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Autore: Saigo il SenzaVolto    10/10/2019    4 recensioni
AU, CROSSOVER.
Sequel de 'Il Pianto del Cuore' e de 'La Battaglia di Eldia'
Il Villaggio della Foglia ha una lunga serie di precedenti nella formazione di alcuni dei più pericolosi e famigerati Ninja Traditori che abbiano mai messo piede sulla Terra: Orochimaru, Kabuto, Obito, Itachi, Sasuke... era solo questione di tempo quindi prima che ne producessero un altro. Ma nessuno, specialmente Naruto, si era aspettato che il prossimo Nukenin sarebbe stato Boruto Uzumaki, il prodigio di Konoha. Questa è la conclusione della sua storia, e di tutto ciò che ha generato. Una nuova Guerra sembra aleggiare inevitabilmente all'orizzonte. La Quinta Guerra Mondiale.
Una Guerra per porre fine a tutte le Guerre.
Uno scontro tra Bene e Male. Tra Luce e Oscurità. Tra Shinobi e Guerrieri. Tra Famiglia e Famiglia.
Riuscirà Naruto a rimettere insieme la sua famiglia spezzata? Oppure la sua storia terminerà così, schiacciata sotto la morsa crudele ed implacabile del Destino?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boruto Uzumaki, Himawari Uzumaki, Naruto Uzumaki, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto, Sasuke/Sakura
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
Capitoli:
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MASCHERA E DOVERE





16 Settembre, 0021 AIT
Terra del Ghiaccio
Base Operativa Segreta della Rivoluzione
23:15

Boruto sospirò, spogliandosi delle sue vesti dell’Organizzazione. Doveva ammetterlo: era stanco. Si era completamente dimenticato quanto fosse difficile e stressante gestire ed organizzare il più grande movimento terroristico del pianeta. Questi due anni di assenza si facevano sentire. Era come se si fosse preso una lunga vacanza involontaria – vacanza per modo di dire, visto che ritrovarsi in un mondo sconosciuto e pieno di pericoli, combattere contro un drago sputafuoco, sacrificarsi per il bene di persone che aveva evitato per tutta la sua vita, e finire nel bel mezzo di una stupida lite cosmica tra due sorelle pazze era stato tutt’altro che rilassante – ma non poteva negare che stare lontano dalla strategia e dalle questioni organizzative lo aveva reso più fiacco di prima.

E questo non andava bene. Boruto doveva essere previdente, doveva essere sagace. Doveva essere perfetto. Era il minimo, l’obiettivo che doveva necessariamente raggiungere se voleva avere una chance per riuscire a sconfiggere ancora una volta i suoi nemici. Nemici che, a differenza di come li aveva lasciati l’ultima volta, adesso erano in notevole vantaggio rispetto a lui.

Nemici potenti come l’Hokage, Sasuke Uchiha, e tutte le Nazioni alleate.

Il giovane guerriero sentì la propria determinazione ardere come un fuoco dentro di lui. Posando la sua cappa oscura sopra un letto, tirò fuori da un sigillo di contenimento posto sul suo braccio un’altra serie di vestiti, indossandoli rapidamente. Erano essenzialmente simili: un lungo mantello grigio al posto della sua solita cappa nera ed un cappuccio brunastro. Una casacca da viaggiatore comune, tipicamente indossata dagli abitanti della Terra del Vento per attraversare il deserto. Era calda, ma allo stesso tempo abbastanza leggera da non farlo sudare. Ed era stato il suo nuovo travestimento per diverso tempo ormai.

Dopotutto, il posto che stava visitando assiduamente non gli permetteva di indossare gli abiti dell’Organizzazione.

Le sue mani si mossero per formulare una serie di Sigilli. Ratto, Drago, Bue, Cane, Drago. Con un sibilo quasi impercettibile dell’aria, uno strano Marchio nero apparve sul suo petto, nascosto dai suoi abiti spessi. Era un Sigillo del clan Hyuuga, uno di quello basilari. Serviva ad impedire che la sua faccia potesse essere vista da sotto al cappuccio. Boruto aveva iniziato ad essere piuttosto familiare con quel Marchio sul suo corpo da quando aveva preso l’identità di Saigo il SenzaVolto. Dopotutto, era un’abilità che gli permetteva di mostrarsi indisturbato tra la gente, e nessuno avrebbe potuto scorgere la sua faccia grazie ad esso. Nemmeno il Byakugan o lo Sharingan. Dopotutto, quel Sigillo veniva comunemente usato nel distretto del clan Hyuuga per questioni di privacy. Era difficile poter andare in bagno con la consapevolezza che ogni singola persona lì dentro poteva vedere oltre i muri e le pareti. Il Sigillo era stato creato proprio per questo.

Saigo sospirò di nuovo, preparandosi per il suo ennesimo viaggio. La destinazione che aveva in mente era un luogo lontano – la Terra del Gelo era distante da quasi tutte le Nazioni principali – ma grazie alla nuova abilità del suo Jougan, era diventato capace di percorrere distanze infinite in un batter d’occhio. Gli bastava evocare un vortice oscuro ed attraversarlo per giungere a destinazione in pochi secondi.

Quanto sarebbe stata utile un’abilità simile quando era più giovane.

Doveva ‘ringraziare’ Hikari per questa sua nuova scoperta. Boruto represse un brivido al pensiero di quella donna e di sua sorella. Cavolo, il solo ricordo di ciò che aveva visto durante quell’esperienza gli faceva accapponare la pelle ancora adesso. Non aveva mai visto una tale quantità di energia nel corpo di una singola persona. Era mostruoso. Impensabile. Sbagliato. Se c’era un’entità che potesse andare vicino alla definizione di Dio… allora Hikari e Yami erano delle candidate perfette.

Eppure, ciò che quella donna ossessionata dalla Luce gli aveva fatto… lo aveva cambiato. Boruto lo sapeva, se lo sentiva dentro. Non riusciva ad ignorarlo. Gli aveva cambiato qualcosa dentro, dopo che l’aveva salvato dalla morte. Non sapeva come avesse fatto, né tantomeno cosa gli avesse fatto… ma lo aveva cambiato profondamente.

Dopotutto, la sua stessa segnatura di chakra e oscurità era cambiata rispetto al passato.

Boruto l’aveva notato subito, grazie al suo Jougan. Ma anche senza di esso, lo avrebbe scoperto ugualmente. Nessun Ninja che si rispetti sarebbe stato incapace di notare un’alterazione nel suo circuito di energia vitale. E Boruto era un maestro nel controllo del chakra, per questo ne era così sicuro. La sua energia non era più la stessa. Era rimasta invariata nella quantità, ma la sua qualità era molto diversa. Era ancora fredda, agitata, e scattante come in passato; ma allo stesso tempo… non lo era. Era più calda, più pacata, più sommessa. Era difficile comprenderlo e descriverlo. Era solamente… diversa.

Forse era proprio per questo motivo che il Settimo Hokage non sembrava essere più in grado di percepirlo sulla Terra, dedusse. Boruto non era stupido. Sapeva che aveva corso un rischio enorme visitando il Villaggio della Foglia nelle settimane precedenti, ma era stata la prova di cui aveva bisogno. Adesso ne era certo. Suo padre non era più in grado di percepire la sua negatività. Il motivo? Semplicemente perché essa era cambiata. Non era più la stessa di prima. Per questo Naruto non lo aveva assaltato nell’istante in cui aveva rimesso piede sul pianeta. Per questo Annie-sensei, Kaya, e tutti gli altri che lo conoscevano non erano stati in grado di riconoscerlo. Perché la sua stessa composizione era cambiata rispetto al passato.

E questo gli forniva un vantaggio importante.

Per il piano che aveva in mente, lui doveva restare in incognito il più a lungo possibile. Boruto Uzumaki era morto. E se lui voleva riuscire ad attuare ciò che aveva progettato, doveva continuare a restare morto. La sua nuova identità come Saigo gli avrebbe fornito l’occasione perfetta per non destare sospetti e poter contemporaneamente agire indisturbato. E per questo, doveva essere prudente. Non poteva essere incauto. Doveva prevedere, doveva proteggersi. Doveva essere perfetto. Solo così avrebbe potuto risollevare la situazione. Solo così avrebbe potuto recuperare ciò che aveva perso. E solo così avrebbe potuto… salvare i suoi amici dalla forca.

Il suo volto nascosto dal cappuccio si fece solenne e determinato. “Si va in scena.”

“Dove stai andando?”

Saigo trasalì, voltandosi di scatto verso la porta della stanza con un sussulto di sorpresa. Annie Leonhardt lo stava fissando con un’espressione accigliata, le sue braccia incrociate davanti al petto, visibilmente irritata. Sembrava un gatto in procinto di balzare addosso ad un topo fastidioso.

