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Autore: Teo5Astor    09/10/2019    16 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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34 – Complimenti ingarbugliati
 
 
«Comunque i voti del pubblico di stasera andavano a sommarsi a quelli raccolti sul vostro sito nell’ultimo periodo, no?» butto lì, dopo non so quanti minuti di silenzio da quando siamo arrivati alla spiaggia. «Avresti vinto tu in ogni caso… te lo sei guadagnata da sola il centro del palco. Davano più peso ai voti online».
«Mia madre… stava sorridendo…» risponde Chichi, seduta accanto a me con le ginocchia raccolte fino al mento. Non so neanche se ha sentito quello che le ho appena detto. Si è tolta anche la mascherina, nel frattempo, oltre alle scarpe.
«Beh, sorriderà anche lei, ogni tanto…» provo a smorzare la situazione.
«No, non mi ha mai rivolto un sorriso simile…» ribatte mestamente. «Alla fine… alla fine c’è sempre di mezzo la sorellona…» aggiunge, con la voce rotta da un pianto che sta cercando con tutta sé stessa di trattenere. «Sapevo… sapevo che avrebbe voluto avere lei come figlia, invece di me».
«Dai, non dire così» provo a rincuorarla, appoggiandole delicatamente una mano sulla testa dopo averle tolto il cappellino.
Lei mi allontana con una manata e si alza in piedi di scatto, correndo all’improvviso verso il mare illuminato dalla luna piena. Entra in acqua e non si ferma, sollevando schizzi argentei che troverei anche meravigliosi in un altro contesto. Soprattutto se lei non si stesse dirigendo al largo.
«Ehi!» le grido, correndole dietro. «Fermati, Chì!» aggiungo, entrando a mia volta nell’acqua gelida e maledicendo tutta questa situazione.
«Fermati, cazzo!» sbraito, riuscendo finalmente ad afferrare Chichi per una spalla e a bloccarla, facendola voltare verso di me. L’acqua ci arriva all’altezza dei fianchi. I jeans strappati che indosso mi intralciano terribilmente i movimenti.
«Lasciami stare! A nessuno importa di me!» mi urla in faccia, battendo i pugni contro l’acqua, mentre altre lacrime riprendono a scendere dai suoi occhi di ghiaccio.
«Smettila di dire cazzate!» grido a mia volta, mentre lei mi dà uno spintone e si libera della mia presa, riprendendo a camminare verso il mare aperto. «Chichi! Basta!» sbotto, raggiungendola di nuovo e afferrandole un polso.
«Lasciami! Lasciami, ho detto!» sbraita. «Tu… tu non sai niente di me! Tu non sai quanto… quanto sto soffrendo!»
«Forse non so cosa stai passando, ma so benissimo cosa vuol dire soffrire! Lo so cosa si prova quando la realtà sembra fare schifo! Guarda! Guarda cosa mi è successo quando stavo di merda ed ero solo come un cane abbandonato!» grido, sollevandomi la maglietta per mostrale le cicatrici che ho sul petto.
Lei si volta per un istante e sgrana gli occhi. «Tu…» sussurra.
«Sì, questa è l’eredità che mi ha lasciato la Sindrome della Pubertà… ed è stato solo l’inizio di uno schifo durato due anni» la interrompo, fissandola duramente. «E non sarò nessuno per te, come dici, ma non ti lascio andare!»
«Ti ho detto di lasciarmi stare!» urla ancora, dimenandosi per liberarsi dalla mia presa e riprendendosi dallo stupore derivato dalle mie cicatrici.
«E tu smettila con queste cazzate! Non ti rendi conto di quello che fai!» grido più forte. «Solo una stupida si comporterebbe così!»
«Piantala! A te importa solo della sorellona!» sbraita, voltandosi e guardandomi negli occhi con rabbia, senza smettere di piangere.
«Cosa credi?! Che Lazuli non soffrirebbe se ti succedesse qualcosa?! Allora non hai capito proprio un cazzo!»
«Smettila di dirmi bugie!»
«Invece è la verità! Lei è la tua famiglia! E anche io lo sono! Persino Goku lo è!» grido, battendo un pugno sull’acqua. «Non capisci che noi saremo sempre al tuo fianco, se ci permetterai di aiutarti?! Se anche dovessi ritrovarti sola?! Smettila di fare la bambina!»
«Allora perché la sorellona ha detto che mi odiava?!» sbotta Chichi, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi, immergendo le mani sott’acqua.
«Era una bugia! Una cazzo di bugia! Possibile che non ci arrivi?!» sbraito, battendo ancora un pugno contro l’acqua e facendo sgranare gli occhi a Chichi. «Come ho capito subito che non pensavi davvero tutte le cattiverie che tu le hai gridato in faccia quel giorno!»
«Puoi dimostrarmi che era una bugia quella della sorellona?» mi domanda, improvvisamente calma, abbassando la testa.
«Sì, ti mostrerò le prove appena arriviamo a casa» rispondo, prendendola per mano e conducendola a riva, finalmente tranquilla.
 
