Luna padrona
di Overlook, 2019©
Capitolo II
Non
tutte le
battaglie sono uguali.
Ve ne sono
alcune che, per essere vinte, necessitano soltanto di uno sguardo,
gettato più severamente di altri, sull'avversario, come a
sferrare
un silenzioso affondo. Ve ne sono altre il cui esito non risulta
chiaro nemmeno quando a rimanere in piedi, gravemente feriti e
tremebondi, rimangono soltanto gli appartenenti ad una stessa
fazione.
Su
quella
brulla distesa di grigia sabbia mescolata a rivoli d'acqua putrida,
quasi si fosse trattato di un preparato istantaneo e diabolico di
cemento ai loro piedi, coi corpi ricoperti di sangue e di sudore
erano rimasti sulle proprie gambe, ancorché sfibrati,
soltanto tre
dei membri dell'ultima squadra militare saiyan facente capo
all'esercito imperiale di Freezer. Alcuni frammenti dello schermo del
proprio scouter si erano conficcati sullo zigomo di Radish come
minuscoli cocci di bottiglia tra le fenditure meno aride di un
deserto; la sua divisa, crepata e scucita in più punti,
segnava come
le date su un calendario i giorni da cui essi stavano combattendo
incessantemente contro il popolo di Zalfos, qualche migliaio di anime
con l'entusiasmo bellico di esaltati e con la cocciutaggine di muli,
finanche di fronte all'evidente superiorità combattiva dei
propri
avversari. Ad uno di loro, Radish aveva sadicamente cavato gli occhi
con le dita, arpionandosi poi a quei fossi purulenti per strattonare
via, in un sol gesto, l'intera parte frontale del teschio.
Indescrivibili, le urla agonizzanti di quei resti, lasciati a terra
preda di ischemie nervose ed osservati impassibilmente come si
osserverebbe un salmone gettare gli ultimi respiri sul fondo legnoso
di un peschereccio industriale.
“...Puah...
Che schifo... Ma quando la smetterai, dico io, di combinare questi
disastri? Non puoi fare come facciamo noi altri!?”. Nappa
dovette
inasprire il tono di voce nel proferire le sue parole,
poiché tra le
sue mani, una giovanissima aliena ancora incapace di camminare da
sola si stava dimenando un po' troppo, a suo dire, gemendo disperata.
Così la sua testolina fragile, ancora imbrattata di crosta
lattea,
finì per spappolarsi in un'oscena marmaglia di cervella ed
ossa, tra
i palmi di quelle mani enormi ed immonde che si portarono poi leste
alla bocca, per poter avidamente leccarne i succhi bestiali.
Quell'improvviso
calar del silenzio, alle loro spalle, aveva preannunciato l'attacco a
sorpresa dell'ultima brigata militare dell'esercito, inferocita dalle
ultime gesta perpetrate dai due saiyan. Vi si erano lanciati contro
sicuri di andare in braccio alla morte, ma altrettanto certi che non
sarebbero mai spirati senza aver avuto almeno la decenza di tentare
la sorte dinanzi a quello scempio inumano.
Radish e
Nappa già se li vedevano addosso, le loro armi ed i loro
artigli
affilati, nel tentativo di tagliar loro la gola infame ed in
verità
non erano poi così distanti da tali intenti. Uno dei
soldati,
brandendo una lama assai lunga ed appuntita, s'era letteralmente
lanciato sul fianco scoperto di Nappa, nel tentativo di
affondargliela sino dentro al fegato, se vi fosse riuscito, ma ad un
tratto fu come se qualche entità superiore avesse fermato,
proprio
in quel punto, lo scorrere degli eventi: per un secondo che parve
durare anni, la truppa in piena offensiva rimase immobile, chi in
aria, chi ancora al suolo, pronto a scattare, tutti con una diversa
espressione deformata dall'immobilità.
“Non
così
in fretta, signorine...”.
Una voce
ancor più affilata di quella lama pericolosamente vicina al
fianco
di Nappa, maligna e dissacrante, squarciò quel fermo
immagine,
accompagnata da un sottile raggio luminoso di color verde, fulmineo e
violento, che staccò di netto, in un sol colpo, la testa di
ognuno
di quegli alieni già senza speranza.
Caduto
rovinosamente a terra l'ultimo cranio, con passo consapevolmente
lento e feroce Vegeta vi si avvicinò, fissando quelle
pupille vitree
come se ancora potessero ricambiarlo di qualche attenzione. Appena un
piede, sulla guancia livida. “Nappa, sei un idiota, quante
volte ti
ho detto che non devi togliere l'armatura nel mezzo di un
combattimento?!”. L'altro fu come ridestato: “Lo
so, Vegeta, ma
qui non era rimasto più nessuno, chi se lo immaginava
sarebbe
spuntata quest'ultima banda di rammolliti da chissà
dove...”.
