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Autore: A_Typing_Heart    14/09/2019    2 recensioni
Ichigo Kurosaki è uno studente di una prestigiosa scuola maschile, ma nutre dei dubbi sulla strada che ha sempre considerato essere quella adatta a lui: diventare medico come il padre. Allontanandosi dalla scuola per riflettere si ritrova in uno squallido locale mandato avanti da un barista dai modi bruschi e dall'aspetto bizzarro; ma più frequenta quel posto e quell'uomo più Ichigo scopre una nuova prospettiva sulla sua vita e sulle sue scelte.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jaggerjack Grimmjow, Kurosaki Ichigo, Sosuke Aizen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nei giorni che seguirono la scuola diventò quasi invivibile: il torneo sportivo fra le classi si avvicinava ed era un evento che coinvolgeva molti studenti dell'istituto. Le varie sezioni avevano una grossa rivalità, sia in termini accademici che sportivi, e ciò si traduceva in una notevole esuberanza giovanile: gli atleti delle diverse sezioni si insultavano e provocavano nei corridoi, fuori nel cortile le squadre si litigavano i campi e gli spazi di allenamento. Uno dei pochissimi posti silenziosi era la biblioteca dove Sado e Ishida trovavano rifugio per studiare in pace, ma Ichigo ne era bandito per pregresse note disciplinari affibbiategli dalla bisbetica bibliotecaria. Esasperato dalla situazione, Ichigo lasciò un biglietto nel libro di Ishida, dicendogli che avrebbe cercato un posto dove studiare in pace e promettendo di tornare prima che facesse buio. Fatto ciò, svicolò nella sua uscita di sicurezza e sgattaiolò via dalla scuola senza essere notato; complice un'accesa zuffa nel cortile frontale.
Camminò per un po' in giro per la cittadina, soppesando i posti che vedeva, ma sia l'internet cafè che i caffè normali erano decisamente affollati e rumorosi. Stava per arrendersi e tornare a scuola, ma si imbattè di nuovo nello squallido pub di due giorni prima. Veniva un certo vociare dall'interno, ma era decisamente meno frequentato degli altri locali della zona. Esitò un momento, poi si aggiustò la borsa sulla spalla ed entrò.
L'illuminazione era migliore con tutte le luci accese, ma del barista non c'era traccia come la volta precedente. Poi udì la sua voce e lo individuò subito: era vicino al tavolo da biliardo con alcuni altri uomini nel bel mezzo di una partita.
«Cazzo, Jaeger, sei un dannato diavolo con quella stecca.» commentò uno di quelli, cercando una scappatoia di gioco.
«Sei tu che sei sfigato, Ben.»
«Jaeger, c'è un cliente.» gli disse un altro, un uomo alto in giacca e cravatta.
Jaeger distolse lo sguardo dalle biglie controvoglia e posò su Ichigo i suoi occhi azzurro intenso. La sua bocca passò dall'espressione di vaga sorpresa a un inconfondibile sorriso di scherno. Posò la stecca, camminò senza fretta tornando dietro il bar e si appoggiò con i gomiti al bancone.
«Ciao, Latte Senza Ghiaccio.» lo salutò. «Non credevo che tornassi.»
«Nemmeno io credevo di tornare, ma a volte la vita è imprevedibile.» disse lui con un sospiro. «Dammi un'aranciata, e stavolta non portarmela via se non ho finito... va bene se mi metto lì?» aggiunse, indicando un tavolo vicino alla finestra.
«Ma prego.»
Ichigo andò al tavolo, posò la cartella sulla sedia libera e tirò fuori i libri. Dopo aver dato un'occhiata a quello che aveva da fare, pensò che la sua bibita ci stava mettendo un po' troppo ad arrivare. Diede uno sguardo alle spalle e notò che il barista si era rimesso a giocare a biliardo con gli altri uomini. Si rassegnò ad alzarsi e prendersi la bibita da solo, più tardi. Si dedicò allora a una serie di esercizi di matematica dall'aria quantomai ostica.
