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Autore: Ghen    29/10/2019    3 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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57. L'anniversario - Seconda parte 


PRESENTE

La mattina del nove giugno pioveva. Pioveva davvero forte e i nuvoloni grigi oscurarono la camera di Lena, per cui sembrava ancora notte quando Kara si svegliò, con quell'odore di fresco e il fruscio. Si stupiva sempre quando riusciva a farlo prima di Lena e poteva vederla dormire: la bocca era semiaperta e schiacciata dal cuscino soffice, per cui sembrava fare una smorfia buffa; le guance rosa, alcuni capelli contro gli occhi, appiccicati. Glieli tolse, staccandoli piano: non abbastanza, poiché l'altra si svegliò quasi subito e provò a parlare, ma dovette deglutire per avere successo.
«Non riesci… Non riesci a toglierti il vizio», sbadigliò, «di toccarmi quando dormo?». La guardò e si stropicciò un occhio, sorridendo.
«Ti toglievo i capelli dagli occhi, questa volta non volevo scocciarti».
«Questa volta», sottolineò alzando un sopracciglio e la vide ridere. «Che ore sono?».
«È mattina, anche se non sembra».
«Okay», sorrise, spostando una mano appoggiata sul suo petto per passargliela intorno al viso. «Buon anniversario».
«Buon anniversario», si avvicinò e si baciarono, fregandosene dell'alito del mattino. Così sorrisero e si baciarono di nuovo.
Indigo era già in piedi che faceva colazione quando Kara scese di sotto, in canotta e pantaloncini, scalza. Si scambiarono uno sguardo truce per il solo fatto di essersi notate e, mentre la prima masticava cereali, la seconda aprì il frigo per mangiare quel che era rimasto dei biscotti con crema al limone. Sembrava ce ne fossero meno di quelli che ricordava e adocchiò l'altra, ma stava guardando Les tres bessones, Tre gemelle e una strega, senza più pensare a lei. La fissò facendo degli occhi due fessure e mandando giù un biscotto, appoggiandosi a un mobile. «Lo trasmettono ancora?».
«Così pare».
«Lo guardavo da piccola».
Nemmeno si sforzò di girarsi. «Io no».
Kara assottigliò ancora di più gli occhi. «È per bambini».
«Non si consumerà se lo guardo anch'io».
Anche lei scalza, in pantaloncini e con una t-shirt di Kara: Lena raggiunse il salotto che le sentì parlare e si fermò. Era ormai diventata un'abitudine: non voleva interromperle perché spesso trovava interessante il loro battibeccarsi. Almeno prima di un possibile linciaggio, per quello doveva correre: quelle due erano come cane e gatto.
«Ed è interessante?», chiese ancora Kara.
«Sai che lo è o non lo guarderei: perché fai domande di cui conosci già la risposta? Sto cercando di ascoltare. E comunque hai proibito i telegiornali, in questa casa. Perché non vai a lucidarti le scarpette che userai alla finale?».
Lena sorrise perché Indigo diceva il vero: il processo a sua zia monopolizzava le notizie e Kara non ne poteva più. Ciò che stupì davvero Lena, era che Indigo non guardasse davvero i telegiornali perché Kara non voleva. Alla morte di suo padre, ricordava che lei non guardava altro, mentre Kara era il suo opposto e, per stare serena, preferiva aspettare risvolti più che mangiarsi l'anima poco a poco.
«E così oggi uscirai con Winn, eh?».
«È quello che volevi», finalmente si voltò e l'altra si raddrizzò con la schiena. «Non sono nata ieri, so che non mi volevi in mezzo. Per questo ho accettato di andare a cena».
Gli occhi di Kara si strinsero ancora. «Che intenzioni hai con lui?».
«Conversarci, suppongo», alzò le spalle. «Che è già quanto di più io sia abituata a fare di solito. Finito l'interrogatorio? E tu, con Lena?», le domandò di rimando e Kara aprì la bocca, poi la richiuse di scatto.
«No-Non-», si schiarì la gola, «Dunque… Devo pensare che tu ti sia arresa con lei o qualcosa del genere, no?».
«Ci speri, Kara Danvers», sorrise tagliente. «La mia cotta per lei non cambia anche se siete una coppia», aveva preso una breve pausa. «Forse non sono gelosa, è tutto qui».
«Quindi vuoi ancora-?».
«Conquistarla. Beh», l'aveva sentita ridere, «per quanto mi riguarda, Lena può stare con entrambe. Ho visto che funziona in certe culture».
«Tu guardi troppo Real Time».
«E tu hai proibito i telegiornali», ribadì prontamente.
Lena entrò prima che Kara decidesse di lanciarle qualcosa: afferrò il cucchiaio di legno che lei aveva stretto con forza e ci si legò i capelli con poche e precise mosse, decidendo di lasciarle un bacio su una guancia.
