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Autore: Saigo il SenzaVolto    30/09/2019    4 recensioni
AU, CROSSOVER.
Sequel de 'Il Pianto del Cuore' e de 'La Battaglia di Eldia'
Il Villaggio della Foglia ha una lunga serie di precedenti nella formazione di alcuni dei più pericolosi e famigerati Ninja Traditori che abbiano mai messo piede sulla Terra: Orochimaru, Kabuto, Obito, Itachi, Sasuke... era solo questione di tempo quindi prima che ne producessero un altro. Ma nessuno, specialmente Naruto, si era aspettato che il prossimo Nukenin sarebbe stato Boruto Uzumaki, il prodigio di Konoha. Questa è la conclusione della sua storia, e di tutto ciò che ha generato. Una nuova Guerra sembra aleggiare inevitabilmente all'orizzonte. La Quinta Guerra Mondiale.
Una Guerra per porre fine a tutte le Guerre.
Uno scontro tra Bene e Male. Tra Luce e Oscurità. Tra Shinobi e Guerrieri. Tra Famiglia e Famiglia.
Riuscirà Naruto a rimettere insieme la sua famiglia spezzata? Oppure la sua storia terminerà così, schiacciata sotto la morsa crudele ed implacabile del Destino?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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CUORI RASSEGNATI





01 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Night Horizon Pub
23:30


2 anni e 3 mesi dopo gli eventi de ‘La Battaglia di Eldia



Nemmeno l’alcool sembrava avere più sapore ormai.

Di questo, Sarada Uchiha era certa.

I suoi occhi vacui e spenti fissavano il tutto e il niente, il loro sguardo puntato principalmente sul boccale di birra mezzo pieno e mezzo vuoto posato sul tavolino davanti a cui sedeva, intenti ad osservare il movimento del liquido nel bicchiere ad ogni oscillazione causata dalle sue mani. Attorno a lei, le sue orecchie udivano distrattamente il vociare sommesso e costante che aleggiava nel locale, assieme al rumore ritmico della musica della radio e delle risate degli altri clienti. Luci bianche, sommesse e soffuse, illuminavano l’ambiente chiuso e umido in cui si trovava, gettando il Pub in una specie di perenne foschia semi-oscura. Nonostante l’epoca di crisi in cui si trovavano, il locale era pieno zeppo. Il ‘Night Horizon’ era uno dei Pub più famosi del Villaggio, dopotutto. Lo frequentava gente di ogni tipo, da decenni. Eppure, se doveva essere sincera, in quel momento quei pensieri alla giovane non interessavano minimamente.

Si sforzò di mandare giù un altro sorso di birra. Ancora una volta, come in tutti i suoi precedenti tentativi, non sentì nessun sapore. E non era la qualità della birra ciò che lasciava a desiderare.

Era la sua stessa voglia di vivere.

Ripensare a ciò le fece spuntare sulle labbra un amaro sorriso privo di calore. In effetti, ultimamente il vero problema era sempre e solo lei, non è vero? Sin da quando era tornata era sempre stato così, dopotutto. Le parole che aveva udito così tante volte durante tutti questi anni continuavano a tornarle nella mente ancora adesso. Sarada, stai bene? oppure: Sarada, come stai? o anche: Sarada, sei sicura di potercela fare?

Lei le odiava.

Da quando era tornata sulla Terra, ogni singola persona che conosceva si preoccupava della sua salute. E non di quella fisica. Di quella mentale. Ormai tutti sapevano quello che era successo – quei pochi che sapevano la verità, ovviamente – e questo era doppiamente frustrante, perché a causa di ciò lei non poteva nemmeno biasimarli. Non troppo, almeno. Sapeva che erano preoccupati per lei, non poteva arrabbiarsi con loro. E poi, anche se non voleva ammetterlo, c’era una piccola parte di lei nella sua testa che, in fondo in fondo, sapeva che le loro preoccupazioni erano più che fondate e, quindi, completamente giustificabili.

Sopravvivere ad uno scontro epocale contro un drago distruttore di mondi ed uscirne come unica e sola vincitrice era un’impresa senza precedenti, dopotutto.

Il sorriso privo di emozione di Sarada si assottigliò a quel ricordo ormai distante. Le sue dita serrarono inconsciamente la presa sul bicchiere di birra. Quando aveva raccontato ciò che era successo su Eldia all’Hokage, a suo padre e a sua madre; era scoppiato il finimondo. I suoi genitori erano rimasti stravolti e scioccati oltre ogni descrizione, e avevano passato settimane intere a tempestarla di domande e ad accertarsi che fosse tornata sana e salva senza complicazioni. Suo padre, soprattutto, non aveva preso per niente bene il fatto che sua figlia fosse finita in un altro mondo a sua insaputa. Non che Sarada non potesse comprenderlo. Suo padre era l’unico tra di loro che aveva avuto modo di viaggiare tra i vari mondi. Sapeva i rischi che aveva corso, conosceva i pericoli e i nemici che si annidano oltre la Terra. Per questo l’aveva tenuta sotto costante sorveglianza per diversi mesi dopo che era tornata, accertandosi che stesse bene e che potesse riprendere a vivere una vita normale. Lei lo sapeva, lo comprendeva, e per questo lo aveva lasciato fare. Dopotutto, nessuno a parte lei poteva ricordarsi ciò che era successo durante quei due mesi. I suoi genitori, e anche Naruto e Hinata, non avevano nessun ricordo degli avvenimenti che avevano vissuto assieme durante quella particolare avventura. Quindi, tutto sommato, sua madre e suo padre l’avevano presa piuttosto bene, alla fine.

Ma lo stesso non poteva dirsi per l’Hokage e la sua famiglia.

Quel semplice pensiero bastò ad inondare Sarada con una miriade di emozioni contrastanti e prepotenti. Rimorso, rancore, tristezza e… e dolore, soprattutto. Ancora dopo tutto questo tempo, ripensare a quei due la faceva stare male. Il Settimo e sua moglie non avevano per niente preso bene la morte di Boruto. Quando lei si era ritrovata costretta a raccontare la verità di ciò che era accaduto, non era riuscita a trattenere le proprie lacrime nemmeno durante il racconto. Ma ciò che le aveva davvero spezzato il cuore era stato vedere l’espressione devastata e affranta di Naruto e Hinata. Sentire il loro pianto straziante e disperato. Ascoltare le loro suppliche impotenti e agonizzanti. E non essere in grado di fare nulla per consolarli. Forse era stata questa la cosa che più di tutte l’aveva distrutta emotivamente all’epoca, oltre che la perdita del suo amico. Perché lei avrà anche perso la persona di cui era innamorata…

… ma Naruto e Hinata avevano perso un figlio.

Certo, Boruto era stato un traditore e un Nukenin. Era stato uno dei criminali più pericolosi – se non IL più pericoloso – che avevano messo piede sulla Terra. Era stato il leader della Rivoluzione che aveva causato così tanti problemi nel loro mondo, rischiando di far piombare la loro gente e gli Shinobi in un’ennesima guerra sanguinosa… ma era stato pur sempre loro figlio. Il loro figlio primogenito. E Sarada sapeva, come tutti del resto, che il Settimo e sua moglie lo avevano sempre amato con tutto il cuore, nonostante il mostro che era diventato. Per questo, appena avevano saputo la realtà dei fatti, nessuno dei due aveva potuto fare a meno di disperarsi. A niente erano servite le consolazioni dei suoi genitori, la vicinanza dei loro amici, e le parole di sostegno che tutti avevano rivolto loro. La morte di un figlio è qualcosa che non si dimentica in alcun modo, e che nessun genitore dovrebbe mai sperimentare. Erano i figli a dover piangere la scomparsa dei genitori, diceva un detto, non il contrario.

