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Autore: Mirae    01/08/2019    1 recensioni
«È vero... è tutto vero», erano state le sue parole prima di andarsene e lasciarlo in quel luogo da solo, ma solo quando si era specchiato e si era visto nel frammento del vetro aveva compreso: era tornato il mostro di sempre.
Non l’aveva trovata nell’attico e quando era giunto in centrale, lei non c’era e lui aveva perso tempo a cercare di recuperare le piume insanguinate che la signorina Lopez aveva raccolto sul luogo della sparatoria, dove lui aveva ucciso Caino e provocato la morte dei suoi complici. E poi... poi aveva perso altro tempo prezioso andando a piagnucolare da Linda, sperando in qualche suo utile consiglio: dopotutto, non era solo la sua terapista, ma era anche amica di Chloe.
Era stata tutta colpa della sua indecisione se lei era fuggita a Roma, dove aveva incontrato quel ciarlatano di padre Kinley. Era stata tutta colpa sua se Charlie era stato rapito da un’orda di demoni disobbedienti e ora Amenadiel e Linda l’avrebbero odiato per l’eternità. Sì, era tutta colpa sua e per questo meritava di sedere su quel trono.
-EPILOGO ALTERNATIVO-
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Invidia (parte 1)

 

Si guardò ancora una volta allo specchio, non molto convinta: indossava un semplice abitino di pizzo bianco che le arrivava al ginocchio, accompagnato da una borsa dello stesso colore con i particolari in contrasto che si abbinavano ai sandali dorati. Aveva scelto quelli con la suola piatta, primo perché, da modaiola qual era, sapeva benissimo che di giorno i tacchi non erano il massimo del galateo, secondo perché aveva in programma un pic-nic al Griffith Park e terzo perché proprio la sera prima aveva litigato col fidanzato per il fatto che quest’ultimo considerava il suo abbigliamento “volgare”. Volgare, lei! D’accordo, a volte esagerava con i tubini corti e i tacchi a spillo – ma diavolo! – abitavano a Los Angeles, mica in qualche eremo in Tibet. Fece ancora una piroetta, arricciando il naso: sentiva che mancava qualcosa. Provò con una collana a più giri, ma sul girocollo dell’abito stonava: si guardò intorno, finché l’occhio non cadde su una sciarpa di voile dorato abbandonata sul letto. A questa, aggiunse gli amati Rayban marroni e il risultato questa volta la soddisfece. Guardò l’orologio e storse il naso: se voleva arrivare in tempo per la pausa pranzo del suo fidanzato, avrebbe dovuto pigiare sull’acceleratore, considerato che doveva ancora fermarsi al suo ristorante take away preferito.

Come previsto, arrivò all’Osservatorio Griffith in ritardo. Poco male, anziché mangiare seduti sulle sterpaglie, avrebbero mangiato seduti alla scrivania, circondati dalle immagini delle galassie: molto più comodo e romantico rispetto agli insetti che si arrampicavano sulle gambe e sul cibo.

Quello che non si aspettava, però, di vedere era una ragazza con una gonna così corta che... (com’è che lui una volta aveva definito il suo tubino rosso? Ah, sì, “sfiora patonza”: e poi era lei quella volgare!), avvolta attorno al suo fidanzato come un boa constrictor attorno alla propria vittima, solo che lui sembrava tutt’altro che recalcitrante.

Restò immobile per alcuni secondi come in trance, senza che i due si accorgessero della sua presenza: fu il tonfo del cestino caduto a terra che la riportò alla realtà. Lo stesso rumore fece girare anche i due fedifraghi: «Mary...».

Lei non gli lasciò il tempo di aggiungere altro o di liberarsi dall’abbraccio: si voltò e scappò via. Le lacrime le impedivano di vedere bene la strada, ma non le importava, come non le importava che il mascara e l’eye-liner le colassero macchiandole il viso. Correva giù per il bosco, lasciando che i rami le graffiassero le braccia, quasi che quel dolore fosse una punizione per essere arrivata quasi al punto di annullarsi per poter piacere a una persona. Una persona che lei credeva degna della sua stima, ma che ora comprendeva non valesse una mezz’unghia.

Inciampò, ma non voleva fermarsi, non voleva che Mark la raggiungesse e cercasse di spiegarle: non voleva sentire le sue patetiche scuse, quello che aveva visto con i propri occhi le bastava e avanzava. Cercò di rialzarsi, ma commise l’errore di guardare che cosa aveva interrotto la sua fuga: ricadde seduta all’indietro e cercò di allontanarsi gattonando. Non era la corsa all’impazzata ad averla lasciata senza fiato, ma l’orrore di quel corpo riverso. Aveva perso la borsa: era caduta nell’ufficio o l’aveva persa durante la fuga? Non aveva la forza di alzarsi, quindi avrebbe dovuto aspettare per forza di essere raggiunta da Mark.

Cominciò a urlare.

 

§ § § § § § § § § §

 

La cerimonia di promozione era stata commovente e lei l’aveva dedicata a suo padre: quanto le mancava! Quanto sarebbe stato orgoglioso di vedere la sua scimmietta diventare tenente. Ma se lui non fosse morto, sarebbe diventata una poliziotta, o avrebbe continuato a recitare? Quel mondo non le mancava di certo, visto che non era mai stata molto festaiola, a differenza di sua madre, però era umana e a volte il pensiero di come sarebbe potuta essere la sua vita se quella maledetta notte le cose sarebbero andate in modo diverso le attraversava la mente: avrebbe mai incrociato il cammino di Dan, prima, e di Lucifer, dopo? Guardò in direzione dei due uomini: seduti nella stessa fila, ma separati da Penelope. Proprio poche sere prima aveva litigato con Lucifer a quel riguardo: lei gli aveva esternato quel pensiero, ma lui l’aveva rassicurata dicendo che si sarebbero incontrati lo stesso, essendo lei stata creata apposta per lui.

 

«Sei pessimista, letenati!» Le aveva detto, dopo che lei aveva riflettuto per l’ennesima volta sul “chissà se...”. «Probabile che ci saremmo incontrati a una festa».