Era da qualche giorno che ci pensava e ne aveva sempre più la certezza: per quanto Kara rafforzasse l'idea di non sopportare Indigo e non fidarsi di lei, aveva accettato la sua presenza nella propria vita. Anzi, era andata oltre.
Ricordava che anche loro due litigavano molto i primi tempi, anche se era diverso. Un anno prima… Ora ricordava: un anno prima, le aveva buttato giù mezzo armadio.

UN ANNO FA

«Ti dispiace? Dovrei cambiarmi». Lena aveva indicato l'interno della sua valigetta poggiata sul letto e Kara aveva spalancato gli occhi e la bocca come se le avesse appena chiesto di atterrare su Marte. Quella era la camera che dovevano condividere, perché le era sembrata una richiesta tanto assurda? Poteva andare in un bagno, ma non aveva ancora visto com'erano e immaginava fossero più piccoli di quelli in villa, lì dentro invece poteva approfittarne per ambientarsi. Senza quella Kara, si intendeva.
Quando l'altra sembrava aver capito, era uscita in fretta e aveva chiuso la porta. Finalmente.
Lena si era guardata attorno di nuovo, immersa in quei toni pastello. Era proprio la camera di due bambine. Ma dove era capitata? Cosa ci faceva lei lì? Era così fuori posto… così- aveva sentito un rumore e si era voltata verso la porta: possibile che quella Kara Danvers era ancora là dietro che aspettava per rientrare? Accidenti, non voleva darle neanche un po' di tregua. Si era stirata le braccia in alto e, sperando che l'avesse potuta sentire, aveva iniziato a fischiettare, togliendo la roba dalla valigetta lentamente e sistemando sul letto con cura. Aveva sorriso soddisfatta quando l'aveva sentita scendere le scale come avrebbe sentito fare un elefante e si era incantata nel passare la mano su una camicetta bianca che si era portata dietro. Si era un po' sgualcita all'interno della valigetta. Ma non importava. Si era di nuovo guardata intorno, sedendo sul letto e notando quanto questo fosse soffice, quasi non aspettandoselo. Aveva continuato a fischiettare lentamente, distratta da ciò che vedeva: la vita delle sorelle Danvers doveva essere molto diversa dalla sua, era abbastanza intuibile. Era riuscita a immaginarsele mentre parlavano affacciate dai propri letti prima di prendere sonno, a quanti compiti dovevano aver svolto su quella scrivania più piccola della sua, a quante chiacchiere tra loro dovevano aver assistito quelle pareti e quante, invece, erano rimaste lì come segreti inviolabili. Si era alzata e, ancora fischiettando, aveva adocchiato il cestino, vedendo quella Kara nella sua immaginazione che disegnava e gettava tutto, schiacciando la carta in una palla. E l'armadio. Lo aveva aperto e l'aveva vista correre per scegliere cosa indossare a un appuntamento con le amiche. Avrà avuto delle amiche con cui uscire, quando stava qui? Aveva studiato attentamente l'interno dell'armadio, pensando a quanto fosse piccolo e non avrebbe saputo dove altro mettere la sua roba. Ci sarebbe stata? Probabilmente no, avrebbe dovuto togliere qualcosa di Kara Danvers.
Aveva smesso di fischiare, camminando di nuovo verso il letto e, scansando il suo vestiario, sdraiandosi di lato, pensando. Quella giornata era pesante e orribile e l'unica cosa che riusciva a distrarla era proprio la faccia di Kara Danvers quando aveva scoperto che la ragazza a cui aveva pestato il piede e fatto cadere la valigetta sul treno era lei, la sua nuova sorellastra. Insomma, nemmeno a lei piaceva la situazione con le loro madri? Di cosa poteva lamentarsi, almeno aveva la sorella con cui spalleggiarsi, non era sola in una casa nuova circondata da persone che non la volevano lì. Aveva gonfiato le guance e sbuffato: era arrivata da neanche mezzora e quelle due l'avevano guardata di straforo come se stessero sparlando di lei o ideando un piano per farla fuori. Le era sembrato proprio che quella Kara Danvers fosse una di quelle persone che non dimenticava facilmente né lasciava correre. Si era già fatta un'idea di entrambe, ma era con la minore che avrebbe dovuto averci più a che fare, lì dentro. Il solo pensiero di farsi piacere quella ragazza le faceva venire il mal di stomaco: non solo da un punto di vista era sua madre che voleva costringerla a farsela piacere, o non avrebbe dovuto condividere una camera con lei sapendo che ce n'era un'altra, e non solo era una rana dalla bocca larga che si era permessa di parlare male di lei al telefono e ad alta voce in un vagone con altra gente a bordo, ma Kara Danvers, come lei, era stata adottata e il caso aveva voluto che diventasse figlia di una donna dolce e premurosa invece che di una che l'avrebbe potuta considerare come la figlia di troppo. Era di troppo allora e si sentiva di troppo in quel momento. Sapeva che era stupido; si trattava solo di ridicola gelosia per cui quella Kara non aveva colpe, ma il pensiero non poteva fare a meno di venirle lo stesso. E un po' se ne vergognava, pensando che avrebbe dovuto fare finta di niente. Che cosa le stava succedendo? Da quanto tempo provava un tale rancore? Da quando suo padre era morto, era come se tutto quello che aveva passato nella sua vita le si stesse aprendo come un ventaglio: la morte della sua madre biologica, l'adozione alla famiglia Luthor, Lillian che la trattava con insufficienza, l'averle proibito di cercare le sue origini, la scoperta di essere la figlia biologica di Lionel Luthor, l'uomo che l'aveva sempre coccolata e le aveva nascosto tutto di proposito. Le domande, i dubbi, la rabbia. Lillian che voleva risposarsi e creare una nuova famiglia in cui era costretta a prendervi parte. E dopotutto, se non ne avesse preso parte, che cosa le sarebbe rimasto? Lillian non era mai stata la madre che avrebbe voluto, ma era comunque sua madre.
