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Autore: _Lightning_    20/10/2019    5 recensioni
Thanos è stato sconfitto e la metà scomparsa dell'universo è tornata, andando a rioccupare i vuoti di cinque anni d'assenza. Anche Peter Parker è tornato, nonostante a volte si senta ancora su Titano e non sia certo che il costume di Spider-Man o le vesti di adolescente del Queens gli appartengano ancora. Ad aiutarlo sul suo nuovo cammino di supereroe c'è almeno Tony Stark - vivo per miracolo, anche se segnato da cicatrici insanabili.
Mentre il mondo tenta di rimettersi in marcia, coloro che lo hanno salvato vengono messi di fronte alle conseguenze delle proprie azioni: i superumani sono un aiuto o una minaccia? Non è forse vero che hanno contribuito a sconvolgere il mondo ben due volte?
Una nuova tempesta si addensa all'orizzonte, e Peter sembra destinato a trovarsi nell'occhio del ciclone...
Dal Capitolo IX: "Zona Negativa"«Parker, non te lo ripeterò: lascia perdere.»
«Altrimenti che fa? Mi toglie di nuovo il costume?» Peter allargò le braccia con aria di sfida.
«Non hai più quindici anni,» ribatté freddamente Tony. «Se non sei in grado di seguire le mie direttive, sei fuori.» Indurì le labbra in una piega severa. «E questo non è un bel momento per essere "fuori".»
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'As if it never happened'
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Spider-Man: Back In Black

 

§

 

Capitolo IV

... climbed up the waterspout



“Head down,
Swaying to my own sound
Flashes in my face now
All I know is everybody loves me
Everybody loves me”

[Everybody Loves Me – OneRepublic]

 

 

   

16 Aprile, Upstate New York

Il mattino seguente fu un frenetico susseguirsi di risvegli concitati, preparativi all’ultimo minuto, partite di acchiapparella improvvisate attorno al tavolo della cucina, richiami esasperati di Pepper, comparsate di Tony che si aggirava tra il bagno e l’armadio per metà in pigiama e per metà in completo formale e toast divorati a testa in giù sul soffitto per far ridere Morgan e farle finire tutta la colazione.

Peter si ritrovò seduto sul sedile del passeggero dell’Audi di Tony senza ben capire come vi fosse arrivato, né come fosse riuscito a liberarsi dall’abbraccio disperato di Morgan quando aveva capito che non l’avrebbe accompagnata a scuola, ma un sorriso rimase ad aleggiare sulle sue labbra nonostante la giornata si prospettasse una delle più intense della sua vita.

Tony guidò in un insolito silenzio rinforzato dagli occhiali scuri, interrotto solo dagli sporadici sbuffi e imprecazioni per il traffico congestionato dell’ora di punta. Peter non lo ruppe, sebbene gli echi della loro conversazione notturna sembrassero rimbalzare nello spazio ristretto dell’abitacolo. Si limitò ad osservare la città che scorreva fuori dal finestrino, sostituita infine dalla campagna verdeggiante dell’Upstate punteggiata da villini. Poggiò la tempia contro il vetro, socchiudendo gli occhi per il riflesso del sole, e seguì con gli occhi il moto dolce e ondulato delle colline con una lieve, crescente stretta allo stomaco.

Questa divenne una fitta quando superarono il primo cratere, subito seguito dai molti altri che ancora butteravano il suolo, parzialmente coperti dall’erba che stentava a crescere nella terra smossa. La battaglia aveva lasciato cicatrici non ancora del tutto sanate, memento di una sconfitta evitata per un soffio – per due meri schiocchi di dita. Superarono l’obelisco ai caduti, lucido marmo bianco ingrigito dal cielo nuvoloso. Sbirciò in direzione di Tony e lo trovò con lo sguardo puntato fermamente sulla strada ed entrambe le mani sul volante, come se stessero attraversando un tunnel e ai loro lati stessero scorrendo solo pareti di cemento spoglie.

Imboccò a velocità sostenuta ma controllata l’ampia curva che aggirava una collinetta – prima ricoperta di abeti, adesso brulla e parzialmente franata, con radici contorte e rami che sporgevano dal terreno – e il Complesso apparve davanti a loro. O almeno, ciò che ne rimaneva.

Le macerie erano costellate di ponteggi e transenne, una decina di ruspe e mezzi pesanti erano parcheggiati in quello che un tempo erano il patio esterno e la pista d’atterraggio del Quinjet. Lo scheletro di una nuova struttura iniziava ad ergersi all’ombra di una gru. I puntini arancioni degli operai si aggiravano nel cantiere, che loro superarono rapidamente, diretti all’edificio più piccolo approntato qualche centinaio di metri più in là, sulla riva del lago. Era poco più di un cubo di cemento, con una vetrata che si affacciava sull’acqua lucida come uno specchio grigio. Il simbolo dei Vendicatori si stagliava in cangiante metallo sopra all’ingresso principale, grande e quasi fuori luogo per quello che a una prima occhiata poteva sembrare un banale magazzino o un hangar.


Con uno stridio di gomme, Tony fermò l’auto nello spiazzo antistante la struttura, di fianco a una Harley Davidson d’epoca. Tirò poi un sonoro respiro.

«Casa dolce casa,» chiosò poi sarcastico, aprendo al contempo la portiera.

Si fermò con una suola già puntata sull’asfalto, inclinando il volto per scrutare Peter da dietro il bordo dei Ray-Ban bluastri.

«Pronto per la riunione di famiglia?»

Peter annuì con un groppo in gola, affrettandosi a scendere a sua volta.

«Certo. Prontissimo,» confermò sbattendo la portiera con un po’ troppa forza, tanto da far sobbalzare Tony, che però non commentò.

Lo vide scrollare le braccia, aggiustandosi la giacca antracite in modo che gli ricadesse diritta sulle spalle, e di riflesso Peter si lisciò impacciato le pieghe della sua camicia grigio chiaro, che si era sentito tenuto a indossare nonostante Tony gli avesse detto che avrebbe anche potuto presentarsi in tuta da ginnastica e sarebbe stato comunque vestito meglio di Rogers o Banner. Si accodò al suo mentore, che gli fece strada con le mani in tasca oltre le porte a vetri e così all’interno dell’edificio.

