Ultimo
giorno
Jakob
le aveva detto ‘Resta con me’, per paura che
scappasse via, mentre lei non
aveva nessunissima intenzione di andarsene, anzi, Wolfrun si sentiva
stanchissima e accolse con piacere l’invito.
Si
sdraiò su un fianco e lui si avvicinò a baciarle
il collo da dietro. Tirò la
coperta su di loro in modo che li coprisse del tutto e le cinse la vita
prima
di addormentarsi.
***
Jakob
si svegliò con una sensazione diversa addosso. Quando
aprì gli occhi sapeva già
cosa aspettarsi. Il suo braccio stringeva il corpo di Wolfrun e lei era
morbida
e calda contro il suo petto.
Sarebbe
rimasto lì per sempre. Ma doveva alzarsi. Cercò
di non svegliarla mentre si
spostava per tirarsi su dal letto.
Ma
Wolfrun aveva il sonno leggero, allenato da anni di Tegel e di sensi
sempre
all’erta e si voltò verso di lui mentre scivolava
in fondo al letto.
“Dove
vai?” chiese.
“In
bagno. Torno. Non andartene” rispose Jakob e lei
annuì, più rilassata.
“Vuoi
che ti aiuti?” si offrì, ma Jakob scosse la testa
e fece un sorrisino stupido.
“Già
non riesci a stare senza di me?” scherzò,
divertito.
“Cretino,
pensavo che avessi bisogno di aiuto” sbuffò lei.
Il
ragazzo, che era seduto sul bordo del letto le indicò due
stampelle appoggiate
al muro.
“Castoro
me le ha portate prima di cena. Le hanno trovate nella palestra dietro
a
Gropius” spiegò.
Wolfrun
annuì e lo guardò attraversare la stanza con
l’aiuto delle stampelle. Si era
vestito. Beh aveva i pantaloni della tuta. Ma non aveva messo la
maglietta. Per
quanto fosse bello da vedere… “Aspetta”
lo chiamò.
Si
sedette, afferrò la sua maglietta e si alzò per
andare verso di lui. Gli infilò
la maglietta dalla testa e lui infilò le braccia
alternandole alle stampelle
sbuffando, ma divertito.
“C’è
Britta, qui da qualche parte. Non voglio che…”
iniziò la ragazza: non riuscì a
dirgli che non voleva che la bionda lo vedesse mezzo nudo.
Era…
Gelosa? Ma no. Assolutamente no. Era una questione di…
decoro. Sì, ecco:
decoro.
Ma
Jakob sorrise sornione. Le passò una mano dietro la schiena
e se l’avvicinò.
Quando fu vicino le sussurrò all’orecchio:
“E tu lo sai di essere nuda?”
Lei
trasalì. No, non se n’era resa conto.
“Sei
bellissima” le disse ancora guardandola arrossire. Jakob era
contento che per
lei fossero tutte cose nuove. Il suo imbarazzo gli scaldava il petto
come
neanche il sole di Lemnos faceva. Lei si divincolò dal suo
abbraccio e si
rifugiò nel letto senza dire niente.
Sospirò
e si diresse in bagno.
***
“Potevi
farti accompagnare da Louis” disse Wolfrun e Britta
alzò una spalla.
Andava
bene così. Lei e Louis avevano passato la notte sul divano,
a baciarsi,
raccontarsi e svelarsi reciprocamente. Non voleva correre. E sembrava
che a lui
stesse bene.
“E
te?” le chiese invece.
Che
Wolfrun fosse diversa, quella mattina, si vedeva. Sembrava in un mondo
tutto
suo. C’erano momenti in cui sorrideva e poi, quando si
accorgeva che la
guardava, smetteva subito. Come se fosse stato un reato. Anzi no. Un
reato lo
avrebbe commesso tranquillamente, senza preoccuparsi di nessuno.
Sembrava che
non volesse mostrarsi… felice. Possibile?
“Io
cosa?” chiese, con finta noncuranza.
