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Autore: WhiteLight Girl    06/09/2019    2 recensioni
Fanfiction Crossover tra le varie serie di Digimon, in questa prima parte Tamers e Frontier, nella prossima Adventure.
Qualcosa si muove nell'acqua, non è un mistero che sia parte del problema, perché quando Izumi esce dall'ascensore l'acqua scorre sul corridoio davanti a lei e fino ai piedi dei suoi amici. Cosa ci fa quell'acqua putrida nell'ascensore del centro commerciale 109 di Shibuya? Da dove viene? Izumi probabilmente lo sa, ma non è in grado di rispondere a questa domanda.
Personaggi: Takato, Ruki (Rika), Henry, Ryo, Zoe (Izumi), Takuya, Koushi, Kouichi, Junpei (JP), Tomoki (Tommy), Guilmon, Renamon, Terriermon, MonoDramon...
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dove porta l’ascensore (P.2)






Le era parso che il mare ingoiasse ogni possibile colore per risputare il suo corrispondente nella scala dei grigi, quasi fosse un film in bianco e nero. Aveva sollevato i palmi delle mani per guardarle e scoperto che probabilmente non era solo l’acqua ad assorbire i colori.

Aveva inspirato forte l’odore del mare, stantio e pesante al punto da pizzicarle le narici e farle storcere il naso, strizzato e sbattuto gli occhi per cancellare quella sensazione. Quando li aveva riaperti aveva scorto un’ombra muoversi in lontananza. Si era voltata verso quella sagoma, sussultando nel vederla sparire dietro un mucchio di scogli con una velocità tale da farle pensare che si fosse trattata solo di un’allucinazione.

«Chi è là?» aveva domandato. Quando non aveva ottenuto risposta era saltata giù dalla banchina, costeggiando il bagnasciuga e tenendosi a distanza dall’acqua quel tanto che bastava perché le onde non la raggiungessero. Solo avvicinandosi era riuscita a distinguere le impronte sulla sabbia bagnata; alcune erano state cancellate oppure si erano sovrapposte ad altre più o meno profonde. Erano orme troppo grandi per essere umane.

Una mano palmata era scivolata sullo scoglio davanti a lei, aggrappandovisi mentre la creatura sporgeva il capo per fissarla con due enormi occhi tristi, il muso schiacciato, umido e spento le aveva ricordato quasi una rana. Izumi le aveva sorriso, tendendo una mano verso di lei e fermandola a mezz’aria per non spaventarla.

«Non aver paura, non voglio farti del male.» aveva detto. Aveva fatto un passo verso di lei e, quando lo aveva visto arretrare, si era fermata e morsa il labbro ritirando la mano e abbandonandola contro il fianco. «Stai tranquillo, sono un’amica.»

Il fragore dell’acqua si era intensificato, allora, e dozzine di altre ombre erano scivolate fuori dagli scogli, emerse dall’oceano schizzando e strisciando sulla sabbia alle sue spalle. Izumi aveva trattenuto un grido, trovandosi circondata, aveva fatto un giro su sé stessa, cercando con lo sguardo un punto attraverso cui passare per poter raggiungere di corsa la stazione.

Aveva stretto i pugni, con il cuore in gola ed il respiro trattenuto mentre loro si avvicinavano chiudendo il cerchio. Quello di loro che aveva seguito era uscita dal suo nascondiglio, scivolata in acqua fino alle caviglie rinsecchita e muovendosi incerta verso di lei. Aveva avuto un andamento ondeggiante, quasi come se le sue gambe non avessero la forza di sostenerla fuori dall’acqua. «Perdonaci.» le aveva detto «Non avremmo voluto spaventarti.»

Si era fermata a pochi passi da lei, forse preoccupata dall’idea che lei potesse correre via. Izumi aveva premuto i palmi sul petto, tentando di rallentare con profondi respiri i battiti del suo cuore in corsa.

«Cosa volete?» gli aveva chiesto, e aveva fatto scattare la testa verso gli altri, il senso d’oppressione che quell’accerchiamento le stava provocando le aveva impedito di mantener ferma la voce. Il modo in cui loro quasi si fondevano con il paesaggio le aveva fatto nascere spontanea un’altra domanda. «Cosa è successo qui?»

«Abbiamo bisogno del tuo aiuto.» era stata la risposta all’unisono al primo quesito. Il secondo era rimasta ignorata.

«Ti prego, aiutaci.» aveva ribadito la creatura davanti a lei, sollevando una mano nella sua supplica.

«Per cosa?» aveva chiesto Izumi.

L’avevano ignorata ancora.

«Ti prego.»

Un coro di suppliche si era levato attorno a lei; voci gorgoglianti, rauche, sommesse e incerte che le avevano ricordato quasi il rumore dell’acqua agitata nel silenzio di una grotta per metà sommersa.

«In che modo?» aveva chiesto Izumi alla fine, con un sospiro. Come ad un segnale, la mano umida della creatura si era stretta attorno al suo polso, mentre altre l’avevano raggiunta e spinta verso di lei.

Ciò che era venuto dopo era stata un’oscurità confusa, il dolore, la sensazione di soffocare e la luce malata dei cristalli nella grotta in cui si era svegliata con Kouichi.



Essere in quella stanza, avvolta nella coperta profumata ed in compagnia di Takuya l’aveva fatta sentire al sicuro almeno per un po’, ma il pensiero che gli altri fossero ancora là fuori la tormentava, così come la consapevolezza che Kouichi si fosse di nuovo risvegliato in quella grotta umida, questa volta da solo. Sperò che fossero riusciti a raggiungerlo, ad intrappolarlo in qualche modo, e di vederlo al più presto per poter smettere di sentirsi in colpa per essere stata salvata per prima.

La luce aveva smesso di darle fastidio, anche perché Takuya aveva lasciato la tendina abbassata in modo che lei potesse riposare, ma ogni volta che chiudeva gli occhi Izumi aveva paura di riaprirli e ritrovarsi ancora nell’oscurità, quindi rimase ostinatamente a fissare la finestra oltre cui il sole scendeva dietro i grattacieli.

Forse, una volta che il giorno avesse definitivamente lasciato il posto alla notte, sarebbe riuscita a guardare fuori ed a vedere la città, ma fino ad allora non le restava che osservare l’impronta di quel poco di luce che riusciva a sopportare.

Il sole era appena sparito oltre il profilo del monte Fuji, quando il dolore la colse allo stomaco costringendola a piegarsi in due. Izumi premette la mano sulla pancia nel tentativo di calmarlo, incapace di fiatare o chiedere aiuto. Le lacrime le riempirono gli occhi, al pensiero di ciò che questo significava, al pensiero di ciò che era successo subito dopo tutte le altre volte che era accaduto.

Combatté finché poté per non perdere il controllo un’altra volta, ma alla fine cedette.

   
 
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