Eppure, loro due non erano i soli ad aver sofferto immensamente a causa della morte del Nukenin più famoso del pianeta.

Dopotutto, anche sua sorella non l’aveva presa bene.

Pensare a Himawari era doppiamente straziante per Sarada. La giovane Uzumaki – ormai diventata una splendida e meravigliosa diciassettenne – aveva reagito diversamente alla notizia della morte di suo fratello. Non aveva versato nessuna lacrima, né tantomeno si era disperata come i suoi genitori; ma si era invece chiusa ulteriormente in sé stessa, affogando tutto il suo tempo e il suo dolore negli addestramenti, nelle missioni, e nell’incessante ricerca della perfezione. Ma Sarada non era stupida. Conosceva fin troppo bene la sua amica per non riuscire a notare lo struggimento che la stava divorando dentro, anche se doveva dare credito ad Himawari. Quella ragazza era abile a tenerlo nascosto. Eppure, qualcosa dentro di lei era convinta che non fosse solo per la morte di Boruto che la sua amica si era chiusa in sé stessa.

Dopotutto, Himawari si era distanziata da lei e da tutti i suoi amici ben prima della loro missione su Eldia. Già da allora Sarada aveva notato il suo cambiamento, ma ancora oggi, nessuno sapeva dire che cosa le fosse successo. Solo, la notizia della morte di Boruto sembrava essere stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Adesso, la principessina degli Hyuuga era diventata ancora più distante con tutti, sempre più determinata a passare le sue giornate negli addestramenti, e sempre con un’espressione spenta e devastata sul suo bellissimo volto. E non c’era niente che lei o qualcun altro potessero fare per farla stare meglio. Coi suoi genitori piombati in uno stato di depressione perenne a causa della perdita del loro primogenito, Himawari aveva ben poche ragioni per sorridere al giorno d’oggi.

Il sorriso le scomparve completamente dal volto a quel punto. Inconsciamente, Sarada ammiccò le palpebre, sentendo una sensazione umida e bagnata cominciare a colarle sulle guance. Togliendosi gli occhiali e toccandosi la faccia con una mano, non rimase per niente stupita dal fatto che le lacrime che stava improvvisamente versando dagli occhi fossero rosse come il fuoco. Anche se erano ormai passati poco più di due anni dalla scomparsa di Boruto, la sua mancanza e il dolore della sua perdita erano ancora brucianti per lei.

“Non si dimentica tanto facilmente la persona che si ama,” le aveva detto suo padre un anno prima.

Sarada si passò una mano nei lunghi capelli corvini, tirando su col naso e cercando di essere ottimista. Suppose che era vero, in fondo. Anche se adesso che Boruto era scomparso i suoi occhi avevano smesso di farle male come in passato, il dolore nel suo cuore sarebbe rimasto per sempre. Anche se la maledizione del suo clan era stata infranta con la sua morte, Sarada non avrebbe mai dimenticato quel volto. Quell’espressione seria e confidente, quegli occhi azzurri come l’oceano più profondo, e quel carattere così freddo, serio e complesso che avevano caratterizzato la persona che più di tutte aveva amato nella sua vita. Ma ora… ora finalmente poteva andare avanti. Suo padre glielo aveva detto innumerevoli volte nel corso degli ultimi anni. Poteva trovare una nuova luce nella sua vita, senza più essere costretta ad inseguire un criminale e un reietto contro la sua volontà.

Ma Sarada non era certa di volerlo fare.

Delle parole dolci e sommesse le risuonarono nella mente a quel punto. Echi sottili di un ricordo distante che non avrebbe mai più potuto dimenticare.

“Mi dispiace, Sarada. Ti auguro di trovare la tua felicità un giorno. Te lo auguro con tutto il cuore.”

Inconsciamente, la mano della corvina si mosse per avvolgere le dita attorno alla collana di metallo che le pendeva dal collo, stingendosela con affetto. Era la stessa collana che Boruto le aveva ceduto prima di sacrificarsi per la sua salvezza e per quella di tutti gli altri. La stessa collana che aveva portato con sé durante tutta la sua vita, e che alla fine, prima di morire, aveva scelto di cederle come un ultimo ricordo, un ultimo saluto senza parole.

Lei sapeva di doversi lasciare il passato alle spalle. Lo sapeva bene. Lo aveva promesso a sé stessa, a Naruto, e a tutti gli altri. Boruto si era sacrificato anche per questo, in fondo. Per permetterle di andare avanti con la sua vita, per darle la possibilità di dimenticarlo dopo una vita passata interamente ad inseguirlo, senza sosta. Ma non era certa di poterlo fare. Di volerlo fare, anzi. Sarada sapeva che il suo vecchio amico non era mai stato crudele come il mondo lo aveva dipinto. Aveva sempre saputo che, nonostante le atrocità che aveva commesso, il suo vecchio amico era solo una vittima. Per cui, dimenticarlo non era giusto nella sua opinione. Boruto aveva sofferto per tutta la sua vita, aveva lottato incessantemente fino al suo ultimo respiro per riuscire a trovare un proprio posto nel mondo. Dimenticarlo completamente… era davvero la cosa giusta da fare?

Come avrebbe potuto farlo senza provare rimorso?

Dissolse quei pensieri scuotendo la testa. Fu un ronzio sommesso nell’aria che catturò la sua attenzione mentre continuava a restare seduta e in silenzio nel locale, fissando il suo bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto con uno sguardo spento. Sebbene il Pub fosse pieno di gente, non c’era molto rumore quella sera, per cui fu facile per le sue orecchie riuscire a catturare le note di una certa canzone mentre iniziavano a suonare attraverso la radio del Pub. Una canzone che, da quasi due anni a questa parte, era diventata un tormentone clamoroso in tutto il mondo.

L’Uchiha sentì il suo umore incupirsi sin dalle prime note.

SOLITA NOTTE DA LUPI A KONOHA,
NEL LOCALE STAN SENTENDO NOTIZIE DELL’ULTIMA ORA.
LOSCHI INDIVIDUI AL BANCONE DEL BAR
PIENI DI WHISKEY E MARGARIDAS.


TUTTO D’UN TRATTO LA PORTA FA SLAM!
UN NINJA ENTRA DI CORSA CON UNA NOVITÀ.
DRITTA SICURA, SI MORMORA CHE
LA RIVOLUZIONE ABBIA FATTO CRAAASH!


HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE QUELLI DELLA NEBBIA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

La diciannovenne chiuse gli occhi con pesantezza, cercando di ignorare il dolore che rischiò di inondarle il cuore ancora una volta. Quella canzone era uscita poco dopo l’estate di due anni prima, quando la notizia della morte di Boruto era diventata ufficialmente di dominio pubblico. Ovviamente però, solamente pochissime persone sapevano la realtà dei fatti, di come fosse successo veramente – principalmente lei e i suoi genitori, l’Hokage e la sua famiglia, e qualcuno dei suoi amici più stretti – per cui, il mistero che era sorto attorno all’improvvisa dipartita e scomparsa del Nukenin più famoso del mondo aveva fatto scalpore sin da subito. C’erano numerose teorie che giravano tra la gente delle varie Nazioni, alcune più serie e altre completamente inventate.

E vedere come il mondo facesse ironia sopra la sua morte era una cosa inaccettabile per Sarada. Anche se non poteva rivelare a nessuno la realtà, Boruto era morto sacrificando sé stesso per il bene del pianeta. Per salvare le persone del suo mondo. La ragazza non poteva accettare che ci fossero alcuni che volessero sminuire e fare ironia su questo.