«Non sono molto festaiola, non lo sono mai stata», aveva obiettato.

«Ma se fossi rimasta attirce, a qualche festa avresti pure dovuto partecipare e poi sei stata creata apposta per me», si era lasciato scappare, andando a versarsi dell’altro whiskey.

«Che cosa intendi dire?»

«Uhm? Che cosa?» Si era girato verso di lei, deglutendo un lungo sorso.

«Che io sarei stata creata apposta per te».

«Te l’ha detto Amenadiel?» Aveva avuto il coraggio di chiederle, andando a sedersi su una poltrona.

«Ma se l’hai appena detto tu! E che cosa c’entra Amenadiel? Perché lui lo sa e io no? Oh, giusto, lui è tuo fratello, mentre io sono solo... Che cosa sono io per te, eh? Una cosa creata solo per svuotarti i lombi?» Si era accalorata. Aveva preso la borsa e si era diretta verso l’ascensore. Caso strano, Lucifer non l’aveva fermata, ma aveva continuato a sorseggiare la sua bevanda preferita senza staccarle gli occhi di dosso. Solo quando le porte dell’ascensore si erano aperte, lui le aveva posto un’unica domanda: «Non stai dimenticando qualcuno?»

Si era girata a bocca aperta, tenendo con una mano la borsa e con l’altra le chiavi della macchina: Trixie!

Non aveva ancora traslocato in modo definitivo perché voleva che le due bambine si abituassero un po’ per volta alla nuova vita e aveva acconsentito a fermarsi a dormire anche lei nell’attico, sperando che entrambe le bambine avessero il sogno pesante e non era certo quel litigio che si aspettava come gran finale di una serata fino ad allora perfetta.

«Non vorrai che domattina si svegli in un letto non suo, senza sua madre. O peggio, non vorrai svegliarla», alzò le sopracciglia, sorridendole e alzando il bicchiere come un brindisi a se stesso.

«Mi stai ricattando, forse? Non sei diverso da Dan!», si avvicinò a lui a grandi passi.

«No, non puoi mettermi sullo stesso piano del detective Stronzo!» Si scandalizzò il diavolo.

«A no? L’ho appena fatto», constatò lei, quasi buttando borsa e chiavi sul prezioso pianoforte, facendo trasalire Lucifer.

«D’accordo, ti devo delle spiegazioni», le concesse.

Gli si parò davanti con le braccia incrociate: «E che siano credibili».

«Io non mento mai, letenati» – Chloe alzò gli occhi al cielo: odiava quel soprannome – «Sta a te scegliere se credere o no».

«Come se avessi una scelta», borbottò, accettando l’invito di sedersi.

Lucifer notò che si era seduta sul bracciolo, pronta a scattare nel caso la spiegazione non fosse stata di suo gusto.

«Abbiamo sempre una scelta, letenati. Anche noi creature angeliche».

«Allora perché hai detto che ci saremmo incontrati lo stesso perché io sono stata destinata a te?»

Lucifer appoggiò il bicchiere sul tavolo, poi tornò seduto composto, emettendo un profondo sospiro. Si portò le mani giunte davanti alla bocca, come per raccogliere i pensieri: «Da dove comincio? Ah, sì, dall’inizio. Pare che una volta, quasi quarant’anni fa, un poliziotto e un’attrice non riuscissero ad avere figli e quindi chiesero una grazia a mio Padre, il quale mandò niente popodimeno che il primo dei suoi figli a benendire l’attrice. Il primo dei suoi figli è Amenadiel, tanto per rendere onore allo smisurato ego del mio caro fratello», precisò, cercando di smorzare l’atmosfera con una delle sue battute.

«Mi stai dicendo che Amenadiel e mia madre hanno fatto sesso? Io sarei quindi figlia di un angelo e tua nipote?» Si scandalizzò Chloe, facendo scoppiare Lucifer iun una sonora risata: «Cosa?» Esalò. «No, certo che no! Quando è andato a letto con Maze, era ancora vergine! E poi sarebbe disgustoso fare sesso con mio Padre. Posso capire essere ancora arrabbiato con me per la mia Ribellione, ma arrivare a tanto vorrebbe dire avere un macabro senso dell’umorismo, e lui non ha nemmeno una briciola di umorismo, te lo posso assicurare», cercò di tranquillizzarla.

«D’accordo. Quindi io e te non siamo parenti? Nemmeno tipo fratellastri?» Gli chiese ancora.

A Lucifer parve che finalmente la discussione stava prendendo una piega meno burrascosa. «Se ti riferisci a qualche strana inseminazione come quella di Nazareth, no. Assolutamente no. Almeno credo», ammise.

«Come, almeno credi?» Chloe strabuzzò gli occhi.

«Beh, sai com’è: non ero presente. A ogni modo, ritengo che Amenadiel si sia limitato a sfiorare una mano di tua madre per renderla fertile. A volte nostro Padre ci concede quel potere. Tranne a me, ovvio».

«Non mi sembra che cacciandoti dal Paradiso, ti abbia privato del tuo potere di ipnosi», lo contraddisse. «Non divagare, però. Da quanto tempo lo sapevi? Perché me lo dici solo ora?»

«L’ho scoperto durante le indagini sul dottor Carlisle. Me lo disse mia madre. Non sapevo se me lo aveva detto per allontanarmi da te o per velocizzare i miei sentimenti verso di te. Per questo motivo, una volta che tu eri fuori pericolo mi sono allontanato da te. A Las Vegas ho poi incontrato Candy e abbiamo fatto un patto: lei mi avrebbe aiutato a scoprire che cosa si celava nel cervellino di mia madre e io l’avrei aiutata con il suo locale. Per farlo, però, abbiamo dovuto sposarci. Fine della storia».

«Fine della storia?» Tuonò di rimando Chloe. «Quando pensavi di dirmelo? Sul letto di morte, forse?»

«Andiamo, letenati: se allora ti avessi raccontato questa storia, come avresti reagito? Non mi hai mai creduto quando dicevo di essere il diavolo!»

