Non un rumore, nemmeno un cinguettio.
L’aria era permeata da un
silenzio noto solo a chi viveva in città. Quel rarissimo
silenzio che si creava quando non passavano macchine, né
persone; le strade allora diventavano vuote, tutto un unico, grande
deserto d’asfalto, condito dal borbottio del treno che
sfrecciava sulle rotaie in lontananza e il lieve fruscio di quei pochi
alberi che crescevano nel quartiere. Dipingevano chiazze grigiastre sui
tetti, sulle finestre e un po’ per terra, imitando un quadro
astratto.
Tutto era permeato da un beato mutismo.
Non sbattevano nemmeno le porte che, ogni mattina, salutavano di
continuo gli inquilini delle case. La via era tranquilla.
Cercando di preservare quella pace, la
donna si sedette lentamente sul gradino del genkan. Prese le
scarpe dalla suola consumata e fece per indossarle.
«Mi dispiace chiederti questo
proprio mentre sei in vacanza...» sussurrò.
«Non scherzare,
mamma.» rispose il ragazzo. Aveva una voce profonda, ma
dolce. «Non vuoi che vada io? Sicura?»
La donna scosse la testa. Un sorriso
stanco si fece strada tra le rughe.
«Starò via solo per
un paio d’ore.» rispose, alzandosi.
«Tranquilla! È
tutto sotto controllo. Ci penso io.» gonfiò il
petto «D’altronde, l’ho sempre fatto
bene.»
La madre non poté fare a meno
di sorridergli. «Anche
se adesso andrà in prima superiore, non cambierà
mai...» Raccolse
la borsa e iniziò a incamminarsi. «Allora a
dopo, tesoro.»
Con un gesto veloce, Kojiro la
salutò e chiuse la porta. Fissò per un attimo il
corridoio, poi iniziò a girovagare. Tirò un
sospiro.
Era vuoto.
Silenzioso.
Pacifico.
Non poteva desiderare di meglio.
Era da tanto che non passava una
mattinata a tenere d’occhio quelle tre pesti. Se
l’era sempre cavata bene, non c’era nulla di cui
preoccuparsi; probabilmente sarebbero rimasti addormentati fino a
tardi. Certo, lui preferiva che si svegliassero sempre presto, ma sotto
vacanze poteva concedere un’oretta o due in più.
Aprì leggermente lo shoji della loro
camera - giusto uno spiraglio. Avvolti nelle braccia del buio,
s’intravedevano tre futon stesi per terra, tutti
rigorosamente in fila. Dalla sua vecchia coperta verde con i palloni da
calcio, spuntavano i ciuffi di Takeru. Nel marasma blu s’era
agitato Masaru. Tra i petali di ciliegio della coperta rossa dormiva
Naoko. Aveva tra le mani un libro sugli yokai. Ultimamente
s’era appassionata al genere horror.
«Che bello quando dormono...»
Entrò per coprire Masaru,
cosicché non prendesse freddo e poi - sempre in rigorosa
punta di piedi - fece scivolare il pannello e scappò via.
Arrivato in cucina si preparò
un tè. Mentre aspettava il gorgolio dell’acqua,
tirò fuori un libro di testo dallo zaino. Doveva
approfittarne, perché sapeva che quella situazione non
sarebbe durata a lungo.
E aveva ragione. Non passò
neanche mezz’ora, che uno strillo squarciò le
pareti di casa e gli fece quasi sputare il tè.
Tump!
Tump!
Tump!
TuTumTumTUMTUMP!!
I passi frenetici dei bambini rimbombarono per il corridoio. Kojiro
iniziò un conto alla rovescia. «Tre...»
«Uno...»
«FRATELLONE!»
Kojiro sussultò. Quella non
era per niente la situazione che s’immaginava. Niente lagne
sulla colazione? Sul sonno? Avevano fatto un incubo?
«Che succede?»
«È TUTTO
ROSSO!» esclamarono Takeru e Masaru in coro.
«Cosa è tutto
rosso?»
«IL LETTO DI NAOKO!!
È TUTTO ROSSO!!» continuò il
più piccolo, boccheggiando. Aveva il moccio al naso e dei
lacrimoni enormi che gli scendevano giù per le guance rosse;
c’era una paura inusuale sul volto di entrambi.
Con uno sguardo incredulo, Kojiro si
ritrovò a dover inseguire i due fratellini in camera.
