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Autore: T612    06/09/2019    2 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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PRIMA PARTE - CAPITOLO VIII



 

10 marzo 2018, Casa Stregata, Disneyland Paris

 

James reclina la testa contro il bordo dello schienale della panchina, le gambe distese, il sole caldo che gli scalda il volto e nessuno pensiero minaccioso per la testa.

Felice. Delle montagne russe, di essere lì con Natasha, suo fratello e Sharon… di avere 101 anni sulle spalle e sentirne il peso di una quarantina appena, nonostante la compagna abbia voluto sottolineare la cosa vincendogli al tiro a segno un peluche extra-large di Pongo, che ora giaceva abbandonato ai piedi della panchina in una finta guardia illusoria contro qualunque fonte di disturbo. Peccato che nemmeno un dalmata di peluche poteva far qualcosa contro uno Steve taciturno, che lo fissava già da un paio di minuti con un argomento spinoso pronto a fior di labbra… James lo sentiva nell’aria tesa che si era formata negli ultimi minuti, senza la necessità di vederlo effettivamente con i propri occhi.

-Da quando devo darti io il permesso per rompermi le scatole? -esordisce socchiudendo appena un occhio, puntandolo sul sorriso tirato del fratello.

-Dobbiamo parlare. -replica eludendo la domanda, ed il fatto che abbia scelto quella tempistica perfetta che prevedeva l’assenza delle ragazze –inviate in missione per reperire qualcosa per pranzo–, gli suggeriva a gran voce che l’argomento da chiamare in causa non prometteva assolutamente nulla di buono.

-Di cosa? -ribatte con un vago cenno di titubanza, ha paura di chiederlo ma sa che non può evitarlo.

-Nostra sorella1.

Eccolo. Brutale e lapidario, esattamente l’argomento che almeno per quel giorno avrebbe voluto evitare, nonostante fosse consapevole di non poterlo procrastinare ancora a lungo.

Circa tre settimane prima, la data la conosceva bene ma preferiva illudersi di non aver tenuto conto dei giorni, era successo l’inevitabile… Rebecca1 si era spenta –perché morta era una parola troppo brutta anche solo per pensarla– e a James era mancato il terreno sotto i piedi, forse perché tutte le persone che lo circondavano quotidianamente invecchiavano in modo estremamente lento ed una morte naturale il più delle volte non era nemmeno un’ipotesi contemplata, forse perché lui per primo sarebbe dovuto morire a ventisette anni e contro ogni logica o previsione aveva raggiunto l'impensabile cifra del secolo sulle spalle.

Aveva affittato un albergo a Brooklyn per un paio di giorni per non avere gente intorno ed aveva presenziato al funerale in ultima fila, seguendo il corteo fino al cimitero per poi fuggire prima che i suoi parenti potessero assediarlo come era capitato a Steve al termine della funzione… James forse aveva più diritto di tutti di stare , ma si era sentito terribilmente di troppo, girando i tacchi scappando dal cimitero, sopprimendo la sensazione di star davanti alla tomba del se stesso ventisettenne che aveva abbandonato la sorellina sotto i fuochi delle guerra, ma tornato giusto il tempo di una chiacchierata in una camera d'ospedale finita anch’essa nell’oblio della mente di Rebecca.

Aveva fatto i bagagli ed era salito sul primo taxi raggiungendo l’aeroporto, aveva passato l’intera serata ad aspettare il primo volo di linea diretto a Parigi, sbocconcellando appena un panino per cena… e in tutto questo Natasha, ombra onnipresente e consapevole, aveva assecondato ogni sua più piccola decisione dopo avergli chiesto se la riteneva davvero la scelta più corretta, timorosa per suoi possibili rimpianti postumi che lui aveva giurato di non avere, finendo per fargli da cuscino umano –la prima notte di tante– quando le loro schiene avevano toccato il materasso e James si era addormentato con il capo posato tra l’incavo dei suoi seni. Preferiva non pensare a cosa sarebbe successo se non ci fosse stata Natasha al suo fianco.