Anche se, in fondo al suo cuore, Sarada sapeva che era inevitabile. Boruto era stato il leader della Rivoluzione. Era stato il leader di una delle Organizzazioni terroristiche più infamate di sempre. Era colui che aveva sovvertito le regole e i sistemi del loro mondo. La sua scomparsa improvvisa aveva suscitato reazioni contrastanti in ogni angolo del pianeta. Gli Shinobi e coloro ancora legati all’Unione l’avevano vista come una vittoria per mano dell’Hokage o di qualche altro Shinobi – su cui vi erano diversi nomi – mentre i Ribelli e i seguaci della Rivoluzione… non l’avevano presa così bene.

Sarada serrò le dita sulla collana con più forza mentre la canzone proseguiva.

DENTRO AI VILLAGGI È PARTITO SUBITO IL VIA,
E L’HOKAGE DICE: ALLORA COSÌ SIA.
QUEL CHE È SUCCESSO NESSUNO LO SA,
LA RIVOLUZIONE NON VINCERÀ.


MA NELLE STRADE C’È IL PANICO ORMAI,
NESSUNO ESCE DI CASA, NESSUNO VUOLE GUAI.
E DAGLI APPELLI, ALLA CALMA IN TV,
ADESSO CHI CI CREDE PIÙ.


HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE QUELLI DELLA SABBIA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Era stato un caos. Dopo la scomparsa di Boruto, le varie Nazioni e la Rivoluzione avevano continuato a combattere una guerra dall’ombra senza sosta, ancora fino ad oggi. E non erano mancati nemmeno i casi di scontri diretti e alla luce del sole. Innumerevoli erano stati gli scontri e gli spargimenti di sangue tra Shinobi e Ribelli – o come preferivano chiamarsi loro, Guerrieri – in tutti gli angoli del globo. Il numero delle vittime ad oggi era… incalcolabile.

Attentati terroristici… assalti ai villaggi… sabotaggi… proteste e scioperi…

Per Sarada, i ricordi di questi ultimi due anni erano pieni di avvenimenti del genere. Era stato inevitabile. Boruto aveva letteralmente sovvertito il sistema. Aveva messo in discussione gli ideali alla base del concetto di Ninja, e per questo era riuscito a creare qualcosa di nuovo con coloro che lo avevano seguito. I Ribelli non lo vedevano solo come un leader, ma anche come un simbolo; un simbolo che infondeva speranza e che spronava a combattere tutti coloro che erano insoddisfatti dal mondo Ninja. Per questo, per quanto la Foglia e le altre Nazioni stessero combattendo sempre e costantemente contro ogni focolare di ribellione, la Rivoluzione continuava a resistere anche senza di lui. C’era stato chi, come lei e molti altri della Foglia, aveva creduto che con la scomparsa del figlio traditore dell’Hokage, i Ribelli avrebbero subìto una clamorosa sconfitta. Ma si erano sbagliati.

La gente aveva paura. La sicurezza non era più una garanzia per nessuno, nemmeno per coloro che abitavano nei Villaggi più importanti. Nessuno poteva sapere quando sarebbe successo qualcosa, e i conflitti non si decidevano a diminuire.

Sembrava di essere tornati ai tempi precedenti alla Terza Guerra Mondiale.

La Terra della Pioggia, quella del Suono, quella del Vapore, quella dell’Erba, quella del Ghiaccio e persino le isole della Terra dell’Acqua abitate dai mercenari si erano apertamente schierate a favore della Rivoluzione, ingaggiando una campagna di protesta e diffamazione contro la Foglia, la Sabbia e le altre Nazioni. Solo il Paese della Terra era rimasto completamente neutrale fino ad oggi, con la Tsuchikage che non si decideva a prendere una decisione definitiva. Non che Sarada non potesse comprenderla, nonostante il disprezzo che provava nei confronti di quella donna. Kurotsuchi aveva subìto una pesante sconfitta durante la sua guerra contro la Sabbia, per cui non poteva permettersi di fare mosse azzardate.

Ma ancora, anche senza Boruto, le proteste e le ribellioni non erano terminate affatto.

FUORI DAI VILLAGGI SI VEDONO SCENE
DI RIBELLI ORMAI REIETTI, PIENI DI STRESS.
SENZA I KARA, ORMAI SONO GIÙ,
SI SGRETOLERANNO SEMPRE PIÙ.


LE FACCE DI KONOHA SONO MITI PER NOI,
SHINOBI TROPPO BELLI SONO GLI UNICI EROI.
INVECE LUI, SÌ, LUI ERA UNA STAR,
MA TANTO NON RITORNERÀ.


HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE QUELLI DELLA ROCCIA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Sarada serrò i denti con frustrazione. Sentire quella parte della canzone fu un altro duro colpo per lei. Dopotutto, dopo essere ritornata sulla Terra, aveva ricevuto una notizia che, all’epoca, l’aveva sconvolta non poco. L’avvenimento che, più di tutti gli altri, aveva sconvolto e frantumato l’equilibrio precario in cui si trovava precedentemente il loro mondo.

L’Organizzazione Kara era stata sconfitta.

Era stata sua madre a riferirle i dettagli. Poco prima che lei tornasse da Eldia, l’Hokage e Sasuke erano riusciti a scovare il covo segreto dell’Organizzazione criminale fondata da Boruto, assaltandolo e facendo piazza pulita di tutti coloro che avevano osato mettersi tra loro. Era stata una vittoria schiacciante, una di quelle che il mondo non avrebbe mai più potuto dimenticare. Nessuno sarebbe riuscito a tenere testa ai due uomini più potenti della Terra riuniti assieme e incazzati a morte.

A quanto pareva, Boruto e gli altri si erano nascosti per anni sulla Luna, riuscendo a restare invisibili per anni. Ma, una volta scovati e rimasti senza leader, i Kara non erano riusciti a resistere all’assalto combinato di suo padre e del Settimo Hokage, ed erano stati prepotentemente sconfitti in una battaglia nel loro stesso covo. E quando tutto ebbe fine, la notizia che ne seguì fece il giro del mondo in pochissime ore. Mikasa, Sora, Mitsuki, e tutti gli altri membri dell’Organizzazione Kara avevano perso contro i due Eroi della Quarta Guerra Mondiale in uno scontro frontale avvenuto sulla Luna.

Naruto Uzumaki e Sasuke Uchiha avevano messo fine ai Kara una volta per tutte.

E sin da allora, gli amici di Boruto erano stati catturati e detenuti in una prigione di massima sicurezza all’interno della Foglia… torturati giorno e notte per ottenere informazioni... e richiusi lontano da tutto e tutti fino ad oggi.

Uno ad uno.

Per due anni consecutivi.

Sarada si rese solo vagamente conto del fatto che il bicchiere che reggeva in mano era stato improvvisamente ridotto in frantumi.

Scuotendo la mano per asciugarsela dal liquido, la corvina non poté fare a meno di pensare con una nota di tristezza a quei ragazzi che non avevano fatto altro che seguire Boruto per tutta la loro vita, sentendo il proprio cuore farsi pesante a quel pensiero. Anni e anni di lotte, fughe, nascondimenti e atrocità… per poi finire sconfitti come niente in una sola battaglia. Senza Boruto, nessuno di loro era riuscito a tenere testa alla potenza combinata di suo padre e dell’Hokage.

