nulla, di fronte
all’uomo svenuto davanti a lei. Gli si accostò per
controllare che fosse vivo,
nient’altro, ma poi, accorgendosi che il marinaio respirava
ancora, non poté
trattenersi dal chinarsi sulla rena umida e prestargli soccorso. Si
trattava di
pietà, nient’altro che quello: lo giurò
a se stessa. Bagnò le labbra riarse
dell’uomo, pulì e medicò le sue ferite
lievi. Decise che si sarebbe limitata a
quelle poche cure. Prima che lo sventurato naufrago avesse potuto anche
solo
aprire gli occhi, lei sarebbe andata via, tornando alle sue occupazioni
sempre
uguali, alle fantasie riguardanti viaggi che non avrebbe mai fatto,
libertà che
non avrebbe mai avuto. Si lasciò scappare un sospiro e,
persa com’era in quel
suo ragionare, non s’accorse che le palpebre
dell’uomo si erano schiuse e, ora,
la guardava. Uno sguardo chiaro, fisso, penetrante e attento, che
rivelava
un’intelligenza acuta. Si tirò su a sedere
lentamente, sorretto da Sigyn – la
testa doveva girargli – e vide il braccio fasciato.
“Sei
stata tu. Mi hai salvato,” notò.
La
giovanissima Æsinna pensò che avesse una voce roca
e un modo di sorridere che
la turbavano. Era giovane e bello e scrutava il paesaggio attorno con
circospetta attenzione, cercando evidentemente un riferimento
geografico che
gli indicasse con precisione dove fosse naufragato. Si mise in piedi
rivelando
una vitalità sorprendente e lei lo seguì
dappresso, timorosa che la sua
andatura ancora lievemente incerta potesse tradirlo. Temeva anche
un’altra
cosa, a essere onesti: la punizione che Padre Tutto avrebbe inflitto a
entrambi
quando i suoi corvi, quella sera, gli avrebbero raccontato
ciò che era accaduto
nei Nove Regni. Con quale compiacimento si sarebbero messi a sussurrare
di come
quello che sembrava un semplice midgardiano avesse osato sfidare i mari
e gli
incantesimi quasi invalicabili che connettevano i due mondi!
Sigyn
pensò a tutto questo, ma riflettendo, giunse alla
conclusione che ormai era
troppo tardi per fuggire, né lo desiderava. Aveva violato i
precetti di Odino
soccorrendo, sia pur brevemente, il forestiero. Giunta a quel punto,
tanto
valeva salvargli la vita davvero, portandolo fino al limitare del
territorio di
Asgard, lì dove, all’alba, solo per un momento, un
raggio di luce fendeva la
roccia, rivelando l’ennesimo passaggio tra un regno e
l’altro.
“Dove
sono?” domandò lo straniero. “Chi sei
tu? Hai dell’acqua, con te?” insistette,
osservando avidamente la bisaccia che la ragazza teneva a tracolla.
Poi, il suo
sguardo chiaro e aguzzo si posò su ciò che
rimaneva del drakkar naufragato,
forse pensando ai compagni inghiottiti dai flutti del mare, caduti sul
fondo
ricolmo di relitti e di gioielli.
La
giovane Æsinna gli porse lesta la borraccia con cui
già prima aveva dato
sollievo alle sue labbra riarse, ma esitò nel rivelare la
propria identità. Si
decise a parlare solo dopo che lui ebbe bevuto avidamente. In fondo, se
lo
avesse condotto fino alle mura che separavano Ásaheimr da
Midgard, il
forestiero avrebbe attraversato il confine tra i due mondi,
dimenticando ogni
cosa del regno di Odino – compresa lei. Questa regola che
conosceva fin da
quando era bambina e che tutti i figli degli Æsir avevano
sempre accettato
senza battere ciglio, le sembrò improvvisamente crudele,
ingiusta. Qualcosa le
punse il cuore, ma sorrise ugualmente. “Sono Sigyn e questa
è Asgard.”
“Asgard.”
Il naufrago, stupito, lo ripeté quasi come se volesse essere
certo di aver
udito correttamente. Di fronte al cenno d’assenso della
ragazza, schiuse le
labbra, guardandosi febbrilmente attorno. Com’è
osservare da vicino il mondo
degli dèi cantato dai bardi, visto in sogno dai veggenti?
Doveva parergli un
luogo del tutto simile a quello in cui era nato e cresciuto, ma non
volle darlo
a vedere alla sua benefattrice.
“Non
potete rimanere qui,” disse Sigyn.
