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Autore: T612    04/10/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CAPITOLO IX

 

La verità è una questione di circostanze. Non è sempre uguale per tutti, ogni volta è diversa. Vale anche per me.
-Natasha Romanoff1



 

18 agosto 2018, Ala medica, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

-... sì… sì, la zia Nat sta bene… Lila mi passeresti la mamma ora? Grazie… 

Clint le fa una linguaccia in risposta alla sua improvvisa ilarità, approfittando della distrazione per sistemarsi meglio contro i cuscini della sua branda, tirando accidentalmente la cannula della flebo nel movimento sopprimendo un lamento dato dal fastidio, rischiando di far precipitare sul pavimento il mazzo di rose abbandonate sul comodino.

-Ehi, fai piano… -la riprende Clint all’istante, chiudendo la conversazione appena terminata con Laura, accorrendo in suo soccorso prima che si strappi via gli aghi e i tubicini che entrano ed escono dalle sue braccia, agevolandole i movimenti sistemandole meglio il cuscino sotto la testa e spostando i fiori al centro del mobiletto salvandoli dal bordo.

-Secondo te, Tony per quanto altro tempo mi terrà in osservazione? Sto bene… -sbuffa scocciata sprofondando di nuovo con la testa contro il cuscino, spostando le gambe per fare posto a Clint sul fondo del materasso.

-Un altro paio di giorni, prima vuole capire se le tue onde cerebrali sparano a mille perché sforzi il tuo cervello a ricordare, o se invece l’anomalia è data da un motivo un po’ più serio. -ribatte Clint per l’ennesima volta sospirando con gli occhi al cielo. -Non pensarci, ti procuri solamente un mal di testa e basta. 

-Sai, è difficile non pensarci… non so perchè ho sparato a Nick, ma so che al Cimitero stavo aiutando il mio aggressore… e lo aiutavo per colpa dei reset, altrimenti non me lo spiego… e in tutto questo, al Cimitero c’eri tu, Steve e Bucky… -spiega tradendo una nota esagitata nella voce, sforzandosi di non gesticolare troppo per non tirare di nuovo la cannula della flebo, bloccandosi a causa di una fitta particolarmente forte che sembra spaccarle in due la testa, portandosi istintivamente le dita alle tempie massaggiandosele. -Perché c’era Bucky, Clint?

-Ci ha dato una mano a rintracciarti, è lui che ha addestrato Novokov. -la aggiorna spiccio eludendo il suo sguardo, chinandosi verso la pediera sfilando la cartella clinica controllando le analisi e i dosaggi dei farmaci. -Il mal di testa come va? Aumento gli antidolorifici?

-Non sballare i dosaggi, sto bene. -replica irritata dall’apprensione generale che tutti provano nei suoi confronti… avevano giocato di nuovo con il suo cervello, non era la prima volta che capitava, e tutto ciò che Natasha desiderava era fingere che non fosse mai accaduto. -Tu piuttosto, non dovresti essere in palestra ora?

-I ragazzini arrivano ad allenarsi dopo pranzo, al momento in palestra c’è Cap con Wanda, Visione e Lang. -la istruisce velocemente riponendo la cartelletta al suo posto. -Ho la mattinata libera, sparisco dopo pranzo quando arrivano Kate, Peter e tutti gli altri2.

-Per questo Tony si palesa solo di mattina e Steve mi fa gli agguati dopo pranzo? -chiede delucidazioni su quelle dinamiche interne al Complesso a lei estranee, sopprimendo una fitta al pensiero che lei ha solo una vaghissima idea del dove abbia vissuto e del come abbia trascorso l’ultimo paio d’anni.

-Esattamente. -afferma Clint annuendo con il capo, distendendo meglio le gambe sul bordo del materasso. -Altri dubbi esistenziali?

-Dove sono stata nell’ultimo paio d’anni? Dove sono stata di preciso… -tenta di spiegarsi mentre la frase le muore in gola, collegando lentamente i dettagli caotici che le invadono la mente, tacitamente grata che Clint si fosse preso le ultime mattinate per aiutarla a fare ordine nel guazzabuglio incoerente delle sue sinapsi. 

-C’è stata la Guerra Civile, ma questo lo sai, e non vivevi qui… avevi un appartamento a Little Ukraine, poi ti sei trasferita a Brooklyn e negli ultimi mesi… negli ultimi mesi hai avuto diverse missioni in Europa per conto di Fury, ogni tanto hai lavorato anche con Bucky… e l’ultimo caso vi ha portati da Novokov4.

Natasha annuisce… la cosa ha senso, altrimenti non saprebbe spiegarsi il perchè conservi nella sua memoria così tanti fotogrammi di Barnes, desistendo dall’indagare ulteriormente nei meandri della sua mente nel tentativo di evitarsi un emicrania spaventosa, focalizzandosi su Clint e sul suo sguardo chiaro che rifugge in ogni angolo della stanza irrequieto.