“Chissà cosa avrebbe pensato Boruto se l’avesse saputo prima di morire…”

Quella era una bella domanda, pensò l’Uchiha. Sarada aveva avuto modo di sperimentare sulla sua pelle quanto il suo amato biondino fosse ferocemente attaccato ai suoi amici. Li amava talmente tanto da arrivare persino a considerarli come la sua vera famiglia, completamente incurante delle persone che si era lasciato alle spalle pur di restare con loro. Erano coloro per cui aveva combattuto, per cui si era sacrificato fino alla morte, per cui aveva lottato durante tutta la sua vita, e non c’era modo di negarlo. Tutti coloro che avevano conosciuto Boruto lo sapevano.

Forse… Forse era solamente per questo motivo che l’Hokage aveva deciso di non ucciderli.

Ma le cose non sarebbero andate bene per loro nemmeno adesso. Anche se sconfitti, le Nazioni alleate con la Foglia non erano disposte a perdonare i Kara, per nessun motivo. Nemmeno le proteste del Settimo Hokage erano servite ad agevolare la loro situazione. Le azioni che avevano compiuto negli anni passati erano state troppo crudeli, troppo spietate per poter essere condonate: la distruzione della Nuvola, l’assalto alla Nebbia, l’uccisione di diversi Kage… erano solo alcune delle cose che Boruto e i suoi compagni avevano fatto durante il loro operato. E adesso che il Nukenin più pericoloso del mondo era morto, gli altri erano diventati il nuovo capro espiatorio. E quando si era discusso sul destino di quelle persone, durante un Summit Mondiale avvenuto l’anno precedente, tutte le Nazioni contrarie alla Rivoluzione erano state d’accordo su un’unica decisione unanime:

Condannare tutti i Kara a morte.

E giustiziarli pubblicamente.

Non era stata una decisione accolta bene da tutti. I Paesi affiliati con la Rivoluzione avevano protestato, ma senza la possibilità di fare concretamente nulla. E come se non bastasse, il Vortice, un Paese solitamente neutrale, si era a sua volta dichiarato contrario a quella decisione, minacciando a sua volta di unirsi ai Ribelli se non fosse stata annullato l’ordine. Dopotutto, uno dei membri dei Kara era la figlia dell’attuale Uzukage, oltre che una vecchia amica di Boruto Uzumaki.

Ma le proteste dell’Hokage e dell’Uzukage erano state inutili dinanzi alla rabbia e all’astio delle Nazioni contrarie alla Rivoluzione. Non ci sarebbe stata pietà per dei criminali. Non di nuovo. E per questo, alla fine, la decisione era stata presa lo stesso. I Kara sarebbero stati giustiziati pubblicamente senza nessun condono, durante un secondo Summit Mondiale che avrebbe avuto luogo nella Terra dei Fiumi durante la fine di Settembre dell’anno successivo.

Ovvero quest’anno.

Sarada sentì una prepotente sensazione d’angoscia iniziare a sommergerle la mente.

HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE È STATO SASUKE UCHIHA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Mentre ascoltava il ritornello, però, un piccolo sorriso pieno di tristezza le incurvò nuovamente le labbra. Forse Boruto aveva avuto un po' di ragione, pensò. Forse la strada che aveva intrapreso non era così oscura e imperdonabile come aveva pensato negli anni passati. Se così tanta gente continuava a credere in lui e nella sua Rivoluzione persino dopo la sua morte… allora, forse, c’era stato del bene nelle sue intenzioni.

Un’ennesima prova del fatto che la persona che aveva amato non era un mero mostro come lo dipingeva il mondo.

Senza indugiare ancora oltre in quei pensieri penosi, la giovane si alzò lentamente dal tavolo, posò una manciata di Ryo sul bancone, e si diresse fuori dal locale senza mai voltarsi indietro. Una bella dormita sarebbe stata la cosa più saggia da fare, decise. Dopotutto, l’indomani doveva prepararsi per un appuntamento.

Un appuntamento che non poteva più permettersi di saltare ormai.
 


L’uomo incappucciato giocherellò col suo bicchiere vuoto ancora per diversi secondi, senza muoversi o destare sospetti. La sua testa restò perennemente abbassata verso il bancone, mentre il suo occhio sinistro puntava invece a destra, studiando di soppiatto la figura della ragazza dai capelli corvini che stava uscendo dalla porta del locale. Poi, una volta che la sua sagoma scomparve completamente oltre la porta, il suo sguardo tornò a posarsi in avanti, senza davvero osservare niente. Nel locale continuò a regnare la calma esattamente come prima, con l’aria che tremolava leggermente per il vociare dei clienti e per la musica che risuonava sommessamente in tutto quell’ambiente scuro.

HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, CHI SIA STATO NON SI SA!
FORSE È STATO SASUKE UCHIHA, FORSE L’HOKAGE DI KONOHA!
HANNO UCCISO BORUTO UZUMAKI, NON SI SA NEANCHE IL PERCHÈ!
AVRÀ FATTO QUALCHE DANNO, FORSE PER COLPA DEL SAKÈ!

Le sue labbra si snudarono leggermente in un sorriso dentato privo di emozione.

“M-Mi ha chiamato, signore?” la voce del giovane barista lo fece ridestare dai suoi pensieri, portandolo a fissare il volto sorridente che gli si era piazzato davanti dalla parte opposta del bancone. Era un misero ragazzino di appena dieci anni, con dei capelli spettinati di colore verde ed un abito malmesso, visibilmente teso e nervoso mentre gli parlava. Non sembrava un vero barista a prima vista. Probabilmente faceva questo lavoro solo per pagarsi da vivere.

L’uomo incappucciato sorrise. “Sì. Portami del Sakè, ragazzo,” chiese, spostando in avanti il suo bicchiere vuoto.

Il ragazzino non esitò ad eseguire l’ordine del cliente, muovendosi nervosamente mentre afferrava con apprensione numerose bottiglie diverse prima di trovare quella giusta. Gli restituì il bicchiere con il suo perenne sorriso tirato. L’uomo lo osservò da sotto il suo cappuccio nero. “È da tanto che fai questo lavoro?” gli chiese, sorseggiando lentamente il liquore.

Il volto del giovane assunse un’espressione incerta. “A-A dire il vero no, signore. Ho iniziato una settimana fa. N-Non vorrei sembrare scortese, ma questo lavoro non fa per me. Lo faccio solo perché mi servono soldi,” ammise, quasi vergognoso.

L’altro rimase in silenzio per diversi secondi, facendo ondeggiare il bicchiere con una mano. “E cosa vorresti fare, invece?”

“Ah… Ahahaha! Ad essere sincero non lo so ancora, signore,” confessò con imbarazzo, grattandosi il collo con una mano.

Per qualche strano motivo, l’uomo sorrise sotto al suo cappuccio. “Come ti chiami, ragazzo?”

Quello ammiccò, confuso dalla domanda, prima di sorridere con imbarazzo. “I-Izuku. Izuku Midoriya,” rispose lentamente, raddrizzandosi con la schiena. “S-Se posso permettermi, lei invece chi è, signore?”

L’occhio dell’uomo guizzò verso destra per una frazione di secondo, osservando la porta del locale. Poi, come se niente fosse, tornò a fissare davanti a sé, bevendo in un sorso solo tutto il vino di riso e posando delicatamente il bicchiere sul bancone.

Il suo sorriso si fece più ampio e misterioso.

“Mi chiamo Saigo.”
 


