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Autore: Makil_    02/08/2019    3 recensioni
Il fuoco del conflitto arde ancora, più vivo e forte che mai.
A Pantagos, gli esuli scampati al massacro più violento dell'ultima decade si affannano a vivere con i loro fantasmi: tra essi, respira ancora ser Bartimore di Fondocupo, la colombella di Sette Scuri che da formica si accinge a divenire un leone.
Intrighi, macchinazioni e inganni sono ora alla portata di chiunque: la pace sembra quasi un dono irrealizzabile, l'odio vive ancora aggrappato al mondo dei mortali e la guerra è ancora tutta da giocare.
[Atto secondo de "Il cavaliere e la fanciulla bionda", di cui si consiglia caldamente la lettura]
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Pantagos'
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Glossario della terminologia relativa alla storia (aggiornamento continuo):

Patres/Matres: esperti, uomini e donne sapienti indottrinati da studi all’Accademia. Ogni regno ne possiede tre, ognuno dei quali utile a tre impieghi governativi.
Accademia: ente di maggiore prestigio politico a Pantagos, vertice supremo di ogni decisione assoluta. Da essa dipendono tutti i regni delle regioni del continente, escluse le Terre Spezzate che, pur facendo parte del territorio di Pantagos geograficamente, non  sono un tutt’uno con la sua politica. Il Supremo Patres è la figura emblematica della politica a Pantagos, al di sopra di tutto e tutti.
Devoti: sacerdoti del culto delle Cinque Grazie (prettamente uomini), indirizzati nello studio delle morali religiose alla Torre dei Fiori, nelle Terre dei Venti.
Fuoco di Ghysa: particolare sostanza incolore e della stessa consistenza dell’acqua, la cui unica particolarità è quella di bruciare se incendiata.
Le Cinque Grazie: principali divinità protettrici del sud-ovest di Pantagos, proprie di molti abitanti delle Terre dei Venti e della Valle del Vespro. Tale culto prevede la venerazione di quattro fanciulle e della loro madre. 
Tanverne: enormi bestie dotate di un corpo simile a quello di giganteschi rettili, abitanti il territorio di Pantagos.
Y’ku: titolo singolare dell’isola di Caantos, nelle Terre Spezzate, il cui significato è letteralmente “il più ricco”. Il termine “y’ku” s’interpone tra il nome e la casata nobiliare di un principe dell’isola, posto a determinare la sua ascendenza nobile.
Incantatori: ordine giurato unico del continente di Pantagos. Si tratta a tutti gli effetti di un gruppo di sapienti  in cui sono raggruppati guaritori, speziali, alchimisti e finanche stregoni – benché in molti, e nel popolino nello specifico, non credano a questo genere di arti. La sede degli incantatori è la Gilda degli Incantatori, altresì detta Tempio Bianco, sulla Collina di Burk, a Fondocupo. 
Castellano: figuro (molto spesso un esperto) incaricato di reggere, in vece del sovrano al quale è subordinato, un altro regno, un piccolo borgo o una cittadina appartenente all'uomo cui giura lealtà. 

Ossa di tanverna: vengono impiegate, fuse, nella creazione di gioielli d'importantissimo valore e armi, poiché molto robuste, lunghe, e spesso colme di essenze magiche o, addirittura, proprietà venefiche. 
Accolitoapprendista di grado infimo che accompagna ogni esperto votato legalmente all'Accademia al fine di apprendere da quest'ultimo e al tempo stesso essergli d'aiuto.
Fiore Rosso: morbo sopraggiunto a Pantagos dalle Terre Spezzate con l'avanzare della Guerra Grigia; la malattia si manifesta con delle macchie color vinaccio sparse indistintamente sul corpo in seguito ad un contagio che, nella maggior parte dei casi, è causa di morte.


 


 



Il salone dalle grezze colonne sui lati era appena illuminato dalla luce fioca di quattro torce da poco accese e dalla ancor più flebile luce lunare che attraversava la grandissima vetrata variopinta alle spalle del trono di Ockswert. Le figure stilizzate impresse su questo sembravano essere divenute mobili ora, tanto la luce era in grado di farle sembrare vive. La luna che svettava fuori dalla vetrata si contrapponeva al sole che s’innalzava sullo schienale dello scranno regale, per nulla in ottime condizioni. I due scranni ai lati del trono erano vuoti, ma la sala non mancava di cavalieri.