-Cosa non mi stai dicendo, Barton? -indaga con tono inquisitorio affinando lo sguardo, mentre l’uomo le rifila un cenno di noncuranza suggerendole di non preoccuparsi.

-Niente… semplicemente la pista che stai seguendo arriva da Mosca e sai che non mi piace, tutto qui. Almeno mi concedi di preoccuparmi per te?

-Certo che puoi. -solleva gli occhi al cielo in risposta, evidentemente si stava preoccupando eccessivamente per un nonnulla, ma tutta quella apprensione le da fastidio lo stesso.

Il bussare lieve alla porta a vetri spezza il ritmo della conversazione, spingendo Natasha a sollevare lo sguardo su Steve, che tallona la porta trasportando su un vassoio il loro pranzo.

-Stamattina come stai? -chiede il Capitano varcando la soglia, consegnandole la sua porzione di cibo e reclamando una sedia abbandonata affianco al letto.

-Mal di testa che va e viene, nulla di che. -ribatte Natasha con una scrollata di spalle, tuffando la forchetta nel piatto di pasta iniziando ad arrotolarci gli spaghetti, indicando il mazzo di fiori posati sul comodino con un cenno del capo. -Tu sai chi le ha portate le rose? Sono apparse un paio di giorni fa, ma sembra che nessuno sappia chi le ha portate.

-Non c’è niente da mangiare per me? -interviene Clint con tempismo opinabile eclissando la sua domanda, alzandosi dal materasso alla risposta negativa di Steve. -Di cosa dovrei vivere? Aria?3

-Prova a vedere in cucina se a Wanda è rimasta un po’ di pasta in pentola, toccava a lei cucinare oggi. -replica Steve con un’alzata di spalle, sollevando i piedi ed adagiandoli sulla porzione di materasso lasciata libera da Clint. -Anche se dubito sia avanzato qualcosa, Scott aveva parecchia fame dopo essere tornato ad una statura… normale.

-Quindi non è rimasto nulla, bene… -commenta l’arciere sarcastico dirigendosi verso la porta, sfilando il cellulare dalla tasca componendo il numero di cellulare della ragazzina. -Katie, ciao. Sei ancora a Manhattan? Perfetto…-

Clint la saluta con un cenno della mano varcando la soglia, mentre Natasha scoppia a ridere nel sentirlo discutere in corridoio, lamentandosi del fatto che il frigorifero al Complesso sia praticamente sempre vuoto e se gentilmente poteva fermarsi ad un take-away qualsiasi di passaggio prima di raggiungere l’Upstate3.

-Ha già iniziato a pagarle la retta scolastica, oppure aspetta le pratiche dell’adozione? -chiede ironica Natasha a Steve, accennando al suo migliore amico appena uscito dalla porta, che dal tono di voce usato sembrava proprio lamentarsi con la figlia dei colleghi idioti che doveva sopportare a lavoro.

-Per quanto ne so, Kate ha ancora una famiglia ed è abbastanza benestante. -replica Steve con tono noncurante, deglutendo il boccone di spaghetti prima di continuare nel suo discorso. -E solo perchè Clint ha l’indole di trattare tutti i ragazzini come figli suoi, non vuol dire automaticamente che voglia adottarli tutti.

-Giusto… non c’entra nulla che nell’ultima mezz’ora ha divagato su quanto la ragazzina abbia una buona mira, con un tono da papà orgoglioso per niente fraintendibile. -brontola Natasha con il sorriso sulle labbra, beccando Steve mentre tenta di sopprimere una risata sincera. -Come non c’entra assolutamente nulla il fatto che Wanda abbia passato le vacanze di Natale alla Fattoria.

-Lo sai perchè te l’ha detto o lo sai perchè te lo ricordi? -chiede a bruciapelo Steve, ritrovandosi a fissarlo confusa, con un vago accenno di mal di testa che si nasconde dietro l’angolo pronto a tenderle un agguato.

-Natale di due anni fa. -afferma convinta contraendo appena le sopracciglia ad occhi chiusi, tornando a puntare le iridi verdi su Steve con rinnovata determinazione nell’essere finalmente riuscita ad afferrare e collocare correttamente un ricordo da sola. -Il Natale appena trascorso eravamo… quasi tutti qui al Complesso4.

-Giusto. -conferma Steve allegandoci anche un cenno del capo. -Felice di constatare che le domande a bruciapelo funzionano davvero.

-Ma non funzionano per tutto. -si ritrova a ribadire Natasha con una stilettata di cinismo latente, distogliendo lo sguardo finendo per posarlo sui fiori abbandonati sopra il comodino al suo fianco. -Non hai risposto alla mia domanda, Steve.