02 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Torre dell’Hokage
09:57

Sarada percorse le strade della Foglia con una vaga sensazione di confusione. Era passata una settimana da quando era riuscita a completare i moduli per diventare Capitano degli ANBU, e stava lavorando duramente per riuscire ad ottenere la carica quanto prima. Dopotutto, era una cosa che non poteva evitare ormai. Le sue abilità erano cresciute molto nel corso di questi anni, ed erano in molti nella sua squadra ad averle consigliato di candidarsi per la posizione di Capitano. Eppure, lei aveva esitato fino ad ora. Aveva avuto paura. Aveva avuto paura perché consegnare quei moduli significava vedere l’Hokage, di persona. Significava che lei sarebbe dovuta stare in piedi difronte a lui, con una scrivania che li separava, e che avrebbe dovuto guardarlo negli occhi e vedere la totale disperazione di un padre che aveva perso un figlio.

Sarada non pensava di poterlo fare. Era da mesi che si rifiutava di vedere il Settimo per quel preciso motivo. Non voleva pensare che il suo idolo, il suo eroe, fosse così debole. Così umano. Avrebbe tanto voluto entrare nell’ufficio, vedere il bastione di forza e determinazione che era sempre stato, e andarsene sapendo che la sua casa era al sicuro e che tutto andava bene nel mondo.

Ma quello era un desiderio irrealizzabile.

La corvina si rese conto di essere stata ferma e in piedi dinanzi alla Torre per troppo tempo. La gente la stava guardando con occhiate strane. Ammiccò. I suoi occhi erano stranamente asciutti. Immaginò che fosse meglio che versare altre lacrime di sangue. Una cosa del genere l’avrebbe resa strana sotto più di qualche aspetto. Ancora oggi, i segreti dello Sharingan Ipnotico non erano un’informazione pubblica, ma molti sapevano che non portavano mai a niente di buono. Il clan Uchiha, che le piacesse o meno, non aveva mai avuto una bella reputazione.

Non che a lei fregasse qualcosa di quello che pensava la gente. Non dopo aver visto il modo in cui gli abitanti del Villaggio e coloro che sostenevano l’Unione facevano ironia sulla morte di lui. Certo, lui aveva infranto ogni singola legge esistente, lui aveva seminato il caos nel perseguimento dei suoi obiettivi, ma lui aveva avuto anche un cuore buono. Sarada lo sapeva. Himawari lo sapeva. Chiunque l’aveva conosciuto lo sapeva. Boruto aveva cercato di aiutare, a modo suo, il mondo a raggiungere la pace. C’era sempre stato del bene in lui. Era una parte di lui che lei amava, e che avrebbe sempre amato.

Sarada batté le palpebre e si ritrovò in piedi dinanzi alla reception. La segretaria la stava fissando, pallida, con la bocca spalancata mentre la sua mascella si muoveva su e giù. Sarada si accigliò, allungò una mano e si asciugò le guance. Le sue dita tornarono macchiate di sangue. Merda. Chiuse gli occhi, costrinse il suo Sharingan a dissolversi e fece il miglior sorriso che riuscì a generare. “Ho un appuntamento con l’Hokage tra pochi minuti,” disse, la sua voce dolce che sembrò calmare la segretaria.

La donna annuì, un po' tremante, e le indicò alcune sedie. “Siediti. Ci vorrà solo un minuto.”

L’Uchiha si sedette. Un minuto fu apparentemente più lungo di quel che si aspettava. Guardò l’orologio. Dopo un quarto d’ora, iniziò ad agitarsi. Notò che la segretaria le stava lanciando delle occhiate strane. Pensò di parlarle e chiarire qualsiasi cosa avesse per la testa, ma decise di non farlo. Era la segretaria dell’Hokage. Non avrebbe chiacchierato se avesse saputo cosa era meglio per la sua carriera, per non parlare della sua salute.

In quanto ANBU e futuro Capitano, Sarada lo sapeva bene. Le persone che tradivano la fiducia di un Kage di solito finivano per scomparire, e nessuno faceva domande su dove fossero finite o perché fossero improvvisamente scomparse. Gli ANBU esistevano anche per questo: per eliminare i problemi. Non che Sarada pensasse che l’Hokage fosse così duro, così spietato. Era una persona buona e altruista, a differenza di lui, che era stato freddo, crudele e calcolatore. Tuttavia, chi poteva dirlo davvero? Lei stessa aveva sempre saputo che c’era del buono nel figlio reietto del Settimo.

La porta sbatté mentre si apriva per permettere l’ingresso ad un’altra persona. Sarada s’irrigidì mentre Himawari entrava nell’ufficio. Era più alta, più bella, coi capelli lunghi e sciolti simili a quelli di sua madre. I loro occhi si incontrarono, e quell’inespressa e condivisa devastazione passò tra di loro. Sarada sorrise debolmente. Era più un sorriso di cortesia che uno pieno di emozione. Himawari ricambiò il gesto a stento. Le sue labbra si piegarono verso l’alto in un modo vago e tirato che sembrava quasi essere la pallida imitazione di un sorriso.

Sarada sentì il suo sorriso appassire e svanire. Giusto. Poteva comprenderlo. Lei aveva perso un amico, ma Himawari aveva perso suo fratello. E anche se lui l’aveva abbandonata quando aveva sette anni, quando erano più piccoli loro due erano stati molto vicini. Più vicini rispetto ai fratelli normali. Era stato lui a prendere le redini di casa quando suo padre era diventato Hokage. Era stato lui a giocare con lei, a tenerle compagnia, a proteggerla; arrivando persino a saltare la scuola solamente per restare a casa con la sorella quando lei aveva bisogno di lui.

Sarada era stata gelosa di lei, in realtà, quando era più giovane. Avrebbe voluto quel tipo di attenzione su di sé. L’Uchiha ricordava ancora di averlo seguito – non stalkerato, definitivamente non stalkerato – per le strade mentre tornavano a casa dopo le prime lezioni di scuola. Lui portava sempre in volto un’espressione divisa tra la rabbia e la tristezza, ma ogni volta che arrivava a casa si forzava a spingere quelle emozioni dentro di sé solo per mostrare un sorriso a sua sorella.

Himawari la stava abbracciando. Sarada si rese conto che a un certo punto aveva cominciato – per l’ennesima volta – a piangere. Abbassò lo sguardo e notò che la sua camicia era macchiata di rosso. Era una cosa buona che le piaceva vestirsi con abiti di quello stesso colore. Nascondevano bene le macchie di sangue. Sarada ricambiò l’abbraccio senza esitazione.

La segretaria tossì. Stava dinanzi a loro, visibilmente imbarazzata. “L’Hokage si è liberato,” le disse. I suoi occhi guizzarono tra lei e Himawari. “Tu potrai andare dopo di lei, Himawari,” aggiunse con un sorriso.

“Non c’è problema,” disse Sarada. “Può venire con me.”

Nessuno discusse con quella decisione. Sarada salì le scale a passo lento fino al secondo piano. Himawai la seguì. Le ombre nell’atrio che conduceva all’ufficio dell’Hokage erano familiari per lei. Gli ANBU sorvegliavano questo posto ad ogni ora del giorno e della notte. Senza farsi notare, fece un cenno di saluto alle due maschere nascoste nel buio. Arrivò davanti alla porta, ma essa si aprì prima che potesse bussare. Shikadai e suo padre uscirono senza fiatare. Sarada fece loro un inchino. Era bello rivedere Shikadai. Lui e Inojin erano stati messi di pattuglia sul confine da settimane. Si chiese se adesso fossero finalmente tornati.

Non perse altro tempo. Sarada entrò nell’ufficio, Himawari alle sue spalle, e… cazzo. Era peggio di quanto ricordava. L’Hokage appariva come se fosse mortalmente malato, o come se fosse stato pestato pesantemente. O entrambe le cose. I suoi occhi erano rossi con borse scure sotto di essi. I capelli dorati che condivideva con lui erano pallidi e privi del solito colore vibrante che le piaceva così tanto.