Cercò
di rimanere impassibile, ma non ci riuscì. Britta le leggeva
tutto in faccia.
“Non
mi dici niente di stanotte?”
“E
cosa dovrei dirti?” domandò e quando
spalancò gli occhi, la bionda capì che
faceva sul serio.
“Come
cosa dovresti dirmi? Dai, hai una faccia che non avresti avuto neanche
se
avessi vinto la battaglia di Natale! Devi raccontarmi tutto!”
cinguettò Britta.
Ora
Wolfrun spalancò anche la bocca. “Assolutamente
no!” esclamò, inorridita. La
bionda rise.
“Dai!
Com’è stato?” chiese ancora. Wolfrun
sbuffò e si infilò le mani nelle tasche
dei Jeans.
“Ma
non hai detto che non ti piacevano le domande?”
brontolò la mora.
“Quando
le fanno a me. Non mi dici neanche se sei contenta o no? È
andato tutto bene?
Ti è piac…” continuò il suo
interrogatorio.
“Oh!
Smettila. È andato tutto bene, ok? È mi
è piaciuto. Sì. E Tanto. E non
chiedermi nient’altro. Tanto è tutto
qui!”
Britta
rise quando vide che le sue guance erano diventate rosse. Tutto qui?
Rise
ancora. “Va bene” cedette.
Wolfrun
sbuffò ancora. Ma cosa voleva da lei? Quando vide la casa
dei bambini sospirò
sollevata. Lanciò un’occhiata di sottecchi alla
bionda, ma lei sorrideva.
Aveva
capito che loro non avevano fatto l’amore, perché
quando era andata in cucina a
cercare qualcosa da mangiare per banchettare con Jakob durante la
notte, li
aveva visti addormentati sul divano, insieme ma vestiti. Forse lei
voleva
andarci con i piedi di piombo. Sembrava contenta e felice. Dorothea
avrebbe
detto ‘cammina a un metro da
terra’.
Sorrise
al pensiero di sua sorella. Come avrebbe voluto confidarsi con lei, in
quel
momento! Raccontarle di Jakob, di come era stato…
fantastico. Si poteva dire
fantastico? Cavolo, non era sicura. Oh, Dorothea, mi sento
così leggera… E
spero vivamente di non aver fatto una stupidaggine.
Vide
chiaramente sua sorella, seduta nel bar dove prendevano la cioccolata
calda,
sorriderle e dirle che andava tutto bene. Si morse il labbro.
A te
l’avrei raccontato. Giuro, Dorothea. L’avrei fatto.
Anneke
aspettava sulla porta. Wolfrun stava arrivando con Britta. Le guardava
avvicinarsi. Si sentiva agitata. Spostò il peso prima su un
piede e poi
sull’altro e poi ancora sul primo. Quando non
riuscì più a stare ferma, perché
Wolfrun era ormai vicina all’entrata, iniziò a
saltellare. Poi batté anche le
mani.
Quando
Wolfrun e Britta entrarono in casa dovette fare uno sforzo immane per
non
saltarle addosso. Così aspettò. Ma quando lei non
si incamminò lungo il
corridoio, le andò incontro.
“Wolfrun!”
gridò. La ragazza le sorrise e si avvicinò.
“Ciao,
Anneke. Ti sei già alzata?” le chiese e si
chinò per essere alla sua altezza e
le fece una carezza sulla guancia. Come? Come?
“Non
mi dici niente, Wolfrun?” le domandò, nervosa. La
ragazza la guardò con la
fronte corrugata.
“Sì,
sì, sei stata brava. Andiamo a fare colazione?”
propose.
No.
No. No. Per la prima volta, Wolfrun si era scordata del suo compleanno!
***
“… E
poi ha detto che ci avrebbe pensato. Sono stata brava, Vero? Sono
abbastanza
sicura che dirà di sì. Anche perché
deve dire di sì. Giusto? È la cosa
migliore, vero? Anche se so che mi mancherà come
l’aria, è la cosa migliore…”
Christa continuò il suo monologo, incurante del fatto che
nessuno le
rispondesse per paura che continuasse a lungo.