-Sei scappato dopo il funerale, il resto dei tuoi parenti avrebbe voluto quantomeno conoscerti… e sono più parenti tuoi che miei, Buck. -riprende Steve appurando la completa assenza di una qualsiasi reazione da parte sua.

-Fidati, stanno meglio se non mi conoscono… -replica sincero, negli ultimi anni aveva sviluppato una sottospecie di orticaria nei confronti dei legami familiari, prefigurandoseli come serpenti malevoli che gli si attorcigliavano lentamente intorno al collo soffocandolo… si fidava di relativamente poche persone e non tutte gli stavano propriamente simpatiche, aveva imparato a proprie spese che ogni legame rappresentava un punto debole. -C’è un motivo in particolare se hai tirato fuori l’argomento? Oppure volevi solo rimarcare la mia poca educazione?

Steve distoglie lo sguardo e ridacchia da solo scuotendo la testa, spingendo James a raddrizzarsi contro la panchina cercando una risposta nello sguardo azzurro cielo del fratello dietro a quella reazione insolita.

-Ti ha citato nel testamento, cretino. Se mi lasciassi finire le frasi magari… ti ho risparmiato l’incombenza di presenziare all’apertura, ma mi sembrava giusto informarti della cosa di persona.

-Ah. 

Ammutolisce di colpo perchè al testamento non ci aveva davvero pensato, chiedendosi il come ci fosse finito dentro, considerato che per buona parte della sua vita Rebecca l’aveva creduto morto ed una sola visita alla casa di riposo non poteva sanare una convinzione vecchia di decenni.

-Eri andato a trovarla3. -riprende Steve dopo pochi secondi dalla durata di secoli, ponendo l’affermazione con tono neutro.

-Solamente una volta… volevo farle sapere che ero vivo, che stavo bene. -cede con qualche attimo di tentennamento a riempire il silenzio, consapevole del fatto che dopotutto non ha nessun altro con cui parlarne. -Dubitavo se ne ricordasse… sai, la malattia e tutto il resto… 

-Le hai presentato Natasha, non è vero? -chiede allora Steve a bruciapelo, facendolo trasalire nel udire quel fulmine a ciel sereno.

-Tu questo non puoi saperlo… te l’ha detto Natalia? -indaga, reprimendo il pensiero che non sempre apprezza quando la compagna e suo fratello parlano di lui alle sue spalle.

-No, ma Rebecca l’ha lasciato scritto, accennava all’idiota indeciso di suo fratello Jimmy e la sua fidanzata definitiva… -si spiega sorridendo di fronte alla sua espressione incredula. -Per citare testualmente, ecco.

-Carino come mi abbia dato dell’idiota anche nel testamento… -mormora incapace di analizzare ed elaborare correttamente l’informazione appena ricevuta, ritrovandosi a sorridere inebetito perchè alla fine Rebecca si era ricordata di lui, sapeva che era vivo e che era felice da qualche parte del mondo. -Cosa mi ha lasciato? Le mie lettere del ‘43? So che non le ha mai buttate via… 

-Ti ha lasciato l’anello di mamma.

James ammutolisce di nuovo… non tanto perché nella sua testa la notizia accendeva all'istante un cartello a neon con la scritta “matrimonio” illuminata ad intermittenza –dopotutto quella era un’ipotesi che gli aveva già sfiorato la mente un paio di volte tra il 1956 e il 2018–, ma perchè Steve aveva appena chiamato Winnifred1 “mamma” ed era una di quelle cose che non faceva mai, nemmeno a quattordici anni quando, dopo la morte di Sarah, vantava un po’ più di diritto di quello attuale nel reclamare propria la sua, di madre… realizzando solo in quel momento di averlo lasciato solo al cimitero, davanti alla tomba di quella che era anche sua sorella, assediato da parenti che desiderava evitare in ugual misura alla propria, forse anche maggiore dato che quei familiari non erano davvero suoi.