Steffon e Bartimore erano stati trasportati al piano superiore da ser Walifer, ser Dalwar e ser Henry, che ora erano assorti in chiacchiere alle loro spalle e che prima non avevano mancato di rimproverarli di gusto per l’orario in cui li avevano disturbati. Nessuno dei tre confidava nella buona riuscita dell’impresa che Steffon proponeva, neppure ser Dalwar, che nutriva propositi che gli altri due non immaginavano nemmeno.
«Annuisci e resta nella parte in cui il mio gioco sta per relegarti, Bartimore. È necessario che tu sia forte adesso» gli aveva detto Steffon stringendogli il braccio mentre risalivano le scale delle segrete. «E non tirarti indietro nemmeno una volta. Se lo farai…»
«Non lo farò, Steffon». “Devo riuscirci” aveva pensato. E ora non poteva più fare nulla per venir meno a quell’incarico: non che ne avesse voglia, dopotutto.
Se tutto era cambiato dal giorno in cui aveva posato piede dentro quel salone regale, non si poteva dire lo stesso del pavimento color fumo, gelido come il ghiaccio.
Uno scricchiolio preceduto da un lungo tintinnio annunciò l’apertura di una porta che si trovava esattamente dietro allo scranno centrale sul palco. I cavalieri alle spalle dei prigionieri furono immobilizzati completamente da quel suono e, come Bartimore poté presto constatare, ne rimasero talmente intimoriti da rifugiarsi in un insolito silenzio.
Bennor Falso Esperto, due profonde occhiaie scure sotto agli occhi, camminò lungo il perimetro del palchetto e si fermò dinanzi ai due prigionieri. Il castellano appariva ancora più pallido a quell’ora della sera, e la sua carnagione diafana sembrava essere il proseguo della grande vetrata che svettava alle sue spalle. Per l’occasione affatto importante, Bennor aveva indossato una lunga tunica di seta grigia che, alla base del collo, terminava con una fiera pelliccia bianca. Sul suo capo era stato avvolto uno chaperon nero che pareva un corvo appollaiato sui suoi capelli, pronto per la notte nel suo morbido nido.
Il castellano osservò a lungo i due astanti, incrociò le braccia al petto e fece per parlare. Ma non appena ricordò quale autorità fosse la sua e quali obblighi imponeva il suo ruolo, risalì le scalette del palco di legno e si mise comodo sullo scranno che apparteneva al suo signore.
«Duro a morire, esperto, o la notte ti fa paura là sotto?»
Patres Steffon alzò lievemente il capo e guardò il castellano. Gli occhi del patres erano lucidi, e nel suo volto i lineamenti contratti dell’uomo lasciavano intendere che non aveva alcuna voglia di perdere tempo. Steffon andò dritto al nocciolo della questione.
«Se sono di nuovo qui, mio signore, è per chiederti umilmente di poter ricevere le cure di cui il mio compagno di cella, ser Dayn, ha bisogno adesso.»
«Cure che, in qualità di prigioniero, non avrà. Abbiamo terminato, patres? La tua insolenza è indubbia: disturbarmi per nulla a quest’ora della sera dovrebbe costare un paio di dita…»
Bennor fece per alzarsi dallo scranno, ma Steffon lo fermò con un sussulto.
«Cos’altro vuoi?». Il volto bianco del castellano aveva tutta l’aria di apparire terribilmente minaccioso, ma Steffon sembrava non percepire più quel senso di timore che l’uomo voleva incutergli.
«Mio signore, ribadisco a nostro favore che non abbiamo alcuna colpa negli eventi di cui siamo accusati. Attendere un processo non potrà che indurci alla morte, e noi non possiamo permettercelo ora come ora. Siamo reduci dell’assassinio avvenuto a Roshby. E io sono qui a chiedere il perdono della vostra corona, spogliato del mio onore e delle mie virtù d’uomo.»
«Lo hai già fatto mi sembra, patres, e il mio responso è stato negativo. Tutto questo posare per terra le tue ginocchia presto o tardi finirà per dannarti con un’acuta tendinite. Perché chinarti di nuovo?»
