Spazio
autore
Malandrino
ninja: Poveraccio,
tutta colpa della CIA ( che si dice sia davvero venuta in possesso di
un
Chupacabra, ma forse è una balla). Ad ogni modo il wendigo
era reale, perché in
“Il terrore dei boschi solitari” domina la magia,
in “Nel regno delle leggende”
la razionalità.
Insomma,
una è come “Supernatural”
e l’altra è come “Scooby Doo”.
La
prossima creatura è un fossile
vivente, anche se dubito che tu la conosca…
Siamo
arrivati alla fine della
storia.
Colgo
l’occasione per ringraziare
vivamente Malandrino ninja e Dubhe93, che hanno messo la storia fra i
preferiti, Targul, che l’ha messa
fra le
fic seguite, Malandrino ninja e Shakuma92 che hanno recensito e tutti
coloro
che hanno letto.
Vorrei
che i lettori rispondessero
tramite recensioni a questo sondaggio: qual è stata la
creatura che vi ha
spaventato di più? Quale quella che vi sembra più
realistica?
Non
so se la mia prossima storia
sarà su “Naruto” o su “One
Piece”, ma in ogni caso sapete dove trovarla. Ciao a
tutti!
Shikamaru
e Temari- La valle delle nebbie
Isola del Sud,Nuova
Zelanda, marzo 2009
Shikamaru
si guardò intorno
nervosamente.
Perché
non arrivava?
Accantonò
momentaneamente la
domanda e tornò a osservare il prato fiorito e rigoglioso da
cui partiva il
sentiero di montagna.
Il
solo pensiero della scarpinata
che avrebbe dovuto intraprendere lo fece rabbrividire e, sudando
freddo, si
tolse lo zaino e lo posò a terra per godersi gli ultimi
momenti di pausa.
Stava
per accendersi una
sigaretta, ma si controllò.
Era
determinato a smettere.
Seduto,
lasciava che il vento
tiepido dell’autunno australe gli accarezzasse la fronte e i
dritti capelli
legati, guardando le nuvole che scorrevano nel cielo come bianchi
cavalli.
“Shikamaru!
Alzati brutto
poltrone!” strillò qualcuno direttamente nel suo
orecchio facendolo sobbalzare
per la paura.
“Temari
sei tu! Oh, sei proprio
una seccatura! Cosa ci costa aspettare.” mugolò il
moro.
“Cosa
ci costa?” chiese inviperita
la ragazza, che studiava con lui all’università.
“Ti sei scordato che proprio a
te interessava? Adesso in marcia!”.
Il
giovane indossò di nuovo lo
zaino e prese a marciare sulla strada ghiaiosa, seguito dalla compagna
per
nulla intimorita dagli otto chilometri di cammino che avrebbero dovuto
percorrere.
Tale
tragitto gli avrebbe condotti
da quel piccolo paese arroccato sopra una gola sassosa fin nel cuore
della selvaggia
West Coast, la parte più incontaminata e remota
dell’isola più meridionale
della Nuova Zelanda, sita nel lembo sudoccidentale del paese.
Si
trattava di una zona la cui
natura era rimasta sostanzialmente intatta dagli scempi degli uomini,
ed era
talmente bella da essere spesso usata come scenario di film: foreste di
pini,
montagne verdi, fiordi a picco sul mare blu e vulcani innevati, il
tutto
incastonato in un paesaggio dominato spietatamente da pioggia, vento e
nebbia.
La
popolazione umana era scarsissima:
pochi bianchi e indigeni maori, oltre a campeggiatori, escursionisti e
alpinisti che venivano a sfidare quell’ambiente primordiale.
Shikamaru
e Temari camminavano,
avvolti in giacche a vento, dato che il clima era piuttosto rigido:
presto
lasciarono le irte strade in salita a favore di sentieri che si
inoltravano
nella foresta.
Il
loro compito era preparare la
tesi di laurea in biologia, e per raggiungere tale traguardo dovevano
presentare ai professori dell’università le loro
ricerche sulla fauna di
quell’angolo di mondo che non aveva uguali: era composta
soprattutto da
uccelli, alcuni assai strani, al punto da aver perso
l’attitudine al volo, e in
passato ne esistevano anche altre, estintesi per la caccia da parte
dell’uomo.
Shikamaru
era rimasto notevolmente
indietro, sebbene non mostrasse esteriormente segni di stanchezza, e si
avvicinò di soppiatto a Temari sussurrandole: “E
se trovassimo un moa?”.
“Ma
va là! Risparmia il fiato!” lo
ammonì duramente la bionda.
In
realtà quello era il sogno
segreto di entrambi: cosa ci sarebbe stato di meglio che tornare
trionfanti con
un autentico fossile vivente in carne e ossa?
I
moa erano una razza antichissima
di uccelli incapaci di volare, simili a struzzi ma molto più
grandi e pesanti,
che percorreva boschi e altopiani delle isole neozelandesi; erano
pacifici ed
erbivori e il loro unico nemico era l’aquila di Haast, un
rapace gigantesco, ma
dopo lo scoperta dell’arcipelago da parte dei maori erano
stati cacciati per la
carne.