-Io faccio solo da tramite… ciò non significa che sei obbligato… -continua imperterrito Steve nel suo discorso, perfettamente inconsapevole –o forse non così tanto– di averlo perso ancora una decina di parole fa, dandogli una tacita conferma tradendosi con lo sguardo che lo prega di concentrarsi sull’argomento “testamento” senza rinvangare nuovamente la discussione “funerale” quando incrocia le sue iridi ghiacciate.

-Non sono obbligato, ma mi ha dato l'incentivo… -interviene James troncando la filippica iniziata da Steve, spintonandolo leggermente con la spalla, ricambiando lo sguardo facendogli intendere che sì, ha capito.

-Bucky, davvero, niente pressioni. -insiste testardo come un mulo, perchè forse tra i due quel discorso voleva essere evitato più da Steve che da lui stesso, forse perché paradossalmente quello con le idee più chiare in testa era proprio James.

-Procrastino da così tanto… volevo sposarla nel ‘56, Steve. -confessa così su due piedi senza rifletterci troppo, beccandosi un’occhiata stralunata in risposta. -Probabilmente sarebbe stata la prima cosa che avrei fatto appena fossimo riusciti a scappare da Mosca…

-Che è successo a Mosca? Successo davvero… non me l’hai mai detto.

-Ci hanno scoperti e poi… tante cose brutte, tutto qui. -lo liquida in malo modo.

-Non è tutto qui. -replica prevedibile facendogli sollevare lo sguardo al cielo.

-È la parte che ti voglio raccontare, fattela bastare. -rimarca brusco con tono definitivo, lasciando cadere il discorso nel silenzio.

-Okay… ma ora convivete già da un po’, cosa stai aspettando? -chiede Steve dopo attimi di studiato silenzio, prestando una cura eccessiva nella scelta delle parole e nel tono di voce.

-Tranquillo, il matrimonio non è uno degli argomenti tabù2. -lo rassicura con un cenno distratto della mano. -Non lo so… in un certo senso l’indefinito è rassicurante.

James lascia precipitare il discorso nel vuoto e Steve non fa nulla per risollevarlo, cadendo con lo sguardo color ghiaccio sulla scatolina di velluto, aprendola ammirando il piccolo brillante incastonato nel solitario, ripensando all’ultima conversazione avuta con Rebecca ritrovandosi a ridacchiare da solo.

Sai, Jimmy è troppo preso dal preoccuparsi per chiunque altro, al punto da dimenticarsi di preoccuparsi per se stesso3.

-Che c’è? -chiede Steve confuso dal suo improvviso sprazzo di ilarità.

-Mi ero beccato una predica indiretta che credo di aver capito solo ora, l’ultima cosa mi ha detto è “io ti lascio in buone mani”... forse avrei dovuto seguire subito quel consiglio, prima che iniziassero gli imprevisti, il processo e tutto il resto. -ammette chiudendo di scatto la scatolina in velluto facendola scomparire nella tasca dei jeans, sollevando lo sguardo sulle ragazze di ritorno con i sacchetti del pranzo tra le mani.

James non aveva mai scoperto la risposta sagace con cui Steve stava per ribattere alla sua considerazione, reagendo d’istinto entrambi comportandosi come se quella conversazione non si fosse mai verificata. Era tornato con la schiena incurvata contro la panchina, gli occhi socchiusi osservando la figura snella di Natasha camminargli incontro mentre gesticolava animatamente con Sharon, probabilmente di quanto erano insopportabili lui ed il fratello a volte. Natasha non ha nulla di speciale –con la treccia scompigliata, le sneakers dalle suole consumate ed il cerchietto con le orecchie da Minnie in testa a tenerle le ciocche ribelli lontane dal volto–, ma quando si volta nella sua direzione e gli sorride di riflesso, la consapevolezza che quel sorriso sia suo fino alla fine dei suoi giorni fa sentire James al settimo cielo. 

