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Autore: Xion92    08/09/2019    2 recensioni
Post-KH3. Kairi è disperata perché non c’è modo di riportare Sora indietro. Ma quando, poco dopo, Ansem il saggio le rivela la verità sul suo passato, per la ragazza si apre una nuova prospettiva di vita.
Cosa significa veramente essere il capo di un mondo e governarlo? Quanti modi ci sono per farlo, e qual è quello più efficace e accettabile al tempo stesso? Quali pericoli, minacce e congiure attendono un principe? Questa è la storia di tre generazioni di sovrani del Radiant Garden, in cui ognuno di loro, a modo proprio, cerca di portare il regno verso la prosperità. Una storia di governo e di politica, fortemente basata su “Il principe” di Machiavelli.
(Il rating è arancione solo per il capitolo 7, tutto il resto dovrebbe mantenersi sul giallo)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kairi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Capitolo 2 – La minaccia più grossa viene dal basso


“A uno principe è necessario avere il populo amico, altrimenti non ha nelle avversità rimedio.” – Capitolo IX

 

Nel regno del Radiant Garden stava finendo la stagione secca. Presto sarebbe iniziata la brutta stagione, con le sue piogge che avrebbero rifornito di acqua il regno e fatto ricrescere la vegetazione ormai morta. I grandi prati dei vari giardini erano marroni, spogli e brulli, visto che non c’era nessuna specie di fiore che potesse resistere alle alte temperature della stagione secca. Invece che dai fiori, i prati erano pieni di erba secca, crepe e polvere. Ed in quell’afa della giornata appena cominciata, il principe Ansem, incurante del caldo, con la sua divisa regale e con il segno del comando che si usava in quel regno, cioè la sua spessa sciarpa rossa avvolta attorno alle spalle e i due capi lasciati lunghi sul petto e sulla schiena, si apprestò a compiere il suo giretto mattutino.

Era un’attività che aveva sempre svolto fin da quando era un giovane principe, per incominciare la giornata incontrando personalmente i suoi sudditi, ed era sempre stato per lui un vero piacere. Ma adesso, da quando era tornato nel suo regno dopo anni di assenza, lo metteva a disagio, e questo malessere aumentava man mano che passavano i giorni. Non tanto per il caldo così intenso che rendeva quasi difficoltosa la respirazione: Ansem si era fatto anziano, ma era ancora in grado di sopportare le temperature afose. Erano altre cose, più sottili, che lo inquietavano.

Nella grande piazza di fronte al castello era giorno di mercato. Le bancarelle erano piene di prodotti agricoli provenienti dalle isole al di fuori della città capitale, e attorno ad esse era gremito di signore e ragazze che erano lì dalle prime ore dell’evento, per evitare che i pezzi migliori venissero portati via dalle concorrenti. C’era un gran vociare di chiacchiere, saluti e tentativi di contratto, ed era tutto uno spingere, un accalcarsi e un cercare di farsi strada per arrivare davanti ai banconi e vedere meglio la mercanzia. Ansem non scese nella piazza, ma rimase più in alto sui gradoni, fissando incerto ma conciliante la folla sotto di lui. Ad un certo punto, una donna, per caso, alzò gli occhi e lo notò. La sua espressione, da affaccendata qual era, divenne sbigottita e interruppe il tentativo di contratto in cui era impegnata. Quasi come per seguirla, tutte le altre persone nella piazza alzarono lo sguardo, per dirigerlo verso il loro sovrano. Se fino ad un attimo prima c’erano stati un gran chiasso e un chiacchiericcio continuo, ora si sarebbe potuta sentire volare una mosca. Ansem ne approfittò subito, e alzò con fare calmo una mano aperta all’altezza della spalla.

“Auguro un buon giorno a tutti voi, miei sudditi. È bello vedere tanta vivacità già di prima mattina!”

