Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: aeru_    26/09/2019    2 recensioni
[Eren✘Armin]
[Attack On Titan AU]
Armin ha rotto con Annie, e ora vorrebbe soltanto poter passare un po' di tempo per conto suo, a rimuginare su quella che è convinto essere la sua triste e inevitabile sorte: rimanere sempre da solo, e senza mai trovare una persona speciale con cui stare. Se non che la sua migliore amica Mikasa non sia per nulla intenzionata ad abbandonarlo! La sessione estiva è appena terminata, e le vacanze sono finalmente iniziate: il mare, gli amici e il divertimento lo attendono, e con loro anche dei nuovi incontri che non vedono l'ora di sconvolgere la sua vita!
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 1 -


Friends






     Una settimana. Sono passati già sette lunghi, interminabili giorni dall'ultimo esame della sessione e, di conseguenza, anche dall'ultima volta che Armin ha visto la luce del sole.

     Barricato nella sua camera, se ne sta perennemente spalmato sul letto, con indosso quella che, oramai, è divenuta una seconda pelle a tutti gli effetti, visto che in tutto questo tempo non si è mai cambiato e, di conseguenza, non ha nemmeno fatto una doccia: si tratta del pigiama regalatogli da Mikasa qualche mese fa — pantaloncini e maglietta a maniche corte decorati con paffuti e sorridenti panda stilizzati. Completamente dimenticatosi di se stesso, se ne sta lì fermo a vegetare, con nessuna intenzione di scollarsi da quella superficie tanto soffice e accogliente — se non per estrema necessità, ovvero andare in bagno.

     Provato e, a giudicare dal viso un po' scavato, anche con qualche chilo in meno, fissa il soffitto grigio con occhi vacui circondati da scure occhiaie, la labbra secche leggermente schiuse, il respiro lento e flebile. 

     E meno male che si era ripromesso di non farsi abbattere troppo! 

     Non ha la benché minima idea di che giorno o che ore siano, come del resto nemmeno da quanto tempo si ritrovi a contemplare il vuoto pensando e ripensando a tutti gli accadimenti dei tre mesi e mezzo appena passati: dal giorno in cui ha incontrato Annie, all'ultima volta che si sono parlati; i due mesi difficili che ha passato con lei, gli avvertimenti di Mikasa, tutti i segnali che aveva finto di non vedere... Al solo pensiero che avrebbe potuto evitare di ridursi in questo stato pietoso, se solo avesse dato retta al buon senso o quanto meno ai suoi amici e, in particolare, alla sua migliore amica, si sente sprofondare sempre di più nel pozzo angusto dell'abbattimento e della vergogna.

     Sospira scorato, e si gira di un lato portando le ginocchia al petto. Il suo stomaco si contorce e borbotta fragoroso reclamando disperatamente del cibo: è da giorni che ignora i morsi della fame. In realtà, è troppo stanco per alzarsi in piedi, fare quattro metri scarsi per arrivare in cucina e andare a rovistare nel frigo e nelle credenze, solo per constatare di essere costretto ad uscire per fare la spesa.

     «Che ore saranno...?» mormora tutto intorpidito, soffocando il viso nel cuscino. 

     Le sue iridi cristalline guizzano rapide verso la finestra serrata: le tapparelle sono ermeticamente chiuse, ma la luce calda del sole riesce comunque a filtrare debolmente dalle loro fine e strette fessure. Scuote la testa, constatando la sua totale confusione e l'assenza di lucidità nella sua mente spossata. Inspira profondamente, l'aria chiusa e viziata della stanza riempie i suoi polmoni appesantendolo, e subito libera uno sbadiglio che farebbe invidia anche al più impigrito dei leoni...

     Bzzzz!

     Il cellulare. Che strano, nonostante non lo metta in carica da un bel pezzo, continua ad essere miracolosamente in vita! Armin non se ne è reso conto, ma proprio lì sulla sua scrivania, seppellito sotto una caterva di cartacce, fogli e libri di ogni genere, in tutto questo tempo quell'aggeggio non ha fatto altro che vibrare ogni due per tre, segnalando l'arrivo di chissà quanti messaggi e altrettante chiamate perse. Anche adesso insiste a grugnire, producendo senza interruzione lo stesso fastidioso ronzio di un calabrone sgraziato. 

     BzzzzBzzzz!