La fine dei suoi giorni non è un traguardo niente male, potrebbe seriamente iniziare a pensare di ufficializzare la cosa.

 

***

 

17 agosto 2018, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

-Niente da fare. -afferma Wanda Maximoff chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo secco, la voce esile segnata dallo sforzo appena compiuto e dalla frustrazione latente per non aver avuto successo nel compito affidatole. -Sembra di guardare uno specchio rotto… i ricordi sono lì, ma sono scollegati e l’immagine che ne traspare è…  deformata.

-Non puoi riprovarci? -chiede Steve con fare gentile, una flebile speranza ancora impigliata nelle corde vocali. -Tentare di mettere insieme i pezzi, creare dei ponti… 

-La mente umana è complessa, Cap. -ribatte la ragazzina abbattuta. -Non funziona in modo così semplice, i ponti si possono ricostruire, ma è un processo lento ed interno… io non posso intervenire più del dovuto, rischio solo di fare ancora più danni… e se devo essere sincera, non mi piace soffermarmi troppo a lungo nella mente di Natasha.

-Hai visto Mosca? -indaga Clint mantenendosi sul vago, perchè nonostante la situazione certe informazioni continuando a non essere di completo dominio pubblico.

-Praga4, Odessa, Parigi… soprattutto Mosca, è lì lo snodo principale, ed è anche la parte più confusa e inframmezzata.

-Sono i ricordi su cui hanno messo più volte le mani… -conferma Clint mesto, lasciandosi cadere affranto contro lo schienale di pelle.

-Okay… scartando i poteri telecinetici di Wanda dalle opzioni attuabili, ci restano solo i poteri mistici di Strange prima di dover intervenire chirurgicamente… e in quel caso potrei contattare Shuri, ha già fatto un lavoretto niente male con te, Barnes… o sbaglio5? -annuncia Tony scartabellando la lista olografica sospesa sopra il tavolo, spuntando le possibili soluzioni con una leggera notifica sonora, percependo lo sguardo dell’ingegnere addosso, seguito da uno schioccare di dita particolarmente seccante ad un metro dal suo orecchio. -Terra chiama Barnes, stai dormendo? Gradirei sentire la tua opinione, dato che l’argomento in esame è il cervello della tua fidanzata.

-Non sto dormendo, sto pensando. -replica James scorbutico, aprendo gli occhi riducendoli a due fessure puntate contro Stark, raddrizzandosi contro lo schienale della poltrona su cui era sprofondato nell’ultima mezz’ora.

-E a cosa pensi? -indaga Tony tamburellando contro il vetrino dell’alloggio per nanoparticelle, sopprimendo l’impulso di rispondergli in modo altrettanto burbero, sforzandosi di mantenersi indifferente al suo sguardo temporalesco.

-Penso che dovremmo fermarci qui… smetterla con i tentativi, lasciarla in pace.

-Non lo vuoi sul serio. -replica Steve tempestivo intromettendosi, puntando lo sguardo azzurro cielo su di lui con fare apprensivo.

-Invece credo proprio di sapere cosa voglio. -replica piccato puntando i gomiti sul tavolo. -Natasha ricorda quello che le serve sapere… il KGB, Budapest, l’addestramento allo SHIELD, New York e tutto il resto. Mosca è un po’... confusa, ma lo è sempre stata.

-Mosca è confusa perchè non si ricorda minimamente di te, Bucky. -interviene Clint lapidario, portavoce dello scetticismo comune nel credere che la situazione non lo tocchi minimamente, perfettamente consapevoli che lui stia fingendo che quei risvolti gli vadano bene. -Blackout totale su Mosca e l’ultimo paio d’anni. Blackout su Parigi.

-Lo so, sono cinque giorni che non parlate d’altro. -replica scocciato passandosi una mano sul volto, completamente esausto ed insofferente agli ultimi sviluppi.