Le persone non risposero a quell’affettuoso saluto. Anzi iniziarono a scambiarsi occhiate l’un l’altra, a mormorare tra loro, ed alcuni lanciarono al loro principe uno sguardo diffidente. Pochi altri lo guardarono con disapprovazione. Non erano sguardi propriamente ostili, eppure Ansem si sentì un brivido lungo la schiena quando si rese conto di essere guardato in quel modo. Senza più forzare la situazione aggiungendo altro, si ritirò con passo dignitoso per rientrare nel castello, chiudendo i cancelli in fondo alla scala dietro di sé. Soltanto quando le inferriate furono serrate il sovrano sentì riprendere il vociare tipico del mercato e la tensione scivolargli di dosso.

Il vecchio principe tirò un gran sospiro affranto e si coprì il viso rugoso con la mano. Rimase così per alcuni secondi prima di salire le scale per tornare all’interno del palazzo. In cima alla rampa, accanto al portone, stava ritto Aeleus, una delle due guardie, che si mise sull’attenti all’arrivo del suo sovrano. Ansem lo guardò dubbioso.

“Dilan ha smontato?”

“È andato di sopra a prendere il bambino, maestà, ormai è ora che si alzi”, rispose pronto Aeleus. “Ma sarà subito di ritorno.”

Ansem annuì, ed entrò dal portone senza aggiungere altro. Appena dentro, prese la piccola porta accanto all’entrata che portava nei sotterranei. Percorse il lungo intrico di labirinti di corridoi che si snodavano sotto il castello e che conosceva a memoria da anni, per ritrovarsi nel suo laboratorio, dove i suoi apprendisti già lo stavano aspettando dentro i loro camici bianchi.

Even stava pulendo l’attrezzatura sul tavolo di lavoro, e guardò sorpreso il suo principe che era appena entrato.

“Vostra maestà!”, esclamò sorpreso. “Avete già finito il giro mattutino? Avete fatto presto!”

“Ho… ho deciso di non proseguire, stamattina”, confessò Ansem affranto. “Non me la sento. Non me la sento più.”

“Ma cosa vi è successo, maestà?”, chiese allarmato Ienzo, scostandosi il ciuffo dagli occhi per vederlo meglio. “Non vorrei sembrarvi scortese, ma sembra che vi abbiano scaricato addosso altri vent’anni…”

“Non sei scortese, stai dicendo la verità”, ammise Ansem. “È diventato tutto troppo pesante… non ci riesco.”

“Maestà, sapete che con noi potete confidarvi”, lo rassicurò Even. “Diteci cosa vi affligge.”

Ansem annuì. “Va bene, ma prima fatemi… sedere…” sospirò, cercando una sedia. Subito Ienzo gliene porse una imbottita, e Ansem vi si lasciò cadere a peso morto, come un povero vecchio.

Il sovrano guardò con profondo affetto i suoi due apprendisti, che lo fissavano con apprensione. “Ora, sapete quello che è successo anni fa, vero? Quello che abbiamo fatto… quello che io ho fatto…”

“Oh…” sospirò Ienzo. “Dovete proprio ricordarcelo, maestà? E’ vero, abbiamo sbagliato, ma abbiamo rimediato, noi e anche voi. Avete riparato al danno che avete fatto a tutte quelle persone che abbiamo incrociato sulle nostre vie. Anche Naminé sembra che si trovi molto bene a Crepuscopoli insieme ad Axel, Isa, Xion, Roxas e gli altri loro amici. Non avete proprio nulla di cui rimproverarvi.”

Ansem annuì. “Hai ragione, Ienzo. A livello morale è una questione chiusa, almeno personalmente. Ed anche per voi è così, è vero. È giusto che certe cose, una volta che si è fatto ammenda, vengano dimenticate. Ma il popolo… i sudditi, loro non dimenticano.”

Ienzo alzò gli occhi al cielo. “Ci avevate già accennato la cosa, maestà, che eravate preoccupato per questo. Ma i sudditi… loro al massimo dovrebbero prendersela con noi. Siamo stati noi a far cadere il Radiant Garden nel caos, anni fa, voi avete cercato di impedircelo, e questo lo sapete bene.”