***
Arrivarono in fretta e furia. Al centro della camera ancora buia
c’era Naoko, che stava piangendo disperatamente. Kojiro le si
avvicinò preoccupato.
“Non è colpa
mia...” singhiozzò la bimba, spostando con
pesantezza la coperta, rivelando una grande chiazza. Teneva le gambe
divaricate, i pantaloni dei pigiama tutti inzuppati. Il ragazzo
appoggiò un attimo le dita sulle lenzuola per accertarsi
fosse ciò che pensava.
Si sfregò le dita arrossate
— sì. Era decisamente sangue.
«NON È COLPA MIA,
LO GIURO!»
«Lo so, piccolina. Lo
so.» le rispose il fratello maggiore. Le accarezzò
la testa dolcemente. «Adesso risolviamo...» Prese
un bel respiro, pensando al da farsi. Era una situazione completamente
anomala, ma poteva gestirla.
«Takeru, vai in camera di
mamma e prendi delle lenzuola pulite. Portale in soggiorno.
Masaru...» gli passò un fazzoletto
«Tieni e vai a fare colazione. In quanto a te,
Naoko...» continuò, prendendola in braccio, ma se
ne pentì nel giro di tre secondi. Sentì il
braccio inumidirsi e vide che s’era sporcato di sangue.
Sospirò. «Devo spiegarti un paio di
cose.»
Si era spaventata, perché
nessuno l’aveva ancora preparata a un evento simile. «E
chi se l’aspettava che avesse già
l’età per ’sta
roba?!»
***
Kojiro la portò in bagno. Riempì la vasca
d’acqua calda, le lanciò una paperella e la
lasciò lavarsi in pace. Si sciaquo il braccio, fece mente
locale e sparì dietro un armadietto, alla ricerca di
qualcosa.
«La mamma dovrebbe averne ancora da qualche parte...
spero...»
Nel mentre Naoko mollò il pigiama e le mutande sporche in
una bacinella, per poi buttarsi in vasca con il giocattolo consumato.
Galeggiava squilibrato nel mare di schiuma. Ormai non poteva
più vedere bene dove andava, perché gli occhi
erano quasi spariti del tutto, assieme al bel arancione del becco,
rimasto vivo solo sulla punta; ma poteva benissimo sentire ed essere
testimone del dialogo più imbarazzante che si sarebbe
sentito in quel bagno per i prossimi diec’anni.
«Fratellone?»
«Dimmi.»
«Cos’è questa cosa?»
Eccola.
Era arrivata. La domanda a cui Kojiro
sperava di non dover mai rispondere in prima persona. Le guance si
imporporarono. Il panico iniziò ad attaccare la sua mente.
Cosa doveva dirle? Cosa si diceva di
preciso in queste
situazioni? Non era troppo piccola per questi discorsi?
«Com’era la storia
del cavolo? Nah, non se la berrà mai...»
Non era pronto. Non era assolutamente pronto. Da quando il padre era
morto, era diventato lui “l’uomo di
casa”, ma sperava che questo tipo di discorsi li facesse
ancora sua madre — ma lei non era lì. Doveva
arrangiarsi. Come un adulto. Come al solito.
Poteva farcela.
Doveva farcela.
Prese un bel respiro.
«Beh... Perché stai diventando grande.»
Una pausa dal suono di goccia.
Naoko non capì molto bene
cosa intendesse. Credeva che il fratellone fosse “grande”, non lei. E tra
loro c’era una differenza di almeno uno... due... -
tirò fuori tutta la mano e se la fissò - cinque
anni (e mezzo). Eppure non reputava Takeru grande.
Fece balzare la paperella a destra e
manca, cercando di sbrogliare questo complesso concetto. Poteva lei “diventare
grande” dopo
Kojiro, ma prima di Takeru, che era l’altro suo fratello
maggiore? Ma poi cosa significava “diventare
grande”?
«Fratellone.»
«Mh.»
«Perdi tanto sangue quando
diventi grande?»
«In che senso?»
«Anche a te succede?»
«EH?!»
sobbalzò e ci poco mancò che non batté
la testa sull’anta dell’armadietto. «No,
no! È una cosa che viene solo alle ragazze!»
«E
perché?»
Il ragazzo pensò bene se
continuare quella conversazione. Era Naoko. Era una bimba curiosa, a
cui piaceva leggere, domandare qualsiasi cosa non capisse e masticare
più argomenti possibile. Non sarebbe mai riuscito a far
cadere il discorso con una qualche scusa. La sua era una
curiosità senza fondo: per farla stare buona avrebbe dovuto
spiegarle tutto nei minimi dettagli.