«Perché vediate quanto pure ed oneste siano le mie parole.»
«Parole… parole… le parole non hanno mai salvato nessuno. Tutt’altro, anzi, posso confermarti.»
«Le parole no» rispose Steffon. «Ma sono pronto a dirvi che l’opulenza e la potenza lo hanno fatto una decina di volte in cui sono stato testimone dell’accaduto.»
Steffon diede un pizzicotto al braccio di Bartimore.
«L’opulenza di chi, nello specifico?»
«Del ser che ho accanto» rispose Steffon. «Figlio di un nobile signore del Sud. La sua casa saprebbe ricompensare la vostra cento volte e per cento generazioni. Lui è…»
«…lo stesso che, se non erro, è stato in grado di mozzare il braccio del mio uomo. Occorre che ser Henry vi mostri di nuovo ciò di cui siete stati capaci? I briganti utilizzano questo genere di minaccia verso i nobili uomini a capo di una compagnia: i briganti e le spie della Signora dei Merletti.»
«Ser Bartimore è stato mosso dal senso del… dovere. Che io sappia nessuno dei vostri uomini ha perso la vita quando ha tentato di metterci addosso le mani e le corde.»
«E con ciò?»
«E con ciò vorrei sottolineare che, invece, i miei amici potrebbero perderla da un momento all’altro qui dentro, pur non avendo avuto alcuna colpa in ciò di cui siamo accusati.»
«E questa è sola una delle tante pene a cui è lecito che un prigioniero si sottoponga.»
«Sono d’accordo… a patto che il prigioniero sia davvero colpevole delle accuse avanzate contro di lui. Le vostre cattiverie illecite potrebbero farvi più briganti di coloro che considerate ad ora tali.»
Tra i due piombò un breve silenzio. Fu lo stesso Bennor ad interromperlo.
«L’Accademia parla chiaro a proposito, credo che questo tu lo sappia piuttosto bene, patres esperto. È obbligo del reggente di un qualsivoglia regno assicurarsi che i prigionieri della sua corona…»
«…siano processati dinanzi ad un pubblico cosciente e capace di ragionare con la propria mente. Con la seguente s’intende limitare ogni sorta di corruzione e finanche ogni tipo di illecita condanna ai danni di presunti condannati.»
«Vedo che conosci bene la legge, ma ciò che ti sfugge è che non conosci il luogo in cui sei stato portato, patres. Ockswert è stata privata di gran parte dei suoi cittadini nel momento in cui è avvenuta la fatidica scissione dal suo regno madre: Giardino Fiorito. A quale giudizio popolare vorreste affidarvi?»
«A tal proposito, un’altra legge dice che…» 
«Abbiamo già parlato di legge, e non mi interessa sentire oltre». Bennor si alzò dallo scranno. «Dal momento in cui ho messo piede su questo palco in qualità di reggente e in vece del mio signore, ho dato ordine di allontanare ogni ostacolo di forma giuridica dalla piccola corte di Ockswert, i cui impedimenti sono già letali. Mi sono preso la briga di ricacciare gli esperti a Giardino Fiorito, dal momento che ognuno dei tre di cui il mio signore si circondava da anni tramava contro di lui nell’ombra, con la sola speranza di mettere in discussione la sua autorità nel regno che gli è stato forzatamente sottratto dalla Signora dei Merletti, la signora sua moglie.»
«Ed è per questo che hai voluto la testa del povero patres Cyde?»
Bennor non parve sconvolto affatto da quell’uscita di Steffon o, se lo fu, riuscì assolutamente a non farlo notare.
«Patres Cyde era uno stolto omuncolo a cui piaceva mettere in giro disprezzo e sputare veleno come una vipera incallita.»
«E tanto vi ha fatto pretendere la sua testa.»
«Sì». Bennor non si fece scrupoli nel confermare ciò. «Testa che, più tardi, mandammo indietro a Giardino Fiorito, come monito di una guerra mai veramente combattuta in campo.»
«Di guerra ne basta una» fece Steffon. «Perché non riuscite a notare quanto già siamo distrutti? La guerra ci sta annientando lentamente… e moriremo tutti, chi prima chi dopo, se non faremo qualcosa per fermarla.»