-Quale domanda? 

-Tu sai chi mi ha portato le rose? Dormivo quando sono state recapitate. -chiede nuovamente analizzando la reazione di Steve alla domanda, perché è la quarta persona a cui lo chiede e tutti, in un modo o nell’altro, hanno tentato di eludere la risposta.

-Non ne ho idea, davvero. -replica Steve con un tono di voce talmente impostato che Natasha non sa se interpretarlo come effettiva ignoranza o tradurla ai livelli di una magistrale bugia.

-Fury ti ha detto quando posso tornare a lavoro? -cambia argomento eclissando l’ennesimo dei propri dubbi esistenziali, concentrandosi nel lavoro perché si rivelava sempre un'ottima distrazione, ma senza chiedere delucidazioni sullo stato di salute dell’uomo… forse perché non si riconosce nelle proprie azioni dell’ultimo mese, forse perché si era già informata al riguardo e Maria l’aveva liquidata con un “sta una favola” che celava una sostanziosa dose di sarcasmo, che tuttavia non si discostava troppo dalla realtà dei fatti.

-Ha detto che puoi tornare in servizio appena ti senti in forze, nel frattempo se ne sta occupando Bucky. -la aggiorna spiccio tra una forchettata e l’altra.

-Puoi chiedergli di girarmi i rapporti? Vorrei muovermi il prima possibile.

-Certo… torni in solitaria? -indaga Steve con discreta nonchalance.

-Mi muovo meglio da sola… e non ho bisogno che Bucky continui a farmi da supervisore come ai tempi del Cremlino. -Steve storce appena le labbra quando chiama in causa il fratello, ma non riesce ad identificare l’origine della smorfia. -Che c’è? 

-Niente, pensavo andaste quantomeno d’accordo, tutto qui.

-Giusto il minimo sindacale… forse mi ha sparato troppe volte perché possa starmi davvero simpatico. -replica incurante inghiottendo l’ultima forchettata di spaghetti, riconsegnando il piatto a Steve, che lo impila sopra al proprio già vuoto, per poi posarli sul vassoio.

-Riferirò. -ribatte Steve atono senza guardarla, e Natasha si ritrova di nuovo a non capire quale sia il vero fulcro della conversazione, indecisa sul come interpretare la risposta.

-Steve, è tutto okay? -si ritrova a chiedere tutto d’un fiato, insicura se l’aria pesante presente nella stanza sia dovuta ad un non detto di cui lei è all’oscuro, o se invece quel senso di pesantezza è causato dal suo mal di testa latente che la sta semplicemente rendendo più paranoica del normale.

-Si, non è niente. -ribatte Steve con il tono di chi viene attraversato da una scossa elettrostatica sulla schiena, riportando i piedi a terra alzandosi di scatto. -Devo andare.

Lo vede raccogliere il vassoio e guadagnare la porta con passo rilassato… forse troppo rilassato, come se stesse misurando i gesti e le parole per non spaventarla, realizzando che il Capitano si stava comportando in quel modo da quando aveva chiamato in causa il mazzo di fiori.

-Sei sicuro di non sapere chi mi ha portato le rose? -lo blocca prima che scompaia oltre la soglia, inframezzando il respiro prima di voltarsi nuovamente verso di lei di tre quarti.

-Non lo so, davvero. -rimarca con tono quasi convincente, sicuramente sta mentendo, ma Natasha non ha davvero voglia di litigare per un nonnulla. -Hanno un qualche significato per te?

-Mi ricordano qualcosa… sono dettagli sparsi, come se fosse tutto normale, ma allo stesso tempo ogni cosa è fuori posto e non riesco a capire cosa. -ammette a mezza voce, convincendosi che deve essere quello il motivo per cui è così diffidente verso chiunque, che in realtà Steve non le sta nascondendo nulla ed è tutta colpa del suo mal di testa che è tornato impietoso a martellarle le tempie. -Tony dice che è normale, che mi serve tempo. Ti prego dimmi che capisci la sensazione, Steve.

-La capisco, credo sia simile al senso di straniamento che ho provato dopo essermi svegliato dal ghiaccio la prima volta. -replica solidale puntellandosi con la schiena allo stipite della porta, in attesa di venire congedato.

-Tipo… credo. -concorda la donna portandosi nuovamente le dita alle tempie, massaggiandole, placando momentaneamente la fitta improvvisa.

-Datti tempo, Nat… -la consola Steve, con un tono di voce talmente calmo e rassicurante che Natasha si ritrova a desiderare di credergli a qualunque costo. -Prima o poi, con il tempo, ritorna tutto al suo posto.