«È per questo che ti rendo vulnerabile?»

Gli occhi rossi di Chloe, gonfi di lacrime non versate, strinsero il cuore a Lucifer: «Non lo so. Potrebbe essere, come potrebbe anche esserci un’altra spiegazione, oltre all’amore», sussurrò.

«Tipo?»

«Ricordi la sera in cui ti pregai di spararmi e che in quel modo scoprii di essere vulmerabile?» A un cenno affermativo della donna, continuò: «Poco prima in auto ti chiesi se tu avevi paura di me e tu lo negasti. Forse quella rivelazione mi fece abbassare le difese, ma la verità è che non lo so».

Chloe arricciò leggermente le labbra, muovendo il capo su e giù: «Spiegazione accettata, ma la cosa non finisce qui», lo avvertì. C’erano ancora tante ombre in quel racconto, ma del resto, riflettè, l’ombra indica una qualche fonte di luce. La luce era Lucifer? Era davvero stata creata per redimerlo? Il libero arbitrio, dunque, per lei non esisteva? O era proprio quella l’essenza del libero arbitrio? Guardò la faccia da schiaffi del suo compagno (adesso lo poteva definire tale a tutti gli effetti) e decise che sì, il libero arbitrio esisteva e lei aveva appena scelto di restare con lui, ma non voleva dargliela vinta fino in fondo, così, quando lui si alzò tenendole la mano, lei gli impose di dormire sul divano.

«Non puoi chiedermi questo, in casa mia!» La guardò meravigliato.

«E cosa pensi dirà Trixie quando si sveglierà domattina e vedrà sua madre sul divano?» Scherzò lei, piegando la testa di lato.

Lucifer la trovò bellissima, ma, tuttavia, in volto gli comparve un sorrisetto di derisione: «Mi stai ricattando, letenati? Da una brava poliziotta come te, non me lo sarei mai aspettato».

Chloe si morse le labbra e, sorridendo, si sporse per dargli una pacca sul sedere, lasciandolo ancora più stupito. Scappò veloce verso la camera da letto, seguita da Lucifer: «Piccola birichina, ti sei appena messa in trapp...». Un cuscino lo colpì in pieno torace. «Questa ti costerà cara», la minacciò, facendo il giro del letto.

Per sfuggirgli, Chloe si arrampicò sul letto, ma Lucifer fu veloce ad afferrarle una caviglia: «Adesso non mi scappi, piccola impertinente», la costrinse a girarsi verso di lui.

Lucifer le si coricò sopra, spostando il proprio peso sulle mani appoggiate al materasso per non soffocarla, ma lei gli piantò le proprie mani sul petto: «No, Lucifer, non funziona così», ebbe a malapena la forza di dire, «ho accettato la tua spiegazione, ma sono ancora arrabbiata, e non abbiamo fatto pace».

«Conosco molti modi per fare la pace», la tentò, cercando di baciarla.

«Me ne basta uno solo. È una parola»,lo bloccò.

Lucifer sospirò: «Davvero, letenati? Vuoi davvero che ti chieda scusa per un qualcosa che non ho commesso io? Anzi, di cui io sono vittima al pari di te?» Si era messo a sedere, dandole la schiena.

Anche Chloe si sedette, appoggiando la propria testa sulla spalla dell’uomo: «Quanto tempo hai impiegato per metabolizzare la scoperta? Per me è lo stesso», cercò di spiegargli.

«Vuoi dire che nel frattempo non vuoi avere niente a che fare con me?» Si girò a guardarla, prendole il viso con due dita.

Chloe piegò la testa sulla mano di Lucifer, per godere appieno di quel contatto: «NO, le due settimane in cui sei stato all’Inferno mi sono più che bastate. È solo che... Non lo so neanch’io. Ti amo, questo lo so...»

«È tutto quello che conta: tu mi ami, io ti amo. Mio Padre, Amenadiel e tutto il resto non contano. Esistiamo solo noi. E la prole», aggiunse, strappondole un sorriso. «Ascolta», continuò, «se non sei ancora pronta a fare sesso con me, lo capisco, ma non esiliarmi lontano da te, ti prego».

«Non voglio esiliarti», gli soffiò, le labbra pericolosamente vicine.

Il mattino dopo si svegliarono abbracciati con la consapevolezza di Chloe di cosa volesse veramente dire “la notte più bella della mia vita”.

 

Il grande giorno eccolo lì: seduto su una sedia, con Penelope da un lato e Alma Lucinda dall’altra che la guardava col solito sorrisetto sardonico e un lampo di orgoglio negli occhi nocciola. Fece poi l’errore di spostare lo sguardo a sinistra di Penelope che non cessava un attimo di asciugarsi le lacrime di commozione: anche Dan la stava fissando, serio, ma con lo sguardo neutro. E dire che quando voleva diventare detective, l’aveva appoggiata: che cosa gli era successo in quegli anni? Possibile che la morte di Charlotte l’avesse cambiato così tanto? Sperava che l’amore di Ella potesse cicatrizzare quelle ferite, malamente coperte da un cerotto senza ormai più colla. Accanto a lui, Trixie la salutava con energia. Sia lei che Alma Lucinda tenevano un enorme mazzo di fiori.

Non c’era stato verso di convincere Lucifer a smettere di chiamarla con quell’orribile soprannome: o meglio, lui aveva preteso un patto, ma lei si era rifiutata di adempiere alla sua parte. Il nomignolo le sarebbe rimasto, ma Lucifer avrebbe fatto coppia con Dan. Su questo, era stata irremovibile.

 

§ § § § § § § § § §

 

Il giorno prima era stata una festa, ma adesso cominciava il lavoro duro: la sua ansia era a mille, nonostante Lucifer avesse dato sfoggio al suo miglior repertorio per distrarla. A proprosito, dove si era cacciato? Erano già le sette e mezzo e dovevano ancora passare dalla scuola elementare.

«Lucifer!» Gridò accanto all’ascensore. «Siamo in ritardo».