     «Ma... Non la smette più?» Si stropiccia gli occhi infastidito e, con la stessa scioltezza di un bradipo, le mani a massaggiare le tempie doloranti per il mal di testa, si mette finalmente seduto.

     Trascinato dalle acque più profonde e impetuose del suo flusso di coscienza e rinchiuso in una bolla ovattata che lo ha allontanato — per non dire alienato — dalla realtà circostante, nella settimana passata era come entrato in un coma che gli ha inibito i sensi e ogni percezione. Vorrebbe solo essere lasciato in pace, evitare di uscire e allontanare così anche la più remota possibilità di incappare in una strada, un negozio, un bar che magari lo porterebbe a ricordarsi di Annie... O peggio, quella di incontrare proprio lei, magari mano nella mano con quel colosso di ragazzo che si è trovata. 

     Assolutamente no! È una mera questione di amor proprio: un altro schiaffo spietato alla sua autostima e al suo orgoglio, già di per sé irrimediabilmente fragili, non sarebbe in grado di reggerlo...

     BzzzzBzzzz! Bzzzzz!!

     E il telefono continua a vibrare insistente: produce un borbottio rabbioso, al punto da sembrare quasi un instancabile rimprovero! Ora che si è momentaneamente ridestato dal coma in cui era stato inghiottito, un briciolo di senso di responsabilità e, probabilmente, anche qualche senso di colpa nei confronti di chi lo starà cercando, spingono Armin a scivolare lentamente giù dal letto. Mogio mogio si avvicina alla piccola scrivania in fondo alla stanza, i piedi nudi si trascinano con estrema fatica sul pavimento lucido e fresco.

     Dissotterra il cellulare ancora ronzante dalla montagna di ciarpame sotto cui era nascosto e, non appena ne sfiora lo schermo con un dito, viene subito investito dalla luce accecante del blocco schermo. Con un lamento, richiude gli occhi di getto, neanche li avesse puntati dritti dritti sul sole. Fa un altro tentativo, e stavolta, nonostante il pizzicore fastidioso iniziale, gli occhi stretti in due fessure arrossate e lucide, riesce finalmente a focalizzare il centro notifiche proiettato sul piccolo touchscreen.

     Sbianca per un attimo: settecento cinquantasei messaggi Whatsapp dal gruppo della sua compagnia, altri quarantadue da parte di Mikasa, della quale seguono anche ben tredici chiamate perse.

     «A-Accidenti...» 

     Un brivido percorre la sua schiena per intero, e un'interminabile cascata di sensi di colpa lo travolge all'istante. Non osa visualizzare i messaggi: ne scorre rapidamente le anteprime, e ad ogni parola accorata e di incoraggiamento dei suoi amici, gli si stringe subito il cuore. Con che coraggio, adesso, risponderà a tutti? Ma soprattutto, con che coraggio risponderà a lei...

     BzzBzz! Bzzzzz!!

     Sussulta. Ora, il nome di Mikasa spicca al centro dello schermo a caratteri cubitali, segnalando una sua chiamata in arrivo, la quattordicesima per essere precisi. Il suo pollice si avvicina tremante al tasto verde, il cuore in esagitazione prende a correre all'impazzata e la bocca si prosciuga tutta d'un colpo. Trattenendo il fiato e con i brividi a fior di pelle, risponde alla chiamata e avvicina lentamente l'aggeggio all'orecchio: «Pront—»

     «Spiegami. A che diavolo ti serve un cellulare, se poi non lo usi per rispondere ai messaggi e alle chiamate? Eh, Armin?!»

     Cerca di deglutire il groppo incastrato proprio lì, nella sua gola, assieme ai sensi di colpa che, con insistenza, riemergono dal suo cuore forti e imperiosi.

     «Ciao, M-Mikasa...»

     «'Ciao' un corno! Ti rendi conto da quanto non ci sentiamo?!»

     «Scusami, i-io—»

     «Ma ti pare il modo di comportarsi, Armin? Sparire in questo modo? Senza più farti sentire o vedere da anima viva?!»

     «Mika—»

     «Ma che cavolo ti passa per la testa?!» 

     Piomba quindi un denso silenzio, che un sospiro lungo e scorato dall'altro capo del telefono si appresta a riempire con prepotenza. 