Camminiamo per strada, in silenzio, fradici e infreddoliti. Camminiamo mano nella mano, lasciando impronte bagnate sul marciapiede deserto del quartiere della spiaggia.
«Ti hanno fatto tanto male quelle ferite?» mi chiede Chichi con un filo di voce, all’improvviso, senza guardarmi. «Quelle sul petto, intendo».
«Non tanto quanto mi faceva male quello che provavo dentro di me» accenno un sorriso.
«Mi… mi dispiace…» sussurra, stringendo più forte la mia mano bagnata, proprio mentre incrociamo un taxi a cui faccio segno di fermarsi.
«A volte tremo ancora se penso a certe notti in cui mi sentivo schiacciato dall’ansia, non posso dimenticarle. Ma poi penso subito a quando ho imparato a respirare di nuovo. Panta rei».
«Panta… cosa?!»
«Panta rei» le spiego. «Tutto scorre, come l’acqua di un fiume. Tutto passa. Tutto va a fare in culo a un certo punto, anche le cose brutte» sorrido. «Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, quindi non si può restare per sempre nella merda. Magari non te la spiegheranno proprio così a scuola, ma è filosofia. Eraclito».
«Io ve lo dico, ragazzi… è vietato fare il bagno col buio in quella spiaggia…» sbuffa il taxista, guardandoci stranito e interrompendomi.
«È stato un incidente» gli spiego.
«Per fortuna ho dei teli nel bagagliaio per quando vengo a prendere i clienti reduci da una giornata al mare. State bene?» sorride, scendendo dalla macchina e disponendo dei teli plastificati sul sedile posteriore.
«Sì… grazie» gli sorrido a mia volta, prima di entrare in macchina seguito da Chichi, che non molla nemmeno per un istante la mia mano durante il breve viaggio, pur non aprendo mai la bocca nemmeno una volta. Le sue dita sono intrecciate alle mie, mentre la sua testa immagino sia piena di pensieri e di dubbi. Di ansie e paure. Ma anche di speranze e di affetti. Di bei ricordi e di aspettative future.
La vita è fatta di tutto questo e anche di più. La realtà che ci circonda anche. Gioie e dolori, amori e delusioni. Forza e debolezza. Consapevolezza e illusioni.
«Chì» sussurro, facendola voltare verso di me. Le sorrido, perché ho imparato a provare a sorridere sempre in faccia a questa vita, a questa realtà, a questo mondo. O forse perché in questo momento non ho nulla di meglio da offrirle, se non un semplice sorriso.
Lei accenna un sorriso a sua volta e stringe più forte la mia mano, appoggiando la testa alla mia spalla e chiudendo gli occhi finché non arriviamo a destinazione.
 
