Capitolo diciassettesimo
We are crazy, but who cares
To our heaven there are stairs
If we want it to be like that
And reality is just
An illusion that we must
Soon return to, yes, but not yet
oh oh hold me
Only for tonight
Only for the stars in your eyes…
(“Only for the stars in your eyes” – Xandria)
La mattina successiva
Jacopo si svegliò abbastanza presto, mentre Antonio ancora dormiva dolcemente
accoccolato tra le sue braccia. L’uomo non volle svegliarlo, non subito.
Pensava che il ragazzo avesse bisogno di riposare, che la sorpresa che aveva
preparato per lui lo avrebbe atteso, ma soprattutto era felice di guardarlo
dormire e godeva di quella sensazione di pace e serenità che non aveva mai
conosciuto prima. A Firenze era una magnifica giornata estiva ma non troppo
calda e sarebbe stato il giorno perfetto per mostrare ad Antonio quello che
aveva preparato per lui.
Il sole del primo
mattino filtrava dalla finestra della camera e andava a illuminare il viso del
ragazzo, dal quale Jacopo non riusciva a staccare lo sguardo: gli occhi chiusi
ombreggiati dalle ciglia scure, le labbra appena socchiuse in una sorta di
sorriso, le guance rotonde, l’espressione innocente e beata.
Quello era Antonio,
quello era il ragazzo che aveva cambiato, anzi, ribaltato la sua vita. L’uomo
avido di potere, ruvido e austero, che desiderava solo rovinare i Medici e
conquistare la città adesso non esisteva più: il nuovo Jacopo era ancora un
uomo severo e rude e, a dirla tutta, i Medici non gli erano tanto simpatici
nemmeno adesso… però non aveva più il minimo interesse per potere, onori e
gloria e tutto ciò che voleva era lì tra le sue braccia, era una vita accanto a
quel ragazzino così tenero e affettuoso.
Ma proprio a causa
della sua ambizione e della sua acrimonia verso i Medici quel ragazzino aveva
rischiato la vita e non sarebbe più stato davvero bene, i dottori erano stati
molto chiari in proposito, la ferita e la perdita di sangue avevano indebolito
una struttura già fragile e non era possibile sapere quanto a lungo sarebbe
durata la vita di Antonio.
Quando Jacopo pensava
a questo si sentiva il più miserabile verme dell’universo e si sarebbe preso a
pugni in testa per punirsi della propria testardaggine, della propria ottusità,
per non aver preso le distanze da chi, come quell’idiota presuntuoso di
Salviati (che aveva fatto la fine che meritava, cioè quella del fesso…), aveva
invece soffiato sul fuoco dei suoi rancori e lo aveva portato ai limiti estremi
per un vantaggio personale.
Ma adesso non sarebbe
stato più così. D’ora in poi era deciso a dedicare il resto della sua vita a
rendere felice quel piccolo, dolcissimo angelo che aveva avuto la fortuna di
incontrare.
Pian piano Antonio iniziò a svegliarsi, si mosse un
po’, fece un lieve sospiro, si strinse di più al suo uomo. Jacopo allora lo
abbracciò e lo baciò a lungo, come se anche quei momenti di attesa fossero
stati troppo, per lui. Aveva bisogno di sentirlo tra le sue braccia, di sentire
la sua morbidezza e il suo sapore, sentire che era sempre lì, che non lo aveva
perduto, che non lo avrebbe perduto mai, sebbene non se lo meritasse.
L’abbraccio si fece intenso e profondo e Jacopo si perse nella
dolcezza del contatto sempre più intimo con Antonio, un contatto che riempiva
entrambi di tenerezza, calore, felicità infinite mentre le loro anime e i loro
corpi si fondevano insieme, senza alcun grado di separazione.
Più tardi, Jacopo
decise che era giunto il momento di svelare al ragazzo la sorpresa che aveva
preparato per lui nei giorni in cui era stato costretto a letto a causa della
ferita. Entrambi erano pronti per uscire e si incamminarono insieme verso la piazza.
“Dovremo camminare
per un po’, Antonio, te la senti? Sei sicuro di non essere stanco? Se
preferisci, posso ordinare a un servitore di chiamare una carrozza” propose
l’uomo, che non era mai stato tanto premuroso in tutta la sua vita. Quando lo
vedevano così, Francesco e Guglielmo si domandavano se quello fosse davvero lo
zio che avevano sempre conosciuto, quello burbero e severo che li faceva
studiare per ore e andare alla Banca anche quando erano ammalati e con la
febbre alta… perché dovevano imparare fin
da ragazzini a sacrificarsi per il bene della famiglia! A volte pensavano
che uno spirito burlone avesse portato via lo Jacopo Pazzi che conoscevano fin
troppo bene e che lo avesse scambiato con questo estraneo…
Se fossero stati al
giorno d’oggi, Francesco e Guglielmo avrebbero senz’altro pensato che il loro
zio Jacopo fosse stato rapito dagli alieni!