«Calmati, letenati. Sei il nuovo tenente. A te è concesso qualche minuto di ritardo», la raggiunse, sfoggiando il sorriso, seguito dalle bambine: Trixie che spiegava qualcosa ad Alma, e lei che ascoltava attenta.

«Non ne sarei così sicura e comunque, le bambine non possono arrivare in ritardo a scuola, tanto più che oggi è il primo giorno per Alma».

«Giusto», convenne Lucifer. Poi, rivolgendosi alla nipote: «Se non ti piace, basta che mi chiami e verrò a prenderti».

«No», si oppose Chloe, «non funziona così. Alma», la chiamò con voce dolce, facendo alzare gli occhi al cielo a Lucifer, «se ci sono dei problemi è giusto che ce ne parli, ma scappare non è mai la soluzione».

«La mia mamma non è mai scappata», si rabbuiò la bambina.

«Grazie tante, Chloe», si impermalì Lucifer: giorni di progresso buttati con una parola.

«È proprio questo il punto Alma: chiedere aiuto non è uguale a scappare», provò a spiegarsi.

«Non provare a dare la colpa della propria morte a mia sorella», ringhiò Lucifer.

«Vuoi davvero litigare davanti a loro?»

«Esperienza di vita vera», si difese Lucifer. «Litigare non vuol dire picchiarsi», le fece il verso.

«Sei esasperante», sbuffò.

«Alma, quello che volevo dire – e che non sono stata capace di spiegare», guardò Lucifer, «è che la situazione di tua madre purtroppo era diversa: forse ha chiesto aiuto e ha anche provato a scappare, ma per sfortuna, sul suo cammino ha incontrato solo gente che non ha saputo ascoltarla e aiutarla. Ma non è questo il tuo caso: devi sempre parlarci dei tuoi problemi, ma non devi mai fare affidamento su altre persone perché ti risolvano i problemi. Capisci?»

Mosse la testa come ad aspettarsi un cenno affermativo, che non venne: «No».

Lucifer mosse le braccia come a dire: appunto.

Chloe sbuffò di nuovo, mentre Trixie rideva in silenzio: quel teatrino le piaceva, non era come i litigi tra i suoi genitori, anche quando sua madre e Lucifer sembravano arrabbiati, bastava un sorriso o un’alzata di sopracciglia perchè facessero la pace.

«D’accordo. facciamo così: se ci sono dei problemi, tu ce ne parli, e poi noi decdiamo se farti cambiare scuola, va bene?»

La bambina questa volta acconsentì.

«E io che avevo detto?» Mugugnò Lucifer.

«Tu eri passato direttamente alla fase due».

«Ottimizzazione dei tempi, letenati».

Chloe alzò di nuovo gli occhi al cielo.

In Centrale, il lavoro ferveva già.

«Vuoi che li chiami, così che puoi fare il discorso?» Si offrì Lucifer, gongolante.

«No», lo bloccò subito. «Non saprei cosa dire che non ho detto ieri.

«Beh, per esempio, che sei fiera di lavorare con loro», le suggerì Lucifer. «Andiamo, letenati, sono i tuoi colleghi, ti hanno visto crescere qui dentro. Davvero non vuoi dire loro una parola?»

«Appunto, mi conoscono, sanno che non ne hanno bisogno».

«A volte una parola di incoraggiamento basta per illuminare la giornata».

«Mi stavo chiedendo quando avresti proiettato il tuo rapporto con tuo Padre in questa situazione», convenne Chloe.

«Io non sto proiettanto un bel nulla», si offese Lucifer.

«D’accordo», gli concesse CHloe, «solo due parole».

«E due parole siano, letenati», le sorrise. Chloe si perse in quel sorriso: a volte bastava davvero poco per accontentare il suo compagno, il quale, si stava rivolgendo ai poliziotti: «Ehi, ragazzi, fermatevi un momento. Il vostro nuovo tenente», quasi sputò il termine, «vuole dirvi due parole».

«Grazie Lucifer. Ehm... Conoscete tutti Lucifer e sapete com’è intemperante a volte. Cioè, sempre». I poliziotti risero, mentre Lucifer la guardò storto. «Cioè, non è che non volessi parlarvi, solo che... Oh, lasciamo stare. Volevo solo dirvi che sono molto orgogliosa di continuare a lavorare con voi. Molti mi hanno vista crescere e maturare qua detro e spero che la stima continui a essere reciproca», concluse.

Scese le scale con non poco imbarazzo, mentre i suoi nuovi subalterni l’applaudivano e Lucifer pareva calato nella parte di guardia del corpo.

«Daniel», si girò a chiamare l’ex marito, rischiando di urtare col naso il braccio teso di Lucifer, «puoi venire nel mio ufficio? Anche tu Lucifer. E abbassa quel cavolo di braccio: siamo in una stazione di polizia, non sul Red Carpet!» Lo rimproverò, facendo scoppiare a ridere un’altra volta i poliziotti.

«Come vi ho già informato, da oggi voi due farete coppia fissa. Mi pare dunque superfluo avvisarvi che non sarà tollerata nessuna schermaglia, a cominciare da “detective Stronzo”, chiaro?» Soffermò lo sguardo su Lucifer.

«E come dovrei chiamarlo, allora?» Brontolò questi.

«Daniel. O detective Espinoza», intervenne l’uomo in questione.

«Ma ti chiamano tutti così!» Si oppose ancora.

«Forse perché è il mio nome?» Gli chiese in modo sarcastico.

«Lucifer, non mi interessa se hai problemi a usare i nomi propri: superali», gli impose Chloe.

«Ma...», tentò.

«Nessun ma! E adesso fuori. Ah, Dan? Nessuna provocazione». L’uomo assentì con la testa.

Lucifer aveva già la mano sulla maniglia, quando Chloe li richiamò: «Ancora una cosa: c’è qualche caso in sospeso o è arrivata una nuova chiamata?»

«Poco fa è stato ritrovato un cadavere al Griffith Park: Ella è già sul posto», la ragguagliò Dan.

«Quali detective se ne stanno occupando?» Si informò.

«Ancora nessuno: aspettavamo te per la suddivisione dei casi».