Non era certo la prima volta che vi entrava, ma di solito trascorreva la maggior parte del tempo nel laboratorio, e non era mai stato in sala riunioni in via ufficiale: Tony aveva insistito per farlo partecipare di tanto in tanto, dietro le quinte, così che prendesse dimestichezza con le procedure. Ma di fatto non aveva mai aperto bocca e poteva dire di conoscere solo il dottor Banner, oltre ad aver scambiato qualche parola col Capitano – ora ex-Capitano – Rogers. Non aveva mai neanche incontrato tutti i Vendicatori insieme.

Gli sembrò che l’ultimo bottone della camicia iniziasse a premergli in modo opprimente contro il pomo d’Adamo, ma trattenne la tentazione di slacciarlo e deglutì a forza nonostante la bocca secca, con gli occhi un po’ vacui puntati sulla schiena di Tony, ancora dritta davanti a lui.

 

 

 

 

16 Aprile, Complesso dei Vendicatori, Sala riunioni

 


«Sei in ritardo, Tones.»

«Buongiorno anche a te, raggio di sole.»

Tony non degnò di un’occhiata Rhodes che lo fissava in cagnesco a braccia conserte e tenne aperta la porta, permettendo a Peter di svicolare dentro nel modo più rapido, discreto e silenzioso possibile. Desiderò subito di potersi appiattire contro la parete: c’erano tutti, davvero tutti, ogni singolo Vendicatore ed eroe, anche quelli che non aveva mai conosciuto o visto di persona.

Steve Rogers era seduto a un capotavola, affiancato da Bucky Barnes e Sam Wilson; Bruce Banner, Wanda Maximoff e Scott Lang erano seduti su un lato, con Rhodes, Clint Barton e Shuri di fronte. C’erano anche due aloni bluastri in mezzo al tavolo, a segnalare due proiettori olografici per ora vuoti. L’altro capotavola e la sedia alla sua destra erano liberi, in loro attesa. Il peso di troppi sguardi incuriositi si appuntò su di lui, inchiodandolo sul posto.


Tony fu pronto a trarlo d’impaccio, sospingendolo deciso verso le loro sedie con una mano premuta saldamente sulla sua schiena:

«Lui è Peter Parker, ovvero Spider-Man; Parker, credo che tu li conosca già tutti, in un modo o nell’altro, quindi bando ai convenevoli,» esordì sbrigativo, e Peter registrò con ansia la punta di insolito, brusco distacco con cui gli si stava rivolgendo.

«S-salve a tutti, piacere,» riuscì a cavarsi fuori di bocca, con un mezzo sorriso un po’ goffo, prima di sedersi titubante sulla sedia indicatagli alla destra di Tony tra un mormorio di saluti e commenti che comprese appena.

Si diede dell’idiota e fece schizzare indeciso lo sguardo tra le sue mani contratte e l’orda di figure mitologiche che lo attorniava; lui, un semplice ragazzino del Queens che si arrampicava sui muri, in mezzo agli eroi dell’universo intero. Deglutì di nuovo, con un senso di soffocamento che lo prese alla gola.

«Dio, ragazzo, ma sei almeno maggiorenne?» sbottò Falcon, sporgendosi dal suo posto due sedie più in là e fissandolo corrucciato.

«Uh, in realtà no… ma lo sarò tra poco, ad agosto,» si affrettò a chiarire, cercando di mantenere ferma la voce e di non tentennare.

La sua risposta causò più di uno sguardo sconcertato e un paio di occhiate ostili indirizzate a Tony, che incassò la testa nelle spalle con gli occhi schermati dalle lenti fissi sul tavolo di vetro.

«Diciassette anni, Stark? Veramente? E sentiamo, quanti ne avevi a Lipsia?» rincarò a quel punto Hawkeye, a braccia incrociate e con gli occhi acuti e socchiusi indirizzati verso di loro.

«È un calcolo piuttosto facile, fringuello, dovresti arrivarci anche tu,» scandì Tony, anticipando la sua risposta senza perdere una tacca d’impassibilità e picchiettando sul tavolo con la mano ferita, in un movimento un po’ rigido.

Peter si strinse comunque le mani sotto al tavolo, sentendo una pressione fisica sulle spalle che gli toglieva le parole di bocca. Gli tornò in mente il commento di Tony della sera prima, spacciato per sarcastico, e comprese che non lo era poi così tanto. Sperò solo che il tutto non sarebbe davvero sfociato in uno scontro su larga scala, anche se solo verbale.

«Stiamo andando fuori tema,» si alzò la voce un po’ roca di Rogers, rivolgendo a tutti loro un’occhiata eloquente, resa più intensa dagli occhi che sembravano essersi fatti ancor più chiari con la vecchiaia.

«Sorprendentemente, sono d’accordo col fossile,» bofonchiò Tony, e incrociò il suo sguardo all’altro capotavola ignorando quello degli altri presenti.

«Peter, è un piacere averti qui, e credo di parlare per conto di tutti noi,» continuò poi Steve, con un sorriso gentile, che Peter si ritrovò a ricambiare timidamente. «Adesso, direi di affrontare gli ordini del giorno, visto che a quanto pare siamo tutti,» continuò poi, poggiando le mani solcate da macchie e venature sol tavolo.

«E Thor e Carol?» chiese Rhodes, aggrottando le sopracciglia in direzione dei due dischi azzurrini e ancora vuoti.

«Thor arriverà in ritardo, forse, e tanto per cambiare non credo che Danvers abbia tempo da dedicare alla Terra,» intervenne Clint, con una punta d’accusa che sembrò trovare consenso in almeno metà dei presenti.

Tony storse la bocca, ma non commentò, mantenendosi neutrale, e Peter si mosse inquieto sulla sua sedia scomoda, temendo di romperla da un momento all’altro con un movimento troppo brusco. Sentiva quei mille ingranaggi ticchettare in sottofondo e non sapeva su quale concentrarsi, né riusciva a capire se funzionassero in sincrono o se ci fossero dei difetti invisibili ai suoi occhi. Aveva l’impresisone che un suo singolo respiro troppo forte potesse inceppare il meccanismo.

«Direi che c’è un solo ordine del giorno,» parlò a quel punto Wanda, raddrizzandosi un poco per inserirsi meglio nel discorso. «Ovvero l’Atto di Registrazione,» concluse, e un’ombra di accento più marcato colse quell’ultima parola, come se la considerasse del tutto estranea.