«Cosa significa questo?!» mi domanda Chichi, perplessa e sospettosa, rigirandosi tra le mani la scatola che Lazuli teneva nascosta nell’armadio della stanza del tatami in cui avevo già sbirciato nei giorni scorsi.
Abbiamo entrambi degli asciugamani intorno al collo, ma siamo ancora piuttosto bagnati con addosso i vestiti con cui abbiamo fatto questo inaspettato bagno notturno in mare. Abbiamo anche lasciato qualche impronta in giro e sono certo che Là mi ammazzerà per aver sporcato casa sua.
«Tu aprila e basta».
«Non dirmi cosa devo fare» sbuffa, guardandomi di sottecchi mentre toglie il coperchio alla scatola. «Ma… sono… sono le lettere che le scrivevo quando eravamo bambine!» esclama, con le mani che tremano leggermente e gli occhi che le si riempiono di lacrime. La scatola è piena di buste, biglietti, fotografie, disegni e ricordi di questo tipo, come avevo già potuto constatare. Tutti conservati da Lazuli nel corso degli anni per ricordare la loro infanzia. «C’è… c’è anche la vecchia mollettina a forma di coniglio che le avevo regalato io… l’ha conservata anche se ormai si era tutta rovinata!»
«Infatti quella che usa sempre adesso ricorda molto quella che le avevi regalato tu undici anni fa, non trovi?» la interrompo, mentre lei mi guarda con aria apparentemente sconvolta per quello che sta realizzando in questi istanti.
«Io… io non ci capisco più niente! Perché ha conservato queste cose?! Perché?!» urla, scoppiando a piangere.
«Perché la rendevano felice, no?!» le spiego, prendendo in mano il primo biglietto ripiegato che mi capita a tiro. Lo apro, e sorrido osservando la calligrafia grande e incerta con cui è scritto un breve messaggio abbinato a un disegno colorato che rappresenta una bambina dai capelli neri felice che sembra lanciare verso il cielo dei cuori. «Ha conservato tutte le tue lettere per anni. Come questa, guarda cosa le avevi scritto: “Sei stata super fantastica! Sono tanto fiera di te, sorellona!» aggiungo, porgendolo a Chichi, che lo guarda senza smettere di piangere. «Se ti odiasse davvero non l’avrebbe mai fatto».
«Ma io…» grida lei con voce tremante, prima di interrompersi e abbassare la testa. «Io non sono nemmeno la sua vera sorella…» sussurra, laconica.
«Ma cosa dici?!» provo a spronarla.
«Quando le scrivevo queste cose ero troppo piccola per capire davvero cosa significasse essere sorelle con madri diverse… da quando l’ho capito mi sono sempre sentita a disagio» mi spiega Chichi, senza accorgersi che alle sue spalle è arrivata nel frattempo Lazuli. Lei era già qui quando siamo entrati in casa, solo che non aveva voluto farsi vedere e io non ho detto nulla, anche se me ne ero accorto. «Ho iniziato a pensare di essere solo un peso per lei!» continua Chichi. «E da allora non ho più avuto il coraggio di scriverle!»
«L’hai sentita, Là? Tu cosa ne pensi?» chiedo direttamente alla mia ragazza, guardandola negli occhi. Ha le braccia incrociate sotto il seno e la schiena appoggiata allo stipite della porta della stanza del tatami. Immaginavo che avrebbe voluto chiarire le cose con sua sorella dopo ciò che è successo al concerto, e penso anch’io che sia giunto il momento di farlo. Così come avevo capito che indirettamente mi aveva invitato a mostrare a Chichi il contenuto di quella scatola quando lo avessi ritenuto opportuno. Mi piace quando ci capiamo al volo, senza nemmeno doverci parlare.
«Prima di tutto, nessuno ti aveva dato il permesso di frugare tra le mie cose, stupido» esordisce, guardandomi male. «Secondo: mi avete bagnato tutta la casa, e per questo verrai punito, Rad» prosegue, stizzita. «Terzo: ti riterrò anche responsabile se si dovesse essere rovinata la mia canotta dei Raptors con l’acqua di mare!» sbotta, camminando lentamente verso di noi. Sembra impassibile. Ma inesorabile.
«Uffa, ma non è colpa mia…» protesto, sbuffando divertito.
«Perché…» sussurra Chichi, voltandosi verso Lazuli con uno sguardo allucinato, come se avesse appena visto un fantasma. Il biglietto le sfugge dalla mano e finisce sul pavimento insieme all’asciugamano che aveva al collo. «Perché… sorellona…».
«Ricordo solo che in quel periodo ero così occupata e piena di lavoro da non riuscire più a stare al passo con la mia vita, che doveva essere semplicemente la vita di una bambina di sette anni… avevo già esordito da un anno, i lavori non facevano che aumentare» comincia a spiegare Lazuli con fare apparentemente distaccato, camminando verso sua sorella fino a fermarsi a un passo da lei. «Tornavo a casa solo per dormire, non avevo il tempo né di giocare, né di rivedere in tv i lavori in cui avevo recitato» aggiunge, buttando un occhio all’interno della scatola che Chichi stringe ancora in una mano. «Un sacco di persone mi riempivano di complimenti, tutti i giorni, ma io non facevo altro che domandarmi chi fosse tutta quella gente. Mia madre era troppo presa da quel mondo per ascoltarmi, non mi sono mai sentita tanto sola come in quel periodo. Non avevo mai avuto un padre, in quel momento ho cominciato a perdere anche mia madre. Ero sola».
Lazuli si interrompe e toglie dalla mani della sorella la scatola, cominciando a frugarci dentro.
«Ma tu eri diversa, Chichi-chan» le dice, guardandola negli occhi. «Ammetto che rimasi spiazzata quando nostro padre ti presentò a me come mia sorella, ma non facevi altro che mandarmi lettere in cui mi dicevi quanto io fossi fantastica e straordinaria».
Chichi non dice nulla. Abbassa di nuovo la testa, ma smette di piangere.
«Sai, mi davano tanta carica quei messaggi. Vederti così felice mi ha dato una valida ragione per andare avanti. Se ho anche bei ricordi della mia infanzia è solo grazie al fatto che avevo una sorella che mi ha permesso di averne, che mi faceva sentire meno sola di quanto fossi realmente» riprende Lazuli. «È grazie a quei messaggi se ora amo il mio lavoro» aggiunge, prendendo in mano una fotografia e appoggiando poi la scatola nell’armadio. Si protende verso sua sorella piegandosi leggermente in avanti, finché Chichi non solleva la testa. Si guardano negli occhi. «È anche per questo che ti sarò sempre grata!» conclude, accennando un sorriso. «Grazie per essere la mia sorellina».