Antonio rivolse
all’uomo un sorriso radioso.
“Ma no, non c’è
bisogno della carrozza, sto benissimo e anzi sono molto curioso di vedere dove
volete portarmi, Messer Pazzi” rispose con entusiasmo. “E’ la sorpresa di cui
mi parlavate ieri, vero?”
Jacopo annuì con un
leggero sorriso.
Non aveva voluto che
Antonio sapesse delle sue precarie condizioni di salute perché non voleva che
si preoccupasse e, soprattutto, non voleva che perdesse quell’allegria, quella
gioia di vivere che illuminavano ogni suo giorno. Avrebbe pensato lui a non
farlo stancare, sarebbe stato lui a preoccuparsi, Antonio doveva vivere felice.
Sì, forse il vero
Jacopo Pazzi lo avevano veramente rapito gli alieni…
Jacopo e Antonio
presero la strada che li avrebbe condotti alla collina sopra Firenze, la zona
in cui sorgevano le tante ville che avevano incantato il giovane Orsini mesi
prima (eh già, proprio là stava la sorpresa che Pazzi aveva preparato per il
suo ragazzino!) ma, prima che potessero finire di attraversare la piazza, due
uomini si rivolsero a Jacopo in un tono ben poco rispettoso. A dire il vero,
era già da un po’ che quei due fissavano la coppia, o meglio Pazzi, con uno
sguardo ben poco amichevole. Si trattava di Niccolò Ridolfi e di Antonio Pucci,
due importanti alleati dei Medici che non erano affatto contenti di come
Lorenzo aveva gestito la faccenda: secondo loro, il Medici avrebbe dovuto
approfittare della tentata congiura per eliminare la famiglia Pazzi da Firenze
una volta per tutte. Ridolfi, a dire il vero, aveva già tentato di dire
qualcosa del genere al Consiglio dei Priori del giorno precedente, ma era stato
rimproverato dal Gonfaloniere.
Ora, però, il
Gonfaloniere non c’era…
“Messer Pazzi, non vi
recate in Banca questa mattina? Preferite approfittare della bella giornata per
fare due passi? O forse… forse avete in mente qualcos’altro?” lo apostrofò
Ridolfi, sarcastico.
Jacopo si voltò
lentamente. Sapeva bene che c’erano uomini come quelli che avrebbero voluto
avvalersi del sospetto che gravava sulla sua famiglia per liberarsene e
prendere il loro posto ed era anche pronto ad opporsi ad essi, ma non era
quello il momento. Quello era il giorno che aveva scelto per dedicarsi ad
Antonio e non voleva farselo rovinare da nessuno.
“Non capisco a che
cosa alludiate, Messer Ridolfi. Io e il giovane Orsini siamo semplicemente
usciti per una passeggiata” replicò, gelido. “Credo che farebbe bene anche a
voi e al vostro amico Messer Pucci. Se permettete, noi andiamo. Vi auguro una
buona giornata.”
“Avete fretta, Messer
Pazzi? Forse allora i vostri scopi non sono del tutto innocenti come volete farci credere” insinuò Pucci. “Lorenzo de’
Medici è stato troppo generoso con voi…”
Antonio,
improvvisamente, si aggrappò a Jacopo. No, non poteva essere. Quella giornata,
che prometteva tanta gioia, si stava rapidamente trasformando in un incubo. Lui
aveva fatto di tutto perché Lorenzo e Giuliano, dopo essersi salvati, non
incolpassero Jacopo e ci era riuscito, ma non aveva mai pensato che altre
persone, magari per tornaconto personale, avrebbero potuto desiderare la rovina
dei Pazzi… Si sentì gelare il sangue e impallidì mortalmente.
Vedendo Antonio tanto
spaventato, Jacopo si infuriò davvero.
“Non so di cosa
stiate parlando, ma vedo che state spaventando molto Messer Orsini e questo non
ve lo permetto! Andate per la vostra strada e lasciateci in pace!” sibilò.
“Sì, certo, stavamo
giusto andando a parlare con Lorenzo de’ Medici” riprese Ridolfi, per nulla
intimorito. “Magari riusciremo a convincerlo a fare la cosa giusta…”
Quelle parole
turbarono molto Pazzi, ma non lo diede a vedere perché Antonio era fin troppo
preoccupato e lui voleva solo allontanarlo da lì.