“Senz’altro, conoscete anche voi ciò che
si
dice su coloro che visitano questa terra. Tutto questo vi
sembrerà un sogno,
forse neanche quello. Seguitemi, vi condurrò al sicuro da
occhi indiscreti.”
Il
naufrago annuì pensieroso, lo sguardo vigile e mobile,
inquieto, che si
spostava da una parte all’altra del fiordo.
“Il
mio nome è Erik,” le rivelò.
“Come posso sdebitarmi? Mi hai salvato la vita,
rischiando, probabilmente, la tua,” aggiunse senza abbassare
lo sguardo –
occhiata fiera e principesca, pungente, che apparteneva
senz’altro a un uomo
abituato a sostenere il peso di ogni parola, osservazione, fatto.
Quella
considerazione improvvisa e rapida le scaldò il cuore. Aveva
già fatto delle
riflessioni simili nei confronti degli eroi dei suoi racconti e le
sembrò di
essere precipitata proprio in una di quelle storie, lei che non aveva
mai
vissuto niente di emozionante.
Erik,
intanto, stava recuperando le forze in
fretta; la sua andatura si era fatta più sicura, il suo
corpo agile e atletico
la seguiva senza alcuna esitazione. Sigyn raccolse il coraggio e fece
una
proposta che si sposava con la sua curiosità riguardo tutto
ciò che
rappresentava Midgard.
“Parlami
del tuo mondo,” gli propose. “Raccontami le tue
storie. Il passaggio tra le
nostre terre si aprirà solamente
all’alba.”
L’uomo
si fermò, squadrandola con attenzione. Alla ragazza
sembrò che le sue occhiate
fossero diventate improvvisamente più chiare e taglienti
rispetto a com’erano
solo qualche istante prima. “I grandi Æsir non
hanno storie che parlino di
Midgard? Dov’è finita la loro memoria?”
Sigyn
scosse il capo, interdetta dal cambiamento di tono repentino
dell’altro – era
sarcasmo, quello che aveva appena udito? – ma poi, rispose.
“Poche, pochissime.
Le abbiamo cancellate dai libri e dimenticate.”
Lui
annuì sovrappensiero e, senza indagare oltre,
accettò la richiesta e prese a
raccontare. Era bravo in questo e provava un sottile compiacimento nel
ripercorrere le magnifiche gesta del passato. Sigyn bevve ogni sua
parola,
incantandosi dietro quel mondo che non poteva visitare e vagheggiava
continuamente. A mano a mano che le ore trascorrevano, tuttavia, i miti
e le
fiabe lasciarono il posto ad altro: definirle confidenze sarebbe
esagerato, ma
i due ragionarono assieme di molte cose, scambiandosi opinioni su mille
e più
argomenti. A Sigyn parve che Erik fosse, talvolta, troppo schietto e
pragmatico, ma gli riconobbe una saggezza e un’arguzia non
indifferenti. Era
piacevole conversare con lui. La ascoltava con una sorta di ammirata
considerazione,
senza liquidare le sue opinioni come le fantasticherie di una ragazzina
solo
perché non aveva visto la guerra che aveva fatto tremare il
trono di Odino.
Desiderò che quella giornata non finisse mai e le ore
scorressero più
lentamente, ma non era una maga né poteva manipolare il
tempo e il sole calò ugualmente
su di loro, nonostante il calore che già invadeva il suo
petto e lei arrossisse
di fronte al sorriso e agli sguardi di quel marinaio audace e spavaldo.
Così,
trascorsero quella breve manciata d’ore insieme, consci che
era l’unica e ultima
concessa loro. Appartenevano a due realtà che non si
sarebbero mai toccate né
sfiorate. Molto tempo prima, certo, i figli e le figlie di Asgard
avevano
camminato sovente tra i midgardiani, ma dopo che
l’ingannatore aveva minato
l’equilibrio retto dall’Yggdrasill, le cose erano
cambiate. Nessun Ase aveva
più avuto voglia di vagare per terre ignote o di parlare con
gli abitanti di
Midgard, tranne pochissimi. Ma questa, è un’altra
storia, una che la giovane
Sigyn, ansiosa di vivere, non conosceva se non vagamente, per sommi
capi e che
Erik non le raccontò. Apparteneva a quell’insieme
di nozioni e informazioni
soffocate, bruciate, distrutte, smarrite, che ai bardi era stato
proibito
cantare e i vecchi fingevano di non conoscere.