«S-sorellona…» farfuglia Chichi, riprendendo a piangere. «Così… così non vale! Ormai è troppo tardi per dirmelo!» grida, scuotendo la testa e cercando di asciugarsi le lacrime. «Avevo appena deciso di impegnarmi con tutta me stessa! Allora perché ti hanno dato il ruolo da solista prima di me?!» sbraita, mentre Lazuli torna seria e il suo sguardo riprende ad apparire impenetrabile. «Perché devi essere sempre tu a ricevere i complimenti della mamma?!»
«Perché mi sono esercitata duramente tutti i giorni. Fino ad averne la nausea di provare, fino a sentirmi i polmoni esplodere quando mi allenavo, fino a sentirmi raschiare la gola quando cantavo» ribatte la mia ragazza, senza lasciar trasparire nessuna emozione davanti alla sorella che continua a piangere a dirotto. «E comunque non ce l’avrei fatta senza le tue corde vocali e il tuo corpo. Come non sarebbero bastati i voti di stasera senza tutti quelli raccolti online prima del concerto. Ho letto i risultati e, con tutto il vantaggio che avevi già accumulato nella votazione sul sito, sono serviti a poco i voti del pubblico. Solo ad ampliare il divario sulle altre».
«Però… però c’eri tu sul palco e sei stata la migliore del gruppo! E io… io non sono mai stata la migliore! È proprio questo il punto! Riuscendo sempre anche nelle cose più difficili, tu sminuisci gli sforzi di chi non ce l’ha fatta!» ringhia Chichi, stringendo i pugni. «Odio a morte questo tuo essere così fantastica!» sbraita, facendo sussultare Lazuli, il cui sguardo cambia per un brevissimo istante.
Quell’istante che le serve a caricare un ceffone clamoroso che, tuttavia, si stampa sulla mia guancia, mentre Chichi, al mio fianco, chiude gli occhi per lo spavento e si zittisce.
«Ahia, cazzo!» sbotto, indietreggiando di due passi a causa della forza del colpo ricevuto, portandomi istintivamente una mano sulla guancia in fiamme. «Cosa c’entro io, Là?!»
«Scusa, stava parlando come una bambina viziata e ho perso le staffe» mi dice con nonchalance, facendo ruotare leggermente il polso della mano con cui mi ha colpito e tastandoselo con l’altra. «Forse ti ho colpito più forte del solito, o forse non sono abituata a dare ceffoni con questo corpo. Sta di fatto che un po’ mi sono fatta male anch’io» sbuffa, irritata.
«Perché non hai colpito lei, allora?!» sbotto, ancora dolorante.
«Domani ha un servizio fotografico per una rivista di moda come Lazuli Eighteen, non potevo rischiare di lasciarle un livido» ribatte, alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
«In effetti il ragionamento non fa una piega…» sbuffo, appoggiandomi con la schiena al muro, rassegnato.
«Anche questo…» sibila Chichi, stringendo di nuovo i pugni. «Sei così professionale da ricordarti queste cose anche nei momenti in cui perdi le staffe! Io non sarò mai alla tua altezza!» aggiunge, prima di crollare a terra, in ginocchio, e riprendere a piangere. «Non sarò… non sarò… mai… alla tua altezza…».
«Chichi-chan» la chiama Lazuli, inginocchiandosi anche lei sul pavimento a pochi centimetri da lei. Il suo tono mi sembra più dolce del solito. «Ti ricordi?» le dice, mostrandole la fotografia che aveva estratto dalla scatola poco fa e che non aveva mai mollato.
Sull’immagine scorgo due bambine sorridenti, una accanto all’altra. La più alta, bionda e dagli occhi di ghiaccio, vestita con una salopette di jeans e dei sandaletti, appoggia una mano sui capelli neri di quella più piccola, che indossa un vestitino giallo e degli stivali neri. La piccola sembra quasi imbarazzata in quello scatto, anche se si vede che è felice. La grande invece appare decisamente a suo agio e riconosco tra i suoi capelli dorati la stessa mollettina che ho visto poco fa nella scatola dei ricordi di Lazuli.
Già, Lazuli e Chichi a sette e cinque anni, fotografate nel giorno in cui girarono insieme quel cortometraggio per cui vennero scelte entrambe. Il loro primo e ultimo lavoro insieme.
«S-sì…» sussurra Chichi, tirando su leggermente col naso. «Ce l’ho… ce l’ho anch’io a casa la mia copia di questa foto…».
«Ti ricordi cosa mi hai detto quando ho scritto qui nell’angolo i nostri nomi, quel giorno?» le chiede Lazuli, indicando col dito il bordo della fotografia su cui c’è scritto con una calligrafia infantile “Lazuli e Chichi”, con accanto un piccolo cuoricino.
«Sì…» accenna un sorriso Chichi. «”Ma allora è così che si scrive il mio nome!”» sussurra, piangendo, ricordando le parole della sé stessa di cinque anni che non sapeva ancora leggere né scrivere.
«Già, e poi hai voluto disegnare questo cuore» riprende Lazuli, a cui sfuggono all’improvviso due lacrime che si perdono sulla superficie lucida della fotografia. «Non sei cambiata da allora, Chichi-chan. Ai miei occhi sei sempre la stessa».
«S-sorellona…» farfuglia Chichi, allungando timidamente una mano verso il volto di Lazuli e asciugandole quelle due uniche lacrime che le avevano rigato il volto. «Tu… tu sei la sorellona… non devi piangere…».
«È vero…» accenna un sorriso la mia ragazza, ricomponendosi e accarezzando delicatamente il volto della sorella fino a sistemarle dietro l’orecchio una ciocca di capelli biondi, prima di appoggiare sul pavimento la fotografia. «Ascoltami, Chichi-chan» riprende, in tono dolce e rassicurante, ma allo stesso tempo autorevole. «Hai visto anche tu che tua madre si è messa in fila per incontrarci dopo il concerto, vero?»
«Sì…» sospira lei, abbassando la testa
«Quando mi ha preso per mano, le sue stavano tremando» spiega, stringendo all’improvviso la mano di Chichi tra le sue, facendole rialzare lo sguardo, sbigottita per quel gesto. «Lei sbaglia il modo in cui si pone, ma scommetto che è sempre stata preoccupata per te».
«Preoccupata?!»
«Ti ha sempre vista fare di tutto per essere all’altezza delle sue aspettative. Non te lo diceva, ma sono certa che lo notava» risponde Lazuli, guardandola intensamente attraverso i suoi occhi neri. «A volte è davvero ossessiva, ma secondo me lei era anche in pensiero perché si stava chiedendo se ti piacesse sul serio questa vita».
«Io non lo sapevo… lei non mi ha mai detto nulla. È sempre… sempre fredda con me!»
«I genitori a volte fanno cose assurde e ci fanno incazzare, si sa…» intervengo io. «Di sicuro un genitore non direbbe mai al proprio figlio che è preoccupato per il modo in cui lo sta crescendo».
