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Autore: moonlightstucky    06/10/2019    0 recensioni
Raccolta di onefiction Stucky ispirate a parole intraducibili.
1. Cwtch, gallese: l'abbraccio in cui ci sentiamo protetti, il posto sicuro che ci dà la persona che ci ama. E’ un posto in cui niente ti turba, niente ti ferisce, niente può colpirti.
2. Cafuné, portoghese: passare le dita tra i capelli della persona amata.
3. Won, coreano: la difficoltà di una persona nel rinunciare ad un’illusione per guardare in faccia la realtà.
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cafuné, portoghese: passare le dita tra i capelli della persona amata.

Mi passi le dita tra i capelli come se fosse l’unica risposta che il tuo corpo assonnato riesce a trovare per l’ennesimo incubo che ha infestato le mie notti insonni. Il tuo respiro è stabile, pesante e le palpebre sono serrate. Chissà cosa stai sognando, chissà se stai sognando. Non mi parli più di ciò che il tuo subconscio ti fa provare da quella volta in cui mi hai detto che rivivi spesso la mia caduta da quel maledetto treno. Avevi le lacrime agli occhi e temevi che ti urlassi contro di andare avanti, che quel tempo era passato da un pezzo. Ti ho solo stretto al petto e ho passato le dita tra le tue corte ciocche bionde, nella speranza che almeno tu fossi libero dalla sofferenza che ci portiamo dietro da quasi un secolo.

Chiudo di nuovo gli occhi e conto fino a dodici. Ricordo che me l’hai insegnato tu, sai? È stato il giorno in cui un gruppetto di teppisti ci ha pestato perché mi avevi stretto la mano all’uscita dal cinema. Per loro era contro natura vedere due ragazzi in atteggiamenti affettuosi, ma non avrebbero aperto bocca se avessi sbattuto una ragazza contro il muro del vicolo e l’avessi presa lì, davanti a tutti.
Se conti fino a dodici le voci spariscono, mi hai sussurrato all’orecchio mentre mi medicavi le ferite alle nocche. Ti ho chiesto che cosa intendessi dire, ma hai scosso leggermente il capo e hai accennato un sorriso che assomigliava più ad una smorfia per via del taglio al labbro inferiore. Avevo il terribile presentimento che non fosse la prima volta che qualcuno ti pestasse a causa mia, a causa di quell’amore che non ci vergognavamo di sbandierare ai quattro venti. Ma il problema è che sei sempre stato una testa calda, anche quando rischiavi di finire a tappeto con un pugno assestato nemmeno troppo bene. Quando non intervenivo a sedare lo scontro, non mi parlavi della motivazione per cui questo era scoppiato. Lasciavi soltanto che ti medicassi le ferite e che azzittissi con dei baci le urla dovute al disinfettante sui tagli freschi.

Solo che questa volta le urla delle mie vittime sono troppo rumorose per poter essere messe a tacere in modo così semplice. A malincuore, mi districo dal tuo abbraccio tentacolare e trattengo il fiato quando ti lamenti nel sonno. Affondi la testa sul mio cuscino e mentre tu riprendi a dormire, io riprendo a respirare.
Infilo la felpa che hai abbandonato sul pavimento qualche ora fa, prima di sdraiarti al mio fianco, e vago per la casa che mi sembra tanto familiare quanto estranea.
Hai detto che hai recuperato gran parte del mobilio che avevamo nel nostro appartamento a Brooklyn negli anni ‘30. Hai detto che volevi sentirti a casa anche se vivi a DC e a Brooklyn non ci torni più da tanto tempo, perché non vuoi essere sommerso dal passato.
Hai detto che posso fare degli spostamenti se mi ritornano i ricordi sulla nostra vita precedente.
Il fatto, Steve, è che non sono sicuro di voler davvero ritornare a come stavamo tempo fa.
Forse non te l’ho mai detto, ma quello che stiamo costruendo ora mi dà speranza. Non sono così illuso da credere che il casino che ho in testa possa sistemarsi in un battito di ciglia o che possa ritornare ad essere il Bucky di prima, anche perché ero una gran testa di cazzo. Ma sono convinto che, con te al mio fianco, ogni cosa tornerà ad avere un senso e forse le voci si ridurranno ad un mormorio inconsistente che sarò in grado di ignorare.

Mi fermo davanti all’ingresso, dove le nostre copie più giovani e più spensierate mi fissano con un sorriso esagerato, probabilmente il risultato di una sbronza o dell’ennesima bravata, e sento dei passi ovattati prima di vederti riflesso nel vetro trasparente.
«Ce l’ha scattata mia mamma, prima che mi trascinassi alla festa organizzata da Molly Simmons. Temevi che ti saltasse addosso, come aveva tentato di fare a scuola. Ci siamo ubriacati così tanto che abbiamo svegliato l’intero condominio quando siamo ritornati e la signora Anderson ci ha buttato un secchio di acqua gelida addosso.», un sorriso malinconico ti adorna le labbra e vorrei dirti di non continuare con il racconto se ti intristisce. Ma le labbra rimangono serrate e allungo all’indietro la mano per farti venire più vicino.
«È stata la prima volta che hai confessato di provare per me qualcosa di più di semplice amicizia.», continui e stringi la mia mano, circondandomi il busto con l’altro braccio e lasciandomi un bacio tra i capelli umidi di sudore.
«Ho sempre avuto un pessimo tempismo.»
Mi giro tra le tue braccia e appoggio l’orecchio al tuo cuore, che batte solido e costante, la mia più grande certezza. «Vorrei ricordare quel momento, la tua espressione alla mia ammissione, se ti ho baciato o se ho dato la colpa alla sbronza, vorrei –»
Mi culli dolcemente e mi accarezzi le ciocche scure, sussurrando che non importa. Comincia a diventare più facile crederti.

   
 
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