«La vostra guerra non ci appartiene e non ci tocca. Roscart Wagrave ha preferito restarne fuori escludendo la sua partecipazione alle giostre di Roshby, e sostenendo di non voler mangiare le carni del montone avariato per non rischiare di rimetterci la salute». Bennor esibì una smorfia sbieca. «Ma non è di lui che dobbiamo parlare, patres esperto, vorrai forse negarlo? Sbaglio o mi hai detto qualcosa a proposito di questo giovane ser ammutolito che hai accanto?»
Se solo potessi parlare…” pensò Bartimore nel sentire quelle parole. “Se solo… se solo…”. Steffon gli aveva comandato dapprima di far fare a lui.
«Non avrei motivo di negare ciò che veramente ho detto o fatto finora». Steffon indicò il suo compagno con la destra. «Questo è Bartimore Kordrum, principe di Sette Scuri e figlio del dipartito signore del regno Dalton Kordrum, e della sua nobilissima moglie Amisa Witeolm. In nome degli dèi che pregate, della corona che servite e del reame in cui riponete fede, e ancor di più nel nome della vetusta e grandiosa casa di questo giovane, io vi chiedo clemenza e tolleranza per me e i miei compagni. Ve ne prego.»
Steffon… cosa stai facendo? Dannazione!”. In altri casi Bartimore non avrebbe voluto rivelare la sua identità spifferando ai quattro venti tutto ciò che c’era da sapere sul suo conto. Informazioni così importanti potevano essere travisate facilmente, scambiate con leggerezza o, peggio ancora, riutilizzate per scopi ben più crudeli.
Bennor prese a scuotere la testa. «Non ci inchiniamo di fronte alla presenza di un signore, men che meno a quella di un principe. A me non importa chi sia o chi non sia questo nobile ammantato d’acciaio. La sola cosa che so, a proposito dei buoni vecchi Kordrum, è che la loro dimora è divenuta da qualche settimana dimora fissa di ribelli. Dicono che il nome della loro casa sia caduto insieme al suo ultimo signore.»
Bartimore strinse i denti con la furia più forte che la sua volontà riuscisse a produrre. Non fiatò.
Steffon, invece, si mosse sulle ginocchia e si avvicinò di più al palchetto. «Non ho mai pregato qualcuno in vita mia prima d’ora, e forse ciò mi ha indotto a pensare che ogni cosa mi sia dovuta. Non è così a quanto pare, e pertanto voglio confutarmi. Bennor Falso Esperto… ti prego di togliere i miei amici da quel posto ostile che chiamate prigione e che circondate di carcerieri tremendi e spietati. Non conosciamo nessuna Signora dei Merletti, non siamo al servizio di nessun partito e di nessuna corona. Vogliamo il nostro bene. Solo questo.»
«E al nostro chi ci pensa? Non è possibile, ne sono dolente, patres esperto. I tuoi pietosi lamenti mi inducono alla clemenza. Il tuo agire e il tuo modo di parlare mi feriscono il cuore. Vorrei potervi dire che non siete nemici… ma capirai che non è lecito mentire.»
Steffon sbuffò sonoramente. «Ho dell’altro.»
«Risparmiatelo. Le tue scuse non quieteranno il bisogno di vendetta di ser Henry, né metteranno a freno l’odio della corona Wargrave. Se anche non siete davvero rei di ciò che i miei uomini vi accusano, il tuo giovane ser Bartimore Kordrum non potrà certo negare di aver reciso l’arto di Ventrefloscio. Non risponderò oltre.»
La fretta di Steffon nel rispondere fece scattare gli occhi di Bennor fuori dalle sue orbite. «Non risponderete nemmeno al nome di Marysanne dagli occhi cerulei? Lei fa un certo effetto al vostro insulso ed insignificante potere?»
Bennor picchiò un pugno sul bracciolo dello scranno. «Marysanne?». Il castellano realizzò quelle parole tardi. «Lurido imbecille. Silenzio!» sbraitò furioso. «Mai, mai parlare di lei in mia presenza. Ser Henry, punisci il prigioniero. Ora. A sangue.»