Ansem scosse la testa. “Il principe è responsabile di ogni cosa che succede nel suo regno, bella o brutta che sia. Anzi, se è brutta è ancora più responsabile, ed anche se la colpa non è sua.”

Even allora cercò di rassicurarlo: “la gente dimentica in fretta, maestà. Lasciate passare qualche altro mese, vedrete poi come vi saluteranno con calore, come facevano una volta.”

Il vecchio principe sospirò e lo fissò con i suoi profondi occhi arancioni. “Magari avessi ragione. Ma sono anziano, sono stato il principe regnante di questo mondo per molti anni, e so bene come ragionano le persone. Esse dimenticano solo se fai loro qualcosa di buono. Ma appena fai uno sbaglio, è finita. Non dimenticheranno più. Puoi far loro del bene per tutta una vita, ma al primo sbaglio, non si fideranno più di te, come se non avessi mai fatto nulla di buono per loro, e quello sbaglio te lo ricorderanno finché ci sarai. E…” esitò un momento prima di proseguire, a voce più bassa e affranta. “…e io sto cominciando ad avere paura. Sì, ormai ve lo posso confessare, ho paura ad uscire dal castello.”

Even e Ienzo si guardarono. “Ci eravamo accorti, maestà, che eravate sempre meno propenso ad uscire. Se mettessimo un letto nel laboratorio, potreste vivere qui dentro.”

Ansem tirò un gran respiro, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il viso nelle palme delle mani. “Che razza di principe sono…? Esco sempre meno perché ho timore dei miei sudditi, lo ammetto. Se il popolo non è soddisfatto del suo sovrano, basta un niente perché esso venga ucciso proprio da loro. Ma se esco sempre meno, loro penseranno ancora di più che dei miei sudditi non mi importi nulla.”

Ienzo allora cercò di confortarlo, ma il suo tono era innervosito. “Quegli ingrati dei vostri sudditi non hanno proprio nulla di cui lamentarsi. Di Heartless non ne appaiono più, il Radiant Garden si sta risollevando, anche se lentamente, le tasse che imponete sono basse… che altro possono volere?”

“Ah, le tasse… era meglio se non le nominavi, caro Ienzo”, rispose Ansem, affranto. “Ieri sera i funzionari mi hanno fatto rapporto. Una quantità sempre maggiore di sudditi sta inziando ad evitare di pagarle.”

“Cosa?!” esclamarono esterrefatti Even e Ienzo all’unisono.

“Non è certo per via dei soldi in sé che mi preoccupo, il Radiant Garden si riprenderà lo stesso, anche se ci vorrà molto più tempo”, aggiunse Ansem. “Ma per il significato che ci sta dietro. Non è che non le pagano perché non hanno i soldi. Ma perché non vedono più in me un’autorità da rispettare.”

“In questo caso, maestà”, suggerì Even, stringendo il pugno. “Credo che si debba rispondere alla durezza con la durezza.”

“Ma come potrei, Even?” sbottò il vecchio principe. “Sono in una polveriera. Un minimo torto ai sudditi e tutti mi si rivolteranno contro. Ho le mani legate, non c’è modo che io, adesso, da solo, possa risolvere questa situazione.”

La pesante conversazione venne interrotta da un veloce scalpiccìo di piedi, e nel laboratorio entrò di corsa un bimbetto, di circa quattro anni, con lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri. Subito dietro di lui sbucarono Dilan e Aeleus, e il primo riuscì a fermarlo acchiappandolo per un braccio.

“Ahia, Dilan, mi fai male!”, strillò il piccolo con voce acuta.

“Perdonate, maestà, se vi abbiamo interrotto”, si scusò l’uomo mettendosi sull’attenti accanto ad Aeleus, con ancora il braccio del bambino stretto nella sua mano guantata. “Il piccolo ci era sfuggito.”

Il viso del principe si illuminò a vedere quella scena. “Kain!”, esclamò alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso il bimbo. Lo liberò dalla presa della guardia e lo sollevò in aria, tenendolo stretto sotto le ascelle.

