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Autore: WhiteWitch    19/10/2019    1 recensioni
Era quel genere di giornata in cui la gente non esce di casa, si rintana sotto una coperta e permette a se stessa di oziare. Un paio di bambini passarono di corsa, chiaro segno che le scuole erano state chiuse. Si prevedevano altre nevicate molto più intense per i giorni seguenti. Per tutto il giorno, Aziraphale ciondolò per il negozio, il tempo che scorreva lento. Crowley non parlò quasi per nulla e si limitò a gravitare intorno all'angelo come un satellite.
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Una raccolta di missing moments tra passato e presente.
Idealmente è il seguito di di Hold me while you wait, ma la si può tranquillamente leggere separatamente.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II - Miracoli


Crowley si guardò intorno e lo spettacolo davanti ai suoi occhi lo atterrì.

Sette bambini, tutti di un'età compresa tra i nove e i tredici mesi, urlavano e piangevano come se li stesse scuoiando vivi.

Lui amava i bambini. Li amava moltissimo. C'era una ragione se, in barba alla sua grande abilità con le piante, avesse ceduto il posto di giardiniere ad Aziraphale e avesse fatto il colloquio per diventare tata. E più di tutti amava Warlock: era inutile negarlo, per quanto dispettoso, impaziente e dispotico, quel bambino suscitava in lui sentimenti che nessun demone avrebbe mai dovuto provare – il fatto che fosse l'Anticristo non faceva alcuna differenza.

Tuttavia, quando la bambina più piccola, Dorothy, aveva iniziato a piangere... Oh, non aveva mai visto una reazione a catena di simile portata. Uno alla volta, tutti i piccoli avevano iniziato a strillare. Nemmeno nei gironi peggiori si sentivano grida così disperate.

Al momento, Crowley si trovava nella difficile posizione di tenere in braccio tre dei bambini, agitare un cavallo a dondolo con un piede e cantare una ninnananna con voce rotta dal panico, il tutto mentre nessuno dei pargoli accennava a voler smettere.

«Ecco, Milly, ora ti metto giù...».

Crowley tentò, senza perdere l'equilibrio né smettere di cullare gli altri due, di depositare nel box la bambina bionda che aveva in braccio, ma la piccola era di altro avviso e come ebbe toccato il fondo del box cominciò a urlare con maggiore veemenza. Crowley non ebbe altra scelta se non riprenderla in braccio: non smise di piangere, ma almeno abbassò di un'ottava la potenza dei suoi polmoni.

Fu allora che qualcuno bussò alla porta della nursery.

«Chi è?», abbaiò Crowley.

Una voce familiare emerse da oltre la soglia.

«Tata Ashtoreth? Posso entrare?».

Crowley rimase congelato sul posto.

No, Aziraphale non poteva vederlo in quello stato. Era già abbastanza umiliante che dei bambini portassero un demone sull'orlo del pianto, ma farsi vedere da un angelo... Soprattutto, questo angelo.

«È tutto sotto controllo! Vai pure, Francis...».

Sapeva che era questione di tempo. Aziraphale non impazziva per i bambini e presto o tardi tutte quelle urla lo avrebbero convinto a levare le tende prima ancora di aprire la porta. Crowley si ritrovò in bilico tra due desideri: quello di non essere visto in una situazione tanto esasperante e quello di venire liberato dalla furia titanica dei bambini.

Ma Aziraphale non ci avrebbe fatto caso.

Perciò fu molto sorpreso quando una testa bionda spuntò da oltre la porta.

«Ngk», mugugnò Crowley.

Sapeva di avere un aspetto penoso. Spettinato e scarmigliato, aveva le forcine che spuntavano dai capelli come la corona storta di una santa e una macchia di vomito sulla camicia, aveva abbandonato le scarpe in un angolo e aveva una calza smagliata.

Lui e Aziraphale si scambiarono un lungo sguardo di mutua sorpresa. Poi Crowley abbassò la testa e tirò su col naso. Il tutto accompagnato dalle urla disperate dei bambini.

«Oh, cielo», commentò l’angelo.

Aziraphale entrò nella nursery e si fece largo nella stanza. La sua mole era decisamente superiore, quando era vestito come Francis il giardiniere, e attirò l'immediata attenzione di Warlock e di Ewan, un bimbo dai capelli rossi, che smisero di piangere.

Meno due, pensò Crowley.

Aziraphale non disse altro; si limitò a raccogliere i bambini come se fossero pacchi regalo. Ne mise due nel box e due nei rispettivi seggioloni e diede loro qualcuno dei giochi sparpagliati sul pavimento. Come entravano in contatto con lui, i bambini sembravano calmarsi all'istante.

Forse, pensò Crowley, sono i dentoni. Magari ispirano fiducia.

Quando ebbe finito con loro, Aziraphale si girò verso Crowley, che divenne di colpo rosso come i suoi capelli. Sempre senza parlare, l'angelo prese Milly e cominciò a cullarla dolcemente per qualche minuto.

Crowley pensò di essere davanti a un piccolo miracolo: la bambina rallentò il pianto sempre di più, fino ad addormentarsi. Quando Aziraphale la mise nel lettino, ormai Milly russava soavemente.

Fu allora che Crowley si accorse che anche gli ultimi due bambini, quelli che ancora teneva in braccio, avevano smesso di piangere; uno di loro appoggiò la testolina sulla sua spalla e si addormentò, facendo colare un po' di saliva sulla pelle scoperta del suo collo.

Crowley mise il bambino addormentato nel lettino e depositò l'altro nel box insieme agli altri.

Sconvolto, Crowley guardò Aziraphale.

«Come hai...».

Il sorriso troppo grande e troppo dolce di Fratello Francis rispose: «Non tutti i miracoli sono frivoli».

Crowley, già rosso in viso, divenne decisamente paonazzo. Certo, avrebbe dovuto pensarci, avrebbe dovuto zittire i bambini con i suoi poteri infernali; quando si trattava dei piccoli umani, però, Crowley smetteva di ragionare.

«Devo ringraziarti?».

«Meglio di no», ammise Aziraphale, e a Crowley ricordò paurosamente una conversazione già sentita, una Bentley sotto la pioggia e un thermos pieno di acqua santa.

I bambini – quelli ancora svegli – fissavano Aziraphale come si fissa un quadro di Turner: con stupore e devozione. Crowley temeva di avere un'espressione molto simile e sperò che lui non lo notasse.

«Allora io vado».

Crowley avrebbe voluto trattenerlo – ma per dirgli cosa? Grazie per avermi salvato da sette bambini arrabbiati? No, non c'era molto che potesse dirgli, non aveva scuse per farlo rimanere ancora un po'.

«Ok», rispose.

E rimase solo.

   
 
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