Il rumore dell’acciaio si innalzò e si espanse in tutta la sala del trono. Steffon alzò al cielo le mani prima che ser Henry potesse arrivare, ma il suo gesto fu preceduto dal repentino schioccò della mano del castellano sul bracciolo della sedia. «Ser Henry» mormorò. «Indietreggia e getta il tuo acciaio per terra.»
Bartimore non capiva.
Ser Henry fece ciò che gli era stato comandato, lasciando che la sua lama si schiantasse al suolo. Lo stesso cavaliere aveva l’aria perplessa ed incapace di comprendere.
Bennor avanzò verso Steffon, le mani ancora aperte verso il tetto della sala e il volto rubicondo per l’ira repressa e la vergogna. Il castellano fece scorrere l’indice sul naso e attorno al volto di Steffon, come a volerne prendere le misure, come a tastarne l’ossatura. Poi mormorò: «Vedi quanto effetto ha il mio potere? Tu non puoi nemmeno immaginare quanto io sappia essere spietato e potente. No che non puoi. In questa sala l’ultima parola è sempre la mia». Il moto circolare del dito attorno ai lineamenti induriti di Steffon si fermò di colpo. «Come conosci Marysanne, buffone?»
Steffon fece un profondo respiro prima di parlare. «Non è difficile conoscere le persone che giorno e notte ti circondano all’Accademia. Ho avuto modo di conoscerla durante il mio terzo anno di studi. Era davvero una bella ragazza, non oso metterlo in dubbio, con le sue forme accentuate, i suoi occhi cristallini e i suoi fianchi prosperi… ma non osò rivolgermi neppure uno dei suoi più rapidi sguardi.»
Bennor lo stava guardando schivo, gli occhi puntati sulle sue labbra come mai.
«E il perché mi è chiaro solo ora. Marysanne era innamorata di un altro uomo… e quell’uomo credo siate voi, castellano.»
«Tu hai avuto modo di parlarle, patres esperto?»
«Parlarle?» fece Steffon. «Poco»
Al che la mano di Bennor schizzò in aria e si schiantò sul volto già rosso di Steffon. Lo schiocco del manrovescio fu incredibilmente rumoroso. «Stai facendo appello alla parte peggiore di me, sciocco di un uomo. E la tua situazione si sta complicando, ora come ora. Se ti fosse consentito premere una mano sul mio petto, riusciresti a sentire il mio cuore solidificarsi lentamente.»
Steffon non tenne conto delle sue parole, si massaggiò per pochi attimi la guancia colpita e poi riprese a parlare. Non c’era neppure un briciolo di vergogna o di umiliazione nel suo tono, e ciò sembrò indispettire più di ogni altra cosa Bennor Falso Esperto. «Non le parlai solo una volta… Marysanne era proprio la tipica ragazzina invaghita e bisognosa di sfogarsi. Mi raccontò ogni cosa, dicendomi anche che non mancava notte in cui lei non sognava i vostri lineamenti, la vostra prepotenza e la vostra… magnifica prestanza
«È quello che ha detto?»
«Ci posso giurare il collo.»
«Fai bene a farlo, patres esperto. Tra un po’ perderai la scommessa… lo sai già?»
«E a quel punto non avrete più modo di rivederla, mi duole ammettere. Quella ragazza ha bisogno di protezione. Ah già, mio signore, ho dimenticato di dirvi una cosa estremamente importante: ci sono uomini all’Accademia che farebbero di tutto pur di mettere le mani addosso ad una donna. Ed ecco… diciamo che, data anche la particolare sfrontatezza della signorinella, nonché il suo bisogno continuo d’affetto, un certo patres lo ha anche fatto un paio di volte.»
«Un patres?» domandò Bennor, le narici dilatate come quelle di un cavallo pronto a caricare in una quintana contro il rivale. «Il nome, per favore.»
«Un nome come tanti altri, così simile a quello di uno sconosciuto che ora non ricordo neppure più come suonasse. Ma voi, mio signore, potreste ancora fare in tempo a scoprire di chi si tratta e, cosa più importante, credo, ad evitare di farvi strappare la vostra Marysanne dalle mani. Cogliete l’attimo e gettatavi a capofitto nell’impresa che potrà riconsegnarvi la vostra principessa.»