C’era un motivo se Natasha non l’aveva riconosciuto al Cimitero, era iniziato come un sospetto fagocitato dalle ferite singolari sul volto della donna, ma ne aveva avuto la conferma il giorno dopo quando l’avevano sottoposta a vari test neurologici… James non esisteva più nella mente di Natasha, era stato troncato di netto dalla sua vita lasciandole solamente un collegamento sbiadito nel suo passato, troppo debole per formare un ricordo vero e proprio o per fare da collante nel guazzabuglio che si era creato nella sua testa. Rodchenko aveva confermato la prognosi comprandosi la grazia dello SHIELD, appurando che Novokov non aveva le competenze adatte per intervenire nella mente di Natasha, resettandola un’ultima volta prima dello scontro ad Arlington sostituendolo nei ricordi della donna quel tanto che bastava per renderla completamente asservita al suo volere… dopotutto voleva un trofeo obbediente, importava relativamente poco il come l’aveva ottenuto. 

Quando l’aveva scoperto, James si era ritrovato a pensare che ad averlo saputo prima avrebbe sicuramente reso la dipartita di Novokov una lenta e prolungata agonia… ma poi aveva ammesso a se stesso che forse era stato meglio così, dominando l’impulso sadico che bramava la vendetta postuma, che l’essere morto crivellato di proiettili soffocando nel proprio sangue poteva considerarsi un destino altrettanto bestiale. L’aveva pensato, ma non ci credeva davvero… e poi quel pensiero era stato presto soppiantato dalla consapevolezza fulminante che tutto l’orrore che Novokov aveva provocato, l’aveva causato perché lui era un bersaglio ed il modo migliore per colpirlo a morte era puntare un mirino su Natasha e fare fuoco, ritrovandosi nei giorni successivi ad arrancare a corto di fiato in un tentativo fallimentare dopo l’altro.

-James… -ritenta Steve nel tentativo di farlo ragionare, forse perchè tra tutti è quello che conosce meglio i suoi pensieri e sa cosa significhi perdere Natasha dalla sua vita.

-Starò bene, Steve… è starà bene anche lei. -conferma convinto a tal punto che per un momento riesce quasi a credere alle proprie parole, fornendo una spiegazione sensata alla propria scelta per contrastare le espressioni contrite e spaesate dei presenti. -Le hanno già incasinato la testa per almeno altre dieci vite, non voglio che le succeda di nuovo solo per causa mia. Le ho procurato sempre e solo guai fin dal primo giorno al Cremlino, ed ho smesso di contare le volte in cui ha rischiato la vita solo per proteggermi… a conti fatti, sta infinitamente meglio senza di me.

La porta che si sbatte alle spalle zittisce il coro di obiezioni levatisi dopo aver proferito la sentenza, deciso nella sua scelta, perché in luce agli ultimi risvolti James non può fare a meno di biasimarsi… l’unico responsabile delle disgrazie di Natasha è sempre stato lui, oggi come allora, e forse quella è davvero la soluzione migliore per entrambi… o almeno, è senza dubbio la soluzione migliore per lei.

James si concede di silenziare la mente guadagnando qualche ultimo secondo di pace illusoria, lasciando pieno controllo all’istinto dettato dai suoi piedi, che tuttavia lo portano esattamente dove non dovrebbe stare… si blocca a ridosso della soglia osservando Natasha che dorme serena oltre la parete di vetro dell’ala medica, tamponando il suo cuore sanguinante imponendosi di non varcare l’entrata, consapevole a priori che se raggiunge il capezzale della donna non riuscirà mai più ad andarsene. 

Si impone di non pensare al solitario rinchiuso in un cassetto a Parigi, all’espressione fiduciosa di Rebecca nel dirgli che lei lo lasciava in buone mani, ingenua e troppo inesperta del loro mondo per credere che quelle stesse mani potessero sottrarsi, mancando la presa lasciandolo precipitare nel vuoto senza alcun tipo di paracadute ad impedirgli di sfracellarsi al suolo.

