La Mystrade è una delle ship che prediligo. Ho inizato a scrivere questa ff nel 2017, tra mille ripensamenti me la solo portata dietro fino ad oggi. Ho sempre temuto che Mycroft risultasse ooc. Ora finalmente mi sono convinta a pubblicarla. Doveva essere inizialmente una oneshot, poi una long, adesso ho definitivamente deciso di scrivere una raccolta.
Tantissimi auguri AminaMartinelli <3 Questa ff è per te! Mi dispiace solo che la prima ff non sia delle più allegre, ma prometto sarà una raccolta piena di gioie.
Ti auguro tanta felicità e serenità.
Solitudine
Quello che Mycroft Holmes avesse piazzato numerose telecamere al 221B di Baker Street non era un segreto.
La sua ossessione per il controllo era cosa ben nota a chi lo conoscesse.
Ora che erano passati anni dall’ultima overdose di Sherlock e che la sua relazione con John era diventata di dominio pubblico, la cosa poteva risultare eccessiva, ciò nonostante, le telecamere non vennero mai disinstallate.
In qualche modo la cosa dava sicurezza al maggiore degli Holmes, eppure si rivelò un’arma a doppio taglio: da un lato era sì un valido strumento per essere sempre aggiornato su cosa combinassero suo fratello e il rispettivo fidanzato, ma spesso si trovava a vedere cose di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Non che Mycroft si imbarazzasse facilmente.
La cosa che lo sconcertava era, che ogni giorno di più, la sua profonda e incondizionata solitudine si facesse sentire.
Persino Sherlock, che sicuramente non aveva una personalità molto più socievole e affabile di lui, e per di più aveva sofferto da sempre di una profonda forma di insicurezza, era riuscito a trovare la sua felicità.
Ogni sorriso di John, ogni bacio, ogni carezza, qualsiasi cosa facessero lui e Sherlock, sottolineavano come Mycroft fosse solo. Ogni cosa, anche la più innocua delle chiacchierate tra quei due, gli arrivava come una pugnalata al cuore.
E non che fosse geloso, tutt’altro, era felice per John e Sherlock, anche se non lo avrebbe mai ammesso, e gli augurava ogni bene.
Loro due erano la sua famiglia.
Ogni tanto ripensava ai suoi genitori per i quali era stato in qualsiasi momento motivo di vanto, eppure si sentiva trattato da sempre non con amore, ma come un mero oggetto da ostentare. Probabilmente quando pensava all’idea di famiglia l’unica cosa che gli desse un minimo di senso d’affetto era proprio Sherlock e adesso, in piccola parte, anche John.
La verità era proprio questa, fredda e cruda verità, l’unico che viveva in una perenne condizione di tacita infelicità era Mycroft.
Spesso i bambini giocano a non ridere per primi guardandosi negli occhi e lui, col tempo, era diventato così bravo da diventare triste per sempre.
Anche in quello aveva eccelso.
Nella sua vita non aveva mai avuto nessun tipo di relazione amorosa. Un paio di segretarie che pendevano a dir poco dalle sue labbra e probabilmente avevano una cotta per lui, c’erano state, ma tutto ciò era stato classificato nella sua mente come “fedeltà e ammirazione”.
Non che la vita sessuale del maggiore degli Holmes fosse tanto migliore di quella sentimentale. Una decina di bei ragazzi erano passati dal suo letto, o nella maggior parte dei casi, sotto la sua scrivania, ed erano stati fatti prontamente scomparire in qualche remota zona della Siberia con la stessa velocità con cui erano arrivati. Lui stesso preferiva non ripensare allo squallore di questa situazione, che non lo faceva vergognare, ma lo faceva soffrire.
Proprio lui, l’uomo di ghiaccio, faceva pena a se stesso.
E poi c’era Greg Lestrede.
I sorrisi dell’ispettore gli illuminavano le giornate come raggi di sole che al mattino penetravano dalle fessure delle persiane dell’austera villa in cui viveva.
Un qualcosa di misterioso attraeva Mycroft verso quel uomo che a malapena gli rivolgeva la parola. Forse erano i modi schietti e virili, ma molto educati, dell’ispettore, che lo intrigavano in un interessante connubio.
Ogni volta, dopo un saluto, gli chiedeva come stesse, e sembrava l’unico essere vivente al mondo realmente interessato alla risposta. Quella semplice domanda gli pareva come la più dolce delle dichiarazioni d’amore.
L’unico a cui importava di lui al di fuori della sua famiglia.