“A-Annie-chan,” esclamò lui con voce acuta, grattandosi nervosamente il collo e ridacchiando come un’idiota. “A cosa devo il piacere?”

La donna lo fissò con freddezza, osservando i suoi abiti. “Stai per andartene di nuovo, non è vero?” lo incalzò nuovamente lei, senza muoversi di un millimetro. Non ci aveva messo molto a dedurre quello che aveva in mente.

L’uomo incappucciato esitò, irrigidendosi come una statua. Alzò pateticamente un braccio per protestare. Poi però si arrese, abbassando le spalle e sospirando. “Sì,” rispose semplicemente.

La maestra si massaggiò le tempie in un moto di esasperazione. “Si può sapere perché passi tutto il tempo a viaggiare?” domandò, la sua frustrazione evidente. “Ti abbiamo affidato il comando della Rivoluzione, ti abbiamo dato la nostra fiducia… e tu ti rifiuti di stare con noi. Con le persone che dovrebbero essere tue alleate. Passi tutto il tempo in giro per il mondo, infiltrandoti in territorio nemico senza un apparente motivo, e mettendo a rischio la tua incolumità. Che cosa diavolo ti passa per la testa? Hai idea del casino che si genererebbe se finissi scoperto?”

“S-Suvvia, Annie-chan,” tentò di calmarla lui, palesemente nervoso. “Non si arrabbi. Quello-Quello che faccio… è necessario per la nostra causa!”

“Spiegami.”

Saigo ammiccò. “Eh?”

“Spiegami come sia necessario per la nostra causa il fatto che tu ti esponga in territorio ostile, interagendo con persone che dovrebbero essere tuoi nemici, e mettendo te stesso e il nostro obiettivo in pericolo,” domandò gelidamente lei, la sua voce ed il suo sguardo privi di emozione. “Sei il nuovo leader. La tua sicurezza dovrebbe essere una priorità assoluta in questo momento di crisi per la Rivoluzione.”

“S-Sono capacissimo di difendermi da solo!” tentò di giustificarsi lui. “E-E poi, osservare i nemici da vicino è un vantaggio che non possiamo permetterci di evitare.”

“Non lo metto in dubbio. Ma se ti succedesse qualcosa, tutti noi ne risentiremmo pesantemente,” ribatté prontamente Annie. Poi sospirò, cercando di calmare la sua frustrazione. Si portò a davanti a lui con passo lento, il suo volto indecifrabile. “Dimmi la verità, Saigo. Perché ti rifiuti di restare qui assieme a noi? Perché… Perché ci stai evitando in questo modo?”

Sotto al suo mantello, l’uomo misterioso serrò i pugni con forza.

Voleva dirglielo. Voleva dirglielo talmente tanto che le sue guance gli dolevano letteralmente per lo sforzo di restare ferme. Ma non poteva. Non doveva. Non poteva rivelarle la verità. Non poteva dirle come stavano le cose. Non ancora. Non poteva esporsi, mettendo a rischio quello che stava facendo, il suo piano, il suo obiettivo. Lo stava facendo anche per lei, in fondo. Per lei, per la sua famiglia in prigione, e per tutti gli altri che lo seguivano. Doveva essere forte. Doveva stringere i denti e sopportare.

Non poteva dirle che il motivo per cui li stava evitando… era perché la loro mancanza era troppo dolorosa per lui.

Non poteva rivelarle che il motivo per cui stava lontano da loro era perché ogni secondo, ogni singolo e sacrosanto secondo, una parte di lui gli moriva dentro mentre era costretto ad interagire con loro fingendo di essere uno sconosciuto. Che era dolorosamente straziante per il suo cuore parlare con loro, scherzare con loro, discutere con loro, mentre le circostanze lo forzavano ad indossare una maschera. A nascondere il suo volto, la sua identità. Era come… come una tortura. Era come essere di nuovo con loro, senza realmente esserci.

Non poteva dirglielo.

“Non vi sto evitando,” disse alla fine. La sua voce era diventata bassa, priva di emozione, e carica di una solennità e un’autorità che persino la fredda e sprezzante Annie percepì con timore, facendola indietreggiare inconsciamente da lui. “Ciò che faccio… è per la nostra causa. Si limiti ad accettarlo.”

Detto ciò, senza aggiungere altro, l’uomo incappucciato iniziò ad incamminarsi fuori dalla stanza, superando la sua figura e preparandosi a partire.

La donna abbassò lo sguardo a terra, serrando i pugni con impotenza.

“Posso almeno sapere dove sei diretto questa volta?” domandò a denti stretti.

Saigo il SenzaVolto non si fermò mentre rispose.

“La Terra dei Fiumi.”
 


17 Settembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi, Villaggio di Questo
Fortezza
10:43

Deku posò sopra il cumulo davanti a lui l’ennesima trave di legno che solamente quella mattina aveva dovuto spostare per due ore intere, asciugandosi il sudore dalla fronte con una mano. Aveva avuto modo di imparare diverse cose sulla geografia di questo mondo sin da quando era giunto nella Terra dei Fiumi. Apparentemente, il Villaggio in cui lui e i suoi due amici si trovavano adesso sarebbe stata la sede in cui avrebbe avuto luogo il Summit mondiale più importante di tutti. Il Villaggio di Questo – secondo quanto gli avevano raccontato gli altri operai – era tutto ciò che rimaneva di un antico Paese che un tempo si diceva avesse confinato con la Terra dei Fiumi, e che era stato inglobato da essa dopo una lunga e sanguinosa battaglia. Un tempo questa Nazione si chiamava Paese di Questo, ed era confinante con un altro Paese ormai scomparso a sua volta: il Paese di Quello.

Per quanto confusionario suonasse, Deku era riuscito a capire le nozioni principali. Apparentemente, quelle due Nazioni erano state sempre in guerra per decenni, ma nel corso degli anni avevano fatto pace e si erano unite assieme, integrandosi con la Terra dei Fiumi e divenendo una Nazione unica. Il Villaggio di Questo era l’unica testimonianza rimasta di questa storia antica, e per questo era diventato negli ultimi tempi una delle attrazioni turistiche più importanti del pianeta. Inoltre, vista la sua posizione priva di scopo e la sua attuale neutralità, era stato scelto come il luogo ideale per tenere l’evento mondiale che stava per avere luogo a fine mese, e per ospitare la riunione ufficiale di tutte le cariche più importanti del mondo.

Il Villaggio era… antico. Lo si riusciva a comprendere anche con una sola occhiata. Era strutturato come una fortezza dei secoli passati, e si stagliava come un monumento di tempi ormai superati da tempo. Lunghe cinta di mura grigie circondavano tutta la sua estensione, e al suo interno la cittadina era divisa letteralmente in due. Nella zona periferica sorgeva il villaggio comune, fatto da case di mattoni e pietra; mentre al centro sorgeva una specie di bastione fortificato, che un tempo era la sede dell’autorità del Villaggio. Era una specie di castello di marmo nero, con un gigantesco cortile aperto e innumerevoli torri a punta che si stagliavano nel cielo. E proprio in quel punto, nell’immenso cortile aperto dinanzi all’ingresso del bastione, si sarebbe svolto il Summit Mondiale che tutto il mondo stava attendendo con ansia.

Ed era sempre lì che Deku si trovava adesso, sudato e stanco dopo ore e ore di lavoro ininterrotto. E sebbene fosse stato più che mai deciso a venire qui di sua spontanea volontà, il piccolo ragazzino stava iniziando a comprendere la dura realtà del mestiere che facevano gli operai. Il signor Saigo era stato di parola. Grazie a lui, Deku e Trunks erano stato assoldati per aiutare gli operai nella costruzione del palco del Summit, ed erano riusciti a trovare un passaggio gratuito per la Terra dei Fiumi. Questo aveva permesso loro di seguire gli spostamenti di Uraraka e del Signore Feudale da cui aveva accettato il lavoro. Ma per quanto questo fosse positivo, le ore in cui erano costretti a lavorare si rivelavano decisamente sfiancanti per i due bambini.

“Ehi! Smettila di battere la fiacca!” la voce irritata di Trunks lo riportò al presente. Deku gli scoccò un’occhiata esausta. Era sudato e spossato quanto lui, ma stava sorridendo con sarcasmo. Uraraka lo seguiva a ruota, le mani dietro la schiena e la sua faccia contorta in un ghigno malizioso. Lei non lavorava come operaio come loro due – dato che era una bambina – ma avrebbe iniziato a fare la cameriera solamente una volta iniziato l’evento.