     «Ero preoccupatissima per te, stupido...» Inspira profondamente. «Lo eravamo tutti! Ma perché sparire così? Se stavi così male, avresti potuto farti sentire almeno una volta! Insomma, lo sai che puoi contare su di noi! Gli amici servono anche a questo: sostenersi, aiutarsi—»

     «L-Lo so, Mikasa!» la interrompe Armin, la voce sommessa ma al contempo ferma, quanto quella di un bambino che, in un attimo di risolutezza, cerca di ribattere ai rimproveri della madre. «Tu e i ragazzi siete molto importanti per me: siete fantastici, e vi voglio un gran bene! Io non... Non so nemmeno io cosa mi sia preso. Ho sbagliato a sparire così, è vero, però avevo davvero un gran bisogno di stare da solo con me stesso, riflettere un po' e... Ho finito per perdere la cognizione del tempo, e—»

     «Armin, per me puoi anche decidere di partire per l'Himalaya e farti monaco: è una tua scelta, e pertanto la rispetto. Ma nel momento in cui tu, prendi questa decisione senza dire niente a nessuno e sparendo di colpo dalla faccia della terra, senza farti vedere o sentire più, allora sì che me la prendo con te!» lo rimbecca severa e con un tono duro quanto il granito. «Sarebbe bastato un messaggio, Armin: 'Ehi, ragazzi, state tranquilli. Vorrei stare da solo per prendermi un po' di tempo per me stesso. Ci risentiamo fra qualche giorno'.»

     «...»

     «Sappiamo tutti cosa stai passando, e siamo preoccupati per te. Vorremmo solo sapere come stai, starti vicino, darti una mano in qualche modo.»

     Ritorna il silenzio, l'atmosfera è talmente tesa da tagliare l'aria col coltello. Alla fine, Armin abbassa il capo vinto e si passa una mano sulla fronte tutta aggrottata: non c'è molto da dire, la sua amica ha pienamente ragione. «Mi dispiace,» mugugna pentito. «Ti chiedo scusa, Mika».

     «Mh...» La ragazza soffia snervata dell'aria. «Vedi di farti sentire anche dagli altri, e di farlo quanto prima. Capito?»

     «S-Sì, va bene...»

     Dai rumori che provengono dall'altro capo del telefono, pare che sia fuori casa: si sentono le auto sfrecciare poco lontano, e i tacchi delle sue scarpe che picchiettano sulla strada piastrellata scandendo un'andatura spedita.

     «Bravo. E adesso, vieni ad aprirmi la porta.» E subito l'acuto trillare del citofono riecheggia rumoroso nell'appartamento, facendo sussultare Armin per lo spavento. 

     «Sono qui fuori.»

«Cosa?!» Da una rapida occhiata alla casa ridotta a un disastro: vestiti per terra, cartacce e briciole disseminate come coriandoli sul pavimento, il lavello della cucina pieno di stoviglie sporche, un centimetro di polvere sugli scaffali, finestre sigillate e l'aria viziata e umida che riempie l'ambiente... È dall'inizio della sessione che non da una sana ripulita a questo tugurio, vale a dire quasi tre settimane. Si guarda poi dalla testa ai piedi: a parte il fatto che deve puzzare come una bubbola, visto che non vede la doccia da una settimana, sa bene che la sua faccia è sicuramente ridotta un emerito schifo.

     «Ma...! Avresti anche potuto avvisare, adesso io—»

     «Ci ho provato, mio caro» lo rimbecca lasciando trasparire dalla sua voce alterata una nota di acido sarcasmo. «Ma eri troppo impegnato a non rispondere.»

    Colpito e affondato. Armin si morde la lingua, sospira esasperato prendendo a passeggiare avanti e indietro: come può accoglierla in quelle condizioni? Ma no, è troppo imbarazzante!

     «Però, Mikasa—»

     «Armin, sono venuta qui per te, eh! Non vorrai lasciarmi qui fuori come uno stoccafisso? Avanti. Poche storie, e vieni ad aprirmi.» 

     Riattacca di colpo, e il campanello inizia a suonare a ripetizione: ogni nota raggiunge e tedia il timpano di Armin, che con una smorfia afflitta e esasperata non può fare altro che rassegnarsi.

    Non ha scelta. Fa a tempo a raccogliere qualche vestito malamente gettato a terra assieme a qualche cartaccia, prima di andare verso la porta di ingresso pieno di vergogna come un ladro. 

     Dopo aver aperto con l'apposito tasto sull'apparecchio del citofono il portone che dà accesso all'interno del condominio, infila la chiave nella serratura della porta, e al penultimo giro prende un respiro profondo: forza e coraggio!