«Nominala ancora una volta e darò ordine di farti impiccare seduta stante.» minacciò Bennor. «La tua farsa non ha capo né piedi; dato che sei così informato sul mio conto, saprai bene che mi è stata proibita l’effettiva presa dei voti accademici alcuni anni fa. Ciò non fa di me un esperto, e ciò non mi consentirà di tornare dentro le mura dell’Accademia, che lo voglia o meno.»
Steffon sorrise soddisfatto. «No, infatti.» rispose. «Perché non siete munito di un chiavistello accademico, cosa assai importante in giorni come quelli che corrono. Se solo sapeste correre più veloce di loro…»
«Per l’appunto». Bennor si spostò di nuovo e girò completamente dando le spalle a Bartimore e a patres Steffon. «Possiamo dunque concludere qui quest’insulso tentativo di salvezza? Cavalieri, riportate i pri…»
«Ecco ciò che ho da proporvi». Steffon lo bloccò alzando la voce. Le sue mani rovistarono dentro alle sue tasche interne della sua tunica sgualcita. Alzò il chiavistello scuro al cielo e gli permise di rischiarire alla luce della luna. «Il mio chiavistello sarà vostro se ci darete la grazia di portarci fuori dalla prigione. Potreste fingervi un effettivo patres, nessuno saprà mai chi siete se cambiate il vostro nome e se tingete la vostra pelle di un colore più scuro, sì. Potrete tornare a prendere il potere che vi spetta, ottenere di diritto il grado di castellano e servire con galanteria Roscart Wargrave, dall’alto della posizione cui ci relegano all’Accademia dagli albori. E cosa più importante…»
«…potrò rivedere lei» concluse Bennor Falso Esperto, gli occhi persi nel vuoto.
«Esattamente.»
No” pensò Bartimore. Quel chiavistello era l’unico oggetto che poteva permettergli di varcare i confini dell’Accademia e metterli tutti davvero in salvo definitivamente, allontanandoli dal conflitto e dalle fiamme che brulicavano nel reame. “Steffon… non è il caso…”. Ma preferì tenere per sé certi pensieri. Dopotutto, che altra opportunità potevano avere se non questa? O questo o il cappio. E tra le due cose, anche un neonato avrebbe chiaramente saputo cosa scegliere.
Bennor fece per afferrare il chiavistello, ma Steffon lo piegò quanto bastava per evitare che le sue mani si poggiassero sull’oggetto. «Ho delle condizioni da elencare, mio signore… non vorrete negarmene la possibilità». L’esperto non attesa risposta. «Ci libererete questa stessa sera, ci darete le cure di cui abbiamo bisogno – a costo di chiamare un incantatore solo ed esclusivamente per noi – ci permetterete di mangiare ai vostri deschi e di girare liberamente per il vostro regno fino a che non saremo stanchi di farlo. Saremo trattati da liberi, e da liberi andremo via quando ne avremo voglia e saremo pronti per procedere nel nostro cammino.»
Bennor tornò a fissarlo, gli occhi scuri e le occhiaie ormai evidenti. «No» mormorò. «Questo è troppo per qualsiasi forma di ricompensa. Tieniti pure il tuo chiavistello, patres esperto. Caval…»
Ser Dalwar si fece avanti e tuonò: «Vi do la mia, di proposta. In qualità di servo di questo regno – esattamente come te, Bennor – vorrei poter avere la mia voce in capitolo. Avrete ciò che chiedete, e sia, ma sarete costretti a giurare fedeltà alla causa Wargrave e al regno di Ockswert. Poserete le vostre spade – e a te ne daremo una, esperto – ai piedi di Roscart Wargrave, signore indiscusso di Giardino Fiorito. E avrete a cuore il conflitto con la Signora dei Merletti, oggi, domani e dopodomani, finché non avrà avuto fine. Nel sangue e nel terrore, se le Grazie desidereranno ciò. Infine, sarete assolti.»
Bartimore si girò verso il ser che aveva parlato, la mano posata sull’elsa della sua spada e alcun tipo di armatura addosso. “Una proposta che ci hai già fatto, ser.” «Non siamo abbastanza forti, al momento, per poter combattere al fianco di qualcuno e per una causa che non ci dà forza. Il nostro sguardo è puntato a Sud… a casa nostra. Al centro, verso Roshby. Anche voi dovreste guardare verso quegli orizzonti.»