Molti annuirono nervosi e Peter notò come Bucky si fece istantaneamente più teso, inclinandosi appena verso Steve quasi a celare il proprio braccio metallico.

«Beh, non c’è molto di cui discutere, no?» commentò Scott, sorridendo in modo ironico. «Non ci hanno ancora rivelato nulla di…»

«Io potrei avere qualche informazione di prima mano,» intervenne Tony, piattamente, scrutandoli da dietro le lenti.

Si udì uno sbuffo da parte di Clint, e Sam scosse la testa.

«Perché la cosa non mi sorprende?» commentò poi.

«Perché tu difficilmente riusciresti a ottenere un invito nello Studio Ovale, Wilson,» replicò serafico Tony, scatenando un deciso coro di mormorii perplessi che crebbe d’intensità.

Peter si sentì balzare il cuore nel petto a quella reazione. Era convinto che tutti fossero a conoscenza della loro visita a Washington… invece, a quanto pareva, Tony aveva deciso di rivelare solo ora la cosa. Non aveva nemmeno menzionato la sua presenza, quindi ritenne più opportuno tacere su quel dettaglio. D’istinto, non la reputò comunque una mossa saggia, ma non sentiva di avere le conoscenze o la dimestichezza necessarie per giudicare il modus operandi di Tony. Rimase in silenzio, stringendo le labbra e scoccando occhiate di sottecchi al suo mentore, che dal canto suo era comodamente poggiato contro lo schienale imbottito, molleggiando di tanto in tanto.

«E avresti tenuto per te la cosa… perché?» indagò Bruce, accigliandosi cupo.

Tony camuffò un’espressione seccata, non troppo da non rendere palese il suo disappunto.

«Mettiamo subito le cose in chiaro,» esordì poi, togliendosi bruscamente gli occhiali da sole per squadrarli senza filtri. «Non ho agito alle vostre spalle e non vi sto nascondendo nulla, quindi seppellite l’ascia di guerra e i vecchi rancori. Ero al Campidoglio per motivi slegati dall’Atto e ho deciso di fare una capatina da Ross perché so che il solo vedermi aumenta le sue probabilità di infarto… da cosa nasce cosa e mi sono ritrovato con un biglietto di sola andata alla Casa Bianca. Sarebbe stato scortese dare buca al Presidente, non credete?» concluse, con un’eloquente alzata di sopracciglia, sempre evitando accuratamente di menzionare il fatto che non ci era andato da solo.

Inforcò di nuovo gli occhiali con un gesto noncurante, guardando fisso Steve, che sostenne la sua occhiata senza scomporsi.

«E cosa sei venuto a sapere?» lo interrogò poi, sempre con quel tono di voce anziano e basso.

Tony scrollò appena le spalle, includendo nel proprio campo visivo tutti i presenti.

«Quello che sapevamo già, ovvero che l’opinione pubblica non ci vede di buon occhio e che il governo sta di nuovo mettendo in mezzo parolacce come “controllo”, “supervisione”, “regolamenti” e altre cose che personalmente mi fanno andare per traverso la colazione.» 

Peter notò con vivo disagio che aveva omesso la sua intenzione di tornare ad essere Iron Man, ma, quando tentò di intercettare il suo sguardo, Tony tenne il proprio saldamente puntato sugli altri presenti, ed ebbe l’impressione che lo stesse facendo di proposito.

«Non eri stato tu ad aver voluto un regolamento?» lo punzecchiò a quel punto Clint, con una smorfia sarcastica.

«Non eri stato tu a infrangere qualunque legge esistente perché la pensione ti andava stretta?» ribatté Tony, quasi annoiato.

«Vi scongiuro, non divaghiamo ancora,» intervenne Bruce, con un lieve sospiro esasperato.

Entrambi chiusero di scatto la bocca, astenendosi dal continuare quello che sembrava un battibecco piuttosto annoso. Qualcuno si schiarì sonoramente la voce, richiamando a sé l’attenzione.

«Non per interrompervi, ma... noi cosa possiamo fare? Come possiamo muoverci… sempre che, insomma, potremo muoverci, cioè, se avremo voce in capitolo?» chiese a raffica Scott, in modo sconclusionato.

Tony tossicchiò e assunse una postura impettita, quasi teatrale.

«Il Presidente Ellis ha detto che ci comunicherà lo stretto indispensabile, perché “nonostante i nostri meriti” non siamo sulla lista di “persone affidabili”, soprattutto considerando l’operato di “certi nostri ex-membri” per quanto riguarda la gestione delle “informazioni sensibili”,» declamò poi, mimando di volta in volta le virgolette con manifesto sarcasmo.

«E questo che diavolo vorrebbe dire?» scattò Clint, con un lampo pericoloso negli occhi.

«Esattamente quello che pensi, Barton,» s’incupì Tony, irrigidendo la mascella. «Suppongo che a Ross non sia ancora andata giù la fuga di dati in seguito all’incidente Insight, e abbia influenzato il nostro beneamato Presidente,»

«E vuoi ancora stare a sentire quel bastardo invece di spaccargli la faccia?» continuò Barton, parlandogli sopra. «Io avrei…»

«Tu avresti mandato a puttane ogni trattativa, ed è esattamente questo il motivo per cui sta facendo lui da intermediario,» lo interruppe seccamente Rhodey, venendo in aiuto e zittendo Barton.

«Quindi permettiamo che sputino sulla memoria dei nostri caduti solo per tenerceli amici? Sei davvero così superficiale, Stark?» intervenne Wanda, glaciale.

«Maximoff, Rogers e io abbiamo contrattato per mesi col governo russo per far seppellire Nat qui e non a Mosca. Non mi definirei superficiale,» sbottò Tony, tagliente, con voce a stento ancora moderata.

«Lei sarebbe stata la prima a dire di evitare i colpi di testa,» intervenne Steve, con voce mesta e il mento reclinato sul petto.

«E che siamo veramente incapaci di badare a noi stessi senza lei a farci da balia,» aggiunse Bruce, suscitando un sorriso malinconico sui loro volti.

Peter rimase in silenzio, sentendosi contagiare da quella tristezza collettiva pur non avendo mai davvero conosciuto l’agente Romanov. Di lei aveva solo qualche fotogramma strappato allo scontro a Lipsia: troppo poco per conoscerla, abbastanza per ricordare degli occhi letali piantati in un viso troppo dolce, con la curva delle labbra perennemente inclinata in un’espressione scaltra.