     I tacchi veloci di Mikasa che battono sulle scale in marmo, risuonano sempre più vicini con il loro picchiettio deciso e cadenzato. Armin ha lasciato la porta socchiusa, e nel frattempo continua a tentare di dare una rapida e disperata rassettata un po' qui e là: fra una cosa e l'altra, si ritrova a reggere un cumulo di carte, vestiti e oggetti di ogni sorta fra le braccia, formando un fagotto informe e pesante.

     Vorrebbe trasferire quel malloppo in camera, ma mosso il primo passo verso di essa, la porta si spalanca con un acuto cigolio per chiudersi subito con un colpo deciso.

     Si volta di scatto, incontrando i cerulei e profondi occhi di Mikasa, ora stretti in due intransigenti fessure. 

     I capelli neri quanto la pece, e acconciati in un elegante taglio corto, sono leggermente scarmigliati. Come se non fosse già abbastanza alta — o almeno, lo è senz'altro molto più di Armin — ora si ritrova sopra un bel paio di zeppe di forse una decina di centimetri; porta un semplice paio di jeans blu notte e una graziosa blusa dalla vivace fantasia floreale piuttosto scollata, che mette in bella mostra il suo ondeggiante petto prosperoso. 

     Lascia cadere il suo zainetto in pelle a terra, per iniziare ad incedere silenziosa verso di lui. Sul suo candido viso lindo e fino, semplice e senza un solo filo di trucco, giace una smorfia dura e accigliata. Lo scruta severa dalla testa ai piedi, ma a mano a mano che gli si avvicina, le sue labbra piene e rosee si fanno sempre e sempre più tremule, la fronte liscia e le sopracciglia fine si contraggono, gli occhi diventano lucidi e le sue braccia, lunghe e flessuose, si stendono e si protendono con slancio verso il ragazzo, che intanto lascia cadere a terra il cumulo informe di vestiti e cianfrusaglie faticosamente raccolto poco prima. 

     «Ma come ti sei ridotto...» Le sue parole escono in un filo di voce tutto tremante, mentre si china leggermente per stringerlo a sé in un lungo e affettuoso abbraccio. 

     Lui ricambia timido la stretta, il visetto un po' scavato sprofonda nell'incavo del collo di lei, immergendosi nel dolce e delicato profumo di lavanda che emana. Le dà qualche pacca sulla schiena, lasciandosi scappare una risatina accorata: «E-Ehi, va tutto bene. Tranquilla...».

     «Tutto bene?!» Ripete sbalordita e afferrandolo con una mano affusolata per la mascella. 

     Lui la guarda con occhi sbarrati e intimiditi senza emettere un solo suono; mentre Mikasa continua a studiarlo preoccupata, lo sguardo tremulo e lucido da cui traspare un'indomabile apprensione materna di cui mai, fin da quando era una ragazzina, è riuscita a liberarsi. 

     «Qui non c'è proprio niente che vada bene, Armin!» Gesticola tutta alterata indicando prima lui e subito dopo l'intero appartamento attorno a loro. «La casa è un disastro... E tu... Tu sei pelle ossa...» Interrotta da un singhiozzo, ritorna a stringerlo con apprensione, il suo respiro è strozzato, quasi stia trattenendo un pianto imminente con tutte le sue forze.

     Armin cerca di calmarla e rassicurarla come può, ma si rende conto di essere tutto meno che credibile. Il suo cuore, avvolto dal gelo fino ad oggi, inizia a scaldarsi a poco a poco grazie al calore rassicurante di quest'affetto, e ben presto anche i suoi occhi si fanno liquidi di lacrime. Soffoca allora il viso sulla spalla della ragazza, per nascondersi dalla vergogna e al contempo per cercarvi ancora di più questo conforto di cui sente di avere tanto bisogno ma che, stupidamente, ha voluto fuggire per due intere settimane. 

     In tutto questo tempo passato da solo a rimuginare, non si era proprio reso conto di quanto gli fosse mancata questa stretta così dolce e materna che Mikasa gli ha sempre offerto fin da quando erano bambini. 

     Scioltosi fra le sue braccia, prende a scusarsi senza sosta piagnucolando come un bimbetto, aggrappandosi alla cara amica che gli è sempre stata vicino, al pari di una sorella. 