“Quest'ultima
banda di rammolliti...” - ne
scimmiottò il tono, facendo esplodere
letteralmente il cranio sotto al suo piede come fosse stata la
confezione di una merendina - “...Stava letteralmente per
colpirti
a morte, razza di sprovveduto! Non ti eri accorto della lama tra le
mani di questo bastardo, scommetto...”. Nappa
sgranò gli occhi
scuri un paio di volte, come si fosse accorto in quell'istante del
fendente proprio a pochi millimetri dal corpo. “T- ti
ringrazio,
Vegeta, senza di t-”. “Non osare
ringraziarmi!” - tuonò
l'altro scostandosi dalla pozza di sangue ed interiora creatasi
attorno a lui - “... Non è certo per mettere in
salvo la tua
pellaccia, che li ho fermati!". Nappa guardò Radish
per un istante,
poi, confusi entrambi, si volsero all'indirizzo del loro principe.
“Statemi bene a sentire: noi abbiamo un piano, ve lo
ricordate?
Dobbiamo riuscire a diventare più forti di Freezer ed
abbatterlo,
altrimenti sarà lui a far fuori noi! Come fate a non aver
ancora
capito... Quel viscido tiranno ha paura di noi! E'
stata la
sua più grande fortuna, che il nostro pianeta sia andato
distrutto,
ma nel frattempo è diventato un gran problema. Non possiamo
perdere
tempo in questo modo, non dobbiamo assolutamente rischiare la nostra
vita con gente come... Questa!”.
Calcò l'ultima parola con
la voce, quasi ad enfatizzare la violenza del calcio assestato in
pieno stomaco ad uno dei cadaveri lì intorno. Il corpo si
dilaniò
in due parti, già irrigidite da qualche minuto ed
andò a
seppellirne altri quattro insieme a sé, poco distante, dove
una buca
scavata dalla natura aveva assurto all'ironico, utile compito di
fossa comune.
“Radish,
il tuo scouter funziona ancora?” - chiese Vegeta
all'indirizzo del
più giovane, sfamatosi nel frattempo con parte
dell'avambraccio
sinistro di una delle vittime. “N-non lo so, p-penso... Penso
di
sì, fammi controllare...”. Con un gesto
dell'indice, il saiyan
premette sul pulsante d'accensione vicino all'orecchio, attendendo
poi qualche istante per la calibrazione dell'apparecchio.
“...
Dannazione! Non ci voleva, la trasformazione deve avermelo fatto
rompere, non ne ho il minimo ricordo...”. “Tsk...”
- lo rimbrottò il principe - “... Lo sapevo. A
meno che non sia
assolutamente necessario, mi sembrava d'essere stato chiaro: Non
dobbiamo guardare la Luna, specialmente quando è piena, come
questa
notte!”.
Nel
volgerle un fugace colpo d'occhio, con un'espressione di sdegno,
riverenza ed irritazione nei confronti dell'ignaro satellite, Vegeta
fece mente locale sui fatti avvenuti.
Si trovava ancora all'interno del pian terreno di uno dei silos adibiti a bunker di sicurezza e di deposito armi, con un bambino moribondo poggiato su una spalla alla stregua di un sacco di patate e con il dito dell'altra mano puntato sul pulsante del proprio visore. Stava cercando di scovare gli ultimi ribelli, avrebbe usato il giovane come esca per condurli tutti all'esterno, ma quando gli fu chiaro che l'unica sopravvissuta, lì, era niente meno che la madre del poppante, pensò bene di lanciarle addosso il corpicino gelato del figlio e di decretare la loro dipartita in compagnia, con un efficace gesto della mano. Lo scoppio che ne seguì non fu nulla, in confronto a quello che provenne da fuori, di qualche metro sopra la sua stessa testa. Si librò con naturalezza in volo, sfruttando la fluttuazione stabile del proprio corpo per osservare, a metà tra il divertito e lo spazientito, l'implacabile e mai stancante spettacolo della trasformazione di Radish e Nappa in Oozaru, scostandosi appena di lato ed anticipando il crollo di un colonnato attiguo.
Quella
notte la Luna s'era fatta particolarmente invitante, con il suo volto
esangue e paffuto a cingere d'assedio la volontà di quella
razza
spietata incapace di ribellarsi a quegli abbacinanti raggi pallidi e
silenziosi, quasi fossero stati indistruttibili fili di seta ricamati
sulla loro indole distruttiva da un abile sarto.