Fece male. Fece male vedere la prova che il suo eroe non era così intoccabile come sperava. Ancora adesso, dopo due anni, il dolore era insopportabile per lui. Sarada esitò. Quindi avanzò prima che la pausa diventasse imbarazzante. Himawari la seguì come un cucciolo smarrito, e l’Uchiha si costrinse a non voltarsi per vedere quanto padre e figlia fossero simili nel loro dolore.

La cosa migliore che poteva fare era spostare l’attenzione su di lei. Posò il foglio sulla scrivania e rimase sull’attenti. L’Hokage la guardò, poi fissò il foglio, e poi guardò di nuovo lei – una cosa un po' stupida – prima di afferrare il modulo ed iniziare a leggerlo. Sarada sentì la tensione invaderle la mente. Voleva diventare Capitano degli ANBU e unirsi ad una sessione di addestramento a cui partecipavano solo l’élite di assassini più spietati. Il tutto per dimenticare il dolore che ancora adesso la flagellava. Non era certo una cosa che sarebbe stata accettata facilmente.

Sarada vide il momento esatto in cui l’Hokage comprese la sua richiesta. Era nei suoi occhi. L’orrore. Lei sospirò. “La prego, Hokage-sama. È quello che desidero.”

Il modo in cui la sua mascella si mosse su e giù le diceva che voleva rifiutare, ma non sapeva come. Lo vide combattere con sé stesso per diversi minuti, pieno di tensione. Poi, le sue spalle crollarono verso il basso, sconfitte. Il Settimo allungò una mano per prendere uno stampo e lo premette sul documento prima che potesse cambiare idea.

Era fatta.

“Grazie,” sussurrò la corvina. Si girò per andarsene, dato che era evidente che Himawari volesse parlare a Naruto come suo padre, ma Sarada esitò quando vide gli occhi azzurri di lui che la fissavano in maniera supplichevole. Solo che erano gli occhi azzurri di lei, e non veramente quelli di lui.

Decise di non andarsene. Sarebbe rimasta e avrebbe offerto quel piccolo supporto emotivo che poteva. Himawari fece un passo in avanti, estrasse un singolo foglio di carta dalla tasca e lo passò a suo padre. L’Hokage lo aprì lentamente, e Sarada riuscì a capire dalle pieghe sulla carta che era stato aperto e richiuso diverse volte prima di allora. Era quasi logoro.

Qualunque cosa fosse scritta sul foglio sembrò colpire il Settimo Hokage come un martello in mezzo agli occhi. “V-Vuoi… Vuoi lasciare il Corpo dei Ninja?” esalò Naruto, incredulo, e… che cosa cazzo? Sarada non poteva crederci. Himawari non poteva smettere. Lei era, beh, aveva talento. Non quanto lui – perché nessuno era davvero talentuoso come lo era stato lui – ma aveva un futuro brillante davanti a sé. Era potente, abile, e intelligente. Era un’Eremita. Avrebbe potuto diventare il prossimo Hokage, se lo desiderava. Himawari poteva chiedere qualsiasi posizione nel Villaggio e guadagnarsela.

“No,” rispose l’Uzumaki, un po' esitante. “Ho solo… bisogno di una pausa. Di un po' di tempo da sola. Per riflettere sulle cose. Per trovare…”

Per trovare qualcosa per cui vale la pena vivere, finì per lei Sarada. Adesso aveva capito. Tutta la vita di Himawari era ruotata attorno al desiderio di riportare a casa suo fratello, dopotutto.

L’Hokage annuì, ancora scosso, prima di timbrare il foglio e posizionarlo sopra al suo. Entrambi i documenti finirono in cima ad una pila imponente di scartoffie. E quando Naruto alzò gli occhi, quello sguardo di totale sconfitta e rimorso era tornato, ed era così forte che Sarada non poté sopportarlo oltre. Doveva fare qualcosa.

Le parole le uscirono da sole dalle labbra.

“Deve farsene una ragione,” disse lentamente.

Il Settimo Hokage non la guardò nemmeno.

I denti di Sarada si serrarono con forza. “Sono passati due anni ormai,” insistette disperatamente.

Le spalle dell’uomo sembrarono scosse un tremito. “Due anni, tre mesi e due giorni, ad essere precisi,” sussurrò piano, la sua voce roca e spezzata. Fissava il vuoto con occhi spenti e rammaricati.

All’udire il tono affranto del suo idolo, nemmeno Sarada riuscì a trattenere un gemito. Alle sue spalle, sentì Himawari cominciare a serrare i pugni impotentemente. “Hokage-sama, io-”

“Starò bene,” la incalzò lui, offrendole un sorriso tirato. Non c’era allegria nel suo volto, solo una pesante rassegnazione. “Non preoccuparti per me. Io… Io starò bene. Certe cose richiedono molto tempo, Sarada.”

In quel momento, dopo più di due anni che non l’aveva fatto, l’Uchiha desiderò ardentemente che suo padre potesse essere qui assieme a lei. Solo lui avrebbe potuto aiutare Naruto a superare il dolore che lo stava affliggendo. Ma, ancora una volta, suo padre non c’era. Non era più sulla Terra. Era partito di nuovo, circa sei mesi prima, per proteggere il mondo dagli Otsutsuki. Senza più nessuna Organizzazione Kara a minacciare le Nazioni, era stata l’unica cosa che gli era rimasta da fare, dopotutto. Sarada pregò disperatamente che potesse tornare al più presto.

Le sue labbra emisero un sospiro sconfitto. “Almeno… ci sono novità sulla questione dei suoi amici?” domandò più seriamente. “Che ne sarà di Mikasa e degli altri?”

Il volto del Settimo si fece pesante. “Non c’è stato niente da fare, purtroppo,” rispose senza mezzi termini, visibilmente contrariato. Sembrò appassire ancor più di prima. “Ho provato a mandare dei messaggi ai Kage, ma nessuno mi ha risposto. Saranno giustiziati pubblicamente durante il Summit a fine mese.”

Il suo cuore ebbe un fremito.

“Posso… Posso almeno andare a fare loro una visita?” chiese sommessamente.

Il sorriso che l’Hokage le rivolse era pieno di rammarico. “Ormai sei un Capitano degli ANBU, Sarada. Nessuno ti impedirà di farlo.”

Sarada uscì dall’ufficio senza aggiungere altro.
 


03 Settembre, 0021 AIT
Villaggio della Foglia, Terra del Fuoco
Residenza dell’Hokage
12:45

Shikadai sospirò, passandosi una mano nei capelli, e tentò di farsi coraggio scuotendo la testa. Costrinse il suo braccio a sollevarsi e le sue nocche a bussare contro la porta di casa della famiglia Uzumaki. Per la tensione che provava, ebbe quasi bisogno di una Tecnica d’Ombra per costringere il suo corpo ad obbedire ai comandi della sua mente.

Dopo qualche istante d’attesa, Hinata-sama aprì la porta. I suoi occhi erano rossi e la pelle sotto di essi di un colore viola-nero chiazzato scuro. Il Nara si pentì immediatamente della sua scelta appena la vide in quello stato. Era palese che la donna stesse passando le sue giornate a piangere ancora adesso. La sua depressione non era migliorata, vista l’immensa emotività che caratterizzava la moglie dell’Hokage. “M-Mi dispiace immensamente disturbarla, Hinata-sama,” Shikadai riuscì a soffocare. “Himawari è in casa? P-Posso parlarle?”