     Mikasa, forse più di chiunque altro, rappresenta quanto di più importante abbia mai avuto: una piccola mamma, un riferimento, una roccia che non lo ha mai abbandonato e che, puntualmente, non perde mai un'occasione per dimostrargli l'infinito bene che gli vuole.    


 

🌊


 

     Dopo aver obbligato Armin a farsi una benedetta doccia, la ragazza non ha perso tempo, e ha preso a dare una sistemata in giro. Spalancate tutte le finestre, permettendo alla luce e a una buona quantità di aria fresca e nuova di permeare in quel ristretto e soffocante ambiente, ha dato una rapida spazzata dappertutto, spolverato i quattro mobili che arredano il piccolo appartamento e ripulito la cucina. Se l'è presa con discreta calma, visto che il ragazzo è rimasto sotto l'acqua della doccia per una ventina di minuti abbondante.

     Uscito dal bagno, lindo e cambiato, lo ha obbligato ad accomodarsi sul divano e a non alzare un solo dito per aiutarla: Armin ha provato in tutti i modi a fermarla e rassicurarla che ci avrebbe pensato lui, ma Mikasa, perentoria come sempre, non ha voluto sentire ragioni. Si è occupata anche della sua camera: i libri sulla scrivania, le cartacce a terra, i vestiti sparsi in giro... Tutto è stato messo a posto in meno di dieci minuti. Più o meno, insomma.

     Avviata la lavatrice e richiuse tutte le finestre, ha dato una spruzzata del suo profumo alla lavanda che porta sempre con sé in borsa un po' qui e là. Si guarda attorno soddisfatta, passandosi una mano sulle fronte e fra le ciocche di carbone: «Adesso va molto meglio,» sospira.

     Rapida ed efficiente, impeccabile e precisa: è riuscita a riportare l'appartamento in uno stato che si può dire decente in meno di mezz'ora, lasciando Armin sbigottito, oltre che in imbarazzo e anche pieno di infinita riconoscenza.

     «Esci così?» gli domanda poi rimettendosi in spalla lo zainetto.

     «Uscire?» Si irrigidisce, fissandola con occhi sbarrati, per poi abbassare lo sguardo a fissare i comodi pantaloncini corti da casa e la fresca canotta bianca che ha indosso. «P-Perché?»

     Mikasa gli si avvicina e, afferratolo per mano, lo costringe ad alzarsi in piedi: «Perché in casa non c'è niente da mangiare, e tu hai bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.» 

     Trascinatolo per un orecchio in camera, che Armin si ritrova a fissare stralunato ora che è finalmente tornata luminosa, in ordine e un po' profumata, gli punta il dito contro e stringe gli occhi in due fessure strette e minacciose.

     «Mettiti qualcosa di decente e andiamo. C'è un bar poco lontano da qui, no? Andiamo a fare colazione.»

     «Ma sono le undici passate—»

     «Non importa, facciamo colazione

     Richiude la porta con un colpo secco, senza dargli tempo di proferire altro. Inutile insistere o ribattere: Armin glielo deve. Aperto l'armadio, afferra la prima polo che gli capita sotto mano e un paio di jeans. Rivestendosi, rimane visibilmente stupito nel notare come entrambi i capi gli calzino un po' più larghi. Sospira affranto.

     Mikasa lo sta già aspettando sulla soglia della porta d'ingresso. Gli fa un cenno secco e rapido col capo e lui, obbediente, si affretta a mettere le scarpe, prendere la sua borsa a tracolla e seguire la ragazza fuori.

     Durante il tragitto verso il bar che, data la vicinanza all'appartamento, raggiungono tranquillamente a piedi, nessuno dei due emette una parola. Il biondo segue l'amica curandosi di rimanere alle sue spalle, silenzioso e col capo basso. Lei procede davanti a lui con passo spedito e deciso. In meno di cinque minuti, erano già seduti a un tavolo di Delizie da Sina

     «Per me un cappuccino, e un paio di cannoli alla crema,» ordina per prima Mikasa.

     «Io vorrei solo un caffè macchiato, per favore...» Mentre la cameriera annota nel suo blocchetto, Armin riceve una pedata sullo stinco: l'amica di fronte a lui lo squadra con occhi sbarrati e minacciosi, a braccia conserte, comunicando un messaggio chiaro quanto diretto. «Anzi... P-Portami anche un tartufino al cioccolato,» mugugna in un lamento di dolore. 