Aveva chiuso gli occhi e pensato che, per dormire la notte, avrebbe avuto bisogno di qualcosa per distrarsi. Anche se il letto era soffice. Dopo aveva spalancato gli occhi di colpo, continuando a pensare. Anche quello in casa Luthor quando era bambina era un letto soffice e anche molto più grande, eppure non prendeva sonno se non dopo una favola della buonanotte. Si era sentita un'estranea in villa Luthor a quattro anni e si era sentita un'estranea in casa Danvers.
Si era rialzata e preso un grosso respiro, riguardando l'armadio: era arrivato il momento di mettersi al lavoro e non vedeva l'ora di assistere alla faccia arrabbiata di quella Kara perché lei, a quel punto, non poteva far altro che difendersi da una situazione che la stava schiacciando, sperando che le cose sarebbero potute cambiare in meglio. Quella piccola Danvers aveva pestato il piede alla Luthor sbagliata.

PRESENTE

Non vedeva l'ora di tornare in villa: aveva risposto a quattro chiamate, ne aveva fatte altre sei, aveva compilato due moduli e un altro stava per arrivare. Senza contare che doveva passare molto velocemente in università per aiutare su un argomento rapido due studentesse a cui faceva da tutor. Erano gli ultimi giorni ed era oberata; se non altro si era presa la sera libera per l'appuntamento con Kara. Non fece a meno di sorridere. Quella sarebbe stata la sua ora d'aria. Se l'anno prima non voleva andare in vacanza, adesso invece non vedeva semplicemente il momento di lasciarsi tutto questo alle spalle; era perennemente con la testa da un'altra parte, pensando a quel momento con lei che aspettava impazientemente neanche non la toccasse da mesi. Temeva che a distrarsi in quel modo avrebbe fatto qualche danno. Si stropicciò gli occhi e sbadigliò, coprendosi con una mano. Stava per alzarsi e approfittare del momento di quiete per affacciarsi davanti al balcone che il cellulare vibrò, e vibrò ancora, e ancora, continuava a vibrare e fece appena in tempo a notare che era Kara a riempirla di messaggi: stava impazzendo? No, forse no, ma qualcosa di certo aveva in mente, intuì, iniziando ad aprirli:
Da Vaniglia a Me
So che questo
Da Vaniglia a Me
Non è il nostro anniversario di coppia
Da Vaniglia a Me
Ma quello in cui ci siamo
«Aspetta», strinse i denti: non faceva in tempo a leggere che ne arrivavano altri due sopra.
Da Vaniglia a Me
Conosciute. Però vorrei
Da Vaniglia a Me
Che questo giorno
Da Vaniglia a Me
Sia importante allo stesso modo
«Accidenti, Kara», brontolò, «Non riesco a seguirti, perché diavolo…?».
Da Vaniglia a Me
Perché è stato il giorno
Da Vaniglia a Me
perché è stato il giorno
Da Vaniglia a Me
Sbagliato messaggio: lo avevo già inviato, scusa.
Lena rise, appoggiandosi allo schienale della sedia e continuando a leggere.
Da Vaniglia a Me
In cui tutto è
Da Vaniglia a Me
Cambiato. Perché non mi aspettavo
Da Vaniglia a Me
Di trovare l'amore su quel treno.
Da Vaniglia a Me
Perché non mi aspettavo di trovarlo
Da Vaniglia a Me
In te, Lena. Perché è stato
«Ancora?».
Da Vaniglia a Me
Strano. E abbiamo iniziato col
Da Vaniglia a Me
Piede sbagliato. E a pensarci
Da Vaniglia a Me
Eppure, era quello giusto. Perché
«Non saresti proprio riuscita a scriverlo tutto insieme, eh?!».