Tutto.
E lui non voleva rischiare di saltare
dall’anatomia de ‘L’allegro
chirurgo’ al baratro delle relazioni sessuali. No, no, no.
Avrebbe fatto del suo meglio per rimandare il discorso fino al ritorno
della madre.
«Perché?!»
«Ah, quant’è insistente!» Prese
a grattarsi nervosamente la testa. «Perché...
beh... Perché diventate delle vere signorine...»
«Non ha senso.»
sentenziò la bimba, tornando a tormentare il giocattolo.
«Eh, lo so!» pensò
Kojiro, ben sapendo che la sua sorellina non credeva molto alle frasi
fatte.
Non ce la poteva fare. Mettersi nei panni di sua madre durante un
discorso del genere gli era impossibile. E non poteva di certo
spiegarle come fecero con lui a scuola! No, no, NO E NO. Era assolutamente
fuori luogo. Doveva tagliare corto, come faceva coi suoi compagni.
Aveva ragione lui, punto. Niente discussioni. Breve, conciso, netto.
«Stai semplicemente diventando
adulta, Naoko. E questo è quello che accade alle ragazze
quando crescono.»
«Eeeh... Ma fa
schifo!» esclamò la bimba, agitandosi e schizzando
acqua dappertutto. «E le mie mutande carine sono tutte
sporche...!»
Kojiro smise di sfregare e diede
un’occhiata a com’erano ridotte. Il coniglio
stampato sopra poteva comodamente diventare il protagonista di un film
splatter.
«Mi sa che le dovremo buttare,
sai...» borbottò, mostrandogliele.
«NO, DAI!»
«Mi dispiace,
piccola.»
«ODIO QUESTA COSA!»
Di nuovo, le mani fecero un macello tra la schiuma e l’acqua.
Si fermò un attimo a guardare la paperella. «Ce
l’ha un nome?»
«La papera, dici?»
«No, questa cosa!»
«Ah...» La
fissò per un attimo. Il suo cervello stava cercando di
smistare le informazioni tra nocive e innocue. Sì, era
un’informazione che poteva darle, quindi fece per
risponderle: «Ciclo mestruale — o
mestruazioni.»
Il viso della bimba si
imbronciò ancora di più. «Pure il nome
fa schifo!»
«Dillo a me...»
mormorò il ragazzo, lavandosi le mani. Era veramente una
situazione imbarazzante.
«E a che mi serve?»
Volse gli occhi al cielo.
Pregò non avesse mai la sfortuna di avere figlie femmine.
«Beh... - una pausa, per
respirare e semplificare i concetti - Diciamo che senza, da grande, non
potrai diventare mamma.»
La bimba si sporse dalla vasca e lo
fissò con un bagliore di illuminazione negli occhi.
«Quindi la cicogna si
berrà il mio sangue!»
Kojiro sentì un brivido
attraversargli la schiena. «L’ha
trasformata in una scena horror in meno di cinque secondi!»
Si voltò con un sorriso tirato. «No, Naoko, non
funziona così.»
«Anche alla mamma sono venute?»
«S-Sicuramente.»
«QUINDI LA CICOGNA-»
«LA CICOGNA NON HA BEVUTO IL
SANGUE DI NESSUNO!!»
Un’eco ribombò nei
tre metri quadrati del bagno. Per un attimo ci fu silenzio. Non era
però quell’incantevole, rilassante silenzio
mattutino. No. Era terrificante. E l’eco delle gocce che
tartassavano il lago nella vasca lo rendevano ancora più
inquietante.
La bimba s’affacciò
nuovamente dalla vasca. «E tu come lo sai?»
Eccolo.
Era arrivato il momento della
verità. Kojiro chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
«Perché... non
c’è nessuna cicogna, Naoko.»
Bomba sganciata.
Questo era un tipo diverso di silenzio. Quello mortale, distruttivo, di
quando infrangi le certezze di qualcuno. La bimba restò a
bocca aperta. E poi quella stessa bocca prese la forma di un sorriso.
«LO SAPEVO! Quindi i bambini
non li porta la cicogna?»
«No, piccola. Il mondo
funziona in un modo più complesso di
così.»
«Eeeh? E come funziona?»
«In maniera mooolto
semplificata si può dire che... i bambini crescono nella
pancia.»
«Non ti seguo.»
«Non ti ricordi il pancione
che aveva mamma prima che arrivasse Masaru? Ecco. Quello.