Wolfrun
non le aveva mai sentito dire tante cose tutte insieme. Di solito
parlava solo
se necessario e non a vanvera. Fra l’altro Wolfrun apprezzava
tantissimo quella
qualità.
Quel
giorno, invece, Christa non stava zitta per più di cinque
minuti e aveva
iniziato a parlare da almeno un quarto d’ora. Britta
riuscì a darle un compito
che richiedesse la sua presenza fuori dalla cucina dei campi e quando
la bionda
uscì, si sentì un respiro di sollievo collettivo.
Britta
le si avvicinò. “Ma non avevi già
convinto tu Nora a pensare all’America?” le
chiese. Alzò una spalla. Che differenza faceva? E poi le
aveva solo detto di
pensarci. “Non lo hai detto a Christa.
Perché?” Come?
“Dovevo?”
chiese. La bionda la guardò aggrottando la fronte.
“Non c’era bisogno. Va bene
così” disse.
Britta
le lanciò un’altra occhiata curiosa e poi si
allontanò per fare altro.
***
Il
pranzo fu particolarmente caotico, ma lo era sempre, così
non ci fece troppo
caso nessuno. Wolfrun continuò a guardare di sottecchi
Anneke: era così triste,
poverina.
Jakob,
accanto a lei, seguì il suo sguardo e le coprì
una mano con la sua, in un gesto
così intimo e discreto che Wolfrun si sentì
emozionata. Lui si avvicinò al suo
orecchio per farsi sentire solo da lei: “Non
preoccuparti”.
Annuì
arrossendo. Non c’era niente di diverso, visto da fuori. Ma
lei si sentiva
diversa: si sentiva bene.
Quando
Nora arrivò con una torta grande quanto uno dei tavoli della
cucina, tutti i
bambini rimasero sbalorditi. Poi Jakob iniziò a cantare
‘Tanti auguri’
per Anneke e tutti gli altri si unirono al coro.
Anneke
aprì la bocca, incapace di parlare e anche di pensare, nel
vedere quella
bellissima torta. Sembrava una delle torte di Eleni, solo molto, molto
più
grande. Si portò le manine alla bocca quando Jakob
iniziò a cantare per lei e
sorrise quando anche tutti gli altri cantarono.
Vide
Wolfrun alzarsi dal suo posto con uno dei suoi sorrisi, quelli che
faceva solo
a lei. Quando Nora riuscì ad appoggiare la torta, accese
l’unica candelina che
c’era e le disse di esprimere un desiderio. Un desiderio?
Cosa poteva
esprimere? Un desiderio… un desiderio! Chiuse gli occhi e
soffiò.
Tutti
batterono le mani. Ulrike si avvicinò e le regalò
una lunga collana fatta di
pietruzze brillanti bucate e pezzi di legno. Era bellissima.
“Come
sapevi del mio compleanno?” le chiese, agitata ma contenta.
“Glielo
ha detto Jakob” disse una voce alle sue spalle. Anneke si
voltò per guardare
Wolfrun.
“Non
ti eri scordata!” esclamò e Wolfrun sorrise
ancora.
“No,
piccola. Non mi scorderò mai di te. Tanti auguri”
le disse, porgendole un
regalo e la bambina le si gettò addosso e le
circondò il collo con le braccia.
I
bambini stavano mangiando la torta. Nora e il Maggiore avevano
sfruttato la
cucina dell’accampamento perché aveva un forno
più grande del loro ed erano
riusciti a fare un ottimo lavoro, pensò Wolfrun assaggiando
la torta: era
buonissima. Nora era in gamba. Cercò il suo sguardo fra la
folla e le fece un
cenno di apprezzamento. La ragazza si avvicinò.
“Non
avevamo mai festeggiato un compleanno così” disse,
sedendosi accanto a lei.
“Jakob
deve essere stato convincente, eh?”
Sapeva
che era stato lui a insistere per la torta.