Era riuscito a venire a capo solo di tre di quelli quando si accorse che i giocatori di biliardo se ne stavano andando. Un attimo dopo, Jaeger gli posò un bicchiere di aranciata con ghiaccio sul tavolo.
«Senti, Latte Senza Ghiaccio... a scuola stai messo male, eh?»
«Non mi chiamo Latte Senza Ghiaccio, ma Kurosaki, va bene? Kurosaki Ichigo.» rispose lui gelido. «E per tua informazione, a scuola me la cavo.»
«Copiando, sicuramente.» fece lui e indicò sul quaderno. «Questo è sbagliato, questo è oscenamente sbagliato e questo invece forse è giusto... sul pianeta Conuts
Ichigo dominò il prepotente istinto di mettergli le mani al collo e strangolarlo, più che per quieto vivere era la necessità di poter usare di nuovo quel bar come luogo di studio a convincerlo a non litigare con il barista, visti i rapporti non esattamente cortesi già instaurati.
«Senti, Jay.» fece allora tentando di tenere un tono di voce moderato. «Sei un barista, e il tuo lavoro sarebbe servirmi da bere, non correggere i miei compiti.»
«Pensa quanto sono fatti di merda se un barista te li corregge.»
«Bene!» sbottò lui, piccato. «Allora forza, dimmi tu come si fanno.»
Jaeger lo fissò con uno sguardo imperscrutabile. Per un momento non seppe dire se gli avrebbe urlato contro, se lo avrebbe cacciato a calci o se si sarebbe limitato a battere in ritirata dietro il suo bancone; ma con suo sommo stupore non fece nessuna delle tre cose. Si chinò gettando un'occhiata sul quaderno degli esercizi, gli occhi azzurri scivolarono sul libro di testo e poi tornarono a fissare il ragazzo con espressione seccata.
«Dì un po', Kurosaki, mi stai mettendo alla prova o sei ritardato davvero?»
«Cosa? Perché?»
«La soluzione alle idiozie che hai scritto è quella.»
Ichigo seguì con lo sguardo il dito del barista che picchiettò su una pagina del libro. Gli bastò leggere le prime due righe per rendersi conto, con una stretta allo stomaco, che aveva veramente sbagliato tutti gli esercizi, e che quella in grassetto era la formula corretta da usare. Trattenere la reazione del suo orgoglio sconfitto fu molto doloroso ed evitò di incrociare quello sguardo saccente che percepiva sulla nuca.
«Uhm... sì... beh... hai ragione... ho sbagliato... sei contento adesso?»
«Soddisfatto sarebbe un termine più appropriato.»
Jaeger tornò con passo baldanzoso dietro il bancone senza lanciargli alcuno sguardo provocatorio o sorrisetto maligno. Ichigo lo guardò riporre i bicchieri usati dai giocatori di biliardo nella lavastoviglie, avviarla e sedersi comodamente sullo sgabello a sfogliare una rivista aperta che forse lo attendeva già da prima che iniziasse la partita coi suoi clienti al tavolo verde. Lo studente non riuscì a non pensare che forse quell'Aizen non aveva tutti i torti a rimproverarlo per il poco lavoro, ma non aveva tempo di pensarci: anche lui aveva una montagna di studio arretrato. 
Bevve un sorso di aranciata e si accorse subito di quanto fosse squisita. Non aveva nulla a che vedere con quelle in lattina che aveva assaggiato. Studiò il bicchiere e scoprì che era ricca di fibre della polpa dell'agrume, e non poté non gettare un'occhiata al barista del quale scorgeva solo un profilo assorto nella lettura. Non si aspettava che gli facesse un'aranciata fresca con gassosa e succo d'arancia spremuto; era un tipo d'uomo che non ispirava l'idea di qualcuno che curasse i dettagli fino a quel punto. Sorridendo prese un altro corroborante sorso e si dedicò completamente ai suoi esercizi di matematica, questa volta usando la formula corretta.