Gli
scienziati ritenevano che fossero
spariti definitivamente dalla faccia della terra nel 1500, ma altri
indizi
davano a pensare che fossero riusciti a sopravvivere nascosti fino al
XVIII o
addirittura XIX secolo, cioè quando il paese era
già stato colonizzato dagli
inglesi: senza contare poi di quanti asserivano di aver fotografato o
visto
qualcosa di insolito nelle intricate foreste meridionali dove
i
due giovani stavano camminando
ora.
Entrambi
avevano spesso avuto modo
di incontrare i moa sui libri di studio, e sembrava loro impossibile
oltre che
triste che un animale tanto maestoso non fosse più al mondo.
I
ragazzi si presero una breve
pausa, sedendosi accanto a fitti cespugli sopra cui torreggiavano
alberi dagli
alti fusti e di varie specie; l’erba era alta, le chiome dei
pini ostacolavano
al luce immergendo la radura in una profonda penombra e non era poi
così
improbabile che un animale di grossa taglia sfuggisse alla vista.
Shikamaru
fissò di soppiatto la
compagna che si aggiustava l’acconciatura bionda composta da
quattro codini: il
suo carattere era così insopportabile, ma le sue forme
così mozzafiato…
D’altronde
pareva destino che gli
uomini della sua famiglia sposassero donne forti e volitive.
“Vuoi
che porti il tuo zaino? In
fondo dovrei essere galante con le signore!”
esclamò lui, ma la giovane lo
scrutò e scoppiò a ridere: “Come se ne
avessi bisogno! Forza andiamo!”.
In
quell’attimo si percepì un
leggero fruscio e dai cespugli fece capolino un uccello: era coperto di
piume
brune e aveva un lungo becco, e si guardava intorno sospettoso.
“Un
kiwi! E come potrebbe mancare
il nostro animale simbolo nella nostra tesi di laurea?” disse
sarcastico
Shikamaru, avvicinandosi molto lentamente.
Nonostante
ciò l’animale avvertì
il pericolo e corse via come una furia, starnazzando.
“Ehi,
torna qui! Siamo tuoi
amici!” urlò Shikamaru cercando di controllarsi e
partendo come un razzo
all’inseguimento, con Temari alle calcagna che gli urlava di
calmarsi.
Difatti
il moro inciampò per
sbaglio in una radice e rotolando su un pendio cadde con la faccia
nell’erba, e
Temari si apprestava a dargli una lezione, ma prima di ciò
si guardò intorno e
realizzò che erano finiti in una profonda valle dai fianchi
boscosi cinti da
alti picchi.
Nell’atmosfera
umida aleggiava una
leggera ma persistente nebbiolina, adatta alle apparizioni di spettri,
come
quello che fece capolino nel sottobosco fra i tronchi così
stretti da impedire
la visuale: sembrava una sorta di struzzo alto fra tre e quattro metri,
coperto
da un piumaggio marrone, dotato di un robusto becco e di lunghe zampe
che
terminavano con dita munite di artigli affilatissimi, e a quanto pare,
completamente sprovvisto di ali.
La
sorpresa dei due crebbe a
dismisura quando altre creature simili spuntarono da dietro rocce e
cespugli,
avvicinandosi a grandi passi e schiamazzando eccitati: i giovani erano
capitati
in una vallata i cui unici abitanti erano i mitici moa.
“Non
posso crederci…Dopo tutti
questi secoli sono ancora qui” mormorò Temari
stupefatta.
“Probabilmente
non hanno mai
incontrato l’uomo. Adesso provo a vedere se mi
temono” spiegò Shikamaru, quindi
si girò e si avvicinò di soppiatto a uno degli
uccelli.
Questo
piegò il lungo collo,
puntandolo con un occhio attento, poi aprì il becco
gorgogliando e strofinò la
testa piumosa sulla manica del giovane,
“Sembra
che tu gli piaccia” commentò
la bionda appressandosi a un altro animale e carezzandogli dolcemente i
fianchi.
Tutt’intorno
vi erano anche i
pulcini, che correvano in tutte le direzioni lanciando grida acute, e
nei nidi
i due quasi biologi videro le uova più grandi che avessero
mai visto.
Ma
il pericolo doveva prima o poi
apparire anche in quella landa incorrotta.
Dal
bosco sgusciò fuori un uomo
vestito con una giacca di pelle e un cappello a tesa larga che
imbracciava un
fucile da caccia: un bracconiere senza dubbio.
Egli
si inginocchiò dietro una
roccia e prese la mira: al primo colpo ferì un enorme
maschio, che tuttavia
ebbe ancora al forza di avventarsi su di lui, prima che
un’altra pallottola gli
sottraesse la vita facendolo stramazzare nell’erba tintasi di
sangue.
“Bastardo!”
gridò Shikamaru
agitando i pugni, ma fu preceduto da un moa che balzò in
avanti con un urlo
selvaggio: al cacciatore si gelò il sangue e rimase
impotente a guardare mentre
gli artigli della bestia lo squarciavano come un pupazzo.
“Ha
voluto sfidare la natura. Ma
anche loro hanno pagato un pesante
tributo”sentenziò freddamente il ragazzo
indicando entrambi i cadaveri a terra.
Temari
annuì e aggiunse: “C’è un
solo modo per proteggere questo posto: lasciarlo segreto”.
Poco
dopo i due erano di nuovo in
cima alla valle, e fissavano il paesaggio sottostante tenendosi
teneramente per
mano, lasciando dietro di sé nebbie e segreti.
D’altronde,
era giusto che i moa
vivessero ancora nei secoli dei secoli.