     La donna aggiunge l'ordinazione annuendo con un sorriso affabile, e se ne scappa via lasciando i due da soli. 

     Armin tiene gli occhi bassi, studiando con scrupolo ogni rigatura scura del legno del tavolo, nella speranza di riuscire ad ignorare le iridi cerulee proprio lì davanti a lui che imperterrite lo fissano con apprensione e, al contempo, severità.

     «Allora,» soffia infine la ragazza. «Cosa pensi di fare, mh? Hai intenzione di reagire, o vuoi continuare a buttarti giù in questo modo?»

     Armin scuote le spalle, le labbra si sforzano di piegarsi in un sorriso che trasuda amarezza. «Che vuoi che faccia, Mikasa? Cosa ti aspetti da uno come me?» sospira profondamente, passandosi una mano fra le ciocche dorate. «Dopotutto, sono solo un povero scemo, no? Ho fatto tutto da solo: mi sono illuso, ho scambiato la mia disperazione per amore, ho lottato per qualcosa in cui io per primo non ho mai creduto davvero... E tutto questo l'ho fatto solo perché non volevo tornare da solo». 

     Il volto di Mikasa si contrae, aggrotta le sopracciglia scure e fine, lo sguardo liquido di compassione. Armin tiene i gomiti puntati sul tavolo, gli occhi perennemente bassi, il visetto scarno su cui giace una pesante e scura afflizione. 

     «E proprio perché sono un povero scemo, ho finito per isolarmi da tutto e tutti... Hah, non è contraddittorio?» Sforza una risata, e si asciuga rapido una lacrima che, spontanea, aveva preso a solcargli la guancia. «Proprio io, che detesto stare da solo, ho finito per allontanare i miei amici. Sai, nemmeno io mi capisco, Mikasa. Ma tu, voi... Non dovete sforzarvi di farlo per me. Non vi merito. Un povero scemo come me, forse, merita proprio di stare da solo...»

     Ritorna il silenzio. Poco dopo, la cameriera ritorna con le ordinazioni di entrambi: posa lo scontrino assieme ai caffè e alle paste. I ragazzi la ringraziano, e Armin contempla assorto il suo grazioso tartufino, una pallina graziosa e invitante, ricoperta di scuro cacao amaro. 

     Cogliendolo alla sprovvista, Mikasa afferra con prepotenza la sua mano: lo guarda risoluta e seriosa, stringendolo con fermezza e decisione.

     «Può anche darsi che tu sia uno scemo, Armin» inizia con voce piatta. «Ma si da il caso che tu sia il nostro scemo, e non sta a te decidere chi ti merita o meno: lascia che siamo noi a farlo.» 

     Il ragazzo sbarra gli occhi, il cuore sussulta e subito viene preso da uno stretto nodo alla gola.

     «Non ti abbandoneremo tanto facilmente. Io non ti abbandonerò, Armin. Non ti lascerò solo in un momento tanto difficile come questo. Puoi contare su di me, come sempre. Sono o non sono la tua migliore amica?» Conclude con un sorriso tenero e pieno di dolcezza.

     Armin deve coprirsi subito il viso, visto che si sta deformando per il suo pianto di commozione. Che cosa avrà mai fatto per meritarsi una persona del genere? Non se lo sa proprio spiegare, ma ringrazia il Cielo mille e mille altre volte per avergli fatto un dono tanto speciale e prezioso.

     «G-Grazie...» mugugna tra un singhiozzo sommesso e l'altro, stringendo di rimando la mano di Mikasa. «Grazie, davvero...»

     «Non devi ringraziarmi, Armin. Non per questo...» sorride lei. «Se vuoi, puoi farlo per quello che sto per dirti adesso.»

     Rialza lo sguardo a fissarla confuso, gli occhi lucidi e altre due lacrime che scivolano lente sulle sue guance. 

     «Come ti ho detto, né io né gli altri abbiamo intenzione di lasciarti solo.» Lascia andare la mano di Armin, per fare un rapido sorso del suo cappuccino. Si rimette composta sulla sedia e si schiarisce la voce. «Hai bisogno di staccare, soprattutto di stare in compagnia... Cercare di divertirti, ecco.»

     Le spalle di Armin si incurvano un po', incassa la testa fra le spalle, mantenendo una smorfia sempre più interrogativa.