«Kurosaki.»
Ichigo non distinse la voce e decise di ignorarla, almeno finché una mano grande e piuttosto brusca lo afferrò per la spalla scuotendolo.
«Kurosaki.» ripeté la voce, più decisa. «Se devi crepare, fallo altrove.»
Ichigo stavolta ebbe la sensazione di conoscere quella voce. Un momento dopo, spalancò gli occhi come se qualcuno gli avesse gridato nell'orecchio. Vide il bar immerso nella penombra, fiocamente illuminato dai soli faretti sopra il bancone di legno. Non c'era nessuno tranne Jaeger e lui era ancora seduto al tavolo dove si era messo a studiare quel pomeriggio. Il cielo fuori dalla finestra era scuro e la via deserta era resa arancione dalla triste illuminazione stradale.
«Cosa... che ore sono?» domandò Ichigo, con la sensazione di avere un grosso cubetto di ghiaccio dentro lo stomaco.
«Le tre del mattino.»
«Che... stai scherzando?!»
Per nulla offeso dai suoi dubbi, Jaeger si spostò di un passo e gli indicò l'orologio appeso dietro il bar, pienamente illuminato dai faretti. Le lancette, a meno che Ichigo non si ingannasse grossolanamente, segnavano le tre e sedici minuti. Si strofinò gli occhi, più incredulo che assonnato. Davvero era riuscito a dormire sei ore di fila su quel tavolo? Non aveva certo bevuto alcolici, e non gli pareva neanche di aver patito così tanto le ore piccole di studio a scuola. Si svegliava senza drammi, riusciva a studiare fino a tardissimo e non si era mai addormentato su un libro... prima di allora. 
Che cosa poteva fare ora? La scuola era chiusa fino al mattino, anche scavalcando la recinzione non avrebbe trovato una finestra al primo piano o una porta aperta... Ishida e Sado erano sicuramente preoccupati per la sua assenza ingiustificata. Era veramente nei guai.
«Merda!» imprecò lui raccogliendo i libri alla rinfusa nella borsa. «Perché non mi hai svegliato prima, Jay?!»
«Credevo fossi morto.» disse lui con inquietante serietà.
«Che razza di giustificazione sarebbe? Lasci un cadavere sul tavolo del tuo bar per tutto il giorno?»
«Beh, stavo pensando a come incolpare Aizen per la tua morte, quindi...»
«Sai una cosa, Jay? Tu sei esattamente come appari a prima vista... stronzo, macabro e fuori di testa da camicia di forza!» sbottò Ichigo. «Ehi, e adesso dove te ne vai?»
Jaeger stava infatti uscendo dal bar e aveva appena spento i faretti. Si voltò a guardarlo, sebbene non poteva distinguerne il volto dato che stava di spalle in un bagliore di luce arancione.
«È l'ora di chiusura, me ne vado a casa.» rispose. «Vuoi un passaggio?»
«Sapessi dove andare sarebbe anche utile...»
«Muoviti, Kurosaki... passaggio o no, devo chiudere... vuoi dormire qui dentro?»
Ichigo esitò un momento, poi girò intorno al tavolo e uscì dal bar. Avrebbe dovuto riflettere e trovare un modo per infiltrarsi nella sua camerata a scuola, o almeno un altro posto sicuro dove aspettare il mattino presto, ma la sua mente tornava a chiedersi come avesse potuto cedere alla stanchezza proprio in quel pub al punto di ignorare rumori e persone.
«Sali.»
Jaeger salì al posto di guida di una Honda color blu parcheggiata quasi di fronte alla porta del locale e si mise la cintura di sicurezza. Ichigo, dopo un attimo di smarrimento, fece il giro e salì al posto del passeggero con una certa miscela di disagio ed emozione. Non se lo era aspettato: Jaeger non sembrava essere molto più grande di lui e non gli avrebbe attribuito l'età per avere un'automobile. Invece ne aveva una piuttosto nuova e bella pulita, era lucida fuori e ben tenuta anche dentro; non c'era polvere sul cruscotto e i tappetini erano intonsi. 