«D’accordo. Occupatevene voi due. Ah, e riccordatevi la mia raccomandazione».

«Agli ordini capo», la salutò Dan. Era una punta di irritazione quella che le era parso di avvertire nella sua voce?

«Non preoccuparti, letenati, terrò tutto sotto controllo», si congedò invece Lucifer, facendo alzare gli al cielo a Chloe.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Per fortuna non piove da parecchi giorni», si stava lamentando Lucifer, mentre scendevano lungo il costale, in mezzo agli arbusti.

Dan si girò di scatto: «Sai che c’è, amico?» Calcò su quest’ultima parola. «Non serve che sottolinei ogni momento quanto tu sia ricco e noi poveri».

«Io non stavo sottolineando proprio un bel niente», si impermalì l’altro.

«Ah, no? Non stavi per dire “oh, le mie scarpe italiane, tutte rigate”?» Lo derise.

«In effetti sì», gli concesse.

«Appunto».

«È per questo che non mi sopporti? Perché io sono ricco?» Gli chiese. «Non ti sto provocando», ci tenne a precisare, sorpassandolo e bloccandogli il passo, «sono davvero curioso: a un certo punto, sembrava che avessi quasi accettato la mia amicizia, e poi hai ricominciato a odiarmi».

«C’è un cadavere che ci sta aspettando», lo scansò con un braccio.

«I morti non scappano, Daniel. La letenati, però, ha fretta che noi facciamo pace», gli corse dietro.

«Anche Ella ha fretta», gli disse continuando a camminare, senza voltarsi.

«E va bene. Ma il discorso non è chiuso», lo avvertì.

«Buongiorno, Ella», la salutò Dan, infilandosi un paio di guanti azzurri e inginocchiandosi accanto al corpo.

«Signorina Lopez» fu invece il saluto di Lucifer, il quale, al contrario del partner, rimase in piedi, con le mani in tasca.

La vista del cadavere gli fece storcere la bocca in una smorfia di disgusto, mentre Dan si copriva bocca e naso con una mano per non respirare l’odore dei gas della decomposizione.

Centinaia di bigattini entravano e uscivano dagli orifizi, mentre alcune parti del corpo risultavano mangiate, forse dai ratti, oppure dalle volpi o qualche altro animale selvatico.

«Il nostro John Doe è qui da parecchio tempo, poverino. Per saperne di più sulle cause della morte temo dovrete aspettare l’autopsia», li avvertì la giovane medico legale.

«John Doe?» chiese sospettoso Dan.

«Già: nessun documento, così come nessuna ferita apparentemente mortale».

«Di qualcosa, però, è morto», convenne Lucifer, facendo sospirare Dan.

«A causa della lunga permanenza agli agenti atmosferici, così, a prima vista, potrebbe trattarsi anche di infarto», gli spiegò la ragazza.

«Non ne sei convinta, però», insistette Lucifer.

«È lontano dal sentiero e questa non è la stagione dei funghi», convenne lei.

«Chi l’ha trovato?» si informò Dan.

«Quella ragazza, Mary. Era già sconvolta dopo aver scoperto una tresca tra il fidanzato e una collega, poi il ritrovamento del cadavere... poverina». Ella indicò una giovane donna poco lontana.

«Mica tanto», Lucifer fece schioccare la lingua.

«Che vorresti dire?» Sbuffò Dan.

«Quel vestito», indicò Lucifer, «vale circa duemila dollari».

«E questo come ci aiuterebbe con le indagini?» Dan aveva il taccuino a mezz’aria.

«Ah, non lo so, io rispondevo alla signorina Lopez».

«Non intendevo poverina in senso materiale, ma spirituale», gli spiegò, scuotendo la testa.

«Oh, certo. A ogni modo, è stata coraggiosa ad avventurarsi nel bosco con quel vestito».

«O forse talmente sconvolta da non rendersi conto della direzione».

«Quindi il colpevole è il fidanzato fedifrago», concluse Lucifer. «Caso risolto. È un piacere lavorare con te, Daniel», gli diede una pacca sulla spalla.

«Il caso è stato appena aperto, imbecille», se lo scrollò di dosso.

«Ma abbiamo trovato il colpevole», obiettò Lucifer.

«Non abbiamo trovato proprio nessuno», confutò Daniel.

«Allora andiamo a cercarlo, no? Forza, su veloce», gli fece un gesto eloquente con le mani, percedendolo sulla via del ritorno.

«Ma cercare chi?» Gli urlò di rimando Daniel.

«Il fidanzato fedifrago, no? Questo poveretto è qui da chissà quanto tempo: è impossibile che nessuno l’abbia visto», gli rispose Lucifer, voltandosi verso di lui.

«Se qualcuno l’avesse visto prima, non credi ci avrebbe chiamato prima?» Cercò di farlo ragionare l’altro.

«A meno che non sia l’assassino. Il che ci porta alla mia deduzione: è il fidanzato fedifrago l’assassino», riprese a camminare, mentre Dan rivolse uno sguardo rassegnato a Ella, la quale si strinse nelle spalle.

Scuotendo la testa, Dan si risolse a raggiungere il compagno, per evitare qualche danno irreparabile. «Fantastico! Il mio uomo e il mio migliore amico che lavorano insieme», stava intanto esultando la ragazza.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Non so di che cosa stiate parlando», si difese il ragazzo biondo nella stanza degli interrogatori.

«Di questa persona», Dan gli mostò una foto del cadavere, mentre Lucifer rimaneva in piedi, appoggiato alla parete con le braccia conserte, assorto nell’espressione di Mark.

La foto era talmente sgradevole che Mark la allontanò, trattenendo un conato di vomito.

Schifato, Lucifer voltò la testa dall’altra parte.

«Non l’ho mai visto», riprese a dire.

«Però hai fatto in modo che venisse trovato da Mary, la tua ragazza. Che cosa volevi dimostrarle?» Continuò Dan.

«Niente!» Esclamò il ragazzo. «Non sapevo neanche che Mary sarebbe venuta all’Osservatorio. Ieri avevamo litigato e di solito mantiene il broncio per giorni. In ogni modo, io questo tizio non lo conosco», guardò Dan negli occhi.