“Sei
bella con i capelli così raccolti,” le
confessò il marinaio quando il suo tempo
presso la dimora di Odino era ormai giunto al termine. Nel dirlo,
sfiorò appena
una ciocca serica che le cadeva sulle spalle e, dopo di lei, la guancia
ugualmente
liscia. La sua chioma color dell’oro era illuminata dai raggi
del sole nascente
ed era stretta in una coda lunga e folta, che le scendeva dolcemente
sulla
schiena. Di fronte a quel gesto inatteso, Sigyn arrossì e
sorrise. Lo stava per
perdere. Di nuovo provò nostalgia, ma stavolta non verso
qualcosa di lontano
che non aveva mai posseduto, bensì per la giornata appena
trascorsa e per
l’uomo che le era accanto. Al pensiero del divieto che aveva
appena infranto fu
scossa da un fremito, ma non riuscì a negarsi il piacere,
trasformato in
impellente bisogno, di allungare le dita per toccare quelle di lui e
intrecciarle un momento, uno solo, proprio pochi istanti prima che il
sole
sorgesse su di loro. Il passaggio che collegava i due mondi era ormai
visibile;
oltre la roccia, dietro il volto di Erik, Sigyn poté
scorgere Midgard, identica
eppure diversa rispetto alla terra degli Æsir. Si separarono
così, senza una
parola – l’uomo le carezzò, con un
ultimo gesto, le ciocche bionde della sua
coda, quasi volesse saggiarne la morbidezza e trattenere, di lei, quel
dettaglio – un’acconciatura semplicissima, tipica
delle donne di Asgard, che le
lasciava scoperto il viso esaltandone i lineamenti delicati, ma che,
pure, non
sacrificava la bellezza della chioma ondulata e caotica, folta e
lucente.
Così
finì il breve tempo che avevano rubato alle loro vite. Con
un tocco appena
accennato, uno sfioramento che già sapeva di rimpianto. Una
lacrima scivolò
dalle ciglia scure di Sigyn. L’aveva perso.
Perché
il mondo al di là delle mura di Asgard, costruite da un
gigante ammansito con
l’inganno, interessava così tanto una figlia della
casa di Freya? I midgardiani
erano creature fragili e crudeli a un tempo, capaci di grandi slanci
d’amore e
di generosità, ma anche di bassezze e di
meschinità. Un popolo debole, cui era
stata conferita la maledizione di vivere una manciata insignificante di
anni
entro cui si concentrava un’esistenza breve, spesso vacua.
Eppure, era proprio
questo ad attrarre e a incuriosire la giovane Æsinna. Quanto
coraggio bruciava
nei petti di quei marinai sfrontati che, armati quasi solo
esclusivamente del
loro coraggio, s’imbarcavano su un drakkar con
l’intento di esplorare il mondo,
consapevoli dei rischi che avrebbero affrontato solcando, con le loro
navi
robuste e veloci, i mari del nord, infidi e dal clima variabile? Troppo
spesso
le flotte, come quella su cui viaggiava e avrebbe continuato a
viaggiare Erik,
venivano completamente distrutte dalle imprevedibili tempeste
annunciate dai
tuoni di cui Thor era il signore e da un cielo cupo color ferro, eppure
loro
non si arrendevano e attraversavano i mari ancora e di nuovo, mossi da
un’incrollabile fede nel futuro, nella
fortuna che aiuta gli audaci,
negli dèi benigni. Ma gli Æsir non erano un popolo
pietoso, tutt’altro. I loro
petti erano animati da una sete di conoscenza e di potere a volte
troppo simile
a quella umana: sapevano di essere superiori ai midgardiani e, nei
confronti
delle loro vicende, non nutrivano che un interesse breve e
circoscritto,
identico a quello che era possibile manifestare per un gatto selvatico
trovato
nel proprio giardino.
Sigyn
no, non riusciva a provare quel bieco disinteresse verso gli uomini.
Credeva di
essersi innamorata di Erik. L’aveva perso, ma ora desiderava
che fosse di nuovo
accanto a lei. Voleva sapere, conoscere e incontrare di nuovo
l’audace pirata
che si era spinto fino alle rive spumose del fiordo di Asgard e tornare
a
parlare con lui, discorrendo di tutto. Si era invaghita del suo
coraggio,
riteneva fosse in possesso di uno spirito indomito e fiero e inseguisse
una
conoscenza che gli era preclusa, così come era vietata a
lei. Sigyn non poteva
leggere tutti i libri conservati nella splendida biblioteca di Asgard,
né
ascoltare l’infinito numero di storie cantate dai bardi al
servizio di Padre
Tutto. Nonostante adorasse rimanere nella sala di Odino ore e ore a
farsi
raccontare ogni tipo di storie, alla fine non riuscì
più a farsi bastare le avventure
vissute dagli altri o le immagini di un mondo visto con occhi non suoi.
