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Autore: _romanski    23/09/2019    1 recensioni
"Mi accendo una sigaretta, realizzando ancora quanto io sia solo. L’unico colpevole sono io, perché sono un narcisista di merda, perché continuo a pensare di essere una brava persona, che non sbaglia mai e che ha il permesso di calpestare il cuore della gente. Quindi rimango seduto per terra, ad ascoltare musica triste e a insultarmi, mentre il sangue continua a colare dalle mie nocche, sporcandomi i jeans."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so come mi sento.
Non riesco a capire se quella che mi ribolle dentro sia tristezza, rabbia, frustrazione o una combinazione delle tre. È come se il cielo mi fosse crollato addosso un’altra volta, sempre nello stesso modo, con le stesse dinamiche. Eppure io, dopo anni, ancora non imparo la lezione. Mi ostino a credere che la prossima volta sarò bravo, sarò più furbo, ma ci ricado sempre.
Non sono permaloso, né rancoroso, ma come tutti gli essere umani ho un limite, che però nessuno sembra notare mai, nonostante i miei avvertimenti. E poi, quando oltrepasso quella sottile linea e libero tutto quello che ho dentro, la gente intorno a me rimane sbigottita, se ne esce con frasi come “te la prendi per così poco?” “ma adesso questo cosa centra con il discorso che stiamo facendo?” “ancora parli del passato?”. Frasi del cazzo, che mi mandano solo in bestia, più di quanto io già non sia.
Chiunque mi conosca dirà di me che sono il giullare di corte, con i suoi alti e bassi certo, ma sempre pronto a risollevare il morale o a risolvere i problemi degli altri, una specie di crocerossino dei casi più disperati. Ma quando è il mio turno, quando sono io a urlare dalla disperazione, intorno a me non c’è assolutamente niente che non sia polvere.
Mi ritrovo sempre seduto per terra, da qualche parte, a riflettere su cosa possa essere andato storto anche stavolta. È quello che sto facendo adesso: continuo a domandarmi che cosa ho sbagliato, se sia colpa mia oppure no, come ho fatto a non accorgermi di essere di nuovo a questo punto.
Mi guardo le mani, le nocche spaccate e doloranti, gocciolanti di sangue, chiedendomi come sia possibile che somiglio ancora al quindicenne disastrato che ero. Pensavo che, almeno sotto questo punto di vista, la terapia avesse fatto effetto, che almeno una parte dei problemi passati fosse svanita, che si fosse finalmente risolta, e che ci fosse uno spiraglio in più per respirare. E invece no, continuo a essere in apnea.
Chiamo Sofia, storica amica che mi ha visto nei momenti peggiori e anche in quelli migliori. Realizzo subito dopo che fino a pochi giorni prima aveva la febbre e mi sento un’egoista. Lei comunque mi risponde dopo poco squilli, con la solita voce allegra e spensierata che da sempre la caratterizza. Le chiedo dove sia, come stia e soprattutto se sia libera per uscire, ma mi comunica che è dalla nonna con la sua fidanzata. In un primo momento non reagisco, non so cos’altro dire. Volevo vederla, farmi consolare, sentirmi dire che la colpa non è mai stata mia e che tutto si risolverà nei migliori dei modi, perché se me lo dice lei io ci credo sul serio.
Sto per riattaccare, ma Sofia non è stupida e impiega un secondo a capire che c’è qualcosa che non va.
Egoista.
Mi mordo il labbro, cosciente di aver rovinato un momento felice per lei, un momento tranquillo senza angosce. La rassicuro, cercando di sembrare il più convincente possibile, facendomi promettere che appena sarà libera ci vedremo, poi riattacco. Lei non mi richiama, come invece avrebbe fatto quando eravamo più piccoli. La capisco: ha di meglio da fare.
Allora chiamo Aurora, altra amica con la quale però ho avuto una brutta discussione tempo addietro. Ma credo che un po’ mi sia fatto perdonare, ci siamo parlati civilmente, non sono stato aggressivo né maleducato. Non l’ho ferita, per cui penso che mi risponderà.
La voce di Aurora è incerta, probabilmente si sta chiedendo per quale assurdo motivo la stia chiamando. Le faccio le stesse domande che ho posto a Sofia e sicuramente è proprio questo a confonderla di più. Anche lei ha intuito che qualcosa non va, ma mi dice di essere a casa del fidanzato. Certo, dove altro potrebbe essere in una piovosa domenica di settembre?
Egoista.
Riattacco e poso il telefono per terra, accanto a me. Chi altro posso chiamare? Eleonora non ha quasi mai il telefono in mano e quest’ora, se non è già uscita, starà studiando per qualche esame universitario. Vorrei chiamare Elena, ma che senso avrebbe? Abita in Toscana e, per quanto so che mi solleverebbe il morale come ha già fatto, in questo momento ho bisogno di una persona in carne e ossa che mi guardi negli occhi, non dietro lo schermo di un telefono.
Realizzo lentamente di non avere nessun altro da chiamare.
Sono rimasto solo, un’altra volta.
Egoista.
Mi vengono in mente tante persone con cui potrei parlare, sfogarmi, raccontarmi e maledirmi, ma sono tutte persone che io stesso ho fatto soffrire, persone che non sento da moltissimo tempo e che ora come ora non mi degnerebbero nemmeno di uno sguardo, se non per prendere la mira e sputarmi in un occhio. O in tutti e due.