     «Io, Jean e gli altri abbiamo organizzato una vacanza al mare. La famiglia di Jean ha una casa a Kanares, hai presente?, una bella località di mare poco lontana da Stohess.»

     Lui annuisce confuso, le sopracciglia aggrottate, cercando di capire dove voglia arrivare.

     «Ecco, Jean ha convinto i suoi a darci le chiavi della sua bella villetta estiva: staremo da lui per un paio di settimane. Ci saremo tutti, Sasha, Connie, Marco, Marlo, Hitch... Forse si uniranno persino Ymir e Historia: stiamo ancora aspettando un loro messaggio di conferma.» Fa un altro sorso del cappuccino e da un morso ad uno dei due succulenti cannoli straboccanti di crema al limone. «Mancheresti solo tu, Armin.»

     Il ragazzo sobbalza di getto sulla sedia, gli occhi sbarrati e increduli. 

     «Io?!»

     «Oh, sì. Proprio tu.» Inizia a mangiare il secondo cannolo, gustandolo per bene con un sorriso appagato, per non dire estasiato. «Partiamo dopodomani. Oggi ti aiuto a fare la valigia, dopodiché verrai direttamente a stare da me, così non dobbiamo preoccuparci di venirti a prendere—»

     «Aspetta, aspetta un attimo!» la
interrompe gesticolando freneticamente con le mani. «I-Io non so se posso: avevo promesso al nonno che sarei andato a trovarlo; poi non vorrei essere di peso, rompere le scatole, ecco... Insomma, poi il sole... Lo sai, con la pelle che mi ritrovo devo fare attenzione—»

     «È già tutto deciso, Armin. Venire a proportelo era solo una mera formalità.» Finisce di bere il cappuccino, per poi ripulire la bocca rosea con un fazzoletto di carta. «Non ci sono scuse che tengano. Il nonno andrai a trovarlo quando sarai tornato. Per la tua pelle, basterà trovare una buona protezione solare.»

     «Ma... Ho gli esami di fine agosto! Io devo studia—»

     «Hai appena finito questa sessione e già pensi a quella dopo?» Lo fulmina con un'occhiataccia dura e accigliata. «Che pazienza che ci vuole con te... Armin, luglio è appena iniziato, avrai tutto il tempo del mondo per studiare. Non saranno due settimane lontano dai libri a fare la differenza. Perciò, mettitela via, mio caro: tu vieni con noi.»

     Il ragazzo si affloscia sul tavolo. L'idea non l'entusiasma poi molto: per quanto il mare gli sia sempre piaciuto, si rende conto di non essere esattamente dell'umore adatto per una vacanza. Non perché non voglia stare con i suoi amici, quanto più per la paura di influenzare l'umore del gruppo con il suo: giù di corda e depresso com'è, potrebbe anche essere un peso per gli altri.

     Rialza lo sguardo supplichevole su Mikasa, la quale invece mantiene la sua espressione imperturbabile e intransigente. 

     «Dai, Armin...» lo incinta ancora, stavolta con occhi addolciti e giungendo le mani di fronte a lui. «Se non vuoi farlo per te stesso, allora fallo per me e per gli altri, mh? Andiamo, ne hai bisogno più di chiunque altro.»

     Il ragazzo scuote la testa e porta gli occhi al cielo, mentre una miriade di pensieri contrastanti che turbinano nella sua mente non fanno che aumentare il suo essere irrimediabilmente combattuto. 

     Il suo sguardo torna nuovamente su Mikasa, deciso a insistere nel rifiutare la proposta. Ma la vista di quegli occhi dolci, fa morire all'istante ogni sua volontà: come può farlo, senza ignorare i terribili sensi di colpa che sa lo attanaglierebbero per le seguenti settimane? Si morde il labbro, e libera un lungo sospiro con cui dichiara ufficialmente la resa totale.

     «Va bene...» sussurra impercettibilmente.

     «Eh? Non ho sentito?» lo motteggia Mikasa vittoriosa, un sorriso a trentadue denti che le illumina il viso.

     «Verrò!» soffia sconfitto.

     La ragazza esulta sulla sedia, scuotendosi dall'emozione e accorrendo per stringere di nuovo la mano di Armin. Gli riserva uno sguardo affettuoso, gli occhi lucidi di felicità e sollievo. 

     «Faremo in modo che sia una vacanza indimenticabile,» lo rassicura. «Vedrai, Armin. Ti divertirai un mondo!»



 

つずく

   
 
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