«Va bene», si spazientì Lucifer, andando a sedersi sul bordo del tavolo, a pochi centimetri dal ragazzo, «Che cosa desideri, uhm?» Gli chiese incatenando i loro sguardi.

Il ragazzo all’inizio bocheggiò, poi si sentì pervadere da una strana sensazione e gli rivelò: «Voglio stare con Jane».

«Oh, andiamo!», sbottò Lucifer, interrompendo il contatto visivo e allontanandosi.

Dan provò a insistere: «Ma non avevi il coraggio di lasciare Mary, perché a differenza di Jane è ricca, così hai continuato la tresca. Solo che quest’uomo ti ha visto con Jane e ha cominciato a ricattarti. Perciò l’hai ucciso», gli suggerì Dan.

«No, non sono stato io!» Si difese in modo disperato il ragazzo.

«Dan, Lucifer», li chiamò dall’altoparlante Chloe.

I due la raggiunsero fuori dalla stanza, lasciando il sospettato in compagnia di un poliziotto.

«Senza una prova, dobbiamo rilasciarlo».

«Avanti, letenati: c’è un movente. Anzi, IL movente», si oppose Lucifer

«Un bravo avvocato può smontare la vostra tesi in tre secondi netti, anche meno», continuò Chloe.

«Un avvocato di quelli che può permettersi la fidanzata Mary», suggerì Dan.

«Così lei potrà ricattarlo con questa storia e legarlo a sè, mentre lui da parte sua, continuerà a tradirla con Jane», continuò Lucifer, lo sguardo duro.

«Questo non è un problema di nostra competenza...», cominciò a parlare Chloe, interrotta subito da Lucifer: «Ma dovrebbe, letenati! Il tradimento è la prima causa di morte violenta! Dopo la vita stessa, s’intende».

«Ed eccolo che se ne esce con le sue battute», scoppiò Dan.

Chloe si portò l’indice della mano destra alla bocca, poi lo agitò, infine si bloccò, guardando i due uomini: «No, Dan, è vero: la prima causa di morte è la vita. Quindi, Lucifer, purtroppo, finché i risultati autoptici non confermano che si tratta effettivamente di omicidio, dobbiamo rilasciarlo. Fate piuttosto una ricerca tra le persone scomparse: magari trovate una pista più sostanziosa», li redarguì.

«Uno a zero per me», esultò Dan.

«I giochi sono appena cominciati», gli rispose Lucifer.

Dan si voltò di scatto: «Davvero pensi che si tratti di una gara? C’è un uomo morto e noi due dobbiamo lavorare in coppia, in sintonia, non cercando di batterci a vicenda», gli battè più volte il dito contro la camicia di seta bianca.

«Hai comiciato tu a segnare il punteggio», gli fece notare.

Dan sospirò: «D’accordo. Stop. Aiutami con i files».

«Ops. Scusa». Fingendo di aver ricevuto una telefonata, prese il cellulare dal taschino della giacca Armani. «Problemi al Lux. Devo correre. Ti dispiace cominciare tu? Grazie», scappò via.

 

§ § § § § § § § § §

 

Nonostante fosse pieno giorno, l’interno del night club era buio.

«Salve capo. Il solito?» Lo salutò Patrick.

«Triplo», lo invitò.

«Fratello», lo chiamò Amenadiel, scendendo i pochi gradini e raggiungendolo al bancone del bar.

Lucifer prese due bicchieri e gli fece cenno di seguirlo verso un divanetto.

«Come sta il mio erede?» Si informò Lucifer.

«Veramente, sarebbe mio figlio, non il tuo erede. E intendo tenerlo lontano dagli Inferi», lo squadrò il fratello maggiore.

«Touchè», incassò il giovane ribelle.

«Non intendevo, QUELLO, davvero. So che non è stata colpa tua. E lo sa anche Linda, stai tranquillo», lo rassicurò.

«D’accordo», esalò, aggiustandosi i polsini. «Come sta Charlie?»

«Sta bene. Anche se dopo aver mangiato, beh, butta fuori una gran quantità di latte. Addosso a me», sorrise, pieno d’orgoglio.

Lucifer, al contrario, si schifò.

«Non sono qui per Charlie, ma per nostra sorella», riprese Amenadiel.

«Remiel è tornata alla carica?»

«Non mi riferisco a Remiel, Lucifer. Voglio sapere di quanto tempo ha bisogno il Re degli Inferi per catturare un fottuto umano!» Scattò in piedi.

Lucifer non si scompose: accavallò le gambe e allargò le braccia sullo schienale e volse lo sguardo in alto: «Mi sono concentrato sul benessere di nostra nipote: era questo il favore che mi ha chiesto Kristiel. E io mantengo sempre le promesse. Riguardo a Rockwell, sulle sue tracce non c’è solo la polizia di Los Angeles e di Flagstaff, ma anche la migliore cacciatrice di taglie del mondo: Maze», sillabò lentamente il nome. «E quando Maze l’avrà trovato e portato al mio cospetto, ti assicuro che rimpiangerà tutto il male che ha fatto a nostra sorella e a nostra nipote». Un lampo rosso attraversò gli attraversò le iridi.

«Lucifer», lo avvertì Amenadiel, «non è la vendetta che ridarà ad Alma Lucinda sua madre».

Lucifer non gli rispose, immerso nei suoi pensieri. Era tornato un mostro dopo aver ucciso un umano (il primo assassino della storia, certo, ma pur sempre un umano) e aver spezzato la schiena a un altro. C’era voluto tutto l’amore di Chloe per far sì che si accettasse appieno: ora era disposto a buttare all’aria tutti i suoi progressi – ma soprattutto il rispetto di Chloe – per un verme? Arricciò la bocca.

«Può darsi», pronunciò alla fine. «Ciò non toglie che Rockwell si meriti una bella lezione».

«Non la morte», asserì Amenadiel, preoccupato.

Lucifer lo guardò meravigliato: «Nessun essere merita la morte, fratello, neppure il più abietto».