“Parlate con chi
volete, ma lasciateci in pace” ripeté, poi circondò le spalle del ragazzo con
un braccio e lo condusse via, stringendolo a sé. Poteva solo sperare che
Lorenzo non ascoltasse le insinuazioni di quei due… quei due che, a dirla
tutta, erano proprio come lui qualche tempo prima, ma vabbè!
Jacopo e Antonio
proseguirono la loro passeggiata, ma l’uomo sentiva tremare il giovane nel suo
abbraccio ed era preoccupato, non voleva che si tormentasse, avrebbe potuto
fargli male, doveva distrarlo… per fortuna entro breve tempo sarebbero giunti
alla meta e quello, sperava, avrebbe scacciato ogni pensiero negativo dalla
mente di Antonio.
Uscirono dalle mura
cittadine e si diressero verso una leggera salita che conduceva alla chiesa di
San Miniato al Monte. Lungo la strada si ergevano ville stupende, circondate da
parchi e giardini e che godevano di una spettacolare vista di Firenze.
Jacopo si fermò
davanti a una di quelle: era molto grande, circondata da un parco elegante e
ben curato, con alberi, cespugli e statue che creavano un’atmosfera serena e
piacevole. Vi si accedeva tramite uno scalone in pietra che si apriva in un
ampio cortile terrazzato dal quale si poteva ammirare Firenze in tutto il suo
splendore.
“Che bellissima
villa” commentò Antonio, incantato. “Di chi è?”
Jacopo sorrise.
“E’ mia. O meglio,
nostra, se vuoi” rispose, stringendolo di più a sé.
Gli occhi scuri di
Antonio si sgranarono per lo stupore e la felicità.
“Volete dire che…”
“Ho acquistato questa
villa nel periodo in cui eri costretto a letto per colpa della ferita” spiegò
l’uomo. “Tu avevi detto che ti sarebbe piaciuto avere una di queste case, me lo
dicesti il giorno… il giorno prima di quella congiura e io pensavo che l’avrei
comprata per te… dopo. Ma tutto è
andato ancora meglio del previsto e adesso questa sarà la nostra casa. Vuoi
vederla?”
“Certo che voglio
vederla! Messer Pazzi, io… non riesco a crederci, forse è tutto un sogno?”
mormorò Antonio, emozionato e felice.
Jacopo lo condusse
attraverso il magnifico parco, verso lo scalone da cui si accedeva alla villa.
Il ragazzo non sapeva più da che parte guardare, tante erano le cose belle da
ammirare. E la cosa più bella di tutte era che Messer Pazzi aveva acquistato
quella villa per viverci con lui, come se fossero… beh, insomma…
“Dentro non è ancora
arredata, ci sono solo alcuni mobili antichi della mia famiglia, ma nei
prossimi giorni farò in modo che tutte le nostre cose vengano spostate qui da
Palazzo Pazzi” proseguì Jacopo mentre, sottobraccio ad Antonio, gli mostrava le
ampie stanze, luminose e arieggiate. “Immagino che questa si chiamerà Villa
Pazzi, a meno che tu non voglia chiamarla Villa Orsini!”
“Ah, no, no, Villa
Pazzi va benissimo!” rise Antonio, al colmo della gioia. Jacopo lo strinse a sé
e lo baciò a lungo, pensando che quel luogo era perfetto per il suo ragazzino,
era pieno di luce come lui e regalava serenità e armonia.
Dopo aver ammirato le
varie stanze, i due tornarono fuori e passeggiarono per un po’ nel grande
parco, fino a sedersi su una panchina in pietra, accanto a un piccolo, elegante
pozzo. La giornata estiva si faceva calda, ma lassù spirava una brezza gentile
che rendeva piacevole stare all’aperto.
Jacopo, però, notò
che sul viso di Antonio rimaneva un’ombra, chiaramente causata dal brutto
incontro di quella mattina.
“Antonio, ascoltami
bene, non devi turbarti per quello che hanno detto quei due uomini” gli disse.
“Sono convinto che, per quanto possano cercare di convincerlo, Lorenzo non darà
loro ascolto. So che tiene davvero a Firenze e a mantenere la pace e di sicuro
non vorrà iniziare una nuova faida familiare proprio ora che stiamo… beh… collaborando. Pur essendo giovane,
Lorenzo è già un… insomma… un saggio
governante e le calunnie dei suoi alleati non lo condizioneranno.”