Da Vaniglia a Me
Anche se ci saremmo conosciute
Da Vaniglia a Me
Lo stesso, non sarebbe stato lo stesso
«Dovrò rileggerti daccapo», brontolò.
Da Vaniglia a Me
Senza questo giorno strano.
Da Vaniglia a Me
Non sarebbe stato lo stesso
Da Vaniglia a Me
Se questa giornata sarebbe
«Sarebbe?».
Da Vaniglia a Me
Stata diversa. E allora mi sarei
«Oh, sarei adesso…».
Da Vaniglia a Me
Innamorata di te in modo
Da Vaniglia a Me
Diverso. E ciò che voglio
Da Vaniglia a Me
Dirti è che questo è un anniversario
«Arriva al dunque», si accigliò.
Da Vaniglia a Me
Importante e che non cosa altro scrivere
Lena si tappò la bocca, contenendo una risata. «Finalmente. Considerando che a stento capisco il resto…».
Da Vaniglia a Me
Ma che ho scoperto perché
Da Vaniglia a Me
Eliza ci prende gusto e che oggi
«Ah, ecco l'ispirazione…».
Da Vaniglia a Me
Dopo un anno
Da Vaniglia a Me
Mi sono vendicata per avermi
«Vendicata? Addirittura?».
Da Vaniglia a Me
Buttato giù mezzo armadio.
Lena scoppiò a ridere arricciando il naso, spostando la sedia dalla scrivania e passandosi una mano sulla fronte. «Non posso crederci».
Da Vaniglia a Me
Kara non dimentica.
«E me ne sono accorta, tesoro», bofonchiò per sé. Adesso sì che era distratta, pensò mentre arrossiva. Come poteva mettersi a lavorare? Rilesse tutto cercando di collegare solo il testo e sorrise ancora, pensando a una risposta: Dove ti trovi? Devo dirti anch'io una cos- Alzò la testa dalla tastierina quando udì la sua voce: era lì? Si affacciò dalla porta e si scambiarono uno sguardo intanto che era davanti alla scrivania con il suo assistente e Indigo. «Kara», mise su un'espressione seria, appoggiandosi allo stipite, così raschiò di gola e fece cenno con un dito. «Devo dirti una cosa: puoi venire, per piacere?». Quello sguardo. Kara la stava fissando con lo sguardo di un'intensità che- Cosa? Scosse la testa?
«Mi spiace ma sono qui per parlare a quattrocchi con Winn».
Lui alzò gli occhi dal monitor e guardò entrambe, confuso. «Cosa? Perch-».
«Andiamo. Un attimo», lo prese a braccetto e lo allontanò dalla sedia. «Non ti faccio niente». Guardò di nuovo in direzione di Lena e le sorrise in modo diverso, divertito. «Ne parliamo stanotte».
Lena alzò un sopracciglio: lo aveva detto davvero? Si portò le braccia a conserte, riflettendo: sì… era davvero diventata più intraprendente e si chiedeva cos'avesse in mente. Si scambiarono uno sguardo a lungo, verso l'ascensore; così a lungo che Kara inciampò su un piede di Winn e non cadde solo perché tenuta a braccetto con lui. Lena sorrise e si portò una mano sulla fronte; intanto dalla scrivania si levò alta una voce:
«Imbranata».
«Zitta tu». Accidenti, proprio la caviglia che le faceva male dalla partita. Brontolò, piegandosi un momento e cercando di trascinare di nuovo il ragazzo.
«T-Ti sei fatta male?».
«Sì- No! No, lascia perdere. Emh. Ti volevo parlare», lanciò un'occhiata a Indigo, non capendo se li stesse sorvegliando da dietro il monitor o fosse solo la sua impressione, «del tuo appuntamento con lei. Lo so che sarà tra amici ma so anche che tu-».
«Vi posso sentire».
Kara s'imbrunì subito, urlandole contro: «Spostati».
«Io sto lavorando».
«Non ascoltarci, allora».
Paonazzo, Winn cercò di svignarsela senza successo. «Veramente anche io devo tornare a lavorar-».
«Dopo», lo strattonò e gli fece una smorfia, guardando di nuovo Indigo che, sbuffando, si stava infilando le cuffiette alle orecchie.

UN ANNO FA

Alex era entrata nella stanza in punta di piedi, adocchiando Kara che, allibita, era rimasta ferma davanti al suo letto. Era come guardare una statua di marmo, inespressiva e senza fiato. Le si era avvicinata cautamente, dando un'occhiata a tutti quei vestiti piegati sul suo letto. Temeva sarebbe schizzata da un momento all'altro se avesse anche solo messo male un piede, così le aveva stretto le braccia, accarezzandole, andando quasi ad abbracciarla. «Sorellina, va tu-».