Quella breve parentesi di raccoglimento fu interrotta da ronzio proveniente da uno dei due dischi olografici, che sfrigolò e traballò fino a mostrare la sagoma inconfondibile di Thor, a braccia incrociate e con uno spesso mantello a pendergli dalle spalle.

«Salve, Vendicatori,» esordì formalmente, con un cenno del capo biondo che gli fece scivolare qualche ciocca davanti al volto.

«Thor, non ti aspettavamo più,» lo accolse Steve, e anche gli altri lanciarono qualche parola di saluto all’asgardiano.

Lui li scrutò uno ad uno e Peter percepì nettamente il modo in cui i suoi occhi diseguali si soffermarono leggermente più a lungo su di lui, come a inquadrarlo. Ricambiò con un impercettibile cenno della testa, messo in soggezione, e questo sembrò bastare al semidio, che rimase silenziosamente in ascolto mentre Steve gli riassumeva rapido la breve parte di riunione che si era perso.

«Tutto questo come influirebbe su Nuova Asgard?» s’interessò infine, tirandosi distrattamente una treccina nella folta barba e facendo tremolare l’ologramma.

«Non credo proprio che gli Stati Uniti siano interessati a un’altra guerra aliena,» replicò tranquillo Steve. «Non è un’iniziativa su scala globale: l’ONU si è fatta da parte, forse solo la NATO potrebbe esserne influenzata in futuro,» concluse Steve, sottolineando quel concetto come se dovesse in qualche modo essere rassicurante.

«Vedo che almeno hai studiato un po’ di geopolitica, durante il tuo corso di recupero estensivo nel passato,» borbottò Tony a mezza voce, rivolgendogli un sorrisetto che Steve ricambiò, alzando le spalle ossute.

«E il fronte mistico?» chiese Wanda, ignorando quello scambio e inclinando appena il capo mentre giocherellava con una lunga ciocca rossiccia.

«Strange rimane nel suo eremo, almeno così mi ha detto» replicò Tony. «I Sancta Sanctorum non si sono mai affiliati a nessuno e fanno parte a sé. E dubito che qualcuno del Congresso voglia imbarcarsi fino a Kamar Taj per consegnare loro un ordine di comparizione.»

«Conveniente,» commentò Scott. «E scusate la domanda improvvisa, ma… se c’entrano solo il caro vecchio Nuovo Mondo, tu perché sei qui?» chiese poi, scrutando Shuri, che alzò le spalle esili parlando per la prima volta:

«Sono qui solo in veste di osservatrice. L’iniziativa riguarda gli Stati Uniti, ma mio fratello vuole tener d’occhio la situazione. Non sarebbe la prima volta che il Wakanda viene coinvolto nell’onda d’urto di decisioni avventate,» concluse, con lo sguardo che oscillò tra Tony, Bucky e Steve.

Peter percepì un pizzicore lungo i nervi nella frazione di secondo in cui gli sguardi di Tony e Bucky s’incrociarono, rompendo quel contatto altrettanto repentinamente. Si accigliò, osservando di nascosto Tony, ma lui aveva già recuperato il proprio aplomb.

«Signori, non per risultare molesto…» intervenne poi, con un gesto che servì a richiamare l’attenzione di tutti, «… ma vogliamo concentrarci sul problema? Ovvero che qualcuno ha intenzione di stilare un appello arbitrario di tutti i supereroi su suolo statunitense come se fossimo scolaretti?»

«Non vedo un vero problema, Tony,» commentò Bruce, scuotendo appena la testa perplesso. «Sanno già tutto su di noi, perché dovremmo…»

«So che detto da me è assurdo, ma il mondo non ruota solo attorno a noi,» lo rimbeccò Tony cercando lo sguardo di Steve, che si fece più serio, in un moto di comprensione.

«Tutti i presenti sono tutelati dagli Accordi,» dichiarò allora l’ex-Capitano, pacatamente, per poi rivolgere uno sguardo prima a Scott e poi a Peter, che si mosse di nuovo inquieto.

«Visti i precedenti sto cercando di non interpretarlo come sarcasmo, nonnetto,» borbottò Tony, per poi notare la direzione del suo sguardo e tirare le labbra.

«Dobbiamo però considerare anche coloro che non fanno parte dei Vendicatori e che ad oggi proteggono strenuamente la loro identità segreta,» continuò Steve, puntando un indice contro il tavolo.

La bolla di silenzio che seguì fu assordante e a Peter sembrò quasi un richiamo, al quale non fece in tempo a opporsi:

«Quindi…» esordì, con voce un po’ troppo stridula che lo fece sembrare ancor più piccolo. «… qui dentro l’unico problema sarei io?» concluse comunque, più saldo, deglutendo rumorosamente e puntandosi un pollice sullo sterno.

Gli occhi di tutti si spostarono su di lui, in un gesto di conferma. Tony sospirò, ora visibilmente agitato.

«Tu, lui,» indicò Scott, che fece una smorfia, «il diavoletto di Hell’s Kitchen, quei tizi usciti da Street Fighter, un folle armato di katane e un mucchio di altri casi umani fuori New York che hanno molto poco in comune con voi e molto più con un soggiorno a Ryker’s o Seagate,» sciorinò, seccato.

«Possono non piacerti i loro metodi, ma ripuliscono le strade,» osservò laconico Clint.

«Fossi in te, mi asterrei dal commentare,» gli suggerì Bruce, insolitamente brusco. «Hanno messo una buona parola per via del tuo contributo, ma…»

«Non c’è bisogno che me lo ricordi,» scattò Clint, mordace. «Penso solo che se si rifiutano di registrarsi dovrebbero essere regolamentati, non messi in gabbia,» continuò poi, stentoreo.

«Perché ho un senso di deja-vù?» sospirò Rhodes, a mezza voce, e Tony intercettò il suo sguardo, prima di prendere la parola:

«Stiamo parlando di soggetti maggiorenni, socialmente emarginati e con una fedina penale chilometrica. Lang, esclusi i suoi… torbidi precedenti, non rientra nei parametri. E tanto meno Peter, Cristo, va ancora a scuola,» disse tra i denti, facendo scattare gli occhi qua e là.

«Sì, insomma… non sarò il più virtuoso qua dentro, ma non credo di meritarmi un altro soggiorno alla RAFT,» commentò Scott, stringendosi nervoso nelle spalle e scoccando un’occhiata leggermente risentita a Tony.