Era la prima volta
che Jacopo diceva cose positive su Lorenzo ed era evidente che la cosa gli
costava un certo sforzo!
“Sì, penso anch’io
che Lorenzo non ascolterà dei bugiardi
manipolatori” replicò Antonio, sorvolando allegramente sul fatto che, in
fin dei conti, Ridolfi e Pucci non andavano poi così lontano dalla verità,
dicendo che Jacopo era coinvolto nella congiura… “Però quei due Messeri non lo
fanno per Lorenzo o per Firenze, io temo che vogliano il posto della vostra
famiglia e… ho paura che non si fermeranno…”
Inaspettatamente,
Jacopo sorrise e strinse più forte a sé il suo ragazzino.
“Vogliono più potere?
Non hanno bisogno di danneggiare me per prenderlo, dato che la villa non era la
sola sorpresa che volevo farti oggi” disse. “Ho intenzione di limitare la mia
partecipazione alla vita politica di Firenze, d’ora in poi, ed è anche per
questo che io e te vivremo in questa villa, più lontana dal centro della città.
Parteciperò alle riunioni del Consiglio dei Priori e, se Lorenzo vorrà il mio
appoggio, potrà averlo sempre, ma io non ho più alcuna ambizione e tutto ciò
che voglio è vivere la vita che mi resta qui, in pace e serenità e… insieme a
te.”
Antonio arrossì e
spalancò gli occhi, in preda all’emozione. Non sapeva se doveva rallegrarsi o
meno delle parole di Jacopo: ovviamente lui era contentissimo di avere il suo Messer Pazzi tutto per sé, ma
temeva che rinunciare a ogni ambizione avrebbe finito per amareggiare l’uomo
che amava.
“Davvero non volete
più partecipare al governo di Firenze? E la vostra Banca?” domandò.
“Non ho detto che
voglio ritirarmi da tutto” spiegò Jacopo. “Della Banca si occuperanno
principalmente Francesco e Guglielmo, in fondo è per metà la loro, e io mi
limiterò alla supervisione. Allo stesso modo sarò disponibile come consigliere
di Lorenzo se lui deciderà di avvalersi del mio appoggio. Ma la maggior parte
del mio tempo voglio dedicarla a te e a vivere sereno: ho già passato anche
troppi anni della mia vita occupandomi solo di affari e politica, anch'io ho
bisogno di riposo. Non sono più un ragazzo.”
“Oh, voi siete sempre
un nobile e valoroso signore!” protestò Antonio, felice e ammirato.
“Nei prossimi giorni,
dunque, ci trasferiremo in questa villa, mentre a Palazzo Pazzi andranno a
vivere Francesco e Guglielmo con le loro famiglie” disse ancora Jacopo, e anche
qui c’era da stupirsi alquanto, visto che l’uomo intendeva lasciare il suo
palazzo anche al nipote che aveva definito non
più un Pazzi e a sua moglie e i suoi figli, che per lui erano solo dei Medici, detto con la giusta dose di
disgusto.
Il vento stava
davvero cambiando!
Jacopo e Antonio si
alzarono dalla panchina per far ritorno a Firenze, ma prima l’uomo volle ancora
una volta stringere e baciare il ragazzino che aveva permesso quel miracolo, il
suo piccolo angelo, la sua salvezza.
Mentre uscivano dal
parco, Jacopo si voltò ancora una volta ad ammirare il suo nuovo acquisto.
“Sarebbe bello far
realizzare una statua equestre del mio antenato Pazzino de’ Pazzi per
collocarla all’ingresso del parco, come ad accogliere i visitatori. Che ne
pensi, Antonio?” chiese.
“E’ una bellissima
idea, Messer Pazzi!” rispose il ragazzo, entusiasta. “Potete chiedere a
Lorenzo, lui conosce tanti bravissimi artisti e sono certo che vi farà
realizzare una bellissima scultura!”
Eh, già, e chissà
quanto ne sarebbe stato felice Giuliano,
non appena lo fosse venuto a sapere!
Sereni e felici, i
due si incamminarono nuovamente verso Firenze, tenendosi allacciati. Per il
momento i brutti pensieri e i pericoli parevano lontani, ma chissà…?
Fine diciassettesimo capitolo
NOTA DELL’AUTRICE:
L’immagine che ho messo prima del capitolo è una villa
realmente esistente sulle colline di Firenze, ovviamente non credo proprio che
fosse dei Pazzi, ma mi è piaciuta moltissimo e ho immaginato che il luogo dove
Antonio e Jacopo vivranno sia proprio quello!