“Non sto battendo la fiacca. Ho finito il mio turno, e adesso stavo riprendendo fiato,” si difese il ragazzino, sospirando. Appena gli altri due lo raggiunsero, i suoi occhi si spostarono per la prima volta ad osservare con meraviglia l’opera in costruzione a cui gli operai stavano lavorando da più di due settimane ormai.

Il cortile del castello stava cominciando ad assumere l’aspetto che immaginavano fosse il risultato finale. Un gigantesco palco di legno di castagno stava venendo costruito dinanzi all’ingresso della fortezza, dando le spalle ad un grande palazzo di pietra che – a quanto avevano capito – era stata la residenza privata dei Signori Feudali di un tempo. Era un palco grande almeno trenta metri, sollevato rispetto al livello del terreno, e coperto da una specie di portico di legno chiaro su cui stavano montando le luci per l’illuminazione. Lo spettacolo del Summit si sarebbe svolto di sera, dopotutto.

Davanti al palco, invece, un’infinita serie di panche di legno, sedie colorate, e seggi simili a troni stavano venendo allestiti e posizionati con cura, formando file ordinate e simmetriche. Attorno al palco, anche il resto del cortile era stato coperto da un immenso bancale di legno di forma semicircolare, pieno di posti a sedere. La struttura aveva la forma di un anfiteatro, al cui centro si stagliava l’immenso palco di prima. Deku suppose che i bancali più esterni dovevano essere i posti a sedere per coloro che avrebbero assistito all’evento. Anche se, ovviamente, ogni posto era diverso dall’altro. Solo le persone più importanti si sarebbero sedute ai posti in prima fila, quelli esattamente davanti al palco. I Kage, i Consiglieri, i Daimyo, e forse qualche Shinobi più importante rispetto agli altri. I posti esterni erano invece per la gente comune e i visitatori. I tre giovani si sarebbero seduti lì a loro volta. Avevano avuto il diritto a dei posti riservati, visto che erano operai.

Deku, Trunks e Uraraka osservarono l’immenso anfiteatro in costruzione con degli sguardi stupiti. Era quasi tutto pronto, e mancava davvero poco alla fine dei lavori. Un paio di giorni al massimo, e tutto sarebbe stato in ordine e pronto per ospitare l’evento più importante che il loro mondo avesse mai visto.

“Wow,” esalò Uraraka. “Pare che useranno davvero questo cortile per fare la dichiarazione di guerra. Sembra un teatro.”

Accanto a lei, Trunks annuì con un’espressione seria. “A questa cosiddetta festa si riuniranno le figure più autorevoli di ogni Nazione. Hanno intenzione di fare qualcosa di grosso, per poi dichiarare finalmente guerra ai Ribelli e a tutti i seguaci della Rivoluzione. Questo è il piano della Foglia e dei resti dell’Unione.”

“Davvero?” chiese Deku.

La bambina lo guardò con un sopracciglio incurvato. “Hai dei dubbi?”

Il giovane dai capelli verdi osservò il palco in costruzione. “A questo evento parteciperanno anche gli esponenti della Rivoluzione e i Kage affiliati ad essa. Le stesse persone che la Foglia sta combattendo da anni. Che senso avrebbe dichiarare guerra a tutti loro, proprio davanti ai loro stessi occhi?” domandò, confuso.

“Questo Summit è l’ultima speranza che le Nazioni hanno per riuscire a trovare un accordo pacifico,” gli spiegò Trunks, incrociando le braccia con serietà. “L’ostilità che i Ribelli provano nei confronti delle Nazioni più potenti è nulla, se paragonata a ciò che una guerra scatenerebbe. Vogliono provare a convincere tutti ad abbandonare le ostilità e trovare un accordo prima di essere costretti a dichiarare guerra. Il solo fatto di essere stati invitati a questo evento, per la Rivoluzione, è una tragedia.”

Uraraka annuì. “Non è un caso, se ci pensate, che i fondatori saranno giustiziati davanti agli occhi di tutti, proprio su quel palco.”

Deku la guardò di sbieco. “Intendi l’Organizzazione Kara?”

“Proprio loro,” confermò lei, puntando un dito verso il palco al centro del cortile. “Saranno decapitati pubblicamente. È una mossa che la Foglia e le Nazioni alleate vogliono sfruttare per convincere il mondo a non sfidarli come hanno fatto loro. È questo l’obiettivo di questo Summit.”

Il ragazzino non disse nulla per diverso tempo. Lui era ancora giovane, così come i suoi amici, quindi non poteva comprendere appieno ciò che stava dietro a tutto quell’evento che stava per avere luogo in quel posto. Ma sapeva bene chi fossero i Kara, e cosa avessero fatto. Era giovane, non stupido. Giustiziare pubblicamente i criminali più infamati del pianeta, davanti agli occhi di migliaia di persone e in diretta Tv, era una mossa politica importante. Avrebbe dimostrato la supremazia e la determinazione della Foglia e delle Nazioni alleate. Avrebbe distrutto il morale dei seguaci di quel gruppo di terroristi, e gettato un’ulteriore ombra di sconfitta nei confronti della Rivoluzione.

Era questo il prezzo che erano disposti a pagare pur di raggiungere la pace? Avrebbero davvero preferito sacrificare delle vite umane pur di convincere tutti a non iniziare una guerra? Non era un controsenso?

Per qualche strano motivo, Deku non riusciva ad immedesimarsi con quel ragionamento.

“Proprio a ragione di questo, nemmeno noi possiamo restarcene con le mani in mano,” dichiarò improvvisamente Uraraka.

I due ragazzini la fissarono con confusione.

Lei li guardò negli occhi. “Pensateci. Credo che sia stato scelto questo posto proprio per far sì che i popoli di tutto il mondo possano capire appieno la gravità della situazione in cui stiamo precipitando. E anche noi dobbiamo fare la nostra parte.”

“E come?” chiese Izuku.

La mano della ragazzina guizzò in avanti e gli afferrò le guance, sconvolgendolo, forzandogli un sorriso sulle labbra con le dita. “Sorridendo!” rispose lei. “La gente che serviremo dovrà essere accolta al meglio delle nostre possibilità. Dobbiamo fare bella figura se vogliamo trovare un lavoro decente. Nessuno si sentirà a proprio agio se ci vedranno con quell’espressione confusa che hai in faccia. Per cui, sorridi.”

Poi si voltò verso l’altro bambino. “Anche tu, Trunks. Posso capire che tu sia diffidente, ma devi assumere un aspetto più amichevole. Smettila di fare quella faccia così seria.”

“Ma questa è la mia faccia…”

Deku si massaggiò le guance doloranti. “Tu invece in cosa dovresti migliorarti?” domandò, stizzito.

“Ah? Io sono perfetta così. Sono carina, e visto che sono anche intelligente, riuscirò ad ammaliare tutti quei pezzi grossi e a farmi un nome. È un piano geniale,” dichiarò lei, sorridendo maliziosamente.

I due ragazzini la guardarono con esasperazione. “Credo che sia tu quella che dovrebbe trattenersi più di tutti…” sussurrò Trunks.

“Oh cavolo!” esclamò improvvisamente Deku, trasalendo con tutto il corpo. Uraraka e Trunks gli scoccarono un’occhiata confusa. “Mi sono ricordato che devo fare una cosa!” Detto ciò, il ragazzino non perse tempo ed iniziò a correre alla massima velocità lontano dai suoi amici, dirigendosi verso l’uscita del cortile.

“EHI! Dove stai andando?” lo richiamò Uraraka, allibita.

Quello le rivolse un saluto con una mano. “Non preoccupatevi per me! C’è una persona che devo vedere!” gridò loro di rimando. Il sorriso sul suo volto era raggiante e pieno di trepidazione. “Ci vediamo tra un’ora!”

Poi, il bambino sparì in mezzo alla calca di gente che brulicava lungo le strade del Villaggio, lasciandoli da soli, confusi e stupiti. “Ma che gli è preso?” sussurrò lei, incredula. “Non è da lui sparire così all’improvviso.”

“Starà bene,” la rassicurò il ragazzo dai capelli viola. “Piuttosto, guarda un po' chi c’è lì.”

Uraraka si voltò col busto, puntando lo sguardo verso la direzione in cui stava indicando il suo amico. Due persone stavano parlando a qualche centinaio di metri da dove si trovavano loro due, proprio dinanzi al palco in costruzione. I suoi occhi si sgranarono a dismisura. Lei conosceva quell’uomo. Non c’era nessuno in tutto il pianeta che non sapesse chi era quel tipo.

“Il Kazekage?” esclamò, scioccata. “Che ci fa qui?”