Mycroft era quasi giunto alla conclusione che la felicità fosse una sigaretta fumata in sua compagnia, vicini, sotto l’ombrello, durante una giornata di pioggia passata in qualche scena del crimine. Credeva che quella sigaretta fosse un po’ come i sentimenti che iniziava a provare, bruciava lenta e inesorabile e perseverare l’avrebbe portato sicuramente a sofferenze se non fino alla morte, ma in realtà era solo un modo per giustificare a sé stesso la mancanza di coraggio di fare il primo passo.
Senza nemmeno rendersene conto iniziò a intromettersi sempre più spesso nel lavoro del fratello, solo ed esclusivamente per avere l’occasione di incrociare lo sguardo dell’ispettore, e magari, nelle giornate più fortunate, scambiare anche qualche breve battuta.
Quasi si sentiva riconoscente verso Sherlock e quel suo insolito lavoro di consulente investigativo. La maggior parte delle volte non glie ne importava proprio nulla delle indagini. Fosse stato più giovane probabilmente avrebbe goduto nel dimostrare al suo fratellino quanto fosse più veloce a risolvere anche il più complesso degli enigmi, ma ormai aveva perso interesse anche in quello.
Addirittura Mycroft si riscoprì, con suo immenso stupore, azzardato. Senza una scusa plausibile una sera si presentò nell’ufficio di Lestrade. Non aveva elaborato nessun piano di copertura, non aveva nemmeno pensato a una giustificazione. Si ritrovò a Scotland Yard con il cervello totalmente bloccato.
Era come se il suo corpo l’avesse portato lì contro la sua volontà.
Per un istante sperò che, vista l’ora tarda, non ci fosse nessuno, poi la voce dell’ispettore fendette l’aria con un, più caloroso del previsto, saluto.
Adesso erano soli, lui e l’ispettore.
Mycroft si sentì in imbarazzo come quando da bambino veniva sorpreso a rubare i dolci dalla cucina. Era come se lo sguardo sicuro di Lestrade l’avesse smascherato, arrivando a mostrare anche la sua più profonda e celata debolezza.
L’ispettore non sembrò stupito di vederlo lì. La conversazione fu breve e cordiale, ma l’unica cosa che restò impressa nella mente Mycroft una volta tornato a casa erano due profondi occhi castani e un inconsueto augurio di “buona notte” quasi sussurrato.
Gli ci vollero ore quella notte per addormentarsi, e nonostante gli sforzi del maggiore degli Holmes per ignorarlo, qualcosa quella sera era cambiato in lui per sempre.
Tantissimi auguri AminaMartinelli <3 Questa ff è per te! Mi dispiace solo che la prima ff non sia delle più allegre, ma prometto sarà una raccolta piena di gioie.
Ti auguro tanta felicità e serenità.
Solitudine
Quello che Mycroft Holmes avesse piazzato numerose telecamere al 221B di Baker Street non era un segreto.
La sua ossessione per il controllo era cosa ben nota a chi lo conoscesse.
Ora che erano passati anni dall’ultima overdose di Sherlock e che la sua relazione con John era diventata di dominio pubblico, la cosa poteva risultare eccessiva, ciò nonostante, le telecamere non vennero mai disinstallate.
In qualche modo la cosa dava sicurezza al maggiore degli Holmes, eppure si rivelò un’arma a doppio taglio: da un lato era sì un valido strumento per essere sempre aggiornato su cosa combinassero suo fratello e il rispettivo fidanzato, ma spesso si trovava a vedere cose di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Non che Mycroft si imbarazzasse facilmente.
La cosa che lo sconcertava era, che ogni giorno di più, la sua profonda e incondizionata solitudine si facesse sentire.
Persino Sherlock, che sicuramente non aveva una personalità molto più socievole e affabile di lui, e per di più aveva sofferto da sempre di una profonda forma di insicurezza, era riuscito a trovare la sua felicità.
Ogni sorriso di John, ogni bacio, ogni carezza, qualsiasi cosa facessero lui e Sherlock, sottolineavano come Mycroft fosse solo. Ogni cosa, anche la più innocua delle chiacchierate tra quei due, gli arrivava come una pugnalata al cuore.
E non che fosse geloso, tutt’altro, era felice per John e Sherlock, anche se non lo avrebbe mai ammesso, e gli augurava ogni bene.
Loro due erano la sua famiglia.
Ogni tanto ripensava ai suoi genitori per i quali era stato in qualsiasi momento motivo di vanto, eppure si sentiva trattato da sempre non con amore, ma come un mero oggetto da ostentare. Probabilmente quando pensava all’idea di famiglia l’unica cosa che gli desse un minimo di senso d’affetto era proprio Sherlock e adesso, in piccola parte, anche John.