 

***

 

20 settembre 2018, Resistenza sicura di Natasha Romanoff, Little Ukraine, New York

 

Natasha è stanca, ma non sa quanta colpa dare al jet lag, quanta alla missione inconcludente portata a termine a Shanghai e quanta alla tratta soporifera in taxi dal Complesso fino al suo appartamento… biasimandosi perché forse quell’ultimo fattore era tranquillamente evitabile se solo lei non avesse scartato a priori l’ipotesi di fermarsi a dormire nel suo alloggio all’Upstate, dubbiosa se la decisione era dovuta dalla mancanza che provava nei confronti del suo materasso o se invece desiderava solo non avere gente intorno. 

Non sa come o il perchè nell’ultimo mese aveva sviluppato una sottospecie di orticaria nei confronti del genere umano, come ignorava il perchè dopo il matrimonio di Tony avesse fatto i bagagli e fosse tornata al suo appartamento a Little Ukraine… semplicemente si sentiva più a suo agio nella solitudine, forse perché era confortante, forse perchè in quel modo non era costretta a dover rispondere a qualcuno delle azioni che compiva inconsciamente e che continuava a non comprendere bene nemmeno lei.

Strascica i piedi risalendo i tre gradini che conducono al portone d’entrata, sfilando il mazzo di chiavi dalla borsa, scorrendo l’anello fino a quando non trova quella corrispondente alla serratura… ma si distrae lasciandosi sfuggire dalle dita il gruzzolo di chiavi, che cade di fronte alla soglia con un fracasso infernale, chinandosi a raccoglierle trovandosi faccia a faccia con la sua fonte di distrazione.

-Oh, sei ancora qui… -commenta atona passando d’istinto le dita tra il pelo corto del gatto randagio che staziona ai suoi piedi, ottenendo il rombo sommesso delle fusa in cambio.

Riacciuffa il mazzo cercando nuovamente la chiave, scorrendo l’anello di ferro velocemente, chiedendosi il perché ne abbia così tante e rispondendosi da sola ricordandosi che la sua Ragnatela5 conta almeno una ventina di appartamenti intestati a suo nome… ha addirittura una chiave con inciso il marchio di una ferramenta parigina, nonostante non abbia davvero la più pallida idea di che serratura apra.

Il chiavistello scatta, ma il gatto continua imperterrito a strusciarsi contro le sue gambe alla ricerca di coccole, abbassandosi di nuovo all’altezza del felino affondando la mano nel pelo nero, afferrandogli il muso inchiodando il suo sguardo verde nelle iridi gialle del gatto.

-Per la cinquantesima volta in tre settimane… -rimarca con tono di voce seccato, come se stesse facendo la predica ad un bambino di cinque anni particolarmente capriccioso. -... non ti faccio entrare, smamma.

Quando Natasha varca la soglia il gatto non si muove dal suo posto come ordinatogli, ma solleva il musetto nella sua direzione scrutandola con sguardo offeso, quasi risentito.

-E non guardarmi così. - si ritrova a ribadire seccata prima di chiuderlo fuori dalla porta.

Natasha si sente una completa idiota nell’intrattenere una qualsiasi conversazione con quel gatto, ritrovandosi a sperare che non torni mai più perché dopotutto l’ha appena offeso a morte, ma scarta velocemente il pensiero ragionando che se l’animale aveva sprecato un intero mese in fusa volte a corromperla, significava che si era ormai intestardito a prenderla per sfinimento nonostante la sua caparbia resistenza… quel randagio gli ricorda qualcuno, ma non riesce a mettere a fuoco chi, scrollando la testa scacciando il pensiero passeggero.

Perde le scarpe nel corridoio d’entrata, i pantaloni in camera da letto ed il reggiseno sulla soglia del bagno… non sa di preciso quando ha deciso di concedersi una doccia calda, ma l’idea che l’acqua saponata possa trascinare la spossatezza e l’arrabbiatura assopita giù per lo scarico la alletta molto. Si sforza di non pensare a niente, ma il fotogramma del cadavere marchiato le invade la mente di prepotenza, seguendolo nel turbinio vorticante di ragionamenti che la assorbono completamente. 