Il primo tentativo di metterla in moto non andò a buon fine e nemmeno il secondo. Ichigo stava cominciando a sentirsi vagamente disperato e tentò di pensare ad altro, esplorando tutt'intorno con più attenzione. Dopo essersi soffermato su un deodorante per auto alla brezza marina gli balzò agli occhi un plico di riviste che sporgevano da sotto il suo sedile. Le prese e le sollevò, immaginando che potessero essere lo stesso tipo di rivista che lo aveva visto leggere quel pomeriggio. Un intenso rossore gli fiorì sul viso non appena le mise sotto la luce dei lampioni.
«Jay... che roba tieni in macchina?»
«Uhm?» fece lui guardandolo. «Ehi, quello è per soli adulti, rimettilo dov'era.»
«Pervertito...» commentò sottovoce lasciandole cadere.
Assistette impotente ad altri due tentativi di avviare il motore e Jaeger diventava visibilmente più nervoso, finché non esplose all'improvviso.
«Muoviti, cazzo di un cesso di macchina!»
Jaeger tirò un calcio nel cruscotto e, come in certi film e fumetti, la macchina andò in moto subito. Dopo un fugace attimo di sorpresa, fece un verso simile ad un grugnito soddisfatto.
«Visto? La gentilezza vince sempre.»
«... Senza dubbio...»
«Ehi, voglio vedere la borsa...» disse mentre usciva dal parcheggio e si immetteva sulla strada. «Non ti sei fregato una rivista, vero?»
«Puoi tenertele, le tue riviste.»
«Oh, se fossero mie te le lascerei prendere, Kurosaki, sono altamente istruttive... ma siccome sono di Ben devo ridargliele tutte.»
«Non c'è bisogno di inventare scuse patetiche.» fece Ichigo, guardando le case sfilare fuori dal finestrino per evitare l'imbarazzo di un simile dialogo faccia a faccia. «Non sono una ragazzina... trovare riviste porno sotto il sedile della tua macchina non mi fa nessuna impressione, mi fa soltanto sperare che non ti metta a guardarle mentre guidi.»
«Sono più responsabile di quello che pensi.»
«Lo spero, perché non sembri particolarmente responsabile.»
«Si impara più da un errore che da cento consigli, Kurosaki.»
Ichigo tornò a guardare Jaeger, stupito. Il suo tono era diventato basso e molto diverso da quello che gli aveva sentito ogni altra volta, ma il suo momento di debolezza sembrò finire così come era venuto. Attraversò un incrocio, completamente deserto, e superato un tratto buio la sua espressione era tornata quella di un freddo stronzo irritante. Poi il ragazzo ricordò: quell'uomo, Aizen, aveva detto che se Jaeger avesse perso il lavoro sarebbe tornato in carcere... per quale reato ci era finito?
«Dove ti lascio?» domandò lui, fermandosi ad un incrocio. «A scuola ti fanno entrare a quest'ora?»
«No.» ammise Ichigo. «Non conosci un posto dove posso...?»
«Dormire?» concluse lui con un ghigno.
«Credo proprio di aver dormito abbastanza.»
«So dove farti stare... sveglio oppure no.» disse, e ripartì. «Che diavolo faresti senza di me, Kurosaki?»
«Dormirei ancora su quel tavolo.»
«Ben detto.»
Ichigo guardò lo sconosciuto paesaggio cittadino notturno per circa dieci minuti prima che la Honda blu imboccasse un breve viottolo e si fermasse davanti a un garage. Jaeger scese e Ichigo si domandò chi di quei tempi non avesse un garage automatico, ma quando aprì la serranda restò di sasso.
«Beh? Non è male, vero?»