“Eccolo qui, il mio erede!”, esclamò, e tutta la tristezza sembrava averlo abbandonato. Il bambino rideva e si stava divertendo un mondo.

“Oh, maestà, che bel gesto è stato da parte vostra adottare questo orfanello, come ai tempi avete fatto con me…” disse con calore Ienzo. “È con noi solo da qualche settimana, ma è molto sveglio e si è adattato bene.”

“In te, forte e intelligente Kain, ripongo tutte le mie speranze”, gli disse solennemente Ansem, sollevandolo più in alto. “Per me ormai non c’è più niente da fare, ma tu sarai la nuova luce di questo regno.”

“Ed è vero, maestà, che un giorno diventerò il principe del Radiant Garden?” chiese eccitatissimo il bambino.

“Certamente, Kain, sarai tu il prossimo principe dopo di me, appena avrai un’età sufficiente per governare”, annuì Ansem. “Se i sudditi non hanno più fiducia in me, l’avranno in te, e con te al governo, la loro fiducia per la nostra dinastia verrà recuperata tutta.”

“Ma se voi siete il principe, maestà, e io sono il vostro erede, allora sono già un principe anch’io!” rise il bambino.

Anche Ansem si mise a ridere. “Ma il principe di cosa, Kain, che ancora non comandi niente? No, per ora non sei un principe, ma appena ti avrò ceduto una parte di governo lo sarai. Dovrai aspettare un po’.”

“Perdonate, maestà, a proposito…”, si intromise cauto Even. “Capisco bene il discorso che fate, ma secondo me, scegliere un bambino così piccolo è stato azzardato. Ci sono molti adulti prestanti e capaci tra il volgo. Prendete quello Squall… o Leon… o come si chiama?”

“Non posso scegliere un uomo già adulto, che è cresciuto in mezzo al popolo e potrebbe aver assorbito il suo odio verso di me”, rispose Ansem risoluto, mettendo Kain per terra. “Se prendessi lui come erede, e lo facessi vivere nel castello con noi per istruirlo sul governo, non ci metterebbe nulla ad uccidermi. Inoltre sai bene che io non so combattere, e non c’è nulla di più appetibile per un pretendente al trono che uccidere il proprio principe più debole di lui. Ecco perché ho bisogno di un bambino, perché possa abituarsi a me fin da subito senza odiarmi.”

“A vedere la realtà dei fatti, non sembra proprio che lui vi odi, maestà. Ve lo posso assicurare, non sembra che abbia nulla contro di voi”, obiettò Even.

“E’ parte del popolo. Non posso considerarlo in modo diverso dagli altri. Sono vecchio, Even… conosco la mente degli uomini meglio di chiunque altro, e a meno che ne fossi sicuro al cento per cento, non metterei mai la mia vita nelle mani di qualcuno da cui non posso difendermi”, insisté Ansem. Non poteva certo dare torto al suo apprendista, in fondo era vero che, per quel poco che conosceva Squall, non aveva percepito alcun odio da parte sua. Ma ormai la sua mente era arrivata ad un tale livello di chiusura dovuta alla paura, che non se la sentiva di rischiare.

“Siete prudente, maestà”, osservò Aeleus. “Ma così, minimo dieci anni li dovrete aspettare, prima che Kain possa prendere almeno una parte del vostro potere.”

“Hai ragione”, annuì il vecchio principe. “Ma non posso farci niente. Posso solo attendere, e sperare che l’odio del popolo verso di me non aumenti e rimanga stabile.”

“Pensate che la situazione non degenererà in questi anni?”

“Se starò attento e mi comporterò con cautela, non peggiorerà. Avrò sempre le mani legate, questo sì. Ma dovrò solo tenere duro finché Kain non sarà diventato grande.”

Even e Ienzo si guardarono incerti. “Eppure…” azzardò il più giovane. “Eppure sapete bene che avete un’ottima candidata, già pronta, che non aspetta altro che tornare. Ve l’avevamo detto già da prima che sceglieste Kain.”