«I-Io devo fare qualcosa con quella». Ecco, era successo. Si era destata all'improvviso, scrollato Alex e stretto i pugni, iniziando a camminare in direzione della porta quando l'altra l'aveva fermata appena in tempo.
«No, no, aspetta, aspetta», l'aveva di nuovo tenuta tra le braccia. «Ne abbiamo parlato poco fa, ricordi? Dobbiamo dare una possibilità a lei e a sua madre».
Kara aveva gonfiato gli occhi e spalancato la bocca come se Alex si stesse facendo sfuggire l'ovvio. «Que-Questo prima che mi buttasse giù mezzo armadio», aveva indicato con una scrollata di spalle il suo letto e la roba disposta in pile. «È-È evidente che questa Lena non vuole far parte di questa famiglia, non le interessa e si comporta da bambina capricciosa». Aveva gonfiato le guance e distolto lo sguardo dalla maggiore che pareva quasi volesse far sentire lei quella bambina capricciosa. «Abbiamo iniziato col piede sbagliato, i-io questo lo capisco, ma invece di chiedere scusa, lei mi svuota mezzo armadio per farci stare le sue cose».
«Non che avesse altro posto-», si era bloccata quando Kara l'aveva fissata, accigliandosi. «Non sto prendendo le sue difese, ma credo solo che tu stia esagerando almeno un pochino. Questa situazione sarà difficile per noi quanto per lei», aveva forzato un sorriso, ma Kara sembrava irremovibile: quando si metteva in testa una cosa…
«Oppure è solo snob», aveva grugnito, difatti. «Avrà pensato che le sue cose abbiano più valore delle mie. Beh, sai cosa ti dico? Non mi interessa chi è», aveva assottigliato gli occhi con grinta e dopo formato un piccolo sorriso, «io sono superiore a queste cose».
«Brava».
Aveva gonfiato il petto. «Vuole solo infastidirmi. Se vuole giocare alla bambina capricciosa, allora non mi resta che dirlo a Eliza e a sua madre».
L'espressione di Alex era mutata in fretta, abbandonando il sorriso. «Cosa?».
«Voglio proprio vedere cosa dirà per discolparsi».
«Fare la spia per questo non mi sembra molto più maturo…»: un sibilo che era rimasto inascoltato.
«Te lo dico ora, Alex, e vedrai se non ho ragione», aveva annuito, dandosi autorevolezza: «non potrò mai considerare quella ragazza mia sorella. Mai. Non importa cosa succederà in questi giorni, questa cosa non può accadere. Semplicemente… non può».

PRESENTE

Sopra le scale, Lena aspettava Indigo per scegliere con lei qualcosa dal suo armadio da indossare, truccarla e sistemarle i capelli, come si era offerta. In realtà le era venuto il dubbio che avesse accettato di farseli sistemare da lei solo per passare del tempo insieme, ma non le dispiaceva. Kara l'aveva fermata per farle il tanto temuto discorsetto dopo quello che fece a Winn alla Luthor Corp, cercando di anticipare al ragazzo alcuni comportamenti di lei, dirgli cosa le piaceva per sperare forse di aiutarlo in questa impresa per conquistarla, non lo sapeva, ma anche di non pressarla troppo, ricordandogli che se lei non era interessata di non insistere e infine consigliandogli di riaccompagnarla a casa. Aveva sentito solo metà della loro discussione perché non era giusto spiarli; Kara non lo sapeva, ma c'era una telecamera vicino all'ascensore. Il riaccompagnarla le diede da pensare: forse non per galanteria, ma doveva aver pensato che il suo garante avrebbe potuto trovarla più facilmente se l'avesse sorpresa a camminare da sola per National City.
«Winn è tipo il ragazzo più buono sulla faccia di questa terra», la sentì dirle dal fondo delle scale. «Ma non si sa mai e per qualsiasi cosa… chiama Alex».
«Alex? Perché non te, Kara Danvers?». In realtà, sapeva perché ma voleva sentire come si sarebbe arrampicata sugli specchi.
«Alex perché… Beh, chiama me solo se strettamente necessario. A-Anzi, state fuori dai guai e nessuno dovrà chiamare nessuno», chiosò. «Stai attenta: Winn è emotivo! So che state uscendo come amici, ma lui- non farlo piangere! Di nuovo. Non fate troppo tardi perché avete entrambi da lavorare l'indomani, basta che non suoni: Lena ti darà le chiavi. Non s u o n a r e».
Lena arrossì: andava bene che Kara avesse qualcosa che le frullava in testa per quella notte, ma negare a Indigo di suonare il citofono… Adesso le era venuto in mente: senza rendersene conto, la trattava come una sorellina, nonostante fosse lei la più grande. Si sentiva quella responsabile tra le due. Non si fidava, ma questo non le aveva impedito di affezionarsi.