“Già.
Ma ha fatto bene. I bambini sono contentissimi” disse Nora.
Wolfrun
annuì ancora, osservando i bambini. Beh, ormai i
più piccoli erano Anneke e
Theo, se non si considerava Abel. E non erano neanche tanto piccoli.
Presto
sarebbero stati ragazzi. E poi adulti. E non avrebbero vissuto con la
paura di
non diventarlo. Raccolse delle briciole dal tovagliolo e se le
portò alla
bocca.
“È
buonissima, questa torta. Complimenti” disse.
“L’ho
fatta insieme a William” ammise Nora. Wolfrun
annuì con il capo e basta. Lo
sapeva. Ma non disse nient’altro. “A
proposito…”
Nora
frugò dentro una delle tasche chiuse con i bottoni,
l’aprì e poi tirò fuori un
anello giallo con una pietra bianca in cima. Doveva essere
l’anello di
fidanzamento. Sorrise.
Nora
si infilò l’anello sorridendo.
“Appartiene alla nonna di William…”
Sentì
le guance arrossarsi mentre lo spiegava a Wolfrun.
“Ora
è tuo” disse la mora e la guardò con un
sorriso. Quella ragazza sorrideva? Oh.
OH.
“Sì.
Ora è mio” ammise, annuendo.
“Hai
detto di sì, quindi?” le domandò
Wolfrun.
Annuì
ancora, incapace di parlare. Si sentiva prendere
dall’emozione. Dalla paura,
dalla speranza, dalla voglia di crederci davvero.
“Complimenti,
allora” disse e, come aveva fatto lei quando era arrivata,
Wolfrun l’abbracciò.
“Non ci vorrebbe un brindisi?”
“Penso
ci sia solo acqua. O forse la birra” disse Nora adocchiando
il tavolo quasi del
tutto sparecchiato.
“La
birra sarebbe meglio” disse Wolfrun.
***
Jakob
vide Wolfrun sotto un albero parlare con Nina. Nina? Nina che parlava
con
qualcuno? Cercò di prestare attenzione, ma Anneke gli corse
incontro e tentò di
arrampicarsi su di lui.
“Hai
visto la mia bambola nuova?” gli chiese la bambina.
Jakob
annuì. Wolfrun aveva cucito una bambola di stoffa
grandissima per Anneke a
Lemnos. Non sapeva dove fosse riuscita a nasconderla durante il
viaggio.
“Quanto
ci mette un desiderio ad avverarsi, Jakob?”
domandò ancora la piccola, seria.
Come?
Oh…
“Ogni
desiderio è diverso. A volte si avvera in fretta, a volte ci
mette di più…”
Anneke
lo guardò confusa. “E come faccio a sapere se
questa volta ci metterà di più?” chiese
ancora.
“Dipende
da quanto lo desideri, oppure, dipende da quanto è giusto.
Al mio quindicesimo
compleanno ho espresso un desiderio, ma ci ha messo tre anni ad
avverarsi,
perché era un desiderio confuso”
spiegò. Ed era convinto che non si sarebbe mai
avverato.
La
faccia di Anneke ora era impagabile.
“Tre
anni?” domandò, allibita. Per i bambini gli anni
erano un’infinità di tempo.
“Sì.
Si è avverato ieri” disse, sorrise della sua buffa
espressione e continuò:
“Dai, non preoccuparti, vedrai che presto
succederà…” Lei annuì e
corse via.
“Che
desiderio avevi espresso, Jakob?”
Jakob
si voltò verso Wolfrun che lo guardava con
curiosità, dopo aver ascoltato la
conversazione.
“Io
lo so, il desiderio di Jakob” disse una voce alle loro
spalle, Wolfrun si
spostò e tutti e due guardarono Nina. “Jakob
voleva fare l’amore prima di
morire”.
Nina
guardò per terra. Poi prese il suo libro e giocò
con la copertina.