«Qui nessuno sta parlando di RAFT,» specificò subito questi, con un gesto perentorio. «E non ho dato io l’OK per quella roba. Vorrei che fosse chiaro una volta per tutte,» aggiunse, stizzito.

«Stark, non è questo il punto,» lo rimbrottò Wanda, gelida.

«No, infatti, quindi non capisco perché continuiamo a tornarci, Grimilde,» concordò lui, altrettanto freddo.

Peter fu attraversato da un lieve brivido nell’intercettare il picco di magia che attraversò l’aria; sembrò l’unico a farci caso, e si sforzò di non darlo a vedere. Percepiva il cuore di Tony che batteva accelerato accanto a lui, e anche gli altri esternavano cenni di nervosismo più o meno evidenti, soprattutto Clint e Scott. Bucky si passò una mano tra i capelli corti, tirandosi la frangia come se dovesse ancora abituarsi al nuovo taglio. Thor osservava tutto in modo distaccato, ma vi era un cipiglio cupo sul suo volto seminascosto dalla folta barba. Shuri manteneva un diplomatico silenzio, sedendo compostamente e in modo insolitamente regale rispetto al suo tipico atteggiamento estroverso, gli occhi scuri che perlustravano la stanza.

Peter si sentiva in un campo minato e si immobilizzò sul posto, temendo che ogni respiro di troppo potesse scatenare un’esplosiva reazione a catena.

«Il minimo che possiamo fare è evitare un’altra caccia all’uomo,» intervenne in quel mentre Bucky, parlando per la prima volta e venendo accolto da un momento di silenzio.

«Grazie, Zoolander, sentivamo tutti il bisogno della tua opinione scontata,» masticò acido Tony, senza nemmeno guardarlo.

«Tony.»

Il richiamo di Steve tagliò secco l’aria, suscitando uno sbuffo da parte sua e qualche occhiata perplessa.

«Cosa?» sbottò lui, con fare annoiato. «Ho detto che ha ragione, devo anche stringergli di nuovo la mano?» specificò poi, aggiustandosi meglio gli occhiali sul volto.

Steve trattenne visibilmente un sospiro, ma lasciò cadere la questione, di qualunque cosa si trattasse. Peter adesso era seriamente preoccupato per il ritmo discontinuo del battito di Tony, e gli rivolse una discreta occhiata laterale, sorprendendolo a fissarlo accigliato. Distolse immediatamente lo sguardo, per poi concentrarlo sul piano lucido del tavolo.

«Nessuno vuole un’altra caccia all’uomo,» ribadì Steve, una volta accertatosi che la situazione tesa fosse rientrata, per quanto possibile. «E direi che l’ultima parola spetta ai diretti interessati,» concluse, guardando alternatamente Scott e Peter, che desiderò di avere addosso la tuta dell’altro per poter rimpicciolire all’istante sotto il peso di quello sguardo centenario.


«Io ho famiglia,» dichiarò Scott, senza esitazioni. «Ed è già… è già abbastanza complicato, per Cassie, senza che io venga anche coinvolto in… in un qualcosa che non so neanche se andrà a mio vantaggio. No, aspettate: non andrà affatto a mio vantaggio, in nessun caso,» si corresse subito, scuotendo la testa. «Ci sono già passato, e non ho intenzione di rivelarmi al mondo e metterli di nuovo in pericolo, non ora che… che abbiamo ritrovato un equilibrio,» concluse, più serio di quanto Peter l’avesse mai visto prima.

Colse un cenno d’assenso molto esplicito da parte di Clint, che poi incassò la testa tra le spalle con espressione quasi malinconica.

Nessuno commentò, e tutti spostarono la sua attenzione su Peter, che quasi sobbalzò, sapendo che era il suo turno per parlare. Solo che non aveva assolutamente idea di cosa dire, o meglio, di come dirlo. Quel vortice di fili che gli si annodava in testa non era certo più sbrogliato della sera prima, e tirandone uno rischiava di sfaldare l’intera tela, trascinando con sé mille altre questioni in bilico.

Però… quella era l’
unica risposta davvero chiara che aveva. L’unica che rimaneva immutata a prescindere da tutti gli intrecci che avrebbe potuto intessere. L’unica cima di sicurezza, il suo filo conduttore: no, non voleva rivelare la propria identità segreta, assolutamente no.

Non riusciva neanche lontanamente a immaginare le possibili ripercussioni che una rivelazione del genere avrebbe potuto avere sulla propria vita… ma al centro di tutte c’era May. E Ned, e MJ, e Tony. Possibili vittime, tutti loro, per causa sua. Lui stesso – Peter Parker, non Spider-Man – una possibile vittima. Era già sparito tra le braccia di Tony e aveva già lasciato un vuoto incolmabile nella vita di May. Una volta era abbastanza.

Prese fiato per rispondere, ma fu anticipato:

«Per ora la posizione di Peter sulla faccenda, in quanto minorenne, è subordinata al volere della zia, suo tutore legale,» intervenne con formale decisione Tony, troncandolo sul nascere.

Peter si voltò di scatto verso di lui, serrando le labbra risentito, le guance che si gonfiavano leggermente in quell’espressione affatto minacciosa che gli si dipingeva sul volto quando si alterava.

«Credo che Peter sia in grado di esprimersi da solo, Tony,» lo redarguì pacato Steve, poggiandosi flemmaticamente sui gomiti e scoccando a lui uno sguardo placido che Peter interpretò come un incoraggiamento.

Esitò. Coglieva le occhiate scottanti che gli stava inviando Tony, ammonitrici, quasi spaventate oltre il filtro blu e freddo delle lenti. Sentì la rabbia montare per un singolo istante, pronta ad erompere, per poi essere lenita subitaneamente da parole pronunciate da lui stesso: mi fido. L’aveva detto, ma non stava traducendo quelle parole in azioni.

Ricordò l’ultima volta che non aveva dato ascolto a Tony e represse un sussulto. Era stata l’ultima volta per cinque anni, quello era certo, e coglieva l’urgenza nel modo in cui Tony continuava a fissarlo, rigido e contratto.