«Io… io volevo solo renderla felice, dato che è sempre arrabbiata!» grida Chichi, riprendendo a piangere. «Non faceva che parlare di te! Volevo che per una volta si complimentasse anche con me! Volevo che mi sorridesse almeno una volta!» aggiunge, sgranando i suoi occhi di ghiaccio colmi di dolore verso Lazuli, che la osserva senza battere ciglio, prima di protendersi all’improvviso verso di lei  e abbracciarla, stringendola forte a sé.
«Allora da adesso in poi ci sarò sempre io a complimentarmi con te e a sorriderti, quando farai bene il tuo lavoro. E ci saranno anche Rad e Goku-kun, saremo noi la tua famiglia quando ne avrai bisogno» le dice dolcemente, mentre Chichi sgrana gli occhi e resta come paralizzata con le braccia lungo i fianchi, sorpresa da quell’abbraccio che non si aspettava.
«Te l’avevo detto anch’io» sorrido a mia volta, intenerito da questa strana ma bellissima scena.
«Per quanto riguarda tua mamma, ti darò un consiglio da sorellona: rendila felice scegliendo tu stessa la strada che vuoi seguire, invece che fare quello che ti dice lei» prosegue Lazuli, stringendola più forte a sé. «Scegli tu come comportarti sul lavoro e come rapportarti con gli altri, che siano le Sweet Bullet o altre persone che incroceranno il tuo percorso professionale».
«O-ok…» sussurra Chichi, bagnando la spalla di Lazuli con le lacrime che riprendono a scorrere inesorabili sul suo volto.
«Io credo che tua madre sia tutt’altro che una brava madre» continua la mia ragazza, in tono calmo. «Ma penso che sia meglio della mia, che non ha mai avuto un cuore. Tu puoi recuperare ancora un rapporto con lei, alle tue condizioni. Non fare come me, io sono sola. Non ho mai avuto un padre, ormai non ho più nemmeno una madre. Ma tu sei diversa, puoi farcela!»
«O-ok… ok…» sussurra ancora Chichi, prima di stringere forte a sé Lazuli abbracciandola. «Mi dispiace… mi dispiace, sorellona!» urla, piangendo disperatamente. «I-io non volevo… non volevo dire certe cose…».
«Va tutto bene… va tutto bene…» la rassicura la mia ragazza, accarezzandole i suoi capelli biondi e accennando un sorriso. «Hai fatto bene a buttare fuori quello che avevi dentro. Ho sempre invidiato la tua capacità di provare emozioni e di saperle esprimere. Io col passare degli anni sono diventata così apatica da arrivare a rendermi invisibile. Se non fosse piombato quel cretino di Rad nella mia vita, ora nessuno si ricorderebbe di me» aggiunge, facendomi provare un dolce brivido caldo. «Non credere che io sia perfetta, perché io penso di avere molto da imparare da una persona come te e ti devo tanto se oggi posso dire di essere un’attrice. In questi giorni ho anche capito che diventerai una grande idol, devi solo esserne convinta. Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare, sorellina».
«Posso chiederti una cosa, sorellona?» domanda Chichi, con voce rotta.
«Dimmi».
«Non devo essere per forza come te, vero?»
«Puoi essere come me solo se lo vuoi veramente».
«No, non voglio. Voglio… voglio essere me stessa!»
«Brava, Chichi-chan!» sorride di nuovo Lazuli, prima di chiudere gli occhi e appoggiare la testa alla spalla della sorella, che ha appena fatto a sua volta la stessa cosa.
All’improvviso, dopo qualche secondo, le vedo sussultare entrambe in contemporanea e sgranare gli occhi. Sembrano essere state attraversate nello stesso istante da una leggere scossa elettrica.
Sorrido, e mi lascio scivolare verso il basso con la schiena appoggiata al muro, sfinito, finché non mi ritrovo seduto per terra.
È stata dura stavolta, ma ce l’abbiamo fatta. Siamo stati più forti di questa cazzo di Sindrome della Pubertà.
«Eh?!» esclama Lazuli, staccandosi da Chichi e asciugando con stizza le lacrime che bagnano quel volto che fino a poco fa era lo specchio delle emozioni di sua sorella minore.
«Ah?! Cosa?!» sbotta Chichi, allungando una mano tremante verso le sue guance, sfiorandosele, incredula. «Siamo tornate nei nostri corpi?!» aggiunge, accarezzando i capelli biondi di Lazuli.
«Sembra… sembra di sì…» risponde la mia ragazza, che accarezza a sua volta i capelli neri della sorella. Appare un po’ disorientata persino lei.
«Siamo tornate!» urla Chichi, al colmo della gioia, stringendo le mani di Lazuli. «Siamo tornate come prima, sorellona!»
La mia ragazza si limita a sorridere, prima di voltarsi verso di me e lanciarmi uno sguardo che vale più di mille parole, mentre Chichi la abbraccia e la stringe forte a sé.
«Molto bene, da adesso in poi, nessuno dei presenti in questa stanza dovrà più sentirsi solo, perché ci saremo sempre gli uni per gli altri, chiaro? E lo stesso vale per mio fratello» dico dolcemente, spostandomi verso Lazuli e Chichi e appoggiando una mano sulla testa di entrambe.
Loro si voltano in mia direzione e mi fissano per un istante, prima di abbracciarmi in contemporanea e farmi cadere all’indietro.
«Piano… piano, ragazze!» bofonchio, mezzo stritolato dalla loro morsa, mentre Chichi si stacca da me e mi guarda intensamente con i suoi occhi neri, lucidi per la commozione. Lazuli invece continua a stringermi forte, con la testa appoggiata al mio petto e gli occhi chiusi. La stringo forte a me, mi sembra di poterla proteggere, di poterla avvolgere. Lei è sempre stata qui con me, eppure mi era mancata. Mi erano mancati questi momenti.
«E-ehm… io… sarà meglio che vada a comprare qualcosa per asciugare il pavimento che abbiamo bagnato!» esclama Chichi, arrossendo leggermente, prima di uscire dalla stanza e poi di casa.
«Ehi… mi sei mancata, lo sai?» sussurro dolcemente a Lazuli, dandole un bacio sulla testa.
Lei non dice niente, si limita a sollevarsi e ad accennare un sorriso, prima di sistemarsi una ciocca dei suoi splendidi capelli biondi dietro l’orecchio e darmi un bacio che mi toglie letteralmente il fiato e mi fa sbattere la schiena contro il muro.
Mi era mancato baciarla, mi era mancato il suo sapore.
Non saprei dire per quanto andiamo avanti così, in silenzio. Ci siamo solo noi due, tutto il resto del mondo è fuori. So solo che a un certo punto mi alzo in piedi e la prendo in braccio come una principessa per portarla in camera sua. Per darci l’uno all’altra finché ne abbiamo, finché possiamo.
 
