Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Milla Chan    09/10/2019    1 recensioni
Brevi elucubrazioni mentali su una coinquilina spagnola.
"Almudena non irradiava la stanza di gioia come Julia, o di frizzante innocenza e ispirazione come Alodia, ma possedeva ed esercitava una sorta di potere monarchico. Non solo sulle sue connazionali, ma, a quanto pare, anche su di lei."
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Almudena è una ragazza longilinea e taciturna. Era, è, non vuole sprecare neuroni nel scegliere il tempo giusto in realtà, perché non sa dove sia o cosa stia facendo ora e francamente non le interessa 

Almudena non irradiava la stanza di gioia come Julia, o di frizzante innocenza e ispirazione come Alodia, ma possedeva ed esercitava una sorta di potere monarchico. Non solo sulle sue connazionali, ma, a quanto pare, anche su di lei. 

Non sa dove collocarla, mentalmente. In quale cassetto, in quale scompartimento. Non sa assolutamente nulla di lei: cosa studiava, il suo cognome, perché cazzo era venuta a fare un Erasmus in Belgio se non sapeva parlare altro che quello spagnolo che coi mesi era è diventato così familiare e snervante, al limite dell’insopportabile. 
Non crede sia una circostanza rara, che qualcosa sia familiare e contemporaneamente insopportabile. Non è sintomo di una situazione del tutto sana a livello psicologico-ambientale, forse, ma ad ogni modo nel suo caso era incredibilmente ricorrente: lo spagnolo che si arrovella nell’aria oltre la porta, il persistente, leggero e pungente sentore di vomito nell’entrata della residenza, la risata di Paula quando non era con lei.  

Non sa perché, a così tanto tempo di distanza, si ritrovi a pensare così spesso ad Almudena. La fa incazzare, questa fissazione infondata. Non la conosce. Non hanno legato. Non hanno riso insieme, neanche una volta. La fa incazzare perché non ha mai avuto una conversazione con lei, eppure si ricorda così bene di così tante, tantissime cose inutili. 
Non dovrebbe essere una persona così importante per i lobi del suo cervello, che invece la associano al caffè dopo pranzo –pranzo spagnolo, pranzo alle quattro del pomeriggio- e agli spaghetti lanciati contro il muro per controllare che fossero cotti. Una tecnica barbara, ma così dolorosamente coerente col suo personaggio. 
Caffè, spaghetti scotti, e quei pantaloncini del pigiama a pattern etnici, sulla stessa linea delle mutande, che lasciavano chiaramente vedere la pelle caramellata delle sue gambe sottili e...
I suoi pensieri si perdono alla deriva come un naufrago.
 

Le ragazze gravitavano attorno ad Almudena come satelliti, la cucina infestata da Martha e Francesca e dall’odore di fumo, i corridoi pregni di grida ubriache. Non sue, non di Almudena, mai sue, ma erano lì per lei. 

Forse sembrava taciturna solo perché non sapeva l’inglese. Aveva l’aria di una che non ascolta finché non vuole, ma che in qualche modo sa come divertirsi ovunque si sarebbe trovata. Divertirsi, divertire se stessa, in maniera rigorosamente personale, egoistica forse, egocentrica nel peggiore dei casi, ma senza nulla di sadico. 
Il nodo che viene al pettine è indistricabile: non saprà mai se ha ragione. Non saprà mai che tipo di persona è davvero Almudena. Non capirà mai se il suo atteggiamento era sintomo di forti opinioni o accidia emotiva. 

-What’s the song called?- aveva chiesto un pomeriggio, entrando in cucina con la borsa della spesa sulla spalla, le parole fuoriuscite in un impeto di coraggio suscitato probabilmente dal suo stato accaldato. Il sole fuori era insolitamente caldo, il suo giubbotto sporco di salsa andalusa obsoletamente pesante. 
Almudena l’aveva guardata, rilassata su una sedia, un piede sul tavolo, una sigaretta tra le mani. I capelli spettinati, neri e lisci ai lati della faccia la facevano sembrare ancora più snella di quanto non fosse. 
Sotto le sopracciglia importanti, i suoi occhi scuri e socchiusi si erano impercettibilmente aperti, forse in sorpresa o più probabilmente perché non aveva capito che cazzo gli era stato chiesto. 
Un telefono appoggiato sul tavolo borbottava una canzone pigra, strascicata, lo strimpellio di una chitarra che ben si accordava col sole tiepido e l’atmosfera indolente. 
Francesca, dall’altro lato del tavolo, stava in silenzio anche dopo aver espirato il fumo della sua sigaretta. L’allarme antincendio tanto non funzionava. 

-Como se llama?- aveva ripetuto, con ancora più coraggio, indicando il telefono. Non l’ha mai studiato, lo spagnolo. Eppure eccolo lì, sulla sua lingua come un dialetto poco praticato. A riprova del detto: era diventato familiare (e snervante). 
Da Almudena non si aspettava una reazione esplosiva, scintille o sorrisi o quant’altro. Nulla del genere da parte sua, infatti, se non una piccola alzata di sopracciglia per l’inaspettato arrivo della sua lingua madre da parte di qualcuno di talmente estraneo. 

-La canción?- 
-Sì.- 
-Buenos genes.- 

Non aveva idea di come si scrivesse, ma aveva comunque annuito e sorriso con un gracias per poi lasciare la cucina. 
Non sapeva come prenderla, quella leggera tachicardia. Da un lato si sentiva orgogliosa di aver intrattenuto con lei uno scambio di parole (chiamarlo conversazione era davvero troppo), ma allo stesso tempo... Qualcosa pizzicava fastidiosamente sotto la sua pelle. Un leggero fastidio, un formicolio. Come se sentisse che per Almudena non era stato niente di speciale, il fatto che avesse parlato spagnolo per lei. Come se fosse qualcosa di scontato, di ovvio. Di dovuto. 

Che sorta di forza invisibile poteva possedere questa ragazza, in grado di portare gli altri ad abbassarsi, inchinarsi per lei anche nelle più piccole cose, anche nei modi più trascurabili e apparentemente insignificanti? La forza del menefreghismo, aveva pensato. 

Ad Almudena non interessava. Non le interessava avere una qualche sorta di potere, psicologico o no, e questa atarassia da sola bastava a dargliene. Non le interessava piacere a chi le stava intorno. Non le interessava che la cucina fosse pulita o no. Non le interessava conoscere le vite degli altri. Non aveva nulla contro nessuno. 
Sembra supponente, ma glielo si leggeva addosso, anche solo nel modo in cui spostava la caffettiera sul fornello. E cazzo se ha passato dei bei mesi in quella comune che odorava costantemente di amido a furia di scolare pasta. 

Alla fine, la canzone l’ha trovata. Non le piace neanche poi così tanto, quasi la intimidisce. 
Ma ora è obbligata a pensare alla figura di Almudena ogni volta che Spotify decide che è il momento di ascoltare Buenos genes 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Milla Chan