Ichigo, perplesso, ci mise un po' a capire che doveva scendere lì. Aprì lo sportello e scese, raggiungendo Jaeger dentro il garage con tanto d'occhi per guardare. Non c'era lo spazio per parcheggiare la macchina al coperto in quell'autorimessa, per il semplice motivo che tutta casa sua era lì dentro.
La luce dei neon illuminava effettivamente una casa: c'era sulla sinistra un angolo cottura elettrico che aveva l'aria di essere disturbato raramente, accanto a un basso frigorifero. Nell'angolo c'era un letto disfatto con le lenzuola blu, lungo la parete a fronte della serranda si trovavano un armadio e una credenza. Ichigo fece qualche passo e passò la mano sul tavolo coperto da una tovaglia verde che occupava lo spazio centrale, con tre sedie spaiate intorno. Passò le dita sul mazzo di carte abbandonate su di esso e studiò con gli occhi il fondo arancione nel bicchiere accanto, che pareva un succo di frutta.
Sulla parete di destra c'era una porta chiusa da una tenda che Ichigo ipotizzò portasse a un bagno. Accanto all'uscio era sistemato un divano logoro e un tavolino sbeccato che reggeva un televisore che sembrava la cosa più nuova dell'intera abitazione. Alle pareti spoglie erano appesi un paio di quadri astratti e alcune fotografie attaccate con lo scotch, forse nel tentativo di rendere il posto meno triste... e lo era, con quel soffitto basso, le pareti grezze e il senso di abbandono e di solitudine che aleggiava ovunque.
«Jay... tu abiti in un garage.» osservò Ichigo.
«Già, il sogno di ogni ragazzo, no?»
«Ma stai dicendo sul serio?»
«Forse posso offrirti qualcosa...» disse aprendo il frigorifero. Dentro era quasi vuoto. «Vediamo... ho del latte... ma non vorrei che cascassi addormentato come una pera per altre dieci ore... mmh... ci deve essere dell'acqua da qualche parte... che razza di casa sarebbe senza un po' d'acqua...»
Ichigo non poté non provare uno strano senso di compassione mentre lo guardava cercare nei quattro mobili malconci della cucina. Erano quasi tutti vuoti o ospitavano qualche barattolo di conserve, intorno era tutto o vecchio o cadente o entrambe le cose. E le sue parole "che razza di casa sarebbe senza un po' d'acqua", come a voler dimostrare all'inatteso ospite che la sua era una casa come tutte le altre... o forse Ichigo stava solo applicando alle sue parole e ai suoi gesti un senso che coincidesse con le sue sensazioni su quell'abitazione raffazzonata.
«Non fa niente, Jay, posso cercarmela da solo... non credo mi servirà la guardia nazionale per rivoltarti la casa.»
«Non vorrei che ti imbattessi in altre riviste porno per collezionisti, ti turberebbero.»
«Perché, ne hai anche qui? E sono di Ben anche quelle?»
«Ah, potrebbero essercene ancora in qualche mobile... mi sembrava di averle restituite tutte, ma sai... a casa mia non sono sempre efficiente come quando lavoro.»
«Beh, fatti una doccia e lascia che mi metta io a verificare la situazione dei tuoi noleggi.»
«... Questa è una buona idea.»
Grimmjow si tolse la maglia buttandola sul letto e sparì dietro la tenda senza aggiungere altro. Ichigo allora lo prese come un permesso e si diede alla ricerca, o per essere sinceri allo sfogo di una grande curiosità. Aprì la credenza accanto all'armadio e riportò alla luce dei libri decisamente impegnati che non si aspettava di trovare in casa di uno come Jaeger, un paio di cartellette di documenti che ebbe la delicatezza di non leggere e una scatola anonima di cartone. Sopraffatto dal desiderio di scoprire qualcosa di quel curioso personaggio l'aprì, ma dentro non notò nulla di folgorante: conteneva una piccola t-shirt, da bambino, e una spilla da appuntare sui vestiti. Non recava parole o nomi, ma solo il numero sei, che era anche cucito in colore a contrasto sul petto della maglietta.