La missione a Shanghai era stata un fallimento completo, pensava di aver finalmente raggiunto uno straccio di pista da seguire, quando invece si era trovata nuovamente a punto a capo con un corpo che vantava un polmone perforato e il marchio della clessidra sul collo… e, nonostante si sia imposta di non pensarci, si ritrova a riflettere sul fatto che la disposizione, la tecnica e le tempistiche dell’omicidio assomigliavano in modo inquietantemente analogo a quelle delle sue prime esercitazioni eseguite con successo per conto del Leviathan quando aveva dieci anni. Rabbrividisce, nonostante l’acqua incandescente le colpisca la schiena, afferrandosi il polso scorticato nascondendo alla propria vista il primo marchio indelebile che la Stanza Rossa ha lasciato su di lei, cercando in punta di dita le altre cicatrici che le deturpano il corpo, sfiorandosi la spalla, raggiungendo la scapola e scivolando con le dita sul fianco6… scatenando nuovamente il fiotto ribollente di rabbia che le aveva infiammato le vene quando aveva visto Barnes aggirarsi in mezzo alla sua scena del crimine, rivivendo mentalmente lo scoppio d’ira che l’aveva spinta a sferrargli un pugno contro il braccio sano, chiedendogli irritata perchè continuasse a ritrovarselo costantemente tra i piedi. La risposta lapidaria che aveva ricevuto in cambio aveva smorzato la fiamma che animava la sua rabbia frustrata, contestando con logica ineccepibile che tutti gli strani omicidi che si stavano verificando nell’ultimo mese erano anche una sua responsabilità.

Probabilmente era stato quell’anche a darle fastidio, girando i tacchi fulminea scomparendo dalla circolazione… mettendo a tacere il moto di soddisfazione consolatoria che l’aveva colta di sorpresa mentre si distanziava dal luogo dell’omicidio, constatando di essere arrivata nuovamente al cadavere per prima.

Non che la loro fosse una gara… ma sotto una certa ottica quella situazione era cinicamente divertente, ovviamente se non si considerava che la sfida consisteva nel ritrovamento di un cadavere. Forse pensarla come una competizione rendeva la situazione meno irritante, ma quel tipo di ragionamento le richiamava alla mente la strana sensazione di riavvolgere la pellicola e ritornare a quasi una sessantina d’anni prima, fagocitando inconsciamente la sua costante ambizione mai assopita nel voler superare il maestro. Però cinque a tre era un punteggio di cui andava discretamente fiera… non che tenesse davvero il conto, ovviamente.

Si trascina fuori dal box doccia incespicando fino al letto, lasciandosi cadere di peso sul materasso con ancora l’accappatoio addosso, dispiegando le braccia e chiudendo gli occhi fingendo di essere altrove… non sa dove, ma di sicuro fuori da quelle quattro mura, magari senza quel buco nero all’altezza dello stomaco che le sta risucchiando tutte le energie prosciugandola lentamente. 

Natasha valuta seriamente di assecondare l’idea di infilarsi le punte e massacrarsi su Čajkovskij, eclissando la proposta unicamente perché è appena uscita dalla doccia… ragionando su una possibile alternativa per allentare la morsa sui suoi polmoni, che stava riducendo lentamente la quantità di ossigeno che entra ed esce dal suo apparato respiratorio.

Non sa cosa le dice il cervello, ha smesso di interrogarsi in merito ancora un mese fa, ma una volta infilato il pigiama risale la scala antincendio raggiungendo la cima del tetto, sedendosi di sbieco sul cornicione lasciando una gamba a penzolare nel vuoto mentre il filtro di una sigaretta le pende dalle labbra… ritrovandosi a raccontare la propria giornata al gatto nero che aveva abbandonato qualche ora prima sulla soglia d'entrata. Probabilmente sta impazzendo, ma sinceramente non le importa più di tanto.

-...quindi questo è quello che è successo, ho dovuto ferire persone molto cattive… 

Si interrompe sopprimendo una risata quando il felino inizia a leccarle le dita del piede, afferrandolo e trascinandoselo sulla pancia per andare meglio a spuppazzarselo.

-Gatto… -sospira affondando la mano libera nel pelo nero, ottenendo un miagolio risentito. -Cosa c’è? Non ti piace il nome “gatto”?

Interpreta la strusciata contro il suo stomaco come un cenno di assenso.

-Se ti do un nome, mi prometti che poi non ti affezioni? -chiede retorica, anche se sospetta che la domanda sia riferita più a se stessa che al gatto nero.

Il felino in tutta risposta inizia a farle le fusa e, nonostante sia opinione comune credere che i gatti neri generalmente portino sfortuna, lei non può negare che nell’ultimo periodo quel mostriciattolo irritante era l’unico essere vivente a cui aveva permesso di avvicinarsi per farle compagnia e sentirsi meno sola. Dopotutto Natasha aveva smesso di credere a Baba Jaga e ad altre scemenze simili appena aveva compiuto dieci anni, quando gli orrori che aveva visto di persona si erano rivelati molto, molto più spaventosi delle leggende metropolitane raccontate ai bambini per terrorizzarli.

-Likho7… Liho… ti piace Liho? -chiede ottenendo una seconda ondata di fusa ed una leccata sul dorso della mano, interpretandolo come un moto di approvazione. -Allora è aggiudicato.