«È vero,» sparò infine, e si sforzò di assumere un tono adulto nonostante ciò che stava per dire non lo fosse affatto. «Devo ancora discuterne con lei, non potrei mai tenerglielo nascosto,» si affrettò a spiegare, cercando di mettere in sordina il fatto che l’ultima parola, secondo Tony, sarebbe spettata a lei. «Ho già le idee molto chiare, riguardo all’Atto,» proferì poi, con un moto di fierezza che gli sembrò subito esagerato. «Ma non posso agire alle sue spalle,» concluse, alzando appena il mento con decisione, perché quella parte era assolutamente vera, veniva dal profondo del suo cuore.

Si era ripromesso di non mentire mai più a zia May da quando aveva scoperto di Spider-Man, ma si era ritrovato a disattendere quella promessa fin troppo spesso, soprattutto ultimamente. E, almeno in questo caso, le doveva l’assoluta sincerità. Quando avrebbe trovato il coraggio di parlarle, s’intende.

I presenti lo fissarono attentamente, valutandolo, soppesando quel loro nuovo membro troppo giovane e troppo inesperto, e Peter si obbligò a non vacillare sotto gli sguardi degli eroi che aveva ammirato per una vita intera. Tony gli rivolse un impercettibile cenno del capo, e Peter dedusse di essersi mosso sulla sua stessa lunghezza d’onda. Se poi si sarebbe anche rivelata quella giusta,  non sapeva ancora dirlo.

 

 

 

 

16 Aprile, Complesso dei Vendicatori, Upstate New York

 

L’aria al di fuori della sala riunioni era decisamente più respirabile, e Peter assaporò appieno quel misto di mobili nuovi, deodorante per ambienti e caffè, ancora non del tutto familiare.

Lui e Tony divorarono in pochi bocconi due muffin a testa scovati nei meandri di una credenza, un pranzo di fronte al quale sia May che Pepper sarebbero inorridite, e sul volto di entrambi si dipinse un sorriso furbetto, a metà tra il colpevole e il compiaciuto. Dopo, Tony gli porse una lattina di Coca-Cola alla vaniglia, prendendola dal frigo con la punta delle dita e tenendola il più possibile lontana da sé, con un’espressione di puro disgusto stampata in faccia. Peter alzò gli occhi al cielo, l’accettò e prese poi un sorso di quell’intruglio che, chissà perché, dal morso del ragno non trovava più disgustoso nella sua dolcezza da capogiro.

«Quella,» esordì Tony, indicando la bevanda, «è l’unica cosa a questo mondo che non riesco a spiegarmi. E ne ho viste, di cose strane,» sottolineò, prendendo un sorso del suo caffè doppio senza zucchero.

Peter alzò le spalle con un sorrisino, continuando a bere con gusto. 
Nonostante le sue solite battute, era evidente che Tony fosse ancora abbastanza teso, soprattutto perché la seconda parte della riunione li attendeva dopo la mezz’ora di pausa pranzo, e Peter stesso si sentiva ancora sulle spine, come se qualcosa lo spingesse a rimanere costantemente sulle punte dei piedi, col rischio di ustionarsi sui carboni ardenti sottostanti.

«Avevo detto a Rhodey di lasciarti il posto accanto a Shuri, ma quel somaro non mi ha voluto dar retta,» continuò poi Tony, sogghignando da dietro la sua tazza.

Peter evitò di dare una replica della sera prima e finì di bere prima di rispondere, senza poter però impedire alle sue guance di incendiarsi:

«Signor Stark, la smetta di impicciarsi,» disse, e voleva suonare scherzoso, al massimo un po’ petulante, ma finì per risultare più serio di quanto intendesse. «Non… non in quel senso,» aggiunse quindi, a stemperare il suo scatto, ma rimase inevitabilmente accigliato.

Tony prese un altro sorso di caffè, per poi schioccare la lingua, senza risentirsi.

«Non è stato molto… elegante, da parte mia,» ammise poi, sfuggendo il suo sguardo, col proprio ancora schermato dai suoi perenni scudi Ray-Ban. «Avrei preferito evitare di farti passare da bella statuina,» sbottò, adesso chiaramente a disagio.

Peter meditò se fargli pesare ulteriormente quel suo intervento decisamente poco lusinghiero nei suoi confronti, e si morse le labbra per non farlo. Era chiaro che il suo mentore avesse la sua ricca dose di problemi da gestire, molti dei quali a lui incomprensibili nonostante lo riguardassero.

«Lo stava facendo per il mio bene. Non mi è piaciuto, questo no… ma credo di capirne il senso,» gli concesse Peter, seppur un po’ duramente. «Ma… ma è chiaro come il sole che la penso come Scott. Insomma, perché dovrei avere un’opinione differente, e perché loro dovrebbero aspettarsi che…»

«Fa parte del gioco, Pete,» lo fermò Tony, facendosi più serio, quasi tetro. «Mai esporsi, mai prendere esplicitamente posizione se non si è certi che sia solida, e soprattutto mai farlo quando non si sa la posta in gioco,» scandì, fissandolo negli occhi oltre il bordo degli occhiali.

«La posta in gioco,» ripeté Peter, deducendo che quell’espressione avesse per Tony un significato molto diverso da come la intendeva lui.

La posta in gioco era la sua famiglia e l’abilità di proteggerne i componenti. Non gli riusciva di allargare la propria visione ad altro. Si rendeva conto lui stesso di quanto fosse limitata. Focalizzata su un solo obbiettivo, mirata. Tony invece aveva sempre una veduta aerea, panoramica, esattamente come quando erano in missione in coppia e si dividevano i compiti. Erano una buona squadra. Una vita fa, ormai – almeno ufficialmente.

«Intendo le conseguenze,» rispose con ovvietà Tony. «Che succederà se ti schieri? Come reagirà il governo? Si tratterà di semplici limitazioni al tuo operato, di una multa per ogni ragnatela che spari, o rischiamo di vederti portare alla RAFT

«Ma lei ha detto che la RAFT…»

«Lo so cosa ho detto,» decretò Tony, un po’ bruscamente. «Ma non sono io a decidere. Non sono mai stato io a decidere, e il solo pensiero che tu ti possa avvicinare a quel posto maledetto mi toglie il sonno,» aggiunse, scrollando la testa in un moto frustrato per poi inspirare bruscamente, come se si fosse esposto troppo.

Poggiò poi la tazza in modo repentino, con un lieve tremito delle dita, e si strinse la mano ustionata premendo con forza il pollice contro il palmo segnato; trattenne una smorfia che a Peter parve dolorante.