Quando Lena uscì per accompagnarla in auto, Kara chiuse con forza il portone e si guardò attorno nel salone con panico. Ecco, era adesso che doveva preparare quel qualcosa che doveva aver avuto già con precisione in testa da giorni dove ora c'era il vuoto. Aveva rinunciato a farla pagare a Lena, ma quella era la loro serata, la loro giornata speciale dove non avevano altri impegni se non loro due insieme. Ma perché doveva essere difficile? Non era riuscita a pensare a niente di concreto e aveva lasciato tutto all'ultimo istante. In un attimo di terrore perché sapeva che Lena sarebbe tornata da un momento all'altro, si fiondò in bagno e, con grossi respiri, si bagnò la faccia per ritrovare un po' di lucidità. Chiuse gli occhi e si bagnò ancora, prendendo fiato. Poi li riaprì di scatto, specchiandosi: le gocce d'acqua precipitavano pesanti, contrassegnandole ogni curva del viso. Deglutì: poteva provare.

Il locale era un po' più rustico di come non sembrasse sul dépliant, ma era gradevole con i colori caldi alle pareti, i dettagli in legno, i sorrisi dei dipendenti e la musica leggera dalla parte del ristorante: il locale infatti si divideva in due, i tavoli da una parte e dall'altra, più piccola, videogiochi cabinati, il biliardo, e anche il jukebox. Si avvicinarono ai tavoli che l'aria odorava di patatine fritte. Gli altri clienti non badarono a loro e iniziarono a pensare a cosa ordinare, leggendo il menù: c'era davvero la molta scelta che si aspettavano.
«Sono felice di essere qui».
Lena alzò lo sguardo. Oh, si sentiva calda, probabilmente aveva il viso rosso e Kara le sorrideva in quel modo che… «Anch'io. Molto». Era strano: si conoscevano da un anno, si amavano da mesi, stavano insieme da un po', o per meglio dire di nuovo, erano intime quasi tutti i giorni da Gotham a quella parte, anche se spesso non con il tempo che avrebbero voluto, eppure, ora che si trovavano a un vero appuntamento, si sentiva sulle spine. Cosa c'era per cui fremere in quel modo? Alla Luthor Corp, dopo quei messaggi, avrebbe voluto saltarle addosso. Giusto appunto, decise di chiederle se l'invio dei messaggi in quel modo irritante le era piaciuto per rompere il ghiaccio, quando arrivò la cameriera per l'ordinazione. In quello, Kara era sempre più veloce di lei.
«Scusate», la ragazza faceva su e giù al tablet con la testa, riguardandole più volte, «è che… vi ho già visto, da qualche parte?».
«No», dissero quasi insieme e si scambiarono uno sguardo complice, mentre Kara scuoteva la testa.
La cameriera non sembrò convinta, ma non fece altre domande e loro si sorrisero. Insomma, Lena si era perfino lasciata convincere a indossare i jeans per apparire più casual, come avrebbe potuto riconoscerla? Ci risero non appena la ragazza si allontanò. I capelli li aveva legati in una coda ed erano mossi, Kara invece li portava lisci e slegati. Lena una smanicata in chiffon fasciato sul collo, violetto, Kara un vestito corto sul giallo, tagliato da un sottile cinto verde acqua. Avevano trascorso il tempo in macchina a dirsi quanto fossero belle e, di tanto in tanto, cadeva l'occhio. Aspettavano tanto quella serata.
Non che volesse annoiare Kara, ma Lena le parlò un po' del suo lavoro, di cosa voleva ottenere non appena avrebbe avuto il comando della Luthor Corp, della sua tesi, e anche di alcune ragazze a cui faceva da tutor, cosa studiavano e cosa sarebbero volute diventare una volta uscite da lì. Kara le ricordò del periodo in cui voleva diventare poliziotta, con Mike al suo fianco. Oppure una supereroina e ci scherzarono su.
«Sai? Ti vedrei bene in calzamaglia. Te l'avevo già detto?», si portò la forchetta in bocca e chiuse gli occhi lentamente, per assaporarne meglio il gusto.
Kara la fissò incantata e le scivolarono gli occhiali dal naso: amava quando faceva così. «Ah, sì? Forse, no-non mi ricordo».
«Ma non sei quella che non dimentica?», rise. «A proposito, non erano gli elefanti a non dimenticare mai? Si spiega qualcosa».
«Ehi», aggrottò la fronte. «Sei insopportabile, lo sai?».
«Me lo hanno già fatto notare». Si guardarono finché non scoppiarono a ridere e Lena la indicò come per dirle qualcosa, abbassandosi per prendere un'altra forchettata. Kara fu più rapida e le soffiò il pezzo di pollo con sopra una mezza mandorla da sotto il naso, facendola restare a bocca aperta. «Le supereroine non rubano, Supergirl», sottolineò a denti stretti, «Non devo essere io a dirtelo».