Potrei chiamare Sabrina, che mi cerca spesso e alla quale do sempre buca, ma ha una figlia e un fidanzato, di certo non uscirà sotto la pioggia per me. Vorrei avere con me Matteo, adesso, con i suoi consigli, il suo sorriso rassicurante come i suoi abbracci mai richiesti, ma sempre efficaci. Vorrei Stephen, Dio, quanto lo vorrei ora. Lui è quello che più che avermi amato, mi ha venerato. Ha fatto cose per me che nessun altro avrebbe fatto, nonostante io sia stato davvero un bastardo con lui, nonostante io gli abbia voltato le spalle dopo aver visto le lacrime rigargli le guance a causa mia. Lui, più di tutti, non vorrebbe mai rivedermi. Penso che se lo chiamassi adesso, disperato e abbandonato a me stesso, non mi risponderebbe mai.
Egoista.
Una parte di me continua a dirmi che tutta questa gente dovrebbe davvero mollare tutto e venire da me, a consolarmi, a vedere come sto, perché è ciò che io ho fatto con loro. Ma l’altra parte mi dice che no, non ho il diritto di pretendere amorevolezza e compassione, perché la sofferenza che ho causato prevale su qualsiasi mia gentilezza dimostrata in passato. Questo 50 e 50 mi frulla nella testa, mi annebbia la vista e mi rende più confuso di quanto già non sia. Non mi è rimasto nessuno, sono solo e con una voglia matta di distruggere tutto ciò che è intorno a me.
Mi viene la folle idea di chiamare Sharon.
Folle, sì, perché è una delle mie ex. La ex per eccellenza, mi viene da dire. Quello che ho condiviso con lei non l’ho mai sperimentato con nessun altro. Forse perché siamo fuori di testa tutti e due e, si sa, fra matti c’è una simpatia più forte.
Ma se la chiamassi potrebbe non rispondermi di proposito, oppure potrebbe ridere e dirmi che sono patetico. Non avrebbe torto, lo sarei sul serio. Che potrei mai dire a una persona che non sento da quasi cinque anni? Eppure lei capirebbe, nonostante abiti in Repubblica Ceca, nonostante i suoi problemi, lei mi capirebbe. Come, d’altronde, mi capirebbero tutti gli altri.
Egoista.
Ma per quale cazzo di ragione dovrei chiamarla? Starà certamente vedendo qualche film coreano che a lei piace tanto, o sarà in giro con le amiche, o semplicemente si starà facendo i beati cazzi suoi sbragata sul letto della sua camera.
Ci sarebbero altre persone con le quali potrei parlare, ma non sono proprio le più adatte a trattare di queste tematiche. Li ho conosciuti nel reparto psichiatrico dove ero ricoverato quando avevo quindici anni. Dico che non sono adatte perché li conosco bene, uno a uno. Francesco piangerebbe per me, affogando nella sua depressione, Dafne mi snobberebbe, troppo impegnata a contare i chili persi nella settimana, Valerio perderebbe il filo del discorso per raccontarmi i suoi drammi amorosi, Camilla mi consiglierebbe di vomitare, per buttare fuori tutto lo stress e le porcherie ingerite, e Claudio mi inviterebbe a rapinare una banca insieme a lui.
Mi accendo una sigaretta, realizzando ancora quanto io sia solo. L’unico colpevole sono io, perché sono un narcisista di merda, perché continuo a pensare di essere una brava persona, che non sbaglia mai e che ha il permesso di calpestare il cuore della gente. Quindi rimango seduto per terra, ad ascoltare musica triste e a insultarmi, mentre il sangue continua a colare dalle mie nocche, sporcandomi i jeans. Non c’è più nessuno, nemmeno mio cugino che fino a qualche minuto prima era seduto sul divano a guardare un film con me.
Stavo davvero bene, ero leggero, ma poi è arrivata nostra nonna a rovinare tutto, a rimproverarmi per delle stronzate, e io ho reagito nell’unico modo che conosco: la violenza. Sono stato cattivo, velenoso, credo di averle rinfacciato cose che lei non abbia nemmeno fatto. Sono uscito fuori, per provare a respirare e a calmarmi, e quando sono rientrato mio cugino era sparito. È scappato via, perché l’ho spaventato.
È questo che succede: mi convinco che sia normale, che sia qualcosa che succede a tutti, ma evidentemente gli altri notano dei particolari che io non colgo, che li terrorizzano, che li costringono a fare marcia indietro e a chiedersi “da quando è così?”.
Forse non dovrei nemmeno più sorprendermi, forse è a questo che sono destinato. Forse sono una di quelle persone di merda che si vedono in tv, che tutti criticano e disgustano, che sperano con tutta l’anima di non incontrare mai. Sono una persona tossica, trascino gli altri nei miei esagerati drammi e nei miei problemi. Quelli che si sono allontanati da me erano stanchi di questo schifo, penso che abbiano fatto la cosa giusta. Al posto loro, io avrei fatto lo stesso.
Non posso presentarmi a nessuno, nemmeno a qualche sconosciuto, finché non trovo un modo per guarire, per essere migliore di così. Penso che ci sia ancora un po’ di tempo per me, per riprendere il controllo della situazione e trovare l’antidoto al mio stesso veleno, prima che mi faccia marcire insieme a tutta la rabbia e la frustrazione che ho dentro.
Magari tra poco mi passa, magari domani andrà meglio, sarà un’altra giornata di merda in cui fingerò il nulla, tirerò un sorriso e riderò a battute infelici, tanto per sentirmi parte di una comunità che non mi conosce e non sa un cazzo di me.
Tanto queste sono solo parole vuote, che ingoierò di nuovo, e vomiterò addosso a qualche malcapitato per una stupidaggine priva di valore.
Perché sono un’egoista di merda.
  
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