Trunks assottigliò gli occhi. “In effetti è una cosa insolita. Ma chissà chi è quell’altra persona con cui sta parlando…”

I due ragazzini potevano solo sperare di scoprirlo.
 


“I lavori con il palco procedono bene?”

Gaara alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo, seduto sulla prima fila del teatro. “Sì,” rispose. “Devo dire che sono rimasto sorpreso dalle mie capacità di regista. Parlo dell’ampliamento della struttura. Abbiamo allargato e allestito questo cortile per fare in modo che possa ospitare all’incirca settecentocinquanta persone. Questo senza tenere conto dei Kage e delle autorità più importanti, ovvio.”

La ragazza posò lo sguardo sul palco, osservando gli operai che lavoravano ininterrottamente. Alcuni di loro erano miseri ragazzini. Non potevano avere più che una decina d’anni. “La manodopera infantile dovrebbe essere un reato,” disse seriamente, la sua voce bassa che faceva trapelare appieno il disappunto che provava dentro.

Il Kazekage sospirò, annuendo con la testa. “Sono d’accordo con te, ma non possiamo farci nulla a questo punto,” ammise, rammaricato. “Con i trattati dell’Unione dissolti, legalmente non hanno più diritti. Siamo tornati all’epoca precedente alla Terza Guerra Mondiale per colpa della Rivoluzione. E se hanno accettato di loro spontanea volontà questo incarico, non possiamo cacciarli senza un motivo. Gli operai sono sempre di meno, e la maggior parte degli investimenti e dei volontari vanno allo sforzo bellico. Abbiamo bisogno di quanta più forza lavoro possibile.”

L’altra non disse nulla, limitandosi a stringere i denti.

Gaara la guardò con un piccolo sorriso. “Devo farti i miei complimenti, Sarada,” riprese a dire dopo un attimo di silenzio. “Adesso tutto il piano della sicurezza è affidato a te. Le guardie e coloro che presiederanno alla sicurezza sono nelle tue mani. Ogni Shinobi risponderà ai tuoi comandi.”

La ragazza, Sarada, rimase impassibile. “No. Gli Shinobi risponderanno ai loro Kage. L’esercito appartiene alle Nazioni,” ribatté lentamente.

“Ma io l’ho affidato a te,” la incalzò quello, divertito. “È passata una settimana da quando ci siamo stretti la mano. So che è un compito che non hai accettato volentieri.”

“Chi non segue gli ordini di un suo superiore non è degno di considerarsi uno Shinobi,” si difese lei.

Gaara non smise mai di fissarla, il suo sorriso più accentuato. “Anche se io non sono né un tuo superiore, né il tuo Kage.”

Sarada continuò ad osservare il palco senza mai posare gli occhi sul Kazekage. “Ma al momento, lei e l’Hokage siete le persone più importanti che sostengono le Nazioni alleate,” spiegò solennemente. “Per cui, l’esercito, gli Shinobi, e anche la Sabbia e la Foglia, appartengono a voi.”

Il sorriso di Gaara scomparve. I suoi occhi impassibili si posarono a loro volta sul palco in costruzione. Il suo volto era una maschera di serietà e solennità quando parlò. “Non è a noi che appartengono, ma al popolo. Alla gente comune, ai Ninja, e anche… anche ai Ribelli.”

Sarada lo guardò di sbieco.

“Io ho solo ripreso in mano le redini della situazione,” continuò a spiegare il Kage, fissandosi le mani. “Quando mi sono svegliato, il mondo era piombato nel caos. Adesso capisco perché Naruto non è riuscito a gestire la situazione da solo negli anni passati. Questa responsabilità… è un fardello troppo pesante. È opprimente.”

Le sue mani iniziarono a tremare a quel punto. L’Uchiha lo osservò in silenzio.

“Ma anche se volessi lasciar perdere, i tempi non me lo permettono più,” sospirò quello, stringendo le dita per placare il tremore dei suoi arti. “Io... non mi resta molto da vivere, sai? Non l’ho mai detto a nessuno, neanche a Naruto, ma è così. Io dovrei essere morto. Sono sfuggito alla morte per troppo tempo. E anche se grazie all’anziana Chiyo e ai medici sono riuscito a prolungare la mia vita fino ad oggi… alle volte vorrei semplicemente sparire e lasciarmi tutto alle spalle. Non sono stato un buon Kage, e ne sono consapevole. Durante il mio mandato, la Sabbia è stata attaccata, Shukaku è stato catturato, e il mondo è sprofondato nel terrore. La responsabilità del Cappello è troppo pesante, soprattutto in un’epoca di confusione e terrore come quella che stiamo vivendo.”

“…”

“Il mondo è sull’orlo della Guerra,” continuò a dire l’uomo dai capelli rossi. “Questo Summit è la nostra ultima speranza per tentare di evitarla. Il Suono, l’Erba, e la Pioggia si stanno militarizzando sempre più. La Roccia ha già tentato di invadere il mio Paese in passato, e la Nebbia è costantemente flagellata dagli assalti dei mercenari e dei pirati. Persino il Vortice sembra aver iniziato ad intraprendere una politica poco corretta. Come se non bastasse poi, le rivolte nelle Nazioni stanno diventando insostenibili. La Rivoluzione sta riacquisendo potere, in qualche modo misterioso, e sembra che ci sia qualcuno dietro a questa cosa. Io e Naruto siamo troppo pochi per poter fronteggiare tutto questo da soli. Saremo potenti, ma il mondo è troppo vasto anche per noi.”

“Perché mi sta dicendo queste cose, Kazekage-dono?” chiese a quel punto Sarada.

Gaara la guardò con un sorriso indecifrabile. “Tu mi ricordi molte cose, Sarada. Mi ricordi Naruto quando aveva qualche anno meno di te. Mi ricordi me stesso appena sono diventato Kazekage. E mi ricordi… quello che avrei voluto essere da giovane. Una persona che segue il proprio ideale, fino alla fine. Sei forte, Capitano, molto più forte di quanto tu creda. E per questo posso ammettere che mi stai… simpatica,” le spiegò semplicemente. “E un giorno, sono certo che sarai la persona più qualificata per prendere il posto di Naruto come Hokage. Sto solo cercando di istruirti, finché i tempi me lo permettono.”

“…la ringrazio.”

Il Quinto Kazekage sospirò. “Ci sono novità sulla sicurezza?”

Sarada s’impettì inconsciamente. “L’edificio alle spalle del palco era ridotto male.” riferì doverosamente. “Abbiamo dovuto fare dei lavori di restauro a diverse colonne e alcune stanze. Alcune di esse erano state danneggiate da qualcosa. O qualcuno. Grazie al quale adesso sappiamo che… dei topi si erano già intrufolati nei nostri ranghi.”

Lo sguardo di Gaara si fece glaciale.
 


17 Settembre, 0021 AIT
Terra dei Fiumi, Villaggio di Questo
Corso Principale
11:36

“Ce l’hai fatta, Izuku.”

“La prego, mi chiami semplicemente Deku,” disse con imbarazzo il ragazzino, grattandosi il collo. Fissò la persona accanto a cui stava seduto su quella panchina con un sorriso a trentadue denti. “E poi, devo ringraziare lei se sono riuscito ad arrivare fino a questo punto.”

L’uomo incappucciato fissò le strade del Villaggio che brulicavano di persone, ignorando le occhiate strane che la gente gli stava lanciando. Se lo aspettava, in fondo. Non si vedeva spesso in giro un uomo completamente avvolto da un mantello grigiastro e coperto da un pesante cappuccio bruno. Anche se il suo aspetto era cambiato, il suo camuffamento lo rendeva parecchio singolare, facendolo spuntare fuori in mezzo alla calca di persone. Era inevitabile. “Non ringraziarmi. Ho promesso che ti avrei aiutato, e così ho fatto. Quello che deve ringraziarti sono io,” disse semplicemente.

“Uh? Di cosa parla?” chiese l’altro, completamente confuso.

Il sorriso dell’uomo era percepibile nell’aria. “Incontrare te mi ha salvato,” spiegò il misterioso personaggio. “Mi hai fatto ricordare una cosa che tendo spesso a dimenticare: ovvero che la famiglia è il valore più importante di tutte. Per questo ho deciso di aiutare te e i tuoi amici.”

Midoriya ammiccò con confusione. “Non so bene a cosa si riferisce… ma non c’è bisogno di ringraziarmi. Sono io ad essere in debito con lei.”

Quello lo osservò in silenzio.