Semplicemente, funziona così.»
«Quindi è come
Alien?»
«B-beh no... non proprio. I
bambini non sono parassiti, Naoko!»
«Però a che serve?
Perché devo perdere sangue?»
«È... beh... - un
altro time out per prendere l’asciugamano e pesare per bene
le parole - è essenzialmente un segnale che il tuo corpo ti
dà.»
«Ah... E che dice di
preciso?» chiese la sorellina incalzante, mentre usciva per
asciugarsi.
«Che non aspetti
bambini.»
«Quindi non ho un Alien nella
pancia?»
«No.»
rispose secco «non
hai un Alien nella pancia, Naoko.»
«Ok.»
Non era ok. Naoko sentì un
rivolo di scenderle fino le caviglie. Lo vide ed era rosso.
«E deve fare così schifo??» Si
ributtò nel giro di cinque secondi nella vasca.
«PERCHÉ NON SI FERMA?!»
«Calma, calma... adesso ti
spiego una cosa: lo vedi questo?»
«Sì.»
«Si chiama
assorbente.»
«E a che serve?»
«A... non sporcare le mutande
carine.»
«DAMMELO.»
«Devo prima spiegarti come si
usa...»
«Ma se voi maschi non avete
queste mesuarazioni...»
«Si dice
mestruazioni.»
«È la stessa cosa!
Allora come fai a sapere come si usa??»
«È scritto sulla
scatola. Sicura che la fai da sola?»
Naoko annuì fortemente e
strappò la biancheria pulita dalle mani del fratello
maggiore, che tornò sconsolato a lavare il pigiama con lo
smacchiatore. Sentì la plastica strapparsi, vide un pezzetto
di carta volare e con la coda dell’occhio, notò
che Naoko stava studiando come attaccare l’assorbente alle
mutande, neanche fosse un progetto ingenieristico. Ovviamente, la
scatola con le istruzioni era stata abbandonata per terra.
«Fratellone.»
«Dimmi.»
«Sono bianche, si sporcheranno
di nuovo e mamma le ha appena lavate, lo sai?»
«Non c’è
molta scelta...» borbottò Kojiro, studiando
l’attaccapanni. «Ci sono le mutande viola coi
fantasmi, se vuoi.»
«Scherzavo, queste vanno
benissimo.»
Osservò di nuovo le mutande,
poi di nuovo suo fratello, che a sua volta stava fissando la paperella
ormai abbandonata a se stessa. Non stava pensando a niente di
particolare.
«Pensi che dovrei prima
indossarle, vero?»
Kojiro sbatté le palpebre e
fece le spallucce. «Mi pare più comodo.»
Naoko annuì.
Indossò malamente le mutande, riprese ad armeggiare con
l’assorbente, attaccò correttamente le ali, le
tirò su e si coprì con l’asciugamano.
Saltò allegra fuori dalla vasca, il volto tutto soddisfatto.
«Ecco fatto! Per quanto lo
devo tenere?»
«Non saprei...
finché non lo senti pieno?»
«Che vuol dire?»
«Forse devi vederlo come un
pannolino...»
«Ma ti pare che io sia una poppante??»
«Chi diavolo ti ha insegnato a
parlare così?!»
Dal basso del suo metro e trenta scarso,
Naoko squadrò il suo fratellone con aria sfacciata. Le si
leggeva negl’occhi la domanda:
«Te
lo devo proprio spiegare?»
Se Kojiro non voleva i suoi fratellini attorno quando andava a giocare
calcio, il motivo era presto detto: non voleva che prendessero le sue
brutte maniere. Almeno a casa cercava sempre di contenersi un minimo e
di dare il buon esempio. Sospirò rassegnato. Sperava almeno
non diventassero tutti e tre turbolenti come lui.
«Facciamo che lo tieni finché non torna mamma.
Quindi... due ore?»
«E poi basta?»
«Beh, no... lo dovrai
cambiare.»
«COME CAMBIARE?!»
«Te l’ho detto di
pensarla come a un pannolino!!»
«Ma è scomodo e mi
prude!»
«Devo preoccuparmi se le prude? Si può essere
allergici agli assorbenti?? Mica sta roba è scaduta?! Chiamo
la pediatra?»
Nel mentre, Naoko gli tirava il braccio.
«Allora? Quanto tempo dura questo schifo?»
«Una settimana... più o meno.» Ormai
stava citando la sua insegnante di educazione sessuale a memoria.