La verità era proprio questa, fredda e cruda verità, l’unico che viveva in una perenne condizione di tacita infelicità era Mycroft.
Spesso i bambini giocano a non ridere per primi guardandosi negli occhi e lui, col tempo, era diventato così bravo da diventare triste per sempre.
Anche in quello aveva eccelso.
Nella sua vita non aveva mai avuto nessun tipo di relazione amorosa. Un paio di segretarie che pendevano a dir poco dalle sue labbra e probabilmente avevano una cotta per lui, c’erano state, ma tutto ciò era stato classificato nella sua mente come “fedeltà e ammirazione”.
Non che la vita sessuale del maggiore degli Holmes fosse tanto migliore di quella sentimentale. Una decina di bei ragazzi erano passati dal suo letto, o nella maggior parte dei casi, sotto la sua scrivania, ed erano stati fatti prontamente scomparire in qualche remota zona della Siberia con la stessa velocità con cui erano arrivati. Lui stesso preferiva non ripensare allo squallore di questa situazione, che non lo faceva vergognare, ma lo faceva soffrire.
Proprio lui, l’uomo di ghiaccio, faceva pena a se stesso.
E poi c’era Greg Lestrede.
I sorrisi dell’ispettore gli illuminavano le giornate come raggi di sole che al mattino penetravano dalle fessure delle persiane dell’austera villa in cui viveva.
Un qualcosa di misterioso attraeva Mycroft verso quel uomo che a malapena gli rivolgeva la parola. Forse erano i modi schietti e virili, ma molto educati, dell’ispettore, che lo intrigavano in un interessante connubio.
Ogni volta, dopo un saluto, gli chiedeva come stesse, e sembrava l’unico essere vivente al mondo realmente interessato alla risposta. Quella semplice domanda gli pareva come la più dolce delle dichiarazioni d’amore.
L’unico a cui importava di lui al di fuori della sua famiglia.
Mycroft era quasi giunto alla conclusione che la felicità fosse una sigaretta fumata in sua compagnia, vicini, sotto l’ombrello, durante una giornata di pioggia passata in qualche scena del crimine. Credeva che quella sigaretta fosse un po’ come i sentimenti che iniziava a provare, bruciava lenta e inesorabile e perseverare l’avrebbe portato sicuramente a sofferenze se non fino alla morte, ma in realtà era solo un modo per giustificare a sé stesso la mancanza di coraggio di fare il primo passo.
Senza nemmeno rendersene conto iniziò a intromettersi sempre più spesso nel lavoro del fratello, solo ed esclusivamente per avere l’occasione di incrociare lo sguardo dell’ispettore, e magari, nelle giornate più fortunate, scambiare anche qualche breve battuta.
Quasi si sentiva riconoscente verso Sherlock e quel suo insolito lavoro di consulente investigativo. La maggior parte delle volte non glie ne importava proprio nulla delle indagini. Fosse stato più giovane probabilmente avrebbe goduto nel dimostrare al suo fratellino quanto fosse più veloce a risolvere anche il più complesso degli enigmi, ma ormai aveva perso interesse anche in quello.
Addirittura Mycroft si riscoprì, con suo immenso stupore, azzardato. Senza una scusa plausibile una sera si presentò nell’ufficio di Lestrade. Non aveva elaborato nessun piano di copertura, non aveva nemmeno pensato a una giustificazione. Si ritrovò a Scotland Yard con il cervello totalmente bloccato.
Era come se il suo corpo l’avesse portato lì contro la sua volontà.
Per un istante sperò che, vista l’ora tarda, non ci fosse nessuno, poi la voce dell’ispettore fendette l’aria con un, più caloroso del previsto, saluto.
Adesso erano soli, lui e l’ispettore.
Mycroft si sentì in imbarazzo come quando da bambino veniva sorpreso a rubare i dolci dalla cucina. Era come se lo sguardo sicuro di Lestrade l’avesse smascherato, arrivando a mostrare anche la sua più profonda e celata debolezza.
L’ispettore non sembrò stupito di vederlo lì. La conversazione fu breve e cordiale, ma l’unica cosa che restò impressa nella mente Mycroft una volta tornato a casa erano due profondi occhi castani e un inconsueto augurio di “buona notte” quasi sussurrato.
Gli ci vollero ore quella notte per addormentarsi, e nonostante gli sforzi del maggiore degli Holmes per ignorarlo, qualcosa quella sera era cambiato in lui per sempre.