Sin
da quando era nient'altro che un bambino, a Vegeta era sempre
piaciuto parecchio, assistere agli scempi perpetrati dai suoi simili
in quei particolari frangenti ed alle volte si rendeva pure lui, in
prima linea, partecipe dello spettacolo disumano. Con il tempo,
però,
aveva compreso che, se non si fossero dati un freno, avrebbero finito
per perdere totalmente il controllo, senza che ciò pertanto
portasse
a qualcosa di buono nei loro interessi. Era per questo motivo che,
fatti i dovuti subdoli calcoli, il principe Vegeta s'era risolto nel
comandare ai suoi di tenersi rigorosamente alla larga dalla visione
di quella Luna tanto amica quanto imparziale avversaria, specialmente
durante battaglie di relativamente poco conto, ed ancor più
specialmente quando questa si presentava piena e limpida, incastonata
nello zenit di cieli tersi.
Eppure, questa volta, Nappa e Radish poco e nulla avevano potuto, di fronte a quella maestosa stella fissa che bisbigliava suadente i loro nomi dall'alto, quasi fosse stato un richiamo divino. Quando ebbe finito di dislocare la spalla ancora intatta di uno dei poveri alieni – così, per puro, malsano godimento -, Nappa si fece abbindolare dal chiarore riverberato sul fiume di sangue proprio di fronte a lui, con lo stesso trasporto emotivo di un poeta maledetto dinanzi ad un oceano infuriato. Il petto, lentamente, aveva cominciato a pulsare, gonfiandosi ad ogni battito; le pupille ritirate all'indietro in un istante, fecero posto a due focolari ardenti e mefistofelici, mentre le vigorose braccia insozzate di morte si ricoprivano di una sempre più folta peluria di colore scuro.
“Che
stai facendo, Nappa...! Nap-”. Radish, accortosi appena un
istante
più tardi della mutazione del compagno, gli urlò
con tutte le forze
di smettere di osservare la Luna, di non continuare... Ma
l'incantesimo maledetto di quella sfera opalescente sopra le loro
teste, finì per arrabbiarsi tanto da prendersi pure la sua,
di
volontà, obbligando il più giovane a mollare la
presa sulla
giugulare scoperta di una femmina ormai morente ed a seguire Nappa
nel tribale incedere della loro mutazione. Gli occhi incendiati, un
sorriso diabolico che tradiva fin troppo facilmente la soddisfazione
di lasciarsi comandare solo dalla Luna, in quella notte di
carneficina, entrambi i Saiyan in appena qualche istante divennero
alti metri e metri e quelle che erano divenute grosse zampe posteriori mutarono in macigni implacabili con cui affondare qualunque cosa ad ogni passo.
Non
ne lasciarono vivo nemmeno uno, neppure l'unico che sarebbe servito, tra quella inutile gentaglia, se non altro per estorcergli
informazioni preziose sulle coordinate esatte da impostare sulle
navicelle per arrivare con anticipo rispetto a Freezer sul prossimo
pianeta, non molto distante da lì.
Vegeta
sapeva fin troppo bene che intervenire a cosa fatta sarebbe stato
ormai inutile, un rischio contro cui non scommettere la propria
pelle. Aveva così deciso di attendere, a braccia conserte ed
occhi
socchiusi, seppur con una strana e paurosa ombra di sorriso,
puramente malvagio, al lato sinistro della bocca, adagiato come una
pantera sul ramo più alto della foresta su uno sperone
appiattito di
roccia ancora fumante, da sotto cui esalavano gli effluvi cadaverici
degli uomini da lui stesso trucidati all'interno del bunker
sotterraneo.
Presto
e fortunatamente, per certi versi, alcune nubi osarono ostacolare
l'incedere della distruttività lunare, offuscandone la
luminescenza
assassina e facendo regredire rapidamente i due scimmioni malefici
allo stato normale. Era in quella seconda fase, che le ferite
procurate dalla cieca furia scudisciavano i loro corpi stremati, sino
a farli svenire, la maggior parte delle volte. Ma in questo rito, non
avveniva alcuna lamentela, poiché ogni Saiyan sapeva che a
seguito
del risveglio comatoso, la propria forza sarebbe stata decuplicata e
la resistenza alla lotta resa ancor più elevata.
***
“Adesso
finitela, immediatamente! Dobbiamo recuperare le nostre navicelle,
altrimenti ci troveremo Freezer davanti agli occhi non appena
atterreremo sul pianeta Heridor! Quella nullità farà i conti con noi, non ci piove, ma prima dobbiamo acquisire maggiore potenza. Coraggio,
seguitemi...”.