«Signor Stark, sta…» cominciò, facendo per avvicinarsi, ma Tony si ricompose all’istante, frenandolo con un gesto.

«Sono crampi, ce li ho in continuazione e non è nulla di cui preoccuparsi. Non cambiamo argomento,» lo incitò poi, in fretta e poco convincente, tornando a stringersi la mano nel chiaro tentativo di distendere un muscolo contratto. «Voglio che tu rimanga nel “limbo” finché possibile, perché al momento è la posizione più sicura. Queste cose si muovono con lentezza, con quei pachidermi di burocrati a gestire il tutto, e vengono applicate ancor più lentamente. Con tutta probabilità gli Accordi di Sokovia sarebbero entrati in pieno vigore anni dopo la loro firma, se noi non ci fossimo messi a bisticciare come ragazzini esaltati,» portò ad esempio, con una secca alzata di sopracciglia che la diceva lunga, su quanto ancora gli bruciasse quel diverbio.

Mille domande premettero sulle labbra di Peter, ma si sforzò di contenerle. Tony non amava parlare della cosiddetta Guerra Civile: si portava quell’ombra negli occhi ogni volta che veniva menzionata, ma non l’aveva mai esternata. E questo non gli sembrava il frangente più adatto per ripescarne fuori il ricordo. Magari, dopo tutta questa faccenda, gliel’avrebbe chiesto. Davanti a una porzione maxi di Follia Stark al cioccolato e Spider-Pops, possibilmente, così da addolcire la sua richiesta indiscreta.

«Non potrò rimanere in eterno nel “limbo”,» osservò poi, sentendosi formicolare le dita nell’esprimere quel pensiero con quelle parole.

Il senso di ragno pigolò a intermittenza, incerto, come se non sapesse neanche lui in che direzione orientarsi, e sentì le pupille che si dilatavano appena, rendendo fastidiosa la luce delle lampade. Si umettò le labbra, cercando un punto d’equilibrio senza capire come potesse essersi sbilanciato, e si poggiò con forzata noncuranza al lavello dietro di sé, prendendo un sorso della bibita.

«No, infatti,» concordò Tony scrutandolo con attenzione, come se avesse intuito il suo turbamento; ad ogni modo, parve decidere di non darvi peso. «Ma sei in una posizione scomoda, nel microcosmo della tua Grande Mela,» continuò, con una decisione e un intento quasi studiati che misero in leggero allarme Peter, come se avesse mirato sin dall’inizio a quell’argomento spinoso.

Non era stato del tutto onesto con Tony riguardo al suo operato e il suo mentore aveva la preoccupante abitudine di portarsi sempre un passo avanti a tutti senza farsi notare. Si diede dell’ingenuo per aver pensato di poter svicolare al suo controllo, e allo stesso tempo si risentì, perché avrebbe comunque dovuto essere in grado di sfuggirgli. In realtà non avrebbe nemmeno dovuto essere “controllato”: il tempo del Protocollo Triciclo era finito da un pezzo. Masticò tra sé tutte quelle considerazioni, tacendo e cercando di mantenersi in precario equilibrio sulle sue stesse bugie, che a questo punto lo stavano più che altro avvolgendo come una delle sue dannate ragnatele.

Fissò lo sguardo sul palmo di Tony, ormai sbiancato dalla pressione che vi stava esercitando, e arricciò le labbra, mordicchiandosele nervoso.

«Non mi sembra che sia cambiato poi così tanto, da… da prima, ecco» concluse, saltando a piè pari quel “cinque anni fa” ancora troppo rumoroso da pronunciare.

Tony strinse di scatto la sinistra in un pugno e poi la rilassò, distendendo finalmente anche il volto in un moto di sollievo, con solo una piega appena accennata a segnargli gli angoli della bocca. Peter si rilassò assieme a lui, e cercò di mettere in secondo piano la propria preoccupazione.

«Beh, non direi,» ribatté poi, pacato, ma studiando attentamente la sua reazione. «Tanto per cominciare, quell’idiota molesto del Daily Bugle ti sta col fiato sul collo. E poi sai che Osborn vincerà le elezioni,» aggiunse, storcendo le labbra con palese disappunto.

Peter contò quattro battiti accelerati del proprio cuore prima di rispondere:

«Di politica non ne capisco nulla, gliel’ho detto,» disse alzando le spalle con fare volutamente impacciato e con le parole di Yuri che gli risuonavano in testa, troppo simili a quelle di Tony.

L’idea che Osborn diventasse sindaco di New York iniziava a causargli un vivo senso di repulsione, soprattutto pensando agli equilibri sul filo del rasoio con Fisk. Si sfregò il retro del collo, scacciando un prurito immaginario.

«No, infatti. Eppure, hai comunque pestato i piedi a chi gli copre le spalle,» osservò puntualmente Tony.

Peter quasi boccheggiò.

«Io non ho… come fa a… non mi ha monitorato, vero?» sbottò poi, senza riuscire a trattenersi.

L’altro sospirò sonoramente e sembrò persino un po’ dispiaciuto per quel suo saltare alle conclusioni.

«Non li vedi, i telegiornali?» chiese invece, ignorando la sua accusa indiretta. «“Spider-Man sulle tracce della malavita newyorkese?”. Il sequestro al magazzino? Non si parla d’altro, e anche se per ora sei citato solo fra le righe e per sensazionalismo, devi iniziare a guardarti intorno, Pete… soprattutto quando sconfini dal tuo “quartiere”,» proseguì poi, e lui non riuscì a capire se fosse un’accusa o meno.

Di certo, la cosa sembrava impensierirlo più del necessario, e non aveva davvero bisogno del suo mentore che seguiva ogni sua mossa proprio in questo momento. Non adesso che poteva finalmente portare a termine qualcosa di buono, che lo facesse di nuovo sentire a casa, nel mondo reale.

«Ho solo seguito una pista di Yuri, cioè… del Capitano Watanabe,» cercò di minimizzare.

«Una pista che ha attirato l’attenzione di due degli uomini più influenti e pericolosi di New York,» lo rimbeccò Tony, e inclinò appena la testa mettendo involontariamente in risalto il lato ferito, che gli dava un’aria più severa. «Non è proprio il momento di puntarsi addosso i riflettori, ragazzino,» concluse, rendendo infine palese la propria disapprovazione.