“Oh”, sospirò stancamente Ansem. “Dobbiamo proprio ritirare fuori questo discorso?”

“Ma maestà, non si capisce perché vi facciate scrupoli. Quella ragazza è la scelta più adatta…”

“Kairi!” lo interruppe brusco il vecchio principe. “Ha un nome.”

“Sì, certo, Kairi”, si corresse Ienzo. “Ha tutti i requisiti. È giovane ma non troppo, non ha vissuto quasi mai nel Radiant Garden e non ha memoria dello stato di oscurità in cui è caduto il regno; non prova rancore e sono sicuro che non tramerebbe mai contro di voi.”

“Esatto”, annuì Even. “È o non è una delle sette ragazze dal cuore puro? Una con un cuore così non potrebbe mai comportarsi come il volgo.”

“Credete, maestà, è perfetta! Una persona del genere al vostro fianco farebbe tornare alta la fiducia del popolo verso di voi all’istante”, incalzò Ienzo.

“Lo so, miei fedeli assistenti, so bene tutto quello che mi state dicendo”, ammise Ansem. “Ma non posso avere la sfrontatezza di farle una richiesta simile. Dopo quello che le ho fatto…”

“Forse vi state facendo troppi scrupoli”, obiettò Dilan. “Se la richiamaste, sarebbe per il bene vostro e del regno, e siete pur sempre suo padre.”

“Ed è meglio che questa cosa resti tra noi”, disse risoluto il principe, con gli occhi che gli stavano diventando lucidi. “Già mi sento abbastanza in colpa di non aver mai badato a lei quando era piccola e di averla sempre lasciata insieme a sua nonna, perché io ero troppo preso dai miei studi per considerarla. E quando è finita in quell’altro mondo, ero troppo preso dai miei desideri di vendetta per pensare di cercarla e riprenderla con me. Ma poi… non ha ricordi di questo posto, né di me. Si è trovata una nuova casa, con nuovi amici, ed ha una nuova vita. Sarò suo padre, ma non sono nessuno per stravolgere il suo equilibrio solo perché farebbe comodo a me. Dobbiamo comportarci come se lei non esistesse.”

“Non pensavo che vi faceste tutti questi problemi… un tempo, per raggiungere i vostri scopi passavate sopra a cose molto più grosse…” mormorò Ienzo.

“È vero, è vero”, cercò di interromperlo Ansem, sbrigativo. “Ma non voglio più comportarmi come un tempo. Mettere i miei interessi personali sopra la felicità di mia figlia…” La sua voce si incrinò per il dispiacere. “Voi non avete idea… quanto mi sia costato ignorarla l’unica volta che ci siamo visti. Non mi aspettavo che si fosse fatta così grande, e la tentazione di rivelarle tutto è stata forte. Ma non posso… capite che non posso?”

I quattro uomini più giovani si scambiarono occhiate. “Avete ragione, maestà. Scusate, ci siamo lasciati trasportare. La devisione finale spetta a voi”, assentì Even, controllando il tono.

“E poi... nessuno di noi ha figli, ma penso che capiamo quello che provate come padre”, aggiunse Ienzo.

“Già, ma questo piccoletto…” accennò deliziato Dilan con la sua voce profonda scossa dal divertimento, mentre teneva sollevata la propria lancia per evitare che Kain ci arrivasse. Il bambino sembrava molto attratto da quell’arma e ogni tanto faceva un salto per cercare di toccarla.

“La tua lancia è bellissima, Dilan! Mi insegnerai ad usarla, un giorno?” chiese emozionato.

“Quando sarai più grande, Kain, adesso sarà meglio che pensi a giocare”, rispose la guardia, con pazienza.

“Ma presto sarò un principe, Dilan!” disse freneticamente il bimbo. “E devo imparare a combattere. Sennò come potrò difendermi?”

“Visto?” disse Ansem con voce d’approvazione. “Ora non ditemi che non è un buon candidato anche lui.”

“Beh, sì”, ammise Ienzo. “Dopo Kairi, Kain è la scelta migliore, sicuro.”