Jakob
strabuzzo gli occhi, imbarazzato e confuso. Come faceva a saperlo? Non
poteva
averglielo detto Bernd. No, lui non lo avrebbe fatto. E lui lo aveva
detto solo
a Bernd.
“Deve
averci messo tanto perché non l’hai espresso
mentre soffiavi sulla candela” spiegò.
Nina alzò lo sguardo una volta sola, poi tornò a
guardare il libro.
“Come
fai a sapere…” iniziò Jakob.
Wolfrun
salutò Nina e prese per un braccio Jakob allontanandolo da
lì.
“Vieni
via” sussurrò. Lui fece un po’ fatica
per via delle stampelle ma riuscì ad
allontanarlo da Nina.
“Come?
Perché siamo venuti via?” chiese.
“Stavi
per farle una brutta domanda” spiegò lei,
guardando indietro: per fortuna Nina
si era rimessa a leggere.
Lui
sembrava confuso.
“Non
è vero. Io mi ricordo perfettamente di averne parlato con
Bernd. Solo con lui.
Quindi non so proprio come faccia lei a saperlo. Perché non
potevo
chiederglielo?”
“Perché
quella ragazza mi ha appena detto che spesso la gente non si accorge di
averla
intorno. Fin da quando è piccola sente persone dire cose
brutte su di lei senza
che si accorgano che lei è lì”
spiegò e sospirò alla faccia di lui,
così
continuò: “Non volevo che pensasse che neanche tu
la vedi. Ti considera un
fratello”.
Vide
chiaramente il viso di Jakob distendersi e preoccuparsi allo stesso
tempo. Poi
sorrise.
“Ok,
cercherò di stare attento a quello che dico” disse
il ragazzo. Perfetto.
“Bravo.
E potevi anche evitare di dire quella stupidaggine ad Anneke.
Crederà che ci
voglia tantissimo tempo prima che si avveri il suo desiderio”
disse, ma pensò:
‘Che poi lei ti crede. E poi ti credo anch’io.’
Gli
diede uno scappellotto.
Ehi!
Ma quale stupidaggine? Aveva solo detto la verità.
“Ho detto la verità” disse
infatti.
Lei
si voltò verso di lui. Lo guardò da sotto e
alzò un sopracciglio con
un’espressione così seria che ne ebbe quasi paura.
Poi
lei cambiò: non divenne Wolfrun la pazza che aveva invaso
Berlino, ma Jakob
vide la stessa Wolfrun che realizzava di poter perdere Anneke per colpa
di
Andreas.
Fece
un passo verso di lei. Voleva abbracciarla per farle sparire
quell’emozione
dall’animo, ma lei fece un passo indietro.
“Ho
sentito dire una cosa diversa, da almeno due ragazze, a Lemnos. Non
dire stronzate,
Jakob, non a Annake e non a me” disse con un tono durissimo.
Ehi, ehi, calma.
Wolfrun
si stava innervosendo. Jakob pensava che fosse una stupida? Raccontare
quella
cosa che per fare l’amore aveva aspettato tre anni. Poteva
ingannare Anneke e
Nina, ma di sicuro non lei! Sapeva quello che dicevano le ragazze. E se
anche
una poteva aver mentito, di sicuro non tutte. Quindi, che non la
trattasse da
stupida, perché sarebbe stata l’ultima cosa che
avrebbe fatto!
“Non
era la tua prima volta” lo accusò.
“No.
Ma ho fatto l’amore solo con te”
continuò lui.
Un
film. Sembrava un film. Un brutto film. O uno di quei romanzi melensi
che
leggeva Dorothea da ragazzina.
“Non
sarò Christa, ma non sono neanche una ragazza
dell’isola. Non prendermi in giro”
Non me lo merito. Non
riuscì a dirlo,
così lo pensò.
“Cosa
vuol dire che non sei Christa? E le ragazze…?”
disse. Lui sembrava confuso. No,
ottuso. Era ottuso.
“Che
non hai il diritto di prenderti gioco di me. Anche se non
sei…”
Dovette
fermarsi perché non riuscì a pronunciare
nessun’altra parola. Guardò da
un’altra parte.