Deluso dall'ordinarietà di quel tesoro, lo ripose nella scatola e la rimise sullo scaffale, facendo però cadere uno dei libri. Raccogliendolo notò che quello in particolare aveva le pagine ingiallite come se fosse molto vecchio, e che sulla terza di copertina spiccava una scritta a mano. Si trattava di una dedica: "A Grimmjow, grazie."
«Grimmjow.» rilesse sottovoce Ichigo, sorpreso da quell'insolito nome.
«Cosa?»
Ichigo voltò la testa e vide Jaeger che lo osservava con aria più tesa di quanto non cercasse di far trasparire... o era una sua impressione?
«C'è una dedica su questo libro... chi è Grimmjow?»
«Sono io.» rispose lui, più rilassato.
«Tu?»
«È il nome con cui mi chiamavano i miei compagni ai tempi della scuola superiore... e qualcuno di loro mi chiama ancora così, quando mi vede.»
«Grimmjow... è un nome insolito... è inventato o significa qualcosa?»
«Non mi va di parlarne, Kurosaki.»
«... Scusa.»
Ichigo si affrettò a rimettere il libro a posto e a richiudere la credenza. Sentiva che aveva superato il limite, che aveva permesso alla sua curiosità di prendere il sopravvento sul buon senso. Il tono di Jaeger aveva chiarito bene che l'argomento non era gradito e che insistere avrebbe potuto portare delle conseguenze di un certo peso. Era suo ospite, non aveva il diritto di perquisire la sua casa e fare domande, dato che non erano neanche amici o conoscenti con un certo grado di intimità. Con la bocca ancora sigillata prese posto al tavolino.
«Non sono arrabbiato.» mise in chiaro Jaeger, alla vista dell'improvvisa mestizia di Ichigo. «Ma non è un argomento di cui voglio parlare, né con te né con chiunque altro.»
Ichigo annuì e tentò di accennare un sorriso, ma sobbalzò al suono rimbombante di colpi sulla serranda, come se qualcuno stesse bussando. Non fu l'unico sorpreso: lo sguardo azzurro del padrone di casa tradiva il suo stupore per una visita a quell'ora del mattino. Muovendosi lentamente, quasi con circospezione, andò a sollevare la saracinesca. La luce del neon illuminò un gruppetto di sette giovani uomini, tutti all'apparenza più vecchi di Ichigo, che indossavano tutti la medesima maglietta bianca. Ichigo notò che ognuno aveva un numero cucito sul lato sinistro del petto: nove, dodici, tredici, quindici, sedici, venti e ventuno. Colse gli occhi azzurri di Jaeger scorrere i numeri e serrarsi in due fessure che suggerivano un atteggiamento belligerante nei confronti dei nuovi venuti.
«Da quanto tempo, Grimmjow.» disse il numero nove, sorridendo. «Sei diventato più alto dall'ultima volta che ci siamo visti.»
«Io non vi conosco.» fece lui gelido, anche se la sua espressione di disprezzo lo contraddiceva.
«Ah, è questa la tua reazione davanti a vecchi amici?» domandò il numero venti allargando platealmente le braccia. «Ve l'avevo detto che avrebbe reagito da vigliacco... e dire che ne abbiamo passate tante insieme... eravamo i tuoi migliori amici, Grimmjow, non puoi dimenticare questo.»
Ichigo sentì istantaneamente puzza di guai davvero grossi e si alzò dalla seggiola avvicinandosi a Grimmjow. Un momento dopo i sette ragazzi erano armati di un tubo di metallo e una catena pesante, apparsi come dal nulla. Il gruppetto ridacchiò avanzando dentro l'abitazione, ma il barista non cercò né di indietreggiare né di chiuderli fuori. I suoi occhi erano fissi su un punto buio della strada, non degnava nessuno di loro di un'occhiata.