Né
Huginn né Munin, i corvi di Padre Tutto, avevano
attraversato con le loro ali
nere il cielo. Forse, il segreto della ragazza era e sarebbe rimasto al
sicuro.
La severità del signore degli Æsir, in fondo,
nasceva da nient’altro che un
eccesso di zelo. Asgard e Midgard erano mondi ormai separati, divisi
per sempre:
le commistioni, di qualunque genere e natura, non avevano portato che
infiniti
lutti e dolori. E Sigyn dalla lunga coda d’oro, presto,
avrebbe scoperto sulla
propria pelle il motivo di quella scelta.
♥
Tornò
ad Asgard, ma in molti si accorsero di quanto qualcosa, durante la sua
assenza,
l’avesse turbata, privando il suo viso delicato del consueto
sorriso che lo
illuminava. Sigyn era sempre stata riflessiva, pensierosa, ma il
tormento che
aveva preso a corrugarle la fronte apparve a molti come qualcosa di
terribilmente atipico. Smise di parlare con le sue sorelle mentre era
nel
palazzo di Fensalir, la dimora privata di Frigga, e divenne mesta,
ombrosa.
Tuttavia, le sue speranze circa il fatto che Padre Tutto non avrebbe
scoperto
il suo segreto vennero disattese; Odino s’infuriò.
Diede ordine che fossero
distrutti tutti i suoi libri che parlavano di Midgard, giunse a
vietarle
espressamente di avvicinarsi al confine oltre cui Erik era sparito,
anche se
lui certamente aveva smarrito ogni ricordo di lei, di loro. Prostrata e
sconvolta, Sigyn pianse a lungo la sua sorte.
Fu
solo dopo molte notti che si decise a violare nuovamente gli ordini di
Padre
Tutto. Pensò di non aver più nulla da perdere,
che Asgard non era il luogo per
lei ed Erik era lontano. Forse, avrebbe potuto ritrovarlo, in qualche
modo. Si
coprì il viso con un mantello e, col cuore che le batteva
forsennato nel petto
e gli occhi segnati dall’insonnia,
s’inoltrò verso la punta posta più a
nord di
tutta Asgard. Nemmeno lei era immune dall’incantesimo che
separava i mondi. Se
avesse attraversato il portale, non solo Padre Tutto sarebbe riuscito a
scoprirla con grande facilità, ma lei stessa avrebbe
smarrito la memoria di sé.
In tali condizioni, raggiungere la casa di Erik sarebbe stato
pressoché
impossibile. C’era una sola persona, in tutti i Nove Regni,
che avrebbe potuto
aiutarla: l’oscuro dio degli inganni, il maestro di magia
secondo solo al re.
Loki,
nonostante il divieto imposto a tutti da Odino, non aveva mai smesso di
camminare tra gli uomini. Non li amava e li giudicava ingrati,
perché dei molti
doni che aveva concesso loro, non ne veniva ricordato quasi nessuno, ma
avrebbe
potuto muovere la stessa accusa anche agli Æsir. Tutti
temevano la sua natura
perfida e cattiva, l’inclinazione ad allestire scherzi
crudeli, la spietatezza
con cui valutava chiunque gli capitasse sotto tiro. Il dio delle beffe
e delle
menzogne sapeva discernere il vero dal falso e si crogiolava in questa
sua
abilità, confondendo e irretendo le sue molte vittime.
Ciò che interessava alla
giovane e incauta Sigyn dal cuore spezzato, però, era altro:
si diceva che Loki
visitasse i Nove Regni inoltrandosi lungo sentieri noti a lui solo,
privi di
qualsiasi incantesimo o barriera, liberi dalla supervisione di Odino.
Per
rivelarli, però, avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Non era
un dio benevolo e
generoso, tutt’altro.
[1]
Gli Jotnar (plurale di Jotunn sono i giganti di ghiaccio.)
[2]
Abitanti di Midgard, la terra di mezzo, la Terra.
[3]
Skuld è la Norna che fila il futuro.
[4]
In questo senso il termine nostalgia è da intendersi come
“rimpiangere ciò che
è lontano.” (Treccani online). Con la medesima
accezione lo intende anche
Andersen nell’originale e volevo omaggiarlo anche
così.
[5]
Alcune di queste storie fanno effettivamente parte del corpus scaldico.