Jakob
colmò la distanza fra di loro con tre passi. No. Lo
pensò e basta. Aveva ancora
quelle maledette stampelle.
“Non
ti prendo in giro. Non mi interessa di nessun’altra.
Né di Christa, né delle
altre. Io volevo solo…” iniziò a
spiegarsi, ma si interruppe quando Lei alzò lo
sguardo e Jakob vide che aveva gli occhi lucidi. Merda. No. No.
“Ci
vediamo dopo, Jakob” mormorò e scappò
via. Dannazione! Lanciò una delle
stampelle e questa cadde lontano da lui.
“Adesso
come fai ad andarla a prendere?” Si girò: Nina era
di nuovo lì, con il suo
libro.
Sospirò.
Non adesso, Nina.
***
Wolfrun
aveva girovagato per un’ora. Poi era tornata verso Gropius.
Per forza, non
sapeva dove altro andare. Pensò così di fare una
piccola deviazione e di andare
nel posto dove tenevano i cavalli.
Entrò
in quella costruzione che avevano adibito a stalla e si
guardò intorno: c’erano
tre cavalli. Un ragazzino che riempiva un secchio d’acqua e
spostava quella che
sembrava paglia. Dove aveva preso la paglia?
“Ciao”
lo salutò ad alta voce, entrando. Lui si spaventò
e fece cadere la pala. Si
chinò a raccoglierla. Lo guardò meglio: lo
conosceva.
“Ciao”
disse lui.
“Sei il
ragazzo che abita con Timo?” gli chiese e lui
annuì. Aveva un nome strano. Non
riusciva a ricordarselo. “Non mi ricordo il tuo
nome…” disse, un po’ a disagio.
“Verme.
Io sono Verme” spiegò il ragazzino.
Com’è che si chiamava? Decise di non dire
niente. Lui la guardò ancora.
“Io
so chi sei” le disse lui, dopo un po’.
Oh,
bene. Un altro, un altro che si ricordava di lei. Sì, era
lei. La pazza, la
fuori di testa. Valutò l’idea di andarsene e
guardò verso il portone d’uscita. “Sei
la padrona di Ziggy” esclamò e Wolfrun si
voltò di scatto verso di lui. Gli era
già simpatico.
“Lo
ero” precisò. Si avvicinò a Ziggy, e
lui la riconobbe, strusciando il muso
contro la sua mano. “Mi ha riconosciuto!”
esclamò, sorpresa. Il ragazzino si
avvicinò e fece una carezza al cavallo anche lui.
“Sono
animali molto intelligenti” spiegò, guardando
l’animale. Annuì senza voltarsi a
guardarlo. “Tieni, dagli questa” le disse.
Prese
una piccola mela da uno dei secchi e la tagliò a
metà con un coltello che aveva
in tasca, prima di allungargliela. Lei la prese e
l’avvicinò al cavallo, che la
mangiò. Rise come una bambina. Sembrava Anneke. Ma non
smise. Non si vergognò.
Si
voltò verso Verme e lui disse: “Pensavo venissi
prima. Domani torna il Pegaso,
no?” Wolfrun annuì.
“Sì.
Hai ragione. Avevo… paura che non si ricordasse di
me…” disse accarezzando il
cavallo. Verme si avvicinò e le diede l’altra
metà della mela.
“Brutto
venire rifiutati, eh?” disse, senza aspettarsi risposta. La
ragazza si voltò di
nuovo verso di lui e gli sorrise tristemente come se avessero un
segreto in
comune. “Già.”
“Ti
ho trovata” disse una voce sulla porta.
Jakob
avanzò verso Wolfrun insieme alle stampelle. Lui era dalla
parte dell’unica
uscita. Ora non poteva scappare. Non senza passargli sopra. Non fu
sicurissimo
che lei non l’avrebbe fatto, comunque. Ma avanzò
ancora. Guardò Verme e lui lo
salutò con un cenno della testa.