«Bene, perché sono orgoglioso di come tu sia maturato», gli sorrise.

«La mia vita è cambiamento», gli ricordò.

«Questa volta è diverso. Esono fiero di te, fratellino», gli battè un pugno sulla spalla.

«Immagino fosse un complimento: grazie», congiunse le mani e mimò un inchino.

«A me e a Linda farebbe piacere avervi ospiti a cena, questa sera».

«A che ora mettete a dormire il pargolo?» Si informò Lucifer, facendo scoppiare a ridere il fratello maggiore.

«A più tardi, Lucifer», lo salutò, senza rispondergli.

«Bene, immagino che dovrò rientrare in anticipo in Centrale per parlarne con Chloe», borbottò tra sè Lucifer.

 

§ § § § § § § § § §

 

«Chloe, posso parlarti?» Dan si affacciò all’ufficio del tenente, bussando sullo stipite della porta.

«Certo, accomodati. La prossima volta, però, gradirei che bussassi prima di entrare e che aspettassi il mio permesso. Così, per educazione e per rispetto sia alla mia carica che ai tuoi colleghi. A ogni modo, dimmi, hai trovato qualcosa?»

«Cominciamo già con le manie del comando», bofonchiò, per poi aggiungere a voce alta: «Nell’ultimo anno, sono scomparse più di tremila persone. Restringendo il campo agli ultimi cinque mesi, scendiamo a un terzo. Considerando la costituzione della nostra vittima e il suo sesso, sono riuscito a isolare cinquecento persone. Ancora troppe. Chloe, non ce la faccio da solo», si lasciò cadere sulla sedia.

«Per questo ti ho affiancato Lucifer: lui vede cose che noi non vediamo ed è in grado di sfoltire quella lista in un batter d’occhio», lo consolò.

«Forte quello», continuò a lamentarsi Dan. «Ho visto come col fidanzato fedifrago come vede cose che noi non vediamo. Senza tralasciare che mi ha mollato di punto in bianco per tornarsene al Lux».

«Ti ha già mollato? Lo faceva anche con me», difese il compagno di vita.

«Ma tu non eri comunque sola, Chloe. C’ero che ti davo una mano, ogni volta che il bellimbusto si stancava del giocattolino».

«Dan, devi dargli tempo», provò ancora a ragionare, anche se il comportamento di Lucifer le dava ai nervi.

«E tu devi smetterla di difernderlo ogni volta. Dannazione, Chloe!» Le urlò contro. Si portò le mani sopra la testa e girò una mezza volta su stesso, per poi riprendere in modo più pacato: «Scusa, non volevo...»

Nel frattempo, Chloe si era alzata e lo interruppe: «Non mi interessa se non volevi. Tu quelle parole le hai urlate. Io. Non. Difendo. Lucifer», scandì. «Sai alla perfezione quanto a volte il suo comportamento mi irriti, ma questa per lui è un’esperienza diversa».

«Avanti, Chloe. Da quanti anni è il nostro consulente civile? E perché questa volta sarebbe diversa dalle altre in cui ci è toccato lavorare in coppia?»

«Devi fidarti di me, Dan, per favore», lo implorò.

«Solo perché me lo chiedi tu», le concesse. Stava per uscire, quando Chloe lo richiamò: «Dan, quando Lucifer si degna di tornare, mandalo subito da me. Anzi, lasciami anche quel fascicolo. Conoscendolo, cercherà di leggere qualcosa per venire da me con un nome e prendersene il merito», gli fece l’occhiolino. «Intanto, per amazzare il tempo, potresti controllare a che punto siamo col caso Rockwell?».

«Certo, come vuoi», le allungò il fascicolo. «Non avevi detto che Lucifer era maturato?» Le sorrise.

«Io ho detto che per lui è un’esperienza nuova», gli rispose criptica, prima che lui uscisse dall’ufficio.

«Daniel!» Lo chiamò Lucifer dal piano amezzato. L’investigatore, che stava parlando con due colleghi, si girò di scattto.

«Eccolo che finalmente sua maestà ci degna della sua presenza», lo derise a bassa voce. «Chloe ti vuole vedere subito», gli rispose in tono gentile, invece.

«Bene. Anch’io ho urgenza di parlarle. Oh, hai qualche nome da portarle?» Si esaltò.

«No», battè le mani, facendo qualche passo all’indietro. «Chloe ti aspetta», gli indicò l’ufficio con un cenno della testa. «Vuole che bussi, prima», lo canzonò.

«Parliamo di me», si indicò, entrando nella stanza.

«FUORI DI QUI», tuonò una voce di donna, facendolo scappare.

«Daniel, Chloe ha il ciclo?» Si avvicinò spaventato alla scrivania del suo nuovo partner.

L’altro si strinse nelle spalle: «Se non lo sai tu, amico. Comunque, ti avevo avvertito».

«Questa storia del potere, comincia a darle alla testa», constatò Lucifer.

«Mi sento male solo all’idea, ma temo tu abbia ragione», gli fece eco Daniel.

«Invece ha ragione il tenente», intervenne una recluta di passaggio.

I due uomini la guardarono con gli occhi spalancati.

Lei continuò: «Solo perché è una donna ed è entrata a far parte delle vostre vite, non vuol dire voi abbiate il diritto di comportarvi come se tutto vi sia dovuto». Se ne andò lasciandoli con la bocca aperta.

«Sai qual è il vero problema Daniel? Il femminismo. Maledetto il giorno che l’ho inventato».

Si alzò aggiustandosi giacca e polsini.

Questa volta, prima di entrare, bussò e quando la donna disse “avanti”, indicò la porta con un dito all’amico.

«Allora, letenati, sono tutto tuo», esordì, con la sua solita faccia di bronzo.

«Accomodati», lo invitò.

«Sono già seduto».

«Sì, vedo». gli allungò un mucchio di documenti. «Controlla questi nomi, per favore».

Lucifer espirò, emettendo un verso sarcastico: «Che cosa sono?»

«I nomi delle persone scomparse le cui caratteristiche corrispondono alla nostra vittima: sono circa cinquecento».