Ansem tirò un gran sospiro, si alzò e si avvicinò al suo armadietto per prendere il proprio camice. “Su, miei apprendisti, è ora di rimetterci al lavoro. Dilan, Aeleus, tornate al vostro posto, e tu Kain torna pure a giocare. Sarò da te fra un paio d’ore.”

La questione sembrava ormai chiusa, ma, nel mezzo del lavoro, Ienzo chiese, più parlando a se stesso che agli altri due: “chissà quei ragazzi come sono messi, adesso?”

Ansem sospirò, alzando la testa da quello che stava facendo. “Ho sentito il mio amico, Re Topolino, l’altro giorno. Sembra che si stiano assestando bene, nelle loro nuove vite. Non ci sono più problemi di alcun tipo. Ma mi ha detto una cosa strana... Kairi sembra molto triste.”

I due apprendisti assunsero un’aria perplessa. “Triste? Per che motivo? La guerra è finita, i mondi sono in pace, la vita è ricominciata…”

Ansem scosse la testa. “Non lo so... nessuno lo sa. Ma chissà... perché non è felice come gli altri?” si chiese pensieroso, alzando lo sguardo al soffitto.

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Un appunto su un concetto linguistico che verrà usato di continuo per tutta la ff: la terminologia usata in questa storia cerca di avvicinarsi il più possibile al libro di riferimento. A cominciare dal termine “principe” (e principessa), che non ha il significato odierno di “figlio di un re”, ma ha il senso che gli dà Machiavelli. Ossia deriva dal latino princeps che vuol dire “comandante”. Per fare un esempio, nel Principe, anche Achille e Mosé sono definiti tali dall’autore, ed è lo stesso motivo per cui Kain, pur essendo stato scelto da Ansem come suo erede, non è ancora un principe: perché ancora non comanda niente. Tuttavia, nella storia, per fare un distinguo senza confusione tra chi è semplicemente un principe e chi è proprio il capo del Radiant Garden, utilizzerò il termine “principe regnante” per indicare quest’ultimo, quello che normalmente definiremmo il re. Gli altri reali che già hanno un ruolo di comando ma non sono i capi assoluti del mondo saranno principi e basta.

Kain è basato sul personaggio di Kain Highwind di Final Fantasy IV. Nel gioco originale, Kain è un orfano adottato dal re di Baron insieme a Cecil, il protagonista. I due crescono insieme come amici, ma Kain col tempo diventa geloso di Cecil, sia per motivi di carriera, sia per la vita sentimentale. Questo lo porta a guardare Cecil sempre meno come un amico e sempre più come un ostacolo. Dico solo questo di Kain, ma dovrebbe bastare per far capire che ruolo avrà nella storia. E a proposito: Kain, in originale, appartiene alla classe del cavaliere dragone, ed usa le lance per combattere. È per questo che in questo capitolo è così attratto dalla lancia di Dilan (e Xaldin, il suo Nessuno, è proprio basato sulla classe del dragone).

Inoltre un chiarimento che faccio subito, visto che in questo capitolo cominciano a venire fuori i primi concetti politici. Tutto quello che verrà scritto in questa storia riguardo la politica rappresenta strettamente il pensiero di Machiavelli, tutto quello che troverete sarà preso paro paro dal libro. Ciò vuol dire che quello che scriverò non rappresenterà il mio pensiero, io non penso assolutamente che il modo di comportarsi del principe del trattato sia accettabile o che certe considerazioni sulla natura umana siano vere. Ma quello che l’autore scrive, io riporto, indipendentemente dalla mia opinione personale.

Ah, un'altra cosa: visto che KH ha parecchi personaggi ed eventi e non mi ricordo proprio tutto bene, può darsi che ogni tanto mi capitino degli sbagli in proposito. Nella caratterizzazione, avvenimenti o cose simili. Se doveste accorgervene, vi sarei grata se me lo faceste notare, che correggerò subito!

Grazie mille per aver letto, al prossimo aggiornamento!

   
 
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