Nappa
e Radish voltarono entrambi lo sguardo tetro alle loro spalle, prima
di eseguire l'ordine del loro superiore. L'ombra di una coltre
fuliginosa, nel tentativo di dissiparsi in quell'atmosfera immobile,
pesante ed immonda, diede loro modo di scorgere soltanto cadaveri,
vere e proprie montagne di corpi smembrati, tumefatti, mortificati
sino allo stremo dalla sadica furia di quei guerrieri la cui
soddisfazione al termine di un duello andava ben oltre la mera
sconfitta del proprio avversario: il sangue del soccombente doveva
solcare i palmi delle loro mani, le urla disperate dovevano carezzare
i loro timpani come nenie materne, le suppliche vane dovevano
solleticare la loro impietosa sete di supremazia. Una più
diplomatica negoziazione, una semplice compravendita di territori e
di pianeti, non era concepibile per una razza come la loro. Senza la
morte, non s'era compiuto alcun affare e, quelle rare volte che il
popolo di turno s'arrendeva alla conquista senza opporre alcuna
resistenza, i saiyan avevano comunque perpetrato assurde carneficine
al solo scopo di... Divertirsi, di rendere meno noiosa la loro
comunque breve permanenza su quel territorio, in attesa di rifornire
di carburante le proprie navicelle e di rifocillarsi, proprio con i
resti di qualcuno dei malcapitati indigeni. Quel che rimaneva erano
pianeti deserti, alla completa mercè dei conquistatori, i
quali,
passati sotto il dominio di Freezer, avevano l'unico dovere di
procedere alla costruzione di basi imperiali adatte solo a fungere da
roccaforte e da vessillo di conquista di quell'impero sempre
più
vasto e sconfinato.
Vegeta odiava Freezer, perché s'era preso la sua gente, i suoi sudditi, l'intero popolo Saiyan e l'aveva reso proprio subordinato, approfittandosi della eccezionale forza e della loro indiscussa supremazia per costituire il proprio impero, quando invece avrebbe dovuto essere proprio lui, il principe Vegeta, ad ereditare dal proprio padre il trono, il potere ed il regno, esteso sino ai più remoti confini della galassia. Ignaro della realtà dei fatti, Vegeta non era rimasto più di tanto sconvolto dalla notizia della distruzione del proprio pianeta per mano di un meteorite, ma piuttosto era trasalito alla definitiva comunicazione del passaggio di sovranità su loro superstiti. Per natura, mai aveva gradito star sotto a qualcun altro ed essere il principe dell'intero popolo saiyan ne aveva sempre assecondato l'indole più dominante. Era divenuto sempre più insostenibile, far fronte al fatto che ora non era più lui il sovrano, non erano più i saiyan a predominare sul resto dell'universo. V'era una lurida creatura, viscida, disgustosa nella sua ossequiosità, da cui trasudava fin troppo palesemente il desiderio di schiacciare anche i saiyan rimasti vivi sotto il proprio potere. Così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, di conquista in conquista, Vegeta aveva proceduto a disegnare nella propria mente un piano per liberarsi di quel verme e riprendersi il trono, a lui spettante di diritto. Sapeva che Freezer prima o poi sarebbe morto, se non in battaglia, per cause naturali, ma s'era imposto di non poter assolutamente accettare, di attendere tanto a lungo in silenzio, in finta sottomissione. Non passò molto tempo, perché Vegeta esprimesse i propri sentimenti di ribellione ai suoi fidati compagni saiyan, i quali, ancorché suoi compagni di milizia, sapevano bene di aver a che fare con un principe, con il loro principe e non con un loro simile qualunque. Gli portavano doveroso rispetto e nutrivano un reverenziale timore nei suoi confronti, non fosse stato altro che per quel portamento, sfoggiato sempre in maniera del tutto naturale, da parte di Vegeta, a cui bastava affilare lo sguardo oscuro ed incrociare strafottente le braccia al petto per far tremare il baricentro di ogni altrui sicurezza.
***
I tre saiyan non impiegarono che qualche minuto, a ritrovare le proprie navicelle, incrostate di sangue e di fanghiglia, ma perfettamente funzionanti. Premettero ciascuno il tasto del proprio telecomando, per aprirne il rispettivo portellone e, quando tutti e tre finirono di sistemarvisi all'interno, Nappa sbottò scanzonato: “Sarebbe carino se prima o poi trovassimo qualche pianeta di... Di scienziati, o che so io... Magari potremmo farci fabbricare navicelle che possano essere ridotte di dimensioni, sino a potersele infilare in tasca, pensate... Eh eh!”.
I portelloni si richiusero uno dopo l'altro. Lo scoppio dei motori squarciò il silenzio rarefatto. Soltanto pochi istanti prima di spiccare il volo, alla ricerca della prossima meta, la voce ovattata e sdegnata del principe Vegeta ruppe l'atmosfera lugubre ed immobile: “...Aah, ma sta' zitto, Nappa...”.
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