“Dobbiamo
parlare” le disse quando le fu vicino. Lei accarezzava ancora
Ziggy.
“Io…
devo fare una cosa urgente… ” disse il ragazzino
prima di sparire dalla porta.
Non
avrebbe potuto fare scelta migliore. Jakob lo ringraziò
mentalmente.
Wolfrun
sapeva che non aveva senso scappare ancora. Così non lo
fece. Continuò ad
accarezzare il cavallo e gli parlò dolcemente, prima di
salutare Verme che
usciva.
“Sei
scappata via…” iniziò Jakob.
La
ragazza si girò verso Jakob e disse: “Hai ragione.
Non avrei dovuto”.
Oh.
Non si era aspettato una resa così facile.
Immaginò che in verità non lo fosse.
Annuì.
“Sono
fatti tuoi, quello che hai fatto. Noi… io… non
avrei dovuto dirti quelle cose…”
parlò ancora, ma Jakob capì che lei si stava
sforzando perché continuava a
mordersi un labbro per il nervosismo. Apprezzò tantissimo
che non fosse
scappata.
Camminò
verso di lei e disse: “Chi sei e cosa ne hai fatto della mia Wolfrun?”
Lei
rise. Rise davvero. Il suono più bello del mondo.
Riuscì ad avvicinarsi
abbastanza da poterla cingere con le braccia. Lasciò andare
le stampelle e lo
fece davvero. Lei non scappò e non oppose resistenza, anzi
gli posò le mani
sulla schiena.
“Potrai
chiedermi quello che vuoi. Ti risponderò con
sincerità. E mi piacerebbe che lo
facessi anche tu” le propose e lei annuì, ma non
disse niente. “Vuoi che parta
da Christa?” Lei annuì ancora. “Ma solo
questa volta, ok? Poi non ne parliamo
più. Ho baciato Christa. Mi piaceva tantissimo. Ma lei non
mi ha voluto. È
stato brutto, soprattutto quando ho capito che le piaceva Timo e che
lei
piaceva a lui. Come diceva Verme, è brutto venire
rifiutati…”
Lei
lo guardò negli occhi, ancora senza parlare.
“Pensavo
che non mi passasse più. Te lo giuro. Sono stato male.
Però c’erano altre cose:
il virus, il tradimento di Andreas, il rapimento di Anneke, il ritorno
di mio
padre. Tutto era successo in poco tempo e tutto insieme.
E
poi, improvvisamente, non c’era più niente. Niente
di così importante: c’era il
vaccino che aveva sconfitto il virus, Andreas era morto, tu e Anneke
salve,
Eleni e mio padre insieme e Lemnos. Ho pensato di ricominciare. Sono
stato un
vigliacco, ho preferito non vedere. Non vedere Christa che iniziava la
sua
storia con Timo. Non vedere gli altri. Non sopportavo l’idea
di vederli tutti
felici. Così ho preferito vivere a Lemnos, quando mio padre
mi ha fatto
scegliere. Sarà stato per il motivo sbagliato, ma non mi
sono pentito. Mi piace
l’isola, mi piace vivere lì. Ma non riuscivo a non
pensare a loro. Perché,
secondo te, tornavo sempre qui? Mi sentivo in colpa, io me
n’ero andato. Io
avevo un padre, io avevo ricominciato…”
Le
fece cenno di non dire niente quando lei tentò di
interromperlo e continuò: “Ho
smesso di pensare a Christa. E le ragazze
sull’isola… Beh, sono state… unguento
sulle mie ferite. Ero stato rifiutato ma altre mi volevano. Sembrava
semplice,
avevo ricominciato, appunto”.
“E
adesso? Non… ti piace più?” Wolfrun non
riuscì a non chiederlo.
“In
questi anni, ogni volta che scendevo dal Pegaso, mi facevo questa
domanda, sai? Ci rimarrò male?