«E poi basta?»
«No, piccolina.
D’ora in poi ti verrà una volta ogni mese... mi
pare.»
«Per sempre?»
«Beh, non per sempre
sempre...»
«Per un mese?»
«Un po’ di
più.»
«Un anno?»
«Ancora di
più.»
«Non dirmi che...»
le piccole fessure di Naoko si spalancarono, rivelando gli occhi
nocciola, sconvolti. «Devo diventare una vecchina
perché smetta?!»
«Praticamente....
sì.»
Naoko s’accasciò
sul pavimento.
«Dai, non fare
così...» borbottò Kojiro tirandola su
«NELLA LETTERINA CHIEDERÒ A BABBO NATALE LA
VECCHIAGGINE!»
«Si dice vecchiaia,
tesoro.»
«È LA STESSA
COSA!»
«Per l’amor del cielo, speriamo non diventi
così isterica ogni volta che le viene il ciclo...»
D’un tratto, si sentì bussare alla porta del bagno.
«NAOKO, STAI FACENDO LA
PUPÙ?!»
«NO!»
Il fratello maggiore buttò la
testa all’indietro, chiedendosi da chi avessero preso pure
quella brutta abitudine. «Ma
perché devono sempre urlare?»
«CI POSSO ANDARE IO?? MI SCAPPA LA
PIPÌ!!»
«NO!»
«PERCHÉ?!»
«PERCHÉ
HO DETTO DI NO!!»
Senza accorgersi d’essersi
risposto da solo, prese la bacinella e la svuotò in fretta
nella vasca da bagno, che stappò, facendo scendere tutto
nello scarico. Buttò il pigiama sporco nella lavatrice e
salvò la povera paperella dall’oblio, lasciandola
ad ammirare il paesaggio del bagno dall’alto
dell’armadietto.
«Che
velocità.»
commentò Naoko.
«FRATELLONE!»
Kojiro sbatté lo shoji di
cattiveria, facendo sussultare i due bimbi. Le urla di prima mattina
no, specie dopo quell’epopea, che era ancora in corso.
«Masaru.
Piantala di urlare.»
Imperativo.
Il bambino annuì e, a salti
piccoli, cercò di entrare nel bagno. Il fratello maggiore lo
seguì con sguardo severo: peccato non fosse un gufo e non
potesse girare la testa oltre i novanta gradi. Sembrava che i suoi
fratelli potesse tenerli sotto controllo solo fulminandoli di
cattiveria o alzando la voce. Non si divertiva molto a farlo, ma quando
ci vuole, ci vuole.
«La posso fare nel vasino
anche da solo.» borbottò Masaru.
«Prego.»
A questo giro, lo shoji
scorse
molto più tranquillo. Kojiro e Naoko
s’incamminarono verso la cameretta, uno per pulire,
l’altra per rivestirsi. Nel breve tragitto, la più
piccola si ricordò di una cosa.
«Fratellone, le hai
buttate le mie mutandine nella lavatrice?»
«No, sono rimaste nella
bacinel—» Il rumore dello scarico
riecheggiò per il corridoio. I due fratelli si voltarono
lentamente, con le facce incredule e in testa lo stesso pensiero.
«ODDIO, MASARU!»
La porta venne fatta scorrere per
l’ennesima volta e a questo giro rivelò un bambino
intento a salutare la tazza del water.
«Bye, bye!»
Kojiro gli si avvicinò stanco
e visibilmente confuso. «È tutto a
posto?»
«Eh? Sì.»
Naoko fu invece meno calma e prese il
fratellino per le spalle: «DOVE SONO LE MIE
MUTANDE??»
Completamente ignaro di tutto
ciò che era accaduto prima, Masaru fece le spallucce e con
un sorriso contento indicò la tazza. «Ah, le ho
buttate nel vasino.»
«COSA?!
PERCHÉ??»
«Beh, perché le
cose sporche vanno giù per il vasino, no?»
«Masaruuu!! Non ci devi
mettere le mutande nel vasino... SPECIE SE SONO LE MIE!!!»
Kojiro dovette appoggiarsi sul muro per
un attimo. «Questa
cosa non sta accadendo davvero...» Si
passò una mano sul volto e non sapeva se mettersi a ridere o
a piangere. «Preghiamo
che non si intasi lo scarico...»
«CI DEVI SOLO FARE LA PUPÙ E LA PIPÌ,
HAI CAPITO??» continuò a rimproverare Naoko
imperterrita, mentre Masaru faceva finta di impugnare una spada o
qualcosa del genere. «E SMETTILA DI GIOCARE CON LO
SCOPINO!»