Natasha continua ad accarezzare il gatto fino a quando la sigaretta non si consuma fino al filtro, spegnendo il mozzicone contro il cornicione, alzandosi in piedi facendo così precipitare sul pavimento il gatto, che fino a due secondi prima se ne stava acciambellato sul suo grembo indisturbato, infilandosi tra le sue gambe rendendo esplicito il desiderio di seguirla fin dentro casa.

-No, Liho… -sospira abbassandosi alla sua altezza accarezzandogli la testa, imponendosi. -Ti ho dato un nome, è vero, ma non significa che ti voglia adottare.

Liho la fissa con i suoi enormi occhi gialli e Natasha si sente messa quasi in soggezione, ma per la miseria, lei non prende ordini da nessuno e di certo non si abbassa ad assecondare i futili desideri di un gatto.

-Senti, la mia vita è… caotica. Mi stanno bene le fusa in serate come queste, quando mi sento un po’ giù e… -si morde la lingua prima di fornire un movente, perché non sa ancora spiegarsi se quella sensazione snervante sia dovuta a Barnes, all’ennesimo cadavere senza omicida o ad entrambe le cose. -Non voglio averti tra i piedi tutti i giorni, tutto qui… non sono quasi mai a casa, non c’è nessuno a riempirti la ciotola mentre sono via.

Liho miagola e si struscia contro la sua mano in una futile contestazione, ma Natasha si ritrae e fugge prima di cedere… perché affezionarsi è un rischio, lo sa per esperienza, e lei non può più permetterselo. Nemmeno per un gatto.

Lo chiude fuori, di nuovo… nascondendosi sotto le lenzuola fredde, abbracciando il cuscino d’istinto, socchiudendo gli occhi distinguendo la sua sagoma in controluce quando lo sente grattare contro il vetro.

-Non ti faccio entrare, mi dispiace… è il tipo di errore che non commetto mai due volte.

Gli volta la schiena e serra gli occhi tentando di addormentarsi sopprimendo l’impulso della routine deleteria in cui era ricaduta nelle ultime settimane, percependo il buco nero generato dal suo stomaco espandersi minacciando di risucchiarla, stringendo il cuscino con più forza per ancorarsi alla realtà.

Ma non è abbastanza, quando è così non lo è mai… non è abbastanza già da un po’ ormai.

Ci vogliono un paio d’ore, ma alla fine Natasha riesce ad addormentarsi… con il lenzuolo stretto spasmodicamente tra le dita, il braccio sollevato sopra la testa e l’anello di metallo delle manette che le lacera il polso, impedendole di scivolare in un limbo fatto di specchi rotti ed ombre.

 

***

 

20 settembre 2018, Terrazzo, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

James lo sente arrivare e spegne la sigaretta per automatismo, non vuole dargli altri pretesti per fargli la predica, perché lo sa che sta per ricevere una lavata di capo… altrimenti le suole di Steve non farebbero quel rumore contro il pavimento.

-Come è andata la missione a Shanghai? -chiede puntualmente suo fratello con discreta nonchalance, in un vano tentativo di indorargli la pillola prima di fargliela inghiottire di traverso.

-Un cadavere, nessun movente ed il marchio della clessidra sul collo… è l’ottavo nell'ultimo mese, la cosa continua a non avere senso. -fa rapporto spiccio con nervosismo latente, sentendo la mancanza della sigaretta tra le dita ed imponendosi di non sfilarne una seconda dal pacchetto. -Non sono target, sembrano più esercitazioni...

-Chi è arrivato per primo? -si informa Steve ignorando la concessione, fermo in piedi alle sue spalle, andando dritto al punto perché si sono arresi entrambi a quelle discussioni a vuoto che si protraggono ormai da più di un mese.

-Lei. 

Lo confessa senza esitazioni, consapevole a priori che sia inutile mentire, nonostante si stia sforzando a non ricambiare lo sguardo del fratello… distraendosi inseguendo il pensiero randomico e fugace che gli attraversa il cervello, mettendo in evidenza che lui ultimamente sta perdendo colpi ed annotando mentalmente che cinque a tre non è niente male come punteggio. Non che quella con Natasha si fosse trasformata in una gara, ovviamente.

-Le hai parlato? -asserisce Steve costringendolo a restare con i piedi per terra, richiamandolo indietro dalle proprie divagazioni mentali.

-Si.

-Parlato sul serio?

-No. -afferma con una seconda risposta lapidaria, anticipandolo con il pensiero su ciò che suo fratello sta per dire, intuendo quali siano le ammonizioni che lui si impegnerà ad ignorare spassionatamente.