«Non confa quanfo fi parfa di cibo», fece una smorfia e ingoiò. «Né soprattutto se si parla del cibo della mia fidanzata». Oh! Spalancò gli occhi e si bloccò come una statua dopo averlo detto, mentre Lena si sentì calda e girò lo sguardo. Stavano insieme, avevano parlato di stare insieme per sempre e quello era il piano a lunga durata, ma al fidanzamento vero, cioè una promessa di matrimonio, dovevano ancora arrivarci. Se non altro in modo ufficiale. Che figura, pensò velocemente Kara: aveva appena bruciato il famoso passo per volta. Si agitò freneticamente e iniziò ad imboccare aria impegnata a cercare cosa dirle per togliere entrambe da quella situazione imbarazzante, che la vide prendere un pezzo di pollo e due mandorle, allungando la forchetta verso di lei.
«Gli elefanti hanno bisogno di mangiare diversi chilogrammi di cibo al giorno», esclamò in un sorriso malizioso. «E anche questo si spiega».
Kara avvampò, accigliandosi. Ma non avrebbe rifiutato altro pollo alle mandorle, il suo lo aveva già finito minuti fa: si abbassò il tanto che serviva e, arrossendo, chiuse la forchetta tra le labbra. «Ma non fono un efefante», brontolò poco dopo, masticando.
Lena continuò a ridere, già pronta per un'altra forchettata. Era felice di vedere che aveva funzionato e la imboccò varie volte, continuando a mangiare anche lei e a parlare.
Lillian ed Eliza sarebbero tornate tra meno di una settimana e risero pensando a come avrebbero potuto nascondere Indigo e ipotizzando varie soluzioni: la villa era grande, ma Lillian la conosceva come le sue tasche e la ragazza si era fatta le sue abitudini che erano difficili da nascondere.
«Potrebbe stare nella dependance, se non fosse che», la senti fare un verso indisposto ancor prima di finire, «è ancora piena di cose di mio padre che non abbiamo spostato». Scrollò le spalle. «Mia madre ci entrerebbe spesso».
«Possiamo tenerla chiusa in un armadio e farla uscire solo per fare la pipì».
«Sei tremenda», abbozzò una risata. «A questo punto, di meglio potrebbe esserci il mio bagno: lì non ci entrerebbe», si portò in bocca dell'insalata. «Ma è una soluzione che presenta non poche inconvenienze».
«Come io che corro al bagno più vicino quando sento che è arrivato il ciclo», prese una pausa per sogghignare, «e lei è addormentata nella vasca».
Lena rise. «La vasca piena di briciole».
«E cereali al cioccolato», aggiunse veloce.
Fortunatamente le donne si sarebbero trattenute poco lì, trasferendosi a casa Danvers-Luthor per le vacanze. Lena porse sul tavolo anche la carta del pagarle una camera d'albergo, ma temeva sarebbe stata scoperta dal suo garante; dopotutto, la prima regola per nascondere qualcosa con successo era farlo nel luogo più ovvio e quel luogo era villa Luthor-Danvers. Allora accennarono alla sua uscita con Winn e, poco dopo, Kara si perse a parlare di lacrosse, ordinando un altro piatto di pollo alle mandorle. Nonostante ora stessero mangiando l'insalata, la tentazione fu più forte di lei, ascoltando la pancia che reclamava.
«Giuro che mi metterò a fare di nuovo corsa la mattina appena sveglia».
«Non devi giustificarti con me».
«Lo dicevo al mio metabolismo», gonfiò gli occhi, «si sta facendo un po' meno d'acciaio, ultimamente». Sorrise amareggiata, appoggiandosi allo schienale. «E ho paura che se non mi vede in forma, Millard non mi farà seriamente giocare la finale. O mi toglierà il ruolo di capitano». Afferrò un pezzo di formaggio dal centrotavola, ficcandolo in bocca. «Quell'uobo non asbetta abtro», mugugnò scrollando le spalle.
Quando arrivò il piatto, allora stava raccontando delle sue aspirazioni alla CatCo. Sapeva di avere ancora da studiare e temeva che, alla lunga, Cat Grant le dicesse di restare a casa fino a quando non avrebbe completato gli studi. Inutile che Lena le dicesse quanto fosse portata o non starebbe ancora lì dopo tutto quel tempo, per di più dopo aver già pubblicato degli articoli; per Kara era già tanto se non le chiedeva di portarle il caffè, sentendosi costantemente in bilico.
Non si sapeva come, finirono per parlare anche di Megan e di John Jonzz. Alex le disse che l'uomo si era preso una vacanza, ma la cosa non l'aveva del tutto convinta. In fondo, anche se avevano rotto, perché far preoccupare Megan in quel modo? Cambiarono argomento quando la discussione si fece pesante, passando al dolce.