Hinata non disse nulla, limitandosi semplicemente ad annuire, prima di chiudere la porta e affrettarsi ad andare a prendere – dedusse il giovane – sua figlia. Quando la porta si aprì di nuovo, Himawari lo stava osservando con uno sguardo assonnato, ammiccando confusamente gli occhi. Il suo volto era livido per gli allenamenti e aveva i capelli selvaggi e spettinati, ma sembrava stare… bene.

“Ehi, Himawari,” la salutò il Nara. “Posso parlare con te per un po'? Magari andando a pranzo assieme?”

La principessina trasalì, ammiccando furiosamente, prima di lanciare uno sguardo al pigiama che stava ancora indossando. Le sue guance si colorarono leggermente di rosso. “Sì, certo,” rispose. “Dammi solo un minuto.”

Gli sbatté la porta in faccia e Shikadai sentì il rumore di passi che battevano sul pavimento di legno duro. Quando la ragazza tornò, si era cambiata con la divisa standard da Jonin della Foglia. La giacca era di circa due taglie più grande per lei, ed era ovviamente stata misurata per uomini, non per donne. “La maggior parte delle mie cose è al Monte Myoboku,” disse Himawari, scusandosi.

Shikadai si strinse nelle spalle. Non gli importava davvero di cosa indossasse. La portò nello stesso ristorante in cui erano sempre soliti andare sin dai tempi dell’Accademia. Shikadai era abbastanza sicuro che il padre di Chocho ne fosse il proprietario. O, almeno, che appartenesse al clan Akimichi.

“Allora,” disse Himawari, sorseggiando il suo tè. “Di cosa volevi parlare?”

Shikadai fissò la sua tazza intoccata e sospirò, facendosi coraggio. “D’accordo, ma ti avviso che sarà piuttosto imbarazzante. Quindi… cerca di avere pazienza con me,” iniziò a dire. Himawari lo osservò con un sopracciglio incurvato. “Voglio parlare di quello che ti sta succedendo. E anche… di tuo fratello.”

L’effetto fu immediato. “Oh,” esalò la giovane. La sua espressione divenne istantaneamente fredda e acida.

Shikadai sospirò. “Ascolta, io… so che è stato difficile per te. È stato difficile per tutti, ma soprattutto per te,” disse. Si fermò un attimo per prendere fiato. “Qualunque cosa fosse diventato, Boruto era nostro amico una volta. Ed era pur sempre tuo fratello.”

“È stato molto tempo fa, Shikadai,” dichiarò Himawari, piatta. “Sei lunghi anni fa.”

“Giusto,” concordò lui. “Ascoltami e basta, okay?  Non prenderla nel modo sbagliato. Siamo dei Ninja. Ciò significa che siamo tutti un po' pazzi. Gli svantaggi della carriera, ecco. Siamo tutti un po' malati, sai? Alcuni di noi più di altri. Il potere… ci fa delle cose. Ci corrompe. A volte penso che la natura del chakra sia essere sempre in conflitto con gli altri.”

Himawari lo fissò in silenzio.

“Ha senso, no? Abbiamo vissuto nell’era migliore e più pacifica che ci sia mai stata, e le persone sono ancora infelici. La gente cerca ancora di andare in guerra. Semplicemente… non finisce mai. Questa è la nostra storia, il nostro futuro: guerra. Un po' triste, vero?” chiese Shikadai.

Non ottenne nessuna risposta. Il giovane si schiarì la gola. “Quello che sto cercando di dire è… non so dove abbia sbagliato Boruto, e non so nemmeno come o quando; ma so che quando era in vita è caduto vittima di questa malattia che tutti abbiamo dentro di noi,” spiegò lentamente.

“C’è un senso in tutta questa conversazione? O stai solo cercando di farmi sentire una merda?” sputò improvvisamente lei, acida.

Shikadai sussultò. “L-Lo so che negli ultimi tempi tu ti eri riavvicinata a tuo fratello. E so anche quanto questa cosa ti abbia fatto soffrire dopo la sua… scomparsa, diciamo. Solo… io credo che, forse, ci fosse ancora del buono in lui. Che ci fosse una possibilità di riscattarsi, anche se ha tentato di fare cose orribili… come minacciare di morte i miei amici. Ma sono certo-”

“Tu non sai niente!” sibilò improvvisamente Himawari, furiosa. Si alzò di scatto e fece per andarsene.

Agendo in fretta, Shikadai contorse le dita nel Sigillo del Ratto. La sua ombra si scatenò, raggiungendo la figura di lei e costringendola a sedersi di nuovo. “Fantastico,” sospirò sommessamente. “Adesso sei davvero incazzata.”

“Lasciami andare!” ringhiò l’Uzumaki.

“Lo farò,” ribatté quello. “Non appena mi lascerai finire.”

Himawari lo fulminò con un’occhiata feroce, ma rimase in silenzio.

“Senti, io… tuo fratello è stato importante anche per me, ok? Forse non tanto importante quanto lo era per te, ma era il mio migliore amico quando ero piccolo. Non riesco letteralmente a ricordare un solo momento in cui non siamo stati amici. Mio padre era sempre a lavoro, e tuo padre era sempre a lavoro. Era inevitabile che legassimo. Abbiamo persino dato assieme dei nomi ai nostri fottuti personaggi in quello stupido gioco online a cui giocavamo sempre. Riesci a crederci? Lui era ‘Shadow Weaver’ ed io “Lawbringer’,” ammise, ridacchiando amaramente.

Shikadai fece un respiro profondo attraverso il naso. “Quello che sto cercando di dire è… che mi sento in colpa. Mi sento come se avessi fallito con lui. Avrei dovuto vedere la sua ‘caduta’, immagino, prima che fosse troppo tardi. Avrei dovuto capire che era malato più di tutti noi. E adesso, so per certo che anche tu stai provando lo stesso, e ti stai torturando per questo. Perché non sei riuscita a salvarlo prima che morisse. Non è così, Himawari?” chiese sommessamente.

Himawari lo fulminò con lo sguardo. Piccole lacrime luccicanti iniziarono a sgorgare dalle sue pupille.

“Io penso,” continuò il Nara. “Che in fondo, tu lo amavi più di tutti e volevi che si riscattasse. E per quanto lo volevi, purtroppo non c’è stato modo di farlo. E adesso che non c’è più… ti stai buttando così ferocemente negli addestramenti per ignorare il dolore della sua perdita.”

Shikadai fece una pausa, lasciò che il suo messaggio fosse recepito a fondo, e poi liberò la sua amica dalla Tecnica d’Ombra. Si aspettava che lei si alzasse e se ne andasse immediatamente. Ma non lo fece. Himawari rimase seduta lì, in silenzio, e fissò a lungo il suo tè. Una cameriera consegnò loro un vassoio di carne e verdure fritte, ma Shikadai non aveva molta fame a quel punto.

“…non è solo per quello,” sussurrò improvvisamente lei, dopo diversi secondi di silenzio.

Gli occhi del Nara si assottigliarono. “E allora cos’altro c’è?” domandò.

L’Uzumaki non alzò mai la testa verso di lui. “Ho ricevuto una profezia dall’Anziano Saggio dei Rospi, due anni fa,” ammise lentamente. “È da allora che mi sento così… male. La m-morte di mio fratello ha solo, come dire, peggiorato le cose.”

“Che cosa diceva questa profezia?” Shikadai non aveva intenzione di andarsene da lì senza avere le risposte che cercava. Era evidente per lui che la ragazza era estremamente incerta su quella questione. “Non temere, non lo dirò a nessuno. Lo prometto,” aggiunse subito dopo, notando la sua esitazione.