«Dovremmo, ma non ora.» pronunciò Bennor dall’altra parte della sala. «Questioni più importanti attecchiscono in questo regno: questioni che riguardano l’orgoglio di sua signoria Wargrave e la possanza della sua nobilissima casata. Egli non ha partecipato al torneo di Roshby… se ne è tenuto fuori per le sue giuste ragioni, e fuori continuerà a tenersene finché non avrà deciso di fare altrimenti.»
«Potrò darvi delle dritte» ribatté ser Dalwar. «E non vi sto proponendo di passare adesso all’attacco.»
Patres Steffon tirò un lungo sospiro e guardò a lungo Bartimore, il quale fece un piccolo cenno col capo. “Va’ fatto” si disse. “Va’ fatto per il bene che ci vogliamo l’un l’altro.”
«Accetteremo solo se sapremo di essere ben più che liberi prima dell’arrivo di Roscart Wagrave. E solo se ci giurerete che la vostra parola è sacra; conclusosi il conflitto con la Signora dei Merletti, noi saremo liberi di andare via da qui e di lasciarci ogni giuramento alle spalle. Lontani per sempre da casa Wargrave.»
Ser Dalwar e ser Walifer sguainarono simultaneamente le loro spade, mentre ser Henry Ventrefloscio si appiattò accanto ad una colonna, un nuovo scudo tondo tra le mani, l’aria circospetta e per niente convinta, quasi indignata dalla piega che l’udienza aveva assunto.
«Avete la nostra parola.»
Ma non ancora quella del castellano”. «Allora». Questa volta fu Bartimore a parlare, giratosi nuovamente verso il palchetto reale. «Mio signore Bennor, accettate queste condizioni?»
«Anche il figlioletto di Kordrum ha la sua lingua, allora. Molto bene… stavo iniziando a pensare che ti fosse stata strappata via dalla bocca, laggiù, nelle segrete. Non me ne sarei meravigliato.»
Steffon ripeté la domanda: «L’accordo è il seguente: il chiavistello a voi, mio signore, per la libertà e per le corrette assistenze mediche di cui necessitiamo. In cambio della liberazione, saremo al vostro servizio fino a che ne avrete l’effettivo bisogno, e per voi ci batteremo. Col sangue e col terrore, se necessario. Allora, castellano, siete disposto ad accettare tali condizioni?»
Bennor si ritrasse sullo scranno e posò comodamente la schiena sull’immenso sole di legno che svettava alle sue spalle. Vi fu un lungo lasso di tempo in cui tutta la sala rimase totalmente in silenzio, gli intimoriti e i meravigliati in una condizione di impassibilità statuaria.
Alla fine Bennor Falso Esperto pronunziò una parola. Una sola e con un’unica emissione di fiato.



♣ Angolo d'autore ♣
Nonostante il mancato aggiornamento del giorno scorso, sono riuscito a rifarmi oggi. Essendo appena tornato da una vacanza - per la quale ho potuto solo pubblicare - a poco a poco riprenderò come di consueto a rispondere alle vostre recensioni.
Questo un capitolo fondamentale per lo snodo degli eventi, ritengo. Finalmente assistiamo all'acceso dialogo di confronto tra Steffon - il che significa quantità di informazioni carpite - e Bennor - ossia l'oggetto verso cui riversarle. Che ve ne è parso dei due? Cosa pensate di Steffon e del suo modo di gestire il tutto? E cosa del castellano? 
Cosa mi dite del risvolto che il tutto ha ottenuto? Pensate che i nostri siano riusciti ad ottenere libertà? Se sì, vi è parso un prezzo adeguato quello che hanno dovuto pagare? 

Sono curioso di sapere cosa ne pensate del tutto, compresi i personaggi che hanno attivamente prodotto questi eventi. Vi aspettavate un esito diverso? Che ne sarà dei nostri?
Grazie a tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono. Presto - molto presto, direi - vi ringrazierò uno ad uno nelle risposte. Un abbraccio e al prossimo aggiornamento - che forse sarà spostato d'ora in poi al lunedì. 
Makil_
   
 
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