«Non puoi darli a Dan?»

«Dan ha già fatto la sua parte del lavoro. Ora tocca a te fare la tua».

Prese il primo fascicolo, lo sfogliò velocemente, poi lo sbattè sulla scrivania, davanti alla donna: «È lui».

«E in base a cosa l’hai capito?» Lo guardò sospettosa: sapeva perfettamente che non c’entrava il fatto dell’essere il diavolo. Semplicemente, conosceva la pigrizia del compagno.

«Se è il primo della lista, ci sarà un motivo», le disse serafico.

«Il motivo è che sono ordinati in ordine alfabetico».

«Ma non ce la farò mai per le sette e mezzo!» Si lamentò.

«Perché hai fretta?»

«Primo, la prole ci aspetterebbe a casa e, secondo, perché siamo stati invitati a cena da Linda e Amenadiel. Ti avverto: Amenadiel vuole sapere perché non abbiamo ancora arrestato Rockwell».

«Mi dispiace, Lucifer, ma Kristiel era tua sorella. Non posso parlare con te di quell’indagine». Si alzò dalla sedia e fece il giro della scrivania, per pararglisi di fronte e accarezzargli il viso. «Adesso è il caso che ti metti al lavoro, se vuoi finire in tempo per la cena», lo congedò.

Sbuffando, Lucifer uscì dalla stanza.

Vedendolo uscire con l’aria mesta, Dan fu quasi colto da compassione. Sentimento vinto, però, dal sapore della dolce vendetta. Tuttavia, gli sarebbe dispiaciuto non poco se il merito del nome se lo sarebbe preso tutto Lucifer, per cui decise di aiutarlo: «Ho appena parlato con Ella: possiamo restringere le nostre ricerche agli ultimi trenta giorni».

Dopo una veloce scorsa alle date, rimasero cinquanta faldoni: «Sempre troppi», si lamentò Lucifer.

«Venticinque io, venticinque tu. In mezz’ora, dovremmo riuscire ad avere un nome solo», lo confortò Dan.

Ci vollero solo venti minuti, prima che Dan, sbattè vittorioso entrambe le mani sul tavolo: «Bingo! Randall J. Smith, anni 56, originario di Phoenix, operaio addetto alle macchine da pressa alla Mega Solution, una ditta che opera nel settore aeronautico».

«Che cosa ci fa un operaio di Phoenix, qui a Los Angeles?» Dubitò Lucifer.

«Il fascicolo dice che si è trasferito qui dieci anni fa. Non è dato sapere se per decisione sua o dell’azienda», spiegò Dan.

«Complimenti, amico, vado a dirlo alla lenati».

«No, fermo. IO ho trovato il nome, quindi ci andremo assieme».

«Credevo non fosse una gara», gli sorrise Lucifer.

«Tenente», esordì Dan, dopo aver avuto il permesso di entrare.

«Abbiamo un nome: Randall J. Smith, 56 anni, originario di Phoenix, trasferitosi qui dieci anni fa e sparito da tre settimane. Non è sposato, per cui l’allarme è stato dato con tre giorni di ritardo», spiegò Daniel.

«Phoenix, hai detto? È in Arizona», riflettè a voce alta Chloe.

I muscoli delle mascelle di Lucifer scattarono, mentre deglutì a vuoto.

«Ma vive a Los Angeles da dieci anni», la contraddisse Daniel.

«Ciò non toglie che potrebbe aver conosciuto Rockwell in passato», ipotizzò ancora la donna.

«Se così fosse, letenati, ci toglieresti questo caso, non è vero?» Le chiese Lucifer, in piedi dietro il collega.

«Dovrei, sì. Tuttavia, stando a Google Maps, le due città distano tra le centocinquanta e le duecento miglia. Quindi, direi che a questo punto dell’indagine, non abbiamo nessun collegamento tra Rockwell e Smith, per cui gradirei non sentire quel nome, d’accordo? Ah, Lucifer, qualora dovesse venire davvero fuori che Rockwell si è macchiato anche di questo delitto, vorrei che tu ti tirassi indietro al momento dell’arresto».

«Non puoi chiedermelo, Chloe», la implorò.

«Non te lo sto chiedendo come Chloe, infatti, ma te lo sto ordinando come tenente della Sezione Omicidi».

Il diavolo strinse i pugni e muscoli del volto saettarono, ma non disse nulla; Dan, invece, venne in suo aiuto: «Tenente, ci penserò io. Ti assicuro che Lucifer non farà nulla di inappropriato».

«A ogni modo, ne riparleremo a tempo debito. Per ora, muovetevi come se non aveste ipotizzato quel collegamento», li congedò.

«Daniel», lo chiamò Lucifer, una volta fuori dall’ufficio, posandogli una mano sulla spalla, «grazie per poco fa».

«Non devi ringraziarmi, amico. Capisco che cosa provi. Ho quasi ucciso un collega per proteggere Chloe, quattro anni fa».

«Malcom», ricordò Lucifer. «Hai però lasciato Chloe da sola, dopo, cercando di convincerla di aver preso un granchio», infierì, senza cattiveria.

«Ho cercato di proteggerla. Malcolm non era morto: temevo che volesse ucciderla, se si fosse ripreso», si giustificò.

«Capisco», gli concesse.

«Diamoci da fare col caso Smith», tagliò corto Daniel.



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N.d.A.: Come sempre voglio ringraziare tutti coloro che leggono questa fanfic, sia che lascino un segno del loro passaggio o preferiscano restare in silenzio, come anche coloro che la inseriscono tra le preferite/ricordate/seguite.
Non uccidetemi per aver concluso il capitolo in questo modo, ma si stava dilungando troppo e quindi ho dovuto dividerlo in due parti, per cui, penso che il seguito lo posterò domenica, per non farvi aspettare troppo.
Ricordo che i diritti di Lucifer appartengono a Neil Gaiman e alla Netflix (non so se la Fox possa vantare ancora qualcosa, ma la cito lo stesso).
La mia pagina fb: TheMirae'sDream



   
 
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