Himawari non rispose subito alla domanda. Passarono diversi secondi di silenzio teso tra loro due. Poi però, facendo un grosso respiro, la ragazza prese coraggio e rivelò al suo amico il suo segreto. Il segreto che, durante questi due anni, non aveva mai avuto il coraggio di rivelare a nessun altro.

Gli recitò la profezia per filo e per segno.

“Piccola Himawari… tu diventerai un Ninja di talento, un guerriero impareggiabile, celebrato in questa vita e ricordato per molto tempo dopo la tua morte. Camminerai tra le stelle, e sarai un balsamo per i tuoi alleati e una rovina per i tuoi nemici. Ma il tuo è un futuro di grande amore… e di grande tragedia. Sempre percorrerai il sentiero errante, lungo e buio, tortuoso e cupo. Hai già fatto delle scelte, e molte altre volte a venire scegliere dovrai. E alla fine di questo percorso, tu dovrai prendere la scelta più grande di tutte. Sia che tu scelga di divenire lo Scudo, sia che tu scelga di divenire la Spada; innumerevoli vite moriranno in tuo nome. Il sangue dei morti risorgerà per riempire gli oceani, e tu sarai maledetta da coloro che sceglierai di salvare o eliminare. Ma sappi questo: per tutta la tua vita, tu non conoscerai mai la pace. Sempre sarai condannata ad una vita irrequieta, e sebbene molti troveranno rifugio all’ombra della tua grandezza… tu non troverai mai un tuo ombroso riposo.”

Shikadai impallidì visibilmente. “Q-Questo… Questo è impossibile,” sussurrò, sconvolto.

Himawari scosse la testa. “Non è la prima volta che accade,” ribatté seriamente, monotona. “Il mio Destino è stato segnato. Non c’è niente che posso farci.”

“Cazzate!” Shikadai batté furiosamente le mani sul tavolo, fissandola con uno sguardo ardente di decisione. La giovane trasalì, non poco scioccata, e lo osservò con gli occhi sgranati. Anche gli altri clienti nel locale gli lanciarono un’occhiata confusa. “Hai ricevuto una profezia deplorevole, e con ciò? Hanno detto che dovrai vivere nella miseria, e allora? Chi se ne frega di quello che dice un vecchio rospo rugoso! Io non credo nel destino, e sono certo che nemmeno tuo fratello ci credeva, quando era in vita! Se qualcuno pensa che sarai costretta a vivere nel dolore fino alla morte… allora ciò che devi fare è dimostrare loro che si sbagliano!”

“C-Che stai dicendo?” soffocò Himawari, incredula.

Il Nara le afferrò una mano con la sua, fissandola negli occhi. “Quello che dice la profezia non è importante,” dichiarò. “Ma io non voglio vederti soffrire in questo modo. Non posso restarmene zitto e muto mentre tu passi le tue giornate nell’agonia, soffocando il tuo tempo nelle missioni e negli allenamenti per cercare di ignorare la sofferenza che hai dentro. Devi risollevarti, Himawari. Devi reagire. Ignora la profezia, ignora quello che pensano i rospi… e ricomincia a vivere. Solo tu puoi decidere quello che ne sarà del tuo futuro. Tu sola, e nessun altro. Sono certo che anche tuo fratello vorrebbe questo per te.”

La ragazza non disse nulla, ancora troppo sconvolta per riuscire a trovare le parole.

Lo sguardo di Shikadai era fermo e puntato su di lei. “Sono stato chiaro?”

Passarono dieci secondi di silenzio. Himawari abbassò lo sguardo. “…Perché ti interessa così tanto di come sto?” chiese infine lei, con una voce piccola e piena di speranza.

Shikadai fece roteare gli occhi, le sue guance paonazze. “Penso che tu lo sappia già. Voi donne siete così fastidiose,” rispose sommessamente, prendendo un boccone di maiale fritto.

“Per tua informazione,” la voce di Himawari lo riscosse dall’imbarazzo. Stava sorridendo sotto i baffi, afferrando per sé diverse strisce di carne. “È stata la peggior confessione che abbia mai sentito.”

“Sì, sì,” sbruffò lui.

Il resto del pranzo passò nel silenzio.

“Se questo è un appuntamento, allora paghi tu,” disse Himawari dopo un po' di tempo.

Shikadai sorrise. “Va bene,” concordò.

“…Sai,” commentò di nuovo lei, prendendo un’altra striscia di carne. “Mio fratello probabilmente ti avrebbe ucciso se lo avesse saputo. Anche se non lo voleva ammettere, da piccolo era un po' iperprotettivo nei miei confronti.”

Il suo sorriso vacillò.
 
 
 







 

Note dell’autore!!!

Salve gente! Eccovi il secondo capitolo, pero possa essere stato di vostro gradimento, almeno un po'.

Mi rendo conto che questa parte è stata priva di eventi particolari, ma questa quiete è necessaria al momento. Ci serve per vedere lo stato in cui si trovano i personaggi dopo tutti questi anni dalla fine della storia precedente, così come anche la situazione caotica in cui è precipitato il mondo. Oggi ne abbiamo avuto solo un assaggio, ma alcune cose sono già state rivelate:

- I Kara sono stati sconfitti (cosa estremamente prevedibile, visto l’incommensurabile potere di Naruto e Sasuke) e adesso sono in prigione. Verranno giustiziati a breve;

- Il mondo è sostanzialmente diviso in due fazioni: i Ribelli e le Nazioni contrarie alla Rivoluzione. Questa discrepanza ha generato innumerevoli problemi nel corso degli anni, anche dopo la morte apparente di Boruto;

- Un nuovo Summit mondiale sta per avere luogo a fine mese. Un Summit dove verranno prese delle decisioni importanti per il futuro del pianeta. Ovviamente lo vedremo in futuro;

- Shikadai ha iniziato a provare interesse per Himawari. Devo ammettere che l’intenzione di mettere quei due assieme mi è venuta in testa diverso tempo fa, e ho intenzione di perseguire questo intento. Servirà ad approfondire la storia di entrambi sotto diversi aspetti;

Cosa succederà adesso? Non posso rivelarvelo, ma lo vedrete presto. Ci sono ancora molte domande rimaste in sospeso, alcune delle quali avranno risposta già dal prossimo capitolo. Quindi, vi invito a pazientare. Io ce la metterò tutta per pubblicare quanto prima. (E sì, perdonatemi per aver copiato la canzone degli 883, ma era una cosa che volevo assolutamente inserire XD).

Siccome è passato un bel pò di tempo, sotto vostra richiesta vi allego le età di tutti i personaggi principali a questo puto della storia, assieme alle immagini di Sarada e Himawari dopo due anni.

Boruto: quasi 19 anni;
Mikasa: 19 anni;
Sora: 19 anni;
Gray: 20 anni;
Juvia: 20 anni;
Shirou: 21 anni;
Kairi: 19 anni;

Mitsuki: 19 anni;
Kumo: 23 anni;
Lucy: 21 anni;
Shizuma: 23 anni;

Sarada: 19 anni;
Himawari: 17 anni;
Shikadai: 19 anni;


Urahara: 38 anni;
Toneri: 35 anni;
Zeref: più di 1000 anni;

Naruto: 38 anni;
Hinata: 38 anni;
Sasuke: 38 anni;
Sakura: 38 anni.


SARADA UCHIHA



HIMAWARI UZUMAKI


Vi invito a leggere e commentare. Fatemi sapere cosa ne pensate. Grazie mille a tutti in anticipo, e a presto!
   
 
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