-Lo sai che prima o poi lo capirà da sola che non vi ritrovate sempre sulla stessa scena del delitto perché Fury ti ha assegnato allo stesso caso… è Natasha, sa cavarsela benissimo da sola. -afferma con tono ovvio e James sbuffa in risposta, in parte perché non gli piace sentirselo ribadire con quel tono soprattutto da Steve, in parte perchè è ormai stanco di sentirselo ripetere incessantemente da chiunque… e tace, perchè non sa davvero come ribattere con sagacia ad una ovvietà del genere. -Le da fastidio averti tra i piedi senza motivazione, ne sei consapevole, vero?

-Te l’ha detto lei? -elude l’insistenza del fratello con una seconda domanda, nascondendo in essa la speranza recondita che a forza di farle saltare i nervi, le sinapsi di Natasha si agitino al punto da farle riaffiorare nella mente qualche ricordo.

-Non in questi termini… dovresti parlarle. Chiarire.

-Non è così semplice… e lei sta meglio senza di me. -replica James più per abitudine che per vera fede in ciò che afferma, perché se ne rende perfettamente conto da solo che i suoi ragionamenti e le sue azioni si muovono incoerentemente su due binari opposti.

-Se lo pensassi davvero, non la seguiresti di nascosto in missione. -replica Steve lapidario, perchè nonostante James non abbia mai espresso il suo piano ad alta voce, suo fratello deve aver ormai collegato i puntini deducendo le sue reali intenzioni. -Se Rebecca fosse ancora qui, ti avrebbe già spinto a calci fino a Little Ukraine.

James trattiene il respiro bruscamente, preso in contropiede da quel colpo decisamente basso, non era un segreto che Steve non approvasse le sue decisioni più recenti, ma fino a quel momento James era sempre stato restio a credere che il fratello potesse giocare sporco a quei livelli… non con lui almeno, mentre la bile gli risale in gola e si addensa avvelenando le sue parole, generata da un guazzabuglio intricato di emozioni che non riesce a districare e che toglie inevitabilmente la sicura al filo di autocontrollo rimastogli.

-Per dirle cosa? -replica con rabbia montante, reagendo all’accusa alzandosi di scatto dalla sedia, fronteggiandolo con sguardo tempestoso. -Non si ricorda di me, è inutile.

-Non puoi saperlo… trova il modo per riconquistarla, ci riesci sempre, perchè stavolta dovrebbe essere diverso?

-Perchè sta davvero meglio senza di me, Steve! -James non voleva urlare, ma si rassegna alla consapevolezza ingoiando a vuoto con una punta di vergogna nello sguardo, perchè è ormai palese che il controllo che tanto ostentava l’aveva già perso da un pezzo e nonostante tutto si ostinava a non fare nulla a riguardo.

-Non è una decisione che puoi prendere per entrambi. -ribadisce Steve con sguardo glaciale, incrociando le braccia al petto fingendosi indifferente al suo scatto d’ira. -E tu che ne sai, scusa? Non le parli, non hai la più pallida idea di come la pensi Nat sull’argomento.

-Perchè tu sì, immagino. -replica sprezzante James, il tono di voce ancora incollerito.

-Ormai la conosco abbastanza bene da riuscire a cogliere i segnali anche da solo… mi sorprende che non li abbia colti tu. -afferma ritrovandosi contro il suo solito muro di silenzio eretto ad ultima debole difesa, perchè sa esattamente cosa Steve sta per dire, ma per questa volta non vuole davvero ascoltarlo. -Le ho notate le occhiaie sotto il fondotinta, come ho visto la garza sul polso… e tu sai cosa significa, non serve che te lo venga a dire io.

-Nessuno di noi dorme bene… e si sarà fatta male al polso in missione, nel giro di due giorni starà bene. -si ostina a giustificare la situazione, ma il tono di voce usato è talmente falso che percepisce la bugia alle sue stesse orecchie.

-Balle… non so nemmeno più perchè mi ostino a discutere con te, tanto fai sempre e comunque di testa tua. -brontola Steve sconsolato raggiungendo la porta a vetri negandogli il saluto, spingendo James a reagire… non tanto per ammettere i propri errori, ma perché anche nel torto vuole avere sempre l’ultima parola.

-Ho scelto il male minore, Steve… perchè ti ostini a non capirlo? -domanda James voltandosi di tre quarti, bloccando il fratello a ridosso della soglia.

-Non sapevo che “male minore” fosse sinonimo di paura… perchè la tua è paura, nonostante tu non voglia ammetterlo. -ribatte glaciale Steve con un piede già oltre la porta.

-Tu non dovresti essere dalla mia parte sempre e comunque? -chiede allora irritato, soppesando il suo sguardo alla ricerca di quel futile tradimento ipotizzato, fingendosi per niente intimorito dagli occhi azzurro cemento del fratello.