Lo sguardo gli cade inevitabilmente sul mazzo di rose rosse adagiate sul comodino che le aveva comprato, in una sorta di tacita richiesta unilaterale di perdono… e James si sente incredibilmente stupido nel stare lì come uno stoccafisso, obbligandosi a non fare un passo avanti ed allo stesso tempo incapace di compierne uno indietro, dilatando i secondi all’estremo in un tenue tentativo di rendere meno doloroso un addio che di indolore non ha assolutamente nulla.

Pensava di avere tutto il tempo del mondo, ma evidentemente era solo un povero illuso… consolandosi che almeno lui è l’unico a dover convivere con quella consapevolezza, convincendosene stringendo i denti e tenendo a bada gli occhi lucidi, bloccando le lacrime prima che possano sgorgare rigandogli le guance, causandosi l’ennesima emicrania da favola della giornata.

Sopravviverà… dopotutto dicono che il tempo guarisce tutte le ferite, ma è anche vero che da certe pugnalate non ci si riprende mai.





 

Note:

  1. Rebecca Barnes è la sorella minore di James ed “adottiva” di Steve, dopo la morte di Sarah (la madre di Steve) avvenuta nel 1932, i Barnes (Winnifred e George) l’hanno accolto in casa. Dopo la dipartita dei genitori, i tre sono rimasti insieme fino a quando Bucky e Steve non si sono arruolati. Tutta la storia viene spiegata nello specifico in “Till the end of the line” (Capitolo 11)

  2. Credo abbiate ormai notato che tra James e Natasha ci sono sempre argomenti da evitare, una sorta di legge sacra estesa anche ad amici e parenti, in parte perché sono temi in cui divergono e finirebbero per lanciarsi dietro i coltelli del servizio da un capo all’altro della cucina, in parte perché certi traumi è meglio non rinvangarli mai. Fondamentalmente l’unico argomento tabù noto sono i figli, per ovvie ragioni.

  3. Tutti i riferimenti di tale conversazione si trovano in “Till the end of the line” (Capitolo 20)

  4. Riferimenti velati a Rose (citata anche nello scorso capitolo), la figlia di Natasha, nata morta a Praga più o meno intorno al 1946. Tutta la storia viene raccontata nel ciclo a fumetti “In the name of the Rose”.

  5. In “Till the end of the line” Shuri ha “riordinato” la mente di Bucky permettendogli di riappropriarsi di tutti i ricordi soppressi, rimettendoli in ordine circa cronologico. Un ampliamento del post-credit di “Black Panther” per intenderci.



 

Avvisi dalla regia:

Vi comunico che la prima parte giunge alla sua conclusione (ricalcando il medesimo epilogo scritto da Brubaker, giusto per), quindi ne approfitto per ringraziare di cuore chiunque mi abbia seguito fino a qui… ed ora come ora non vogliatemene (sono perfettamente consapevole del come vi lascio, tranquilli), ma per cause di forza maggiore necessito di una piccola pausa per dedicarmi allo studio, ricaricare le batterie e revisionare/scrivere la seconda parte evitando di contraddirmi con strafalcioni orrendi :’)

A questo punto vi pongo una domanda veloce veloce: mi sono resa conto che nei miei scritti (per questa serie in particolare), faccio continui riferimenti ai sette anni di matrimonio con Alexei, ma non ho mai scritto mezza riga al riguardo… è un retroscena che potrebbe interessarvi? Perchè al momento è solamente un quarto micro-progetto nebuloso a parte, ma potrei impegnarmici seriamente ad articolarlo prima di vedere la trasposizione scelta nell’MCU a maggio.

In ogni caso, richieste e divagazioni a parte, ci tengo a specificare che non mi ritiro alla vita da eremita, anzi, quindi in attesa del ritorno degli aggiornamenti regolari, sentitevi liberissimi di dirmi la vostra opinione su tutto ciò che ho scritto finora, o su qualunque altro argomento con cui desideriate importunarmi intasandomi la casella di posta, come sempre rispondo più che volentieri a chiunque :P

Un bacio,

_T <3

   
 
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