“Il suo discorso mi ha davvero ispirato, lo sa?” disse ancora il giovane ragazzino, fissando il cielo coi suoi occhioni rotondi. “Lei mi ha fatto capire che è inutile piangersi addosso. Se c’è qualcosa che non va, allora l’unica cosa che possiamo fare è combattere. Combattere e andare avanti, per superare gli ostacoli con le nostre forze. Solo coloro che continuano ad andare avanti possono riuscire a vedere cosa c’è al di là dell’Inferno,” Deku lo guardò con un sorriso pieno di emozione. “Non è forse così?”

Saigo annuì, compiaciuto. “Stai imparando…”

L’uomo e il bambino rimasero in silenzio per diversi secondi dopo quelle parole, ascoltando ed osservando la vita dei passanti. Il rumore dei mercanti che urlavano al vento i loro prodotti, il ridacchiare dei bambini che correvano per la strada, e le chiacchiere dei cittadini che passeggiavano tranquillamente per i fatti loro. “Che cosa farà adesso?” chiese ad un certo punto Deku.

L’uomo sembrò alzare lo sguardo al cielo. “Continuerò a pagarti per il tuo lavoro finché durerà. Ma una volta che avrai finito, io dovrò lasciarti.”

Quello si rattristò visibilmente all’udire quelle parole. “Oh…”

“Ho delle faccende che devo risolvere, Deku. Faccende rimaste in sospeso per diverso tempo,” spiegò ancora, fissando il cielo. “Non posso continuare a sfuggirle per sempre. Devo affrontarle, prima o poi, proprio come te. Anche io… devo andare avanti.”

“C-Capisco,” sussurrò Deku.

Saigo gli accarezzò la testa, arruffandogli i capelli. “Non posso restare qui seduto in eterno. Una volta che il Summit sarà finito, dovrò tornare a casa,” spiegò lentamente, cercando di farlo capire.

Il bambino annuì, visibilmente triste.

“Vai adesso. I tuoi amici ti stanno aspettando, non farli attendere troppo” lo esortò con gentilezza.

Il ragazzino esitò un paio di secondi, incerto su cosa fare. Poi però annuì di nuovo, si alzò dalla panchina, e gli rivolse un sorriso triste. “Allora… a presto,” sussurrò lentamente, accennandogli un inchino rispettoso e prendendo ad andarsene da lì a passo spedito per raggiungere i suoi amici. Saigo lo osservò mentre si allontanava con uno sguardo indecifrabile, sospirando con pesantezza e preparandosi mentalmente per la tempesta che stava per aleggiare.

Adesso doveva accingersi a superare una nuova sfida.

“Mi scusi, posso sedermi accanto a lei?”

Il suo occhio nascosto dal cappuccio guizzò verso sinistra, posando lo sguardo sulla figura che aveva parlato. La stessa figura che aveva passato gli ultimi tre minuti a spiarlo di soppiatto. Era una donna – una bellissima donna, a dir la verità – che non poteva avere più di quarant’anni. Lunghi capelli bluastri, occhi bianchi come la neve in pieno inverno, ed una pelle pallida come la luna nella notte più buia. Lo stava fissando con un sorriso cordiale, anche se la sua espressione tradiva un velo di tristezza. Le borse scure sotto ai suoi occhi erano ancora evidenti.

L’uomo annuì sotto al suo cappuccio. “Ma certo, si accomodi,” rispose, la sua voce alta e allegra. Mosse una mano ad indicare il posto libero sulla panchina accanto a lui. “Non potrei mai dire di no ad una bella signora come lei.”

Con suo stupore, la donna ridacchiò, nascondendosi le labbra dietro ad una mano. “Com’è galante,” gli disse sommessamente, sedendosi al suo fianco. “Ma se posso chiederglielo, cosa le fa credere che io sia sposata?” L’aveva chiamata signora, dopotutto, non signorina.

Saigo trattenne il fiato in un gesto comicamente prolungato. “V-Vuol forse dirmi che una splendida donna come lei non è sposata?” esclamò, incredulo, le sue braccia sollevate teatralmente verso l’alto. Si afferrò la testa con le mani. “Cielo, in che razza di mondo siamo finiti? Dove sono finiti gli uomini di un tempo? Il genere maschile è forse caduto talmente in basso da non essere più in grado di comprendere la bellezza?”

La donna rise di gusto nel vedere la sua comicità, le sue guance colorate leggermente di rosso. “No, no, ha fatto centro. Sono sposata e ho una figlia,” ammise con dolcezza, prendendo fiato tra le risatine persistenti. “Lei è davvero divertente, lo sa? Era da molto tempo che non ridevo in questo modo.”

Il misterioso personaggio si portò le mani ai fianchi. “Sono lieto di essere riuscito in quest’impresa, allora,” la ringraziò, accennandole un inchino col busto. “Dopotutto, quegli occhi tristi non si addicono al suo incantevole viso.”

La donna esitò visibilmente all’udire ciò, posando lo sguardo a terra. Le sue labbra si assottigliarono in un sorriso tirato. “È stato… un periodo difficile,” si limitò a dire, cercando di suonare meno depressa di quanto non si sentisse in realtà. Poi si riscosse leggermente, offrendogli un sorriso dolce e sincero. “Il mio nome è Hinata Hyuuga. È un vero piacere conoscerla. Nessuno era mai riuscito a farmi sorridere così come lei.”

“Far sorridere una donna è il dovere di ogni gentiluomo. Ho forse osato troppo per i suoi gusti?”

“Affatto. Mi ha resa felice,” lo rassicurò lei.

“Oh, che sollievo!” esalò il tizio incappucciato, sospirando visibilmente. “Perché io oso fare tutto ciò che può essere degno di un uomo. Chi osa di più non lo è,” dichiarò solennemente, ridacchiando tra sé e sé.

La donna, Hinata, lo osservò con divertimento. “Lei come si chiama, se posso chiederlo?”

L’uomo sorrise sotto al suo cappuccio. “La prego, si senta libera di chiedermi quello che vuole, Hinata-san,” la corresse senza esitazione. “E per quanto riguarda il mio nome… sarebbe per me un grande onore se mi degnasse del piacere di chiamarmi: Saigo.”

“Saigo, eh?” ripeté la donna, fissando il Villaggio con un sorriso. “È un nome strano. Che cosa significa?”

Quello prese ad osservare a sua volta le strade affollate di abitanti. “Significa ‘ultimo’. E devo dire che riflette la mia persona piuttosto bene, sa? Un umile viaggiatore solitario, senza un posto che può chiamare casa, il cui unico scopo è aiutare a risollevare coloro che vivono nella tristezza. L’ultimo degli ultimi. È questo quello che sono,” spiegò lentamente, la sua voce serena.

Hinata lo guardò di sbieco. “Lei è un viaggiatore? È per questo che è vestito in questo modo?” gli chiese eventualmente. “Non riesco nemmeno a vedere il suo volto sotto a questa cappa. Per quale motivo sta celando il suo viso?”

“Ho avuto un incidente in cui sono stato sfigurato,” rispose seriamente lui, nascondendo le braccia sotto al mantello. La donna sgranò gli occhi con tristezza all’udire quella spiegazione. L’uomo lo notò fin troppo bene. “Non si preoccupi, è successo molti anni fa. Ma se posso permettermi, vorrei farle io una domanda adesso, Hinata-san.” Vedendo che la donna fece un cenno con la testa, si arrischiò a continuare. “Per quale motivo è venuta a parlare con me? Dubito fortemente che una splendida signora come lei abbia bisogno di compagnia. Ma allora, cosa l’ha spinta ad approcciarsi a questa umile e indegna persona?”

Gli occhi pallidi di lei lo osservarono per diversi secondi con un’intensità snervante, senza proferire parola. Poi, dopo un lasso di tempo indeterminato, la donna riprese a fissare l’orizzonte. “Quel bambino di prima,” iniziò a dire. “È stato lei ad assumerlo per lavorare al cantiere, non è vero?”

Saigo non rispose subito al quesito, prendendosi diversi secondi di silenzio prima di rispondere con un’altra domanda. “Perché me lo chiede?”

Il sorriso di Hinata si fece più malinconico. “I bambini sono una delle poche cose che mi fanno sorridere ormai. Ho visto che parlate spesso, lei e quel bambino. Vi ho visti discutere assieme su questa panchina anche ieri pomeriggio. Sono venuta qui in viaggio con mio marito e mia figlia, deve sapere, e vi ho notato per puro caso mentre passavo per strada. Ma il sorriso che quel piccolo portava in volto mentre parlava con lei… l’ho notato subito,” spiegò.

L’uomo misterioso rimase in ascolto.