-Non quando dall’altra parte c’è la mia migliore amica e tu ti stai comportando da idiota… puoi continuare a mentire a te stesso convincendoti che sia stata una buona idea averci rinunciato, ma anche se insisti a ripeterlo ciò non significa che sia automaticamente vero. -afferma Steve con tono lapidario e James si sente messo in soggezione, percependo distintamente il desiderio montante di voler iniziare scavarsi la fossa da solo, mentre il fratello si passa la mano sul volto con fare frustrato. -Cristo, volevi farle la proposta di matrimonio Buck.

-La verità è una questione di circostanze… e le circostanze cambiano. -mormora cocciuto, ma con meno veemenza di quella che avrebbe voluto conferire alla frase, sentendosi improvvisamente svuotato dalla bolla di rabbia che gli era scoppiata all’altezza del petto, lasciandolo a bocca asciutta e con una spirale di bugie soffocanti ad ostruirgli la gola.

-Allora se la metti così… chiamami quando decidi che le circostanze saranno di nuovo a tuo favore. 

Steve si prende l’ultima parola e se ne va sbattendosi la porta alle spalle, in un boato di metallo e vetro vibrante che rimbomba contro la cassa toracica di James, risuonando al pari di una cassa armonica che ricalca il rintocco di una condanna a morte…  e l’ira ritorna, facendolo reagire sferrando un calcio alla gamba del tavolino, spezzandola e facendolo schiantare contro il parapetto, ribaltando con esso il posacenere ricolmo di mozziconi ed il suo pacchetto di Marlboro mezzo vuoto. 

Respira, si ricompone, per poi raccogliere i cocci di ceramica del posacenere ed accatastando i resti del tavolino in un angolo, ripromettendosi di pagare di tasca propria i danni prima che Tony possa provvedere, cancellando l’episodio sbandierando una delle sue solite carte di credito… raccogliendo le Marlboro da terra, puntellandosi al parapetto, accendendosi una sigaretta per placare il crollo di nervi.

Aveva scelto il male minore, ma nessuno l’aveva avvisato di quanto fosse difficile mantenere quella presa di posizione, e James prova seriamente ad illudersi di essere quel tipo di persona che non ritorna mai sulle proprie decisioni, ma non può più negare ancora a lungo che in fin dei conti Steve ha ragione e la sua è paura… viscerale, atavica e destabilizzante. 

Ormai è un mese che James tenta di negarlo anche a se stesso, ma non può fare a meno di valutare seriamente l’idea di ritornare sulle proprie decisioni… e forse per capirlo aveva solamente bisogno di urlare contro qualcuno vedendosi negata l’ultima parola.





 

Note: 

  1. Citazione presa da “The Winter Soldier”, l’ho sempre trovata azzeccata per il personaggio, mi sembrava giusto inserirla in questo contesto.

  2. Riferimento ai Young Avengers, nello specifico alle nuove reclute citate in causa, Peter Parker e Kate Bishop.

  3. Riferimenti velati al fatto che il Clint dei fumetti è un vero e proprio pozzo senza fondo, con un predilezione preoccupante per il cibo d’asporto, accentuando il fatto che a volte Bishop sia malauguratamente incaricata di fargli da garante, fattorino e autista quando quest’ultimo si trova a corto di liquidi, cibo o benzina.

  4. Riferimenti velati a “Till the end of the line”.

  5. Ragnatela: denominazione data alla serie di appartamenti seminati in giro per il mondo intestati a Natasha, si rivelano molto comodi quando deve assecondare una qualche copertura o necessiti di trasferirsi per lunghi periodi, nonostante lei consideri effettivamente “casa” solo un paio di essi.

  6. La cicatrice sul polso è il segno superstite di quando ai tempi della Stanza Rossa la amanettavano al letto per impedirle di scappare, abitudine che non ha mai abbandonato del tutto. Le altre due sono le cicatrici che le ha inflitto Bucky, quella sul fianco e sulla spalla sono canoniche (Odessa e Washington), quella sulla scapola è un mio headcanon sviluppato in "1956".

  7. Secondo la mitologia slava è una creatura demoniaca che incarna malasorte e sofferenza.

 

 

 

Commento dalla regia:

Se siete giunti fin qui avrete sicuramente appreso che sono tornata, di conseguenza riprende seduta stante la classica pubblicazione settimanale di un capitolo ogni venerdì.

Non credo ci sia molto da dire dopo un capitolo del genere –o meglio, lo lascio dire a voi–, io mi esprimo solo confermando che quei due musoni testardi preferiscono patire le pene dell’inferno piuttosto che parlarsi… e nei fumetti la tirano molto più lunga di come sto facendo io, offrendo tuttavia una lista infinita di bugie opinabili che si smascherano sempre a vicenda, che verranno fedelmente mantenute dalla sottoscritta per doveri di cronaca, pur velocizzandone i tempi.

Come al solito ogni commento è più che gradito, un bacio,

_T

   
 
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