«Non hai certo dimenticato un conto in sospeso con me, vero?» domandò il numero tredici con voce acuta e minacciosa.
«Era un conto ben chiuso, testa di cazzo.» rispose Grimmjow. «Io ti ho spaccato il naso e tu la clavicola, quindi siamo pari.»
«Forse non hai capito una cosa importante, amico... un conto per me è chiuso quando io vinco
Il numero venti, che era un giovane dai capelli biondi molto lunghi, lo colpì all'addome con un pugno poderoso. Gli afferrò i capelli azzurri nel momento in cui istintivamente si piegò per il dolore e lo scaraventò a terra, mentre gli altri ragazzi dalle magliette bianche lo accerchiavano ridacchiando. Il numero sedici, un tipo molto alto armato della catena pesante, l'abbattè sulla schiena di Grimmjow con un suono secco da mettere i brividi. 
Ichigo non era un tipo violento o una testa calda che scatenava risse, ma volente o nolente si era ritrovato in mezzo a molti conflitti e certo molti di quelli lo avevano raggiunto perché si ostinava a buttarsi in mezzo in casi simili a quello. Questa volta non fu diverso: qualsiasi ragione per non intromettersi venne soffocata dall'istinto di proteggere un uomo che era solo contro sette avversari armati. Si gettò di corsa contro di loro.
«Che cazzo state facendo?! Bastardi!» gridò Ichigo, colpendo uno di loro con un pugno. «In sette contro uno, e disarmato?!»
«F-fermatelo!» esclamò quello colpito da terra. «Prendetelo!»
Ichigo si divincolò dalla stretta di uno degli altri, ma al sopraggiungere del secondo venne agguantato e bloccato in una dolorosa posizione delle braccia dietro la schiena. Avendo studiato a lungo arti marziali sapeva bene che se avesse cercato di liberarsi, se non aiutato da circostanze di distrazione, quello avrebbe potuto spezzargli le braccia con estrema facilità.
«Grimmjow, chi cazzo è questo moccioso?»
«Sai, Grimmjow...» disse il numero dodici piegandosi su di lui. «Non credo che questo ragazzo abbia l'età per essere a casa tua... a questa tarda ora... oppure ti sei messo a fare il babysitter?»
Ichigo, che si aspettava che Grimmjow almeno spiegasse che era soltanto un ospite inatteso, restò sorpreso quando non ritenne necessario smentire quell'insinuazione.
«C-crepa...» sibilò Grimmjow con rabbia. «Figlio di troia...»
La catena raggiunse la sua schiena di nuovo strappandogli un gemito di dolore e rigettandolo carponi sul cemento. Ichigo si divincolò, ma un minimo movimento gli ricordò la posizione di assoluto svantaggio in cui si trovava. Immobilizzato così non poteva aiutarlo, ma anche con le braccia rotte non avrebbe potuto fare niente. Si sentì incredibilmente impotente, non poteva fare altro che parlare o gridare, ma a cosa poteva mai servire?
«Lasciatelo! Bastardi!» insistette con rabbia.
«Kurosaki...»
Grimmjow si voltò e fissò gli occhi azzurri in quelli nocciola di Ichigo con una fermezza quasi soprannaturale per una persona in quella situazione critica. Gli spense la voce con la sola forza di quello sguardo.
«Stanne fuori...»
«Ma... Grimmjow...»
«Non sono cazzi tuoi...»
Ichigo sapeva che la sua morale e i suoi principi gli imponevano di non abbandonarlo e di fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma sapeva solo guardandolo negli occhi che aveva davanti un uomo che non lo avrebbe mai perdonato se avesse osato intromettersi in quella che forse riteneva addirittura essere una gloriosa sconfitta. Annuì, uno sforzo immane, e distolse lo sguardo quando vide il tubo sollevato in alto ricadere con un altro terribile rumore d'impatto.
   
 
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