“Dev’essere un orfano, non è così?” continuò a dire lei, mostrando una grande intuizione con le sue parole. “Mi si spezza sempre il cuore quando vedo dei poveri bambini senza genitori. Mi ricordano sempre quanto la vita possa essere ingiusta, e di quanto io sia stata fortunata ad avere una famiglia. Mio marito era un orfano da giovane, quindi so cosa si prova ad essere soli a quell’età.”

“…perché mi sta dicendo tutto questo?” domandò Saigo.

La Hyuuga gli rivolse un sorriso sincero. “Volevo ringraziarla per averlo fatto sorridere in quel modo,” spiegò semplicemente. “Come le ho già detto, ho notato subito il sorriso di quel piccolo. Lei è una persona buona, ne sono convinta. Rendere felice un bambino non è una cosa scontata da fare,” poi, la sua espressione si fece afflitta e depressa a quel punto. “Io stessa non sono riuscita a rendere felice mio figlio.”

L’uomo la osservò con attenzione per un po', esitante. “Anche lei è una brava persona,” la corresse alla fine, dopo un attimo di incertezza. “Lo si vede dai suoi occhi.”

La donna rimase confusa da quella dichiarazione. “I miei occhi?” ripeté.

“Lei è una Hyuuga,” spiegò senza mezzi termini lui, allegro ma deciso. “Per questo i suoi occhi non hanno pupille. E sa, devo confessarle una cosa: gli occhi di quel clan mi hanno sempre fatto paura. Sono così freddi, così strani, così… bianchi… è impossibile capire cosa passi per la testa ad uno Hyuuga guardando quegli occhi senza pupille. Ma lei…” la sua testa si inclinò di lato, il suo sorriso percepibile nell’aria. “… lei ha degli occhi che brillano di emozioni. È facile leggerle dentro. Per questo riesco a capire che è una brava persona. Nessun essere umano malvagio potrebbe avere degli occhi luminosi come lei.”

Hinata rimase interdetta da quella spiegazione, completamente sconvolta. Sentì le sue guance avvampare di calore per l’imbarazzo. “L-La ringrazio,” fu tutto ciò che riuscì a dire. “Lei è davvero gentile, Saigo-san”. Poi, la donna posò lo sguardo sulle sue mani. “Ma se me lo permette, c’è un’altra cosa che vorrei chiederle.”

“Parli pure.”

“Non faccia più lavorare quel bambino,” disse improvvisamente lei, divenuta di colpo seria. Lo stava fissando con una determinazione sconvolgente. “So che è irrispettoso chiederle una cosa simile, ma i bambini non dovrebbero lavorare. Nemmeno per pagarsi da vivere. Se hanno bisogno di soldi, sono certa che si potranno trovare delle soluzioni alternative. I bambini… hanno il diritto ad avere un’infanzia. Ad avere… una famiglia.”

I due rimasero in silenzio per diversi secondi, osservandosi a vicenda senza proferire parola. Poi, alla fine, Hinata fu la prima a cedere.

“Mi dica una cosa, Saigo-san. Lei… Lei ha una famiglia?” chiese lentamente la donna.

Quello posò lo sguardo verso l’orizzonte, lento e solenne. Passarono cinque secondi di silenzio. “Sì,” rispose. “Sì, ce l’ho.”

“Allora dovrebbe ritornare dalla sua famiglia quanto prima,” gli disse lei, fissando a terra. “Presto scoppierà una Guerra. Lo sanno tutti ormai. Dovrebbe riunirsi con le persone che ama prima che la situazione peggiori. Altrimenti… potrebbe essere troppo tardi. Troppo tardi per potersene pentire,” ammise, la sua voce pesante e colma di rammarico.

Udendo quelle parole, Saigo abbassò la testa, posando di nuovo lo sguardo su di lei. “Pentire, eh?” ripeté. Hinata lo guardò di sbieco. “Sembra che lei abbia dei rimorsi sulla sua famiglia…”

Gli occhi pallidi della donna crollarono verso il basso dopo quella frase. “Non passa giorno in cui io non sia assalita dal rimorso,” gli confessò, sorprendendolo non poco con quella dichiarazione. “Lei dice che sono una brava persona, ma dentro di me so bene di non esserlo davvero. Dopotutto, sa, io ho istigato alla morte mio figlio. L’ho spinto a fuggire di casa, ad abbandonare la sua famiglia. L’ho tradito, e gli ho tolto la felicità che, in qualità di madre, avevo l’obbligo e il dovere di fornirgli. E per quanto io me ne sia pentita per tutta la mia vita… il rimorso non mi ha ridato ciò che avevo perduto. Non ho mai potuto riavere mio figlio.”

Saigo sentì i suoi pugni serrarsi con forza.

“Non ho mai avuto la possibilità di riabbracciarlo come si abbraccia un figlio,” continuò imperterrita lei, versando una lacrima dagli occhi. Stava sorridendo, ma era un sorriso privo di emozione. “Non ho mai potuto scusarmi con lui come si deve. E soprattutto… non ho mai potuto dirgli che l’amavo, e mostrargli tutto l’amore che volevo donargli sin dal momento in cui l’ho tenuto tra le braccia per la prima volta. E questo, mi creda, è il più grande rimpianto che mi porto dietro da anni.”

L’uomo incappucciato non disse niente. Non parlò, non proferì parola, perché non ce n’era bisogno. Rimase fermo, immobile, intento solamente ad osservare quella donna devastata e perseguitata dal dolore, guardandola da sotto al suo cappuccio oscuro; mentre la sua mente veniva investita da pensieri, emozioni, e sentimenti che – se doveva essere sincero con sé stesso – lo sorpresero non poco. Rimase immobile come una statua, limitandosi solo ad alzare lo sguardo verso il cielo, posando gli occhi su quell’infinita distesa azzurra di niente e nuvole. E mentre restava in silenzio, quasi per magia, delle parole lontane sembrarono echeggiargli dentro alla testa. Parole non sue. Parole che nient’altro erano che echi distanti di un ricordo lontano che aveva vissuto molto tempo prima. Parole che aveva sentito pronunciare da una ragazza disperata sopra ad un muretto nel cuore più oscuro della notte.

So di non meritare altro che il tuo odio! Sono diventata una madre orribile! Non ho fatto altro che causarti dolore nel futuro, ignorando completamente i tuoi sentimenti! Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto!

Tu mi odi, vero?

Il suo corpo si mosse da solo.

Hinata rimase interdetta quando sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla. E rimase ancora più scioccata quando vide e sentì quell’uomo incappucciato stringerla leggermente con la sua presa, intento a fissarla da sotto a quel cappuccio con uno sguardo che, nemmeno coi suoi occhi attivati, lei avrebbe mai potuto notare.

“Non sia troppo dura con sé stessa,” la voce di Saigo era allegra e confidente, come se sotto a quel cappuccio stesse sorridendo come un bambino. “Lei mi ha dimostrato di essersi pentita. E se suo figlio fosse qui… sono certo che l’avrebbe compreso anche lui. Sono certo che vorrebbe vederla felice, anche se non eravate in buoni rapporti. Per cui… sorrida, Hinata-san. Sorrida anche per lui. Sono certo che suo figlio l’apprezzerebbe, anche se per lei potrebbe essere difficile.”

La Hyuuga lo guardò con uno sguardo sconvolto. “D-Davvero?” domandò, con una piccola vocina piena di speranza. “Crede davvero che questo lo avrebbe reso felice?”

Saigo le asciugò una lacrima dal viso con un dito, lasciandola parecchio imbarazzata e confusa. “Mi creda, Hinata-san, ne sono più che sicuro.”

La donna ammiccò, incapace di parlare, prima di incurvare le labbra in un timido sorriso. Si asciugò le restanti lacrime con una mano, distanziandosi appena dall’uomo misterioso per l’imbarazzo. “G-Grazie,” disse, cercando di calmarsi. Il suo volto era diventato estremamente rosso. “Davvero. Lei è un vero gentiluomo, Saigo-san.”

“Gliel’ho detto! Far sorridere una donna è il dovere di ogni uomo!” dichiarò solennemente quello, allargando le spalle e puntando un braccio al cielo.

Ah, davvero?

Saigo ebbe a malapena il tempo di voltarsi. I suoi sensi allenati gli urlarono letteralmente di mettersi al riparo, ma non ebbe modo di farlo. Dopotutto, quello che gli stava succedendo in quel momento non si vedeva certo tutti i giorni.