 
12 settembre
 
«Alla fine di tutto questo casino, ti sei fatta un’idea di cosa possa essere successo?» domando a Bulma, seduto davanti a lei nel laboratorio di scienze della scuola, dopo averle raccontato l’ultima folle avventura che ho vissuto grazie alla Sindrome della Pubertà.
«C’è da dire che non si è trattato di un vero scambio di personalità e corpi» risponde lei, mentre sorseggia una tazza di caffè e mi osserva con aria seria attraverso i suoi occhiali, col solito camice bianco aperto.
«Già, pare di no» confermo. «Era solo il loro aspetto esteriore, eh?»
«Mi sento di dire che la consapevolezza della sorella minore di voler essere come la maggiore deve averle fatto assumere l’aspetto di Lazuli Eighteen».
«Secondo quale teoria sarebbe possibile?»
«Considerando il principio di fondo, è lecito affermare che si sia trattato di una forma di teletrasporto quantistico» sospira Bulma, sistemandosi gli occhiali sul naso e tirando fuori dalla cartella un libretto colorato con disegnati sopra un gorilla nero e una gorilla rosa con un fiocchetto in testa. «Mi sono permessa di comprarti un libro adatto al tuo livello di conoscenza della fisica, Son-kun. Questo dovrebbe essere comprensibile persino per uno scimmione come te» mi spiega, ghignando.
«”Fisica per bambini”» leggo a voce alta il titolo. “Gioca e impara con Koko-kun e Chaki-chan, i gorilla scienziati più simpatici del mondo”» aggiungo, riportando il sottotitolo. «Molto divertente, davvero molto divertente…» borbotto. «Guarda che i gorilla sono tra gli animali più intelligenti, alcuni riescono a imparare persino il linguaggio dei segni!»
«Son-kun…».
«Uhm?»
«Tu lo sai il linguaggio dei segni?»
«No, perché?»
«Allora vedi che i gorilla sono più intelligenti di te? Leggi quel libro con attenzione, ti insegneranno molte cose».
«Regalalo anche a Prince questo libro, non mi sembra esattamente un genio!» la provoco, facendola arrossire leggermente.
«Comunque, stavo dicendo…» si schiarisce improvvisamente la voce Bulma, distogliendo lo sguardo dal mio e cercando di cambiare discorso.
«Diventi sempre timida quando si parla di Prince anche se siete una coppietta affiatata, eh?» la provoco di nuovo, interrompendola e sorridendo sghembo.
«Dicevo che la sorella minore ha fatto sua la struttura di informazioni del corpo di Lazuli-san, l’ha osservata e ha acquisito le sue sembianze» ringhia in tutta risposta, paonazza, guardandomi male.
«E perché Là ha assunto le sembianze di Chichi?»
«È possibile che una parte non indifferente dell’inconscio di Lazuli-san fosse gelosa di qualche aspetto della vita della sorella, oppure che si sentisse in colpa perché si rendeva conto di essere la causa del dolore di Chichi-chan» ipotizza Bulma, non in grado di dare una risposta certa a questo quesito. «Oppure, non potevano semplicemente esistere nello stesso momento due persone differenti con lo stesso aspetto di Lazuli Eighteen».
 