Sarò divorato dalla
gelosia? Guarderò Timo con odio desiderando di essere al suo
posto? Ma ogni
volta era sempre meno importante, per me, finché non siamo
scesi dal Pegaso una
settimana fa: abbiamo visto Christa con Timo. E con Abel,
ricordi?”
Lei
annuì, se li ricordava, eccome se se lo ricordava,
aspettò la sua risposta
trattenendo il respiro.
“Ho
avuto paura. Paura di rimanerci male, almeno come l’ultima
volta. Ma non è successo…”
ammise. Bene. Wolfrun si rilassò finché lui non
disse: “Ma sono stato male. Ho
provato tutte quelle cose che ti dicevo, prima di venire qui”.
Come?
Era stato geloso? Quando? E perché? Lui non disse niente,
così si obbligò a
domandare: “E quando è successo?”
chiedere ‘per chi’ fosse successo, la rendeva
nervosa, così non lo chiese.
“Due
settimane fa, quando te ne sei andata con Georgos. Ho avuto paura che
non
tornassi più da me” spiegò. Wolfrun
sentì il calore invaderle il viso e capì di
stare arrossendo.
Si
morse ancora il labbro, ma non riuscì a trattenere un
sorriso compiaciuto.
Jakob era stato geloso di lei. Voleva dire che pensava a lei e ci
teneva. Era…
bello. Sì, era una cosa fantastica.
Jakob
le passò il dorso delle nocche sulla guancia e le sorrise.
“Christa
non è male…” ammise lei.
“Non
dirò la stessa cosa di Georgos!”
esclamò lui e risero tutte e due. “Sai che Christa
è incinta?” le chiese dopo poco.
“Sì.
Lo so.”
Non
gli raccontò del resto e Jakob continuò:
“Me l’ha raccontato perché non voleva
che lo sapessi da altri. Mi è sembrato… carino?
Sì, mi è sembrata una cosa
bella che stesse succedendo a una mia amica”
“E
cosa le hai detto?” Wolfrun non riusciva a non chiedere.
D’altronde se aveva
solo quella volta per chiedere… tanto valeva sapere tutto.
“La
verità. Che ero contento per loro. Ma…”
“Ma?”
chiese lei, un po’ titubante. Possibile che sotto
sotto…
“Cavolo,
Wolfrun, ti ricordi? Quando è nata Clara non abbiamo dormito
per più di quattro
ore finché non ha compiuto un anno!”
Wolfrun
rise. Aveva pensato quello?
“Quindi
non ti dà fastidio?”
“Se
tengono il bambino di notte a casa loro, no” rispose Jakob,
sorridendo.
“Ora
devi essere sincera tu” le disse, dopo un po’.
Jakob
sapeva che lo sarebbe stata: si fidava.
“Ok. Chiedi”
rispose lei. Jakob le sentì vibrare le mani contro la sua
schiena.
“Perché
hai paura di me?” chiese.
“Non
ho paura di te!” esclamò lei, stupita.
“Abbiamo
detto che dovevi essere sincera!”
Lei
indietreggiò senza staccarsi da lui.
“Sono
sincera. Non ho paura di te. Ho paura di quello che puoi fare a me.
Perderei me
stessa, se mi fidassi di te e tu mi tradissi”. Gli fece cenno
di stare zitto
quando tentò di interromperla.
“Ricordi… la storia dell’abbandono?
Avevi
ragione. Ho paura di essere abbandonata dalle persone a cui voglio
bene” ammise.
Jakob
sapeva quanto le era costato dirlo.
“È
una cosa che possiamo superare insieme. Ma devi fidarti di me. O non
funzionerà. E non andremo da nessuna parte. Tanto vale dirlo
subito” disse con
sincerità e alzò una spalla.
Lei
indietreggiò ancora e si staccò da lui di almeno
due passi. Cosa stava facendo?
Aveva deciso di non provarci neanche? Voleva andarsene? “Cosa
fai?” le chiese,
allargando gli occhi.
“La
prova di fiducia a modo tuo” rispose, si girò e si
lasciò andare verso di lui.
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