Qualcosa… Qualcosa gli aveva afferrato il braccio destro. Qualcosa di caldo e ustionante, ma allo stesso tempo freddo, pesante, e opprimente. Sentiva le sue ossa gemere e piegarsi dolorosamente sotto la presa micidiale che gli stava soffocando l’arto, assieme ad un terrore viscerale che gli faceva tremare l’anima e urlare i sensi. Il suo occhio sgranato osservò con orrore e crescente timore la figura apparsa improvvisamente dinanzi a lui, rivestita da una cappa di chakra dorato e fiammeggiante, intenta ad osservarlo dall’alto in basso, mentre gli reggeva con una mano il braccio. E dinanzi a quello sguardo freddo, furioso e intimidatorio; dinanzi a quegli occhi rossi, bestiali e dalle pupille sottili… Saigo il SenzaVolto sentì, per la prima volta dopo anni, la primordiale e viscerale sensazione di terrore che doveva provare un coniglio quando si trovava dinanzi alle zanne di una volpe.

Perché Naruto Uzumaki, il Settimo Hokage di Konoha, era apparso finalmente dinanzi a lui e lo aveva afferrato per un braccio con una presa dolorosamente micidiale. Ma la cosa peggiore?

Era incazzato come una bestia.

L’imprecazione che urlò nella sua testa era troppo difficile da poterla descrivere a parole.

“Ehm… Eheheheeheheh,” ridacchiò nervosamente, squittendo per il dolore al braccio e rimpicciolendosi dinanzi a quella figura possente che torreggiava sopra di lui. “S-S-Salve?”

Che cosa stavi facendo a mia moglie?” domandò ferocemente l’Hokage, la sua voce bassa, demoniaca e furiosa oltre ogni descrizione. Quelle pupille sottili lo stavano fulminando col loro sguardo animalesco, fissandolo fin dentro l’anima. “Che COSA le hai fatto?

Saigo sentì una lacrima di dolore sfuggirgli dall’occhio. “Ni-Niente!” squittì subito, contorcendosi per il dolore. “Lo giuro!”

Non prendermi-

“Naruto-kun!”

Hinata era balzata in piedi all’istante, afferrando immediatamente con una mano l’uomo fiammeggiante dal colletto sulla nuca prima che potesse continuare. Quest’ultimo sembrò subire pesantemente il gesto ricevuto, visto il modo in cui la sua presa sul braccio di Saigo venne interrotta immediatamente, e come tutta la cappa di chakra dorato che lo avvolgeva si dissolse nel nulla. Il biondo osservò il volto furioso di sua moglie con uno sguardo allibito. “Hi-Hinata! Perché mi hai-”

“Cosa ti è saltato in mente, Naruto-kun?” lo incalzò severamente lei, zittendolo all’istante. Il Settimo sembrò ritrarsi come un bambino durante un rimprovero. “Ti sembra questo il modo di comparire all’improvviso? E si può sapere perché hai fatto del male al povero Saigo-san?”

“Ma… Ma… lui era… e tu stavi... io pensavo…”

“Saigo-san ed io stavamo semplicemente parlando,” spiegò seriamente la donna, fissandolo con uno sguardo accigliato e severo. I suoi occhi si erano attivati, le vene sulle sue tempie divenute visibilmente più sporgenti. Tutti i passanti si erano fermati per osservare quella scena in mezzo alla strada. “Non mi stava facendo niente, prima che tu gli saltassi addosso.”

“M-Ma… Tu stavi piangendo!” esclamò Naruto, incredulo. I suoi occhi azzurri erano sgranati e tesi.

Hinata incrociò solennemente le braccia davanti al petto. Saigo notò che l’Hokage sembrò irrigidirsi pesantemente dopo quel gesto, come se stesse improvvisamente osservando una bestia pericolosa. “Stavamo solo parlando,” ripeté gelidamente lei, severa come non l’aveva mai vista e sentita prima d’ora. “Non dovevi fargli del male.”

“Hi-Hinata, io…”

“Oh, insomma!” esclamò una seconda voce in quello stesso momento. Hinata, Naruto, e tutti i presenti si voltarono per osservare la figura di una ragazza che stava correndo verso di loro, visibilmente imbarazzata. “Te l’avevo detto di aspettare, papà. Perché sei dovuto scattare così velocemente?” domandò Himawari, la sua faccia paonazza per gli innumerevoli sguardi e occhiate che la sua famiglia stava ricevendo per via di quella scenata che l’Hokage aveva causato.

Saigo, sotto al suo cappuccio, rimase a bocca aperta.

Hinata guardò sua figlia con uno sguardo inquisitorio. “Hima, ti spiacerebbe spiegarmi cosa sta succedendo?” domandò in tutta serietà.

La giovane Uzumaki ridacchiò nervosamente, passandosi una mano sul collo. “Beh, ecco… io e papà stavamo passeggiando per la strada, quando ti abbiamo vista da lontano mentre parlavi con quest’uomo. Stavamo per venire a salutarti, ma ad un certo punto lui è scattato alla rincorsa all’improvviso, urlando qualcosa sul fatto che stavi piangendo…” spiegò, nervosa e tesa.

Hinata assimilò le informazioni per un paio di secondi, prima di sospirare pesantemente e posare nuovamente lo sguardo su suo marito – il quale era fermo e impietrito accanto a lei con un’espressione terrorizzata e da ebete stampata in faccia. “Naruto-kun, non è successo niente. Io e questo gentile signore stavamo solo facendo due chiacchiere, ma non è per colpa sua che stavo piangendo. Mi sono lasciata andare ai ricordi ed è semplicemente successo. Lui non c’entra,” spiegò lentamente, mantenendo la stessa serietà di prima.

Il Settimo ammiccò confusamente. Poi sospirò dopo quella spiegazione, visibilmente rilassato. “C-Capisco…”

“Tuttavia,” riprese a dire subito dopo la donna, fissandolo con uno sguardo severo che prometteva dolore. Naruto sbiancò e divenne pallido come una statua a quel punto, tremando per il terrore. “Questo non giustifica la tua impulsività. Non c’era bisogno di balzargli addosso in quel modo. Potevi fargli seriamente del male!”

“M-Mi dispiace, Hinata!” balbettò freneticamente quello, tremando come un filo d’erba scosso dal vento.

La donna sospirò e si passò una mano sulla faccia, prima di voltarsi e correre al fianco dell’uomo incappucciato che, fino a quel preciso momento, era rimasto seduto e imbambolato a terra con la bocca aperta. “Mi dispiace immensamente per quello che è successo, Saigo-san. Le azioni di mio marito sono ingiustificabili. Le chiedo scusa,” disse vergognosamente con imbarazzo, accennando un inchino ed afferrando il Settimo per un braccio, fissandolo con disappunto. “Anche tu, Naruto-kun. Chiedi scusa per quello che hai fatto,” ordinò, forzandolo a piegare il busto.

“M-Mi dispiace enormemente per quello che ho fatto!” esalò tutto d’un fiato quello, obbedendo all’ordine senza fiatare, come se fosse spaventato a morte dall’idea di contrariare ulteriormente sua moglie. Himawari si portò accanto ai suoi genitori e si passò una mano sulla faccia, cercando pateticamente di nascondere il proprio imbarazzo.

Hinata porse una mano al misterioso personaggio, aiutandolo a rimettersi in piedi. “Non… Non le ha fatto troppo male… vero?” domandò, lanciando un’altra occhiata gelida a suo marito dopo aver pronunciato quell’ultima parola. Naruto si ritrasse come un bambino mortificato.

Tuttavia, da parte sua, Saigo non rispose. Nascosta sotto al suo cappuccio, la sua faccia era un miscuglio d’incredulità e confusione. La sua bocca aperta, e il suo occhio sinistro sgranato a dismisura. Non poteva crederci. Non riusciva a crederci. Era vero? Era proprio vero? Non era un sogno quello che stava vedendo? Davvero? Stava realmente succedendo?

L’uomo incappucciato scoppiò a ridere.

Hinata, Naruto, Himawari, e tutti quelli che stavano osservando la scena lo guardarono con confusione.

Ma lui continuò a fregarsene, piegandosi in due per le risate. Davvero? Davvero? Ma siete seri? Era realmente così che stava succedendo? Questa... era questa la riunione di famiglia che aveva atteso fino a quel momento? Questa? Questa pagliacciata? Non ci credeva. Anni e anni di odio e disprezzo nei loro confronti, innumerevoli avventure mortali per riuscire ad evitarli, battaglie epiche e scontri all’ultimo sangue contro quelle tre persone… avevano portato a questo? DAVVERO? Cazzo, non poteva essere vero. Era impossibile. Era... Era troppo divertente per essere vero. Che cazzo! Non poteva crederlo seriamente. Cazzo, se la sua vita fosse stata un libro o un film, allora l’autore doveva aver deciso di mandare tutto a puttane per riuscire ad ideare un incontro del genere. Di sicuro! Non voleva crederci. Era impossibile.

Era tutto così divertente.