Peter colse una debole eco del tono duro che aveva usato quella volta a Staten Island, ma non era più un “ragazzino”. Non lo sarebbe stato in circostanze normali, e tantomeno lo era adesso.

«Lo so, signor Stark. Lo so,» rispose però, in modo quasi meccanico. «Sto solo cercando di fare il mio dovere, gliel’ho già detto,» disse poi, cercando di sfuggire all’ennesima discussione che lo faceva sentire con le spalle al muro.

Tony sospirò e, di nuovo, parve insolitamente mesto. Ammorbidì il tono, forse memore della sera prima.

«È difficile, Pete. Ci sono passato anch’io per la fase del “voglio fare ciò che è giusto e fregarmene degli altri”… ma non funziona sempre così,» dichiarò, con una punta d’amarezza.

«Io però voglio farlo senza avere un’identità pubblica,» ribatté lui, rendendosi conto in ritardo di averla fatta suonare come una velata accusa, quando in realtà aveva sempre ammirato la scelta di Tony, il suo rivelarsi al mondo per chi era realmente.

Con sua sorpresa, Tony ridacchiò.

«Per fortuna che non vuoi essere come me al cento per cento,» sorrise sotto i baffi. «E non devi,» aggiunse, sempre col sorriso, ma con una punta di serietà in più che richiamava vecchie discussioni.

Peter fece un piccolo sorriso in risposta, stringendosi nelle spalle e finendo in un sorso il resto della sua bibita per evitare di doversi esprimere. Sapeva ciò che intendeva Tony, ma non aveva ancora la minima idea di come diventare “migliore di lui”, o essere anche solo alla sua stessa altezza.

«Quindi… per quanto devo rimanere nel… nel “limbo”?» chiese poi, trattando ancora quella parola come se avesse dei lati aguzzi e taglienti che avrebbero potuto ferirlo.

Tony si accigliò, volgendo brevemente gli occhi verso il soffitto.

«Uh… direi che sarebbe sensato tenerti in disparte finché non sarai maggiorenne,» concluse infine, rispondendogli senza guardarlo direttamente. «Magari non subito, prima vorrei almeno organizzarti una festa coi fiocchi e farti prendere la patente,» sorrise poi, strizzandogli l’occhiolino a ricordargli le lezioni di guida che avevano avuto in programma cinque anni prima.

Peter però non sorrise in modo spontaneo e si agitò sul posto, sfregando le suole delle scarpe contro il pavimento.

«Fino ad agosto? Non è… non è troppo? Insomma… sono quasi quattro mesi. E se…»

«Tempo al tempo, ragazzo,» lo bloccò Tony, di nuovo con quel suo fare un po’ saputo di chi è abituato a muoversi in acque peggiori. «In quattro mesi potrebbe succedere di tutto. Mi concedo in via del tutto eccezionale un po’ di ottimismo: potrebbero anche cestinare in toto l’Atto di Registrazione,» scherzò, anche se era evidente quanto quella fosse una possibilità remota. «Fai solo il tuo lavoro, ragnetto: lascia stare i pezzi grossi e continua a essere il miglior vigilante che New York abbia mai avuto,» concluse, sporgendosi per scompigliargli burberamente i capelli.

Peter arrossì, lusingato ma poco convinto, e si risistemò le ciocche sulla fronte con dita nervose. Intuì che la discussione era giunta al termine quando Tony gettò un’occhiata all’orologio da polso, sollevando le sopracciglia. Peter colse con la coda dell’occhio Sam e Bucky che camminavano appaiati verso la sala riunioni parlottando vivacemente tra loro, seguiti poi a ruota da Wanda e Shuri.

«Già, è ora,» dichiarò Tony, uscendo dalla zona cucina e facendogli cenno di seguirlo. «Puoi tornare a casa, se vuoi, chiamo Happy per farti venire a prendere. Il resto della riunione durerà all’infinito e sarà una noiosa accozzaglia burocratica riguardo all’annullata Decimazione, con troppi nomi da ricordare, sproloqui finanziari e…»

«No, voglio rimanere,» ribatté Peter, annuendo tra sé. «Anche solo per ascoltare, per… per farmi un’idea. Sono un Vendicatore, dopotutto, no?» alzò le spalle, pesanti per quel titolo che portava ora con orgoglio, ora controvoglia.

Tony strinse appena le labbra e, anche quando sorrise, i suoi occhi rimasero seri, adombrati dalle lenti.

«Giusto,» rispose, un po’ meccanicamente, per poi sciogliere la sua espressione tesa. «Bene, almeno mi terrai sveglio: accuso sempre una certa sonnolenza quando si parla di burocrazia dopo pranzo…» sbuffò, facendogli strada giovialmente verso la sala riunioni.

Peter lo seguì con un pizzico di sicurezza in più nei propri passi, ascoltandolo con un orecchio solo e i pensieri rivolti altrove, sferraglianti di fervida attività anche nel corso della riunione. Arrivò alla sua propria conclusione riguardo a Fisk, a Osborn e al suo compito come “miglior vigilante” di New York, ed era abbastanza sicuro che non coincidesse con quella di Tony. Ovvero, che aveva poco più di tre mesi per mettere la parola fine alla sua indagine, e dimostrare a se stesso, alla città e al suo mentore che quel titolo se lo meritava davvero.




 
Note dell’Autrice:

Massalve!
Non aggiorno questa storia da... da troppo, in effetti. Avevo promesso un aggiornamento entro fine settembre, ma ci si è messa di mezzo la vitah e mi sono ritrovata a procrastinare come se non ci fosse un domani. A dir la verità mi ero un po’ scoraggiata con la storia in generale, e per questo ringrazio infinitamente in primis voi che avete recensito e la avete aggiunta alle seguite e alle altre liste anche mesi dopo l’ultimo aggiornamento <3 Un grazie speciale va a
Miryel, che mi ha giustamente dato una sonora strigliata inseguendomi con una ciavatta, oltre a una montagna d’incoraggiamento per rimettermi al lavoro col caro Petey-Pie :’) Grazie Co’, si nun era per te nun ce la potevo farcela! [cit.] <3

Bando alle smancerie, e spero semplicemente che il capitolo vi sia piaciuto, sebbene di raccordo; consideratelo un modo per riprendere un po’ il ritmo narrativo :D
Un bacione a tutti voi, e spero a presto,

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