***
«Posso darti una mano, fratellone?»
«Quanto ti fa impressione il
sangue, Takeru?»
Il bambino sull’uscio fece le
spallucce. «Non tanto. È a Masaru che fa
schifo.»
Entrò in camera e prese ad
armeggiare col futon. «Certo che è una gran bella
macchia... sta bene?»
«Niente di
preoccupante.»
«Dici che dovremo
cambiarlo?»
«Se non va via, ci faremo un
pensiero.»
«E perché Naoko
continuava a urlare prima?»
«Masaru ha mandato le sue
mutande preferite giù per lo scarico.»
Silenzio. Takeru sobbalzò,
trattenendo a stento una risata. La mandò giù a
forza e, dopo aver lasciato passare qualche secondo,
commentò con un semplice, ma poco convincente:
«Ah.»
«È stata colpa
mia.»
«Tranquillo, capita anche ai
migliori.» rispose, appoggiando una mano sulla sua spalla.
«Ma da quando sono diventato io il fratello da
consolare?»
«È vero! Non fa niente.»
confermò una voce sull’orlo
dell’entrata. Kojiro si voltò giusto per vedere il
viso sorridente e premuroso di Naoko. «Ho altre mutandine
carine. Ma non le metterò con questo schifo.»
borbottò, giocando con l’orlo dell’abito.
«Fai bene.»
«Ma che è
successo?» chiese Takeru
«Non avrò
bambini!!» annunciò tutta felice. Takeru la
squadrò confuso, mentre Masaru spuntò dal
corridoio, urlando: «Certo, altrimenti verrebbe la
cicogna!»
«No, Masaru. Le cicogne che
portano i bambini non esistono!»
«Che cosa?!?»
«Me
l’ha detto il fratellone prima!»
Neanche il tempo di respirare che tre
paia di occhi puntarono il fratello maggiore, a cui le spalle
s’irrigidirono di colpo. Sbatté maldestramente il
futon incriminato sulla traversa della finestra e lo
abbandonò lì ad asciugarsi.
«... Mamma ve lo
spiegherà meglio.» rispose. Si rifiutava
categoricamente di rifare quell’esperienza mostruosa, quindi
optò per il cambio argomento. «Avete fatto tutti
colazione?»
La mano di Masaru scattò
più veloce della luce. «IO HO APPENA FATTO
COLAZIONE! E SAPETE COSA HO CAPITO?»
«Cosa?» chiesero gli
altri tre in un coro poco incoraggiante.
«Che è molto
antipatico scorreggiare in faccia agli amici.»
Risero tutti di gusto a quella morale
così fuori contesto.
«Me lo segnerò tra
le cose da non fare mentre sono agli allenamenti.»
commentò Kojiro.
Guardò teneramente i suoi tre
fratelli ridere e prendersi in giro sulle uscite infantili di Masaru,
quando un soffio malinconico gli sfiorò la schiena. Senza
rendersene conto, stavano crescendo tutti quanti.
Masaru - per quante stupidaggini dicesse
- avrebbe iniziato l’ultimo anno di asilo e presto sarebbe
andato a scuola da solo. Naoko era ufficialmente entrata nella
prepubertà. Takeru, tra un paio di brufoli e meno
piagnistei, stava per iniziare le medie. E lui, Kojiro, il gran
fratello maggiore, si stava allontanando sempre di più,
decidendo di perseguire la sua strada e diventando di giorno in giorno
sempre più indipendente. Sarebbe arrivato il giorno in cui
non avrebbe più potuto godere di quelle piccole gioie e
stupidaggini fraterne.
Si staccò dal muro e prese a
scompigliar loro i capelli uno ad uno. «Restate
così per sempre, anche quando sarete più grandi,
d’accordo?»
«Va beeene.» rispose
Masaru
«Ok!»
«Che sono queste
smancerie?» chiese Takeru, divertito.
Kojiro fece una smorfia divertita e li
fece uscire dalla camera. «Dai, in cucina.»
E chiuse lo shoji.
N.A.:
sono tornata! Ho un paio di oneshot in corso e ho notato che hanno un
tema comune, quindi ho deciso di farne una raccolta che
aggiornerò pian piano. Ho riletto questa OS un sacco di
volte, ma vi prego, se trovate errori e avete piacere, non esitate a
farmelo notare! :)
Alla prossima!