Saigo il SenzaVolto continuò a ridere.

Himawari lo osservò con un sopracciglio incurvato. “Ehm… sicuri che stia davvero bene?” chiese, indicandolo con incertezza.

L’uomo incappucciato fece dei respiri profondi per riuscire e riprendere fiato. “N-Non si preoccupi (ahaha), Hinata-san,” esalò, ancora scosso da fitte di risatine persistenti. “È colpa mia (ahahah). Non… Non credevo di (ahaha) avere a che fare (ahahah) con la moglie del (ahah) Settimo Hokage. Bwahahahahaha!”

“S-Saigo-san?”

Quello si costrinse a darsi una calmata, poggiando le mani sui fianchi e scuotendo la testa. “Uuuuh, che cavolo,” esalò alla fine, trattenendo un singhiozzo. “Questa non me l’aspettavo, ve lo concedo.”

Naruto, Hinata e Himawari si scambiarono un’occhiata confusa e incerta.

“È colpa mia,” ripeté il tizio incappucciato, piegandosi col busto. “I-Il Settimo deve aver pensato che io e lei stavamo… la stessa donna che mi ha…” si portò una mano sulla faccia, cercando inutilmente di trattenersi, prima di scoppiare a ridere di nuovo, incapace di controllarsi. “AHAHAHA! Oddio! Non ce la faccio! AHAHAH! È troppo divertente!”

“F-Forse lo hai colpito troppo duramente, Naruto-kun,” suggerì Hinata.

“Devi avergli fritto il cervello,” concordò Himawari.

“M-Mi dispiace…” sussurrò quello, perso e confuso quanto loro.

Il personaggio conosciuto come Saigo continuò a ridere per una buona decina di secondi, le sue risate allegre, gioviali e sincere che riecheggiarono nell’aria con costanza. Ma appena passarono quei secondi, di colpo e all’improvviso, l’uomo misterioso smise di ridere di colpo, raddrizzandosi con il busto ed assumendo una posa solenne e imperiosa. Tutti quanti lo osservarono con confusione, stupiti dal suo cambiamento repentino. Quest’ultimo sospirò, la sua precedente ilarità completamente scomparsa. Fissò le tre figure dinanzi a lui con uno sguardo solenne sotto al suo cappuccio.

“Ora sto meglio, davvero,” disse alla fine, la sua voce tornata bassa e seria come prima.

Hinata gli prese una mano tra le sue. “M-Mi dispiace enormemente per quello che è successo. Se vuole posso-”

“È stato solo un equivoco, non si preoccupi,” la rassicurò quello, senza pensarci due volte. “Suo marito deve aver pensato che io stessi tentando di farle qualcosa, ma ora è tutto risolto. E poi, la sua reazione è completamente comprensibile, non posso biasimarlo. Dopotutto…” la mano di Saigo si mosse per accarezzarle una guancia difronte a tutti, fissandola per diversi secondi con intensità e fermezza. “…lei è una donna veramente stupenda.”

Il volto di Hinata assunse un’inconfondibile colorazione rossa dopo quel suo gesto così spavaldo e provocatorio, visibilmente imbarazzata. Alle spalle della donna, invece, Himawari trattenne il fiato e sgranò gli occhi in maniera comica, portandosi una mano sulle labbra similmente a come fecero anche tutti coloro che stavano assistendo alla scena.

Tutti… tranne Naruto.

“Ohi,” sussurrò il biondo, il suo sopracciglio che si contorceva ritmicamente. Il suo tono di voce era basso e minacciosamente freddo. “Che cosa credi di fare?”

Saigo si allontanò di colpo da Hinata, sollevando le braccia in maniera teatrale e ridacchiando come un pagliaccio. “Ahahah! Va bene, va bene, Hokage-sama! Stavo solo scherzando!” si giustificò immediatamente, scrollando le spalle e ondeggiando sulle gambe con tutto il corpo. “Dopotutto, l’espressione sul suo volto era troppo divertente. Non sono riuscito a trattenermi. Mi perdoni.”

Naruto si accigliò pericolosamente e fece un passo in avanti, ma una sola occhiata da parte di sua moglie bastò a farlo desistere immediatamente dall’agire in maniera ostile contro quell’uomo. Vedendo la sua espressione severa, l’Hokage si limitò a mettere un broncio infantile sulle labbra, incrociando le braccia e voltandosi dall’altra parte. “Chi si crede di essere questo tipo per fare certe cose con la mia Hinata?” brontolò mentalmente.

Hinata sospirò, cercando di calmare il suo tumulto interiore. “Credo che sia ora di andare adesso,” disse alla fine, realizzando ogni secondo di più che era meglio allontanare la sua famiglia da quel tipo prima che potesse succedere qualcosa. O che fosse morta dall’imbarazzo. Sfoggiò un sorriso sincero verso l’uomo coperto dal cappuccio. “È stato un vero piacere conoscerla, Saigo-san. Parlare con lei… mi ha fatto stare meglio. La ringrazio davvero.”

“Dovere, Hinata-san, dovere,” si limitò a dissolvere i ringraziamenti quello, compiendo un profondo inchino teatrale dinanzi a lei e facendo scoppiare a ridere tutti i presenti con le sue gesta buffe e comiche. “Il piacere è tutto mio,” disse a sua volta, la sua voce solenne come se stesse recitando.

Hinata chiuse gli occhi e ridacchiò di nuovo, incapace di resistere all’aura di allegria e spensieratezza che quell’uomo misterioso portava perennemente con sé. Era una sensazione… familiare. Nostalgica, quasi. Come se qualcosa dentro di lei le dicesse che quel tipo era una persona familiare. Una persona che conosceva. “Spero che possa restare in città almeno fino al Summit,” continuò a dire lei, calmando le ultime risatine e riaprendo gli occhi. “Mi farebbe davvero piacere rivederla allo-”

La sua frase rimase incompiuta.

Perché, appena aveva riaperto gli occhi, l’uomo che fino a pochi istanti fa si trovava dinanzi a lei, era scomparso. Non si trovava più da nessuna parte. Saigo… era letteralmente sparito nel nulla, come se non fosse mai stato lì; lasciando lei – e tutti gli altri presenti – nella confusione e nello stupore più totali.

Himawari ammiccò. “Dov’è finito?”

Quella domanda riecheggiò nell’aria per diversi secondi, restando però senza nessuna risposta.

. . .

Ma Hinata non sapeva che, proprio in quello stesso e preciso momento, l’uomo incappucciato che stava cercando si trovava solamente a qualche decina di metri di distanza, intento ad osservare lei e gli altri due membri della sua famiglia dalla cima del tetto di una casa, nascosto completamente alla loro vista e ai loro sensi.

“Mi vedrà eccome, Hinata-san,” sussurrò Saigo a bassa voce. “Mi vedrà eccome.”
 










 

Note dell’autore!!!

Alcuni di voi mi hanno chiesto se ci sarebbero state delle conseguenze strane per Boruto adesso che si è nascosto sotto una nuova identità. Ebbene, avete avuto la vostra risposta. In questo capitolo abbiamo visto che non se la passa molto bene, e che soffre il fatto di essere costretto ad interagire con i suoi amici fingendosi un uomo che, sostanzialmente, non è. Questa cosa lo porta inconsciamente ad evitare tutti coloro che hanno un rapporto con lui.

Oltre a ciò, spero che possiate aver apprezzato l’incontro inaspettato tra Boruto e la sua famiglia di sangue. Dato che il biondino si è nascosto dietro un’identità fasulla, questo gli ha permesso di comportarsi in maniera inaspettata con sua madre, e anche con Naruto. Tuttavia, che cosa voglia dire il comportamento che ha attuato con loro lo lascio alla vostra completa discrezione e opinione. Io ho lasciato delle frecciatine, ma non posso fare spoiler su un’eventuale evoluzione delle cose. Se il suo modo di fare vi è sembrato esagerato, inaspettato, o anche completamente opposto e incoerente con quello che pensavate o vi aspettavate di lui… è un’opinione che rispetto. Ma ogni cosa ha i suoi motivi, anche se essi non sempre vengono rivelati. Qui, in questa scena, preferisco che ognuno di voi si faccia le proprie opinioni piuttosto che dirvi la mia. Siete liberi di pensare quello che vi pare, insomma.

Oh, e per la croncaca... il Paese di Questo e il Paese di Quello esistono veramente nel mondo di Naruto. Sono il luogo dove è ambientato un film di Shippuden, quindi sappiate che non ho scelto questi nomi per pigrizia o per mancanza di immaginazione.

Vi invito, come sempre, a leggere e commentare. Grazie a tutti in anticipo! A presto!
   
 
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