 
27 settembre
 
«È aperto! Entra pure, Rad!» esclama Lazuli dall’interno di casa sua, dopo che ho suonato il campanello. Ho appena finito il turno di lavoro pomeridiano al “Kame House” e ho pensato di venire a salutarla qui, senza aspettare di vederla direttamente dopo per cena a casa mia.
«Mia splendida regina, avevo giusto voglia di…» esordisco, entrando in casa, salvo interrompermi davanti ad una pila di scatoloni di cartone che mi ritrovo davanti e a due occhi neri che mi scrutano con aria sospettosa. «Eh?! Cosa ci fai qui, Chì?!» esclamo, guardando la sorella minore di Lazuli spostare una scatolone. Indossa un vestitino blu di jeans e ha i capelli legati nella sua solita coda.
«Di cosa avevi voglia, eh?!» sbotta lei, fulminandomi con lo sguardo. «Sei un maiale senza speranza, non so come possa la sorellona stare con un maniaco come te!»
«Ma… perché gli scatoloni?!» le domando, allibito.
«Perché ho deciso di trasferirmi qui, non è ovvio?!»
«Eh?! Mica avevi fatto pace con tua madre?!» esclamo, perplesso, dicendo addio al mio nido d’amore con Lazuli rappresentato dalla tranquillità di questa casa.
«Siamo andate d’accordo due settimane, più o meno» mi spiega, allargando le braccia dopo aver riposto lo scatolone. «Ma hai visto anche tu com’è fatta, non sopportavo più di essere comandata a bacchetta…».
«E a te sta bene così, Là?!» chiedo allibito alla mia ragazza, appena spuntata fuori da dietro la montagna di scatoloni accatastati all’ingresso. È impeccabile anche mentre sta aiutando sua sorella a sistemare le cose del trasloco, con una semplice maglietta rosa aderente e una minigonna di jeans.
«Scusa, mi sta chiamando la mia agenzia…» sbuffa Lazuli in tutta risposta, prendendo in mano il suo telefono dalla cover fucsia a forma di testa di coniglio e lasciandomi di nuovo solo con Chichi.
«Quando ne ho parlato con lei, mi ha suggerito di trasferirmi qui per un po’» mi sorride Chichi, parlando improvvisamente con un tono più dolce. «Non ho intenzione di rompere i rapporti con mia madre, ma voglio solo che impari a stare al suo posto. Lei sa che sono qui e che sono felice con mia sorella, adesso che l’ho affrontata mi sento meglio anch’io» aggiunge, prima di abbassare la testa e giocherellare nervosamente con le mani. «E poi… e poi, ecco… non so se te l’ho detto prima, ma ci tenevo a ringraziarti…».
«Non devi ringraziarmi, siamo una famiglia ormai, no?» le faccio l’occhiolino.
«È stata la sorellona a dirmi che dovevo ringraziarti, anche se lo sapevo già da sola che ti avevo creato un sacco di problemi…» sbuffa, irritata. «Io… io ti ho detto delle cose brutte, ma tu mi hai aiutata e mi sei sempre stato vicino!»
«Non preoccuparti, volevo solo riprendermi il prima possibile la mia vita sdolcinata con Là!» le sorrido sghembo sollevando ritmicamente le sopracciglia, ricevendo in cambio uno scappellotto sulla nuca e una risata sincera.
«Sai, Rad, credo di essermi fatta una vaga idea sul perché la sorellona abbia scelto te!» esclama, sorridendo sincera e abbracciandomi forte. «Come sta Goku-kun?»
«Sta bene, ma starà meglio quando dopo ti vedrà a cena a casa nostra» le sorrido. «Mi ha parlato tanto di te in questi giorni, guarda sempre i tuoi video in tv».
«D-davvero?! E… e cosa dice?!» risponde Chichi a disagio, senza staccarsi da me.
«Dice che sei la sua Sweet Bullet preferita e che è felice di averti conosciuto. In più vorrebbe riuscire ad uscire di casa, un giorno, anche per poter vedere un tuo live».
«Chichi-chan…» sibila Lazuli, appena tornata all’ingresso di casa.
«Ah! S-scusa, sorellona!» arrossisce Chichi, staccandosi da me e raccogliendo uno scatolone a caso, facendomi scoppiare a ridere. «L’ho ringraziato come mi avevi detto di fare tu!»
«Non mi sembra di averti detto di abbracciarlo, ma per questa volta farò finta di niente» ribatte lapidaria. «E tu, visto che hai così tante energie per ridere, vedi di sistemare tutti questi scatoloni prima di cena, se non vuoi che ti lasci a digiuno!» aggiunge, lanciandomi un’occhiataccia.
«Sì, mia regina…» sospiro, raccogliendo due scatoloni uno sopra l’altro e passandole davanti.
«Aspetta un attimo…» ordina in tono severo, fissandomi con occhi che non lasciano trasparire nessuna emozione.
«Cos…» provo a chiederle, venendo però interrotto da un improvviso bacio che mi mozza letteralmente il fiato e mi travolge, rischiando di farmi cadere di mano i due pesanti scatoloni che sorreggo a fatica.
«Bene, ora puoi andare» mi liquida Lazuli con nonchalance dopo alcuni lunghi e indimenticabili secondi di fuoco. Si sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio e raccoglie uno scatolone anche lei, con indifferenza, mentre resto inebetito ad ammirarla. «Muoviti, se non vuoi restare senza cena!» mi sgrida, accennando però un sorriso.
 
 
 
 
 
 
 
Note: un capitolo molto lungo, ma era necessario a questo punto che le due sorelle si chiarissero una volta per tutte. Spero vi siano piaciute le parole all’inizio di Rad, la fragilità, la rabbia e la purezza di Chichi, la sincerità di Là nell’aprirsi e la dolcezza dei ricordi delle due sorelle da bambine.
È stato bello realizzare questo capitolo, ho adorato scrivere il dialogo tra Là e Chì e per questo mi ritengo fortunato a poter condividere con voi i disegni che mi aveva preparato Sapphir Dream, che ringrazio di nuovo. Mi impressiona ogni volta che guardo l’immagine l’espressività che è riuscita a dare all’abbraccio tra Chichi (ancora nel corpo di Lazuli) e Là, pochi istanti prima del nuovo body change che sistema le cose. La ringrazio anche per la domanda pronunciata da Chichi bambina (Ma allora è così che si scrive il mio nome?) che mi ha suggerito quando mi ha inviato il disegno di loro da bambine, con tanto di due lacrime versate da Là sulla fotografia.
Penso che era importante precisare che Chichi era già in testa alle votazioni raccolte online prima del concerto per diventare la solista del gruppo, un dettaglio volutamente omesso nel capitolo precedente. Spero vi sia piaciuta anche Lazuli, che finalmente mette da parte l’orgoglio e si comporta da sorella maggiore e che non ritiene di essere così perfetta come la vedeva sua sorella. Soprattutto, le fa capire di non aver avuto una vita perfetta e che dietro le luci della ribalta a volte il buio è ancora più fitto di quanto immaginiamo. E che quando finiscono gli applausi, il silenzio sa essere davvero assordante se sei sola o ti senti sola.
Abbiamo anche visto il famoso contenuto della scatola segreta di Là: niente test di gravidanza o scettri da Sailor Moon, ma foto, disegni, lettere e una mollettina simile a quella che usa tuttora. In ogni caso, grazie per le vostre teorie, davvero! ;-)
 
Ringrazio come sempre tutti voi che mi lasciate sempre il vostro parere, siete davvero importanti per me! Grazie a chi legge sempre i capitoli di questa storia e a chi la continua a inserire nelle liste. Se anche voi volete dirmi cosa ne avete pensato di questo arc dedicato a Chichi non potrò che esserne onorato.
 
Allora, siete contenti che alla fine Chichi si trasferisce a casa di Là? Continuerà ad essere un personaggio ricorrente, vedremo che effetti avrà sulla trama e se lei e Lazuli potranno mai lavorare insieme come da piccole. Vi piacerebbe?
Nel prossimo capitolo si volta pagina, rivedremo in scena, oltre a Chichi, anche Lunch (che parlerà con Là) e Husky. Soprattutto, Rad conoscerà Piiza-san, la manager di Lazuli che aveva suggerito ai due di non farsi vedere troppo in giro come fidanzati. Dite che bolle in pentola qualcosa se entra in scena lei? Dite che qualche paparazzo esiste anche in Giappone?
Il titolo del prossimo capitolo è “C18”… cosa vorrà mai dire in una storia come questa?!
Ah già, ci sarà anche un gran bel colpo di scena finale, vi aspetto mercoledì!
 
Teo
 
 
 
 

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