«Non ci credo», Kara parlò a bassa voce e sorrise, indicando alle spalle di Lena. «Guarda chi c'è», disse, mettendo in bocca una fetta di torta gelato all'amarena.
Lena non esitò e spalancò gli occhi: quella era Leslie. Leslie Willis e il suo nuovo ragazzo a cena: lui sventolava una forchetta piena di cibo, parlando e masticando. Un appuntamento romantico?
«Com'è che si chiama? Harry?».
«Larry», la corresse Lena. Le veniva da sorridere, ma d'altra parte era incredula. «Non sapevo ci uscisse ancora. Fa parte-», si morse un labbro, pensando che forse non era il caso di nominare l'organizzazione all'appuntamento o lei sarebbe finita per pensare a sua zia, ma Kara non ci badò, dandole ragione.
«Ma guardala… Fa shempe battute shull'amoe ed è qui anche lei», borbottò l'altra, bocca piena.
Lena sorrise, voltandosi di nuovo. Prese anche lei una forchettata e, dopo aver ingoiato, propose: «Dovremo andare a salutarli. Dopo, sempre se a te-».
Kara annuì, allungando la mano con la forchetta per prendere un assaggio della sua cheesecake al caffè e cioccolato. Lena la lasciò fare, scuotendo la testa. «Oh, sì. Salutiamo i…», ci pensò, scrollando gli occhi, «Che nome doffemo dafe?».
Lena rise, pensandoci un momento. «I Larslie», agitò le mani e infine le puntò contro la forchetta così, quando la vide deglutire, l'allungò verso di lei, imboccandola. Capì quanto le piacesse farlo. Si sorrisero poco dopo e, quando intuirono che nessuno guardava loro, si avvicinarono per strapparsi un bacio.
«La tua lingua è fredda», sussurrò Kara e Lena rise, arricciando il naso.
«Anche la tua. Ma conosco un modo per riscaldarle», le sussurrò, prima di rubarle svelta un altro bacio.
Avevano appena finito il dolce quando Kara si alzò per parlare con Alex al telefono e Lena non le staccò occhio di dosso, appoggiando i gomiti sul tavolo. Quando Kara la guardò, allora arrossì. Se le avessero detto come sarebbero andate le cose, un anno fa, non ci avrebbe mai creduto. Innamorarsi di lei era stato quel qualcosa di non programmato che le aveva cambiato la vita. Era costantemente sola e lo notava solo adesso, si sentiva infelice ma non desiderosa di cambiare, arrabbiata per ciò che era successo a suo padre, affezionata al silenzio della sera, dipendente dai telegiornali che non facevano che peggiorare il suo umore. Era un circolo vizioso. Quella cena, la loro prima cena a casa Danvers-Luthor, Kara l'aveva fulminata con lo sguardo perché le loro madri non si erano arrabbiate come sperava per la questione dell'armadio e lei aveva ricambiato con un sorriso. Si divertiva a vederla arrabbiata con lei; voleva vedere come reagiva, trovandola… carina. Anche se non lo ammetteva. Carina. Molto più che su quei file a cui avevano lavorato lei e il suo assistente.
«Eccomi qui, scusami», si sedette svelta, passando un indice sul piatto. «Alex voleva parlarmi di Eliza: è stata delle ore con lei al telefono ed era arrabbiata perché non trovava me per distrarla. Non sapeva che non eavamo a cafa», finì, con il dito in bocca. Si accorse solo allora che Lena la fissava e le si imporporarono le gote, deglutendo. «Cosa?».
«Ti amo».
«A-Anch'io ti amo», si morse un labbro e si guardò attorno. «Oh, i Larslie sono davanti al jukebox: cosa facciamo, andiamo?».
I lamenti arrabbiati di Leslie Willis vivacizzarono la sala, prendendosela contro la macchina che le aveva rubato la monetina senza averle messo la canzone scelta. La videro prenderla a pugni e, distante, uno dei dei ragazzi che lavoravano lì inquadrarla minaccioso.
«Lascia stare, fragolina di bosco, ci penso io».
Quel Larry aveva preso il suo posto davanti al jukebox e, dopo un pugnetto più delicato, si mise a cercare una moneta nel suo sacchetto portamonete tirato fuori da un taschino. Leslie sbuffò innervosita e si voltò, le vide arrivare, digrignò i denti e si rivoltò con uno scatto, mettendo le mani sui fianchi. «Sì… cactus di-?! Che diavolo», si morse la lingua, non trovando qualcosa per ribattere prima che fosse troppo tardi. «Perfetto. Tu ce la farai». Aveva una dannata reputazione da mantenere.
Il tono della sua voce era più finto del colore dei suoi capelli e le due si scambiarono un'occhiata complice, facendo una smorfia. Kara avvolse Lena per le spalle e si fermarono, salutandola, captando la sua agitazione nel trovarle lì non appena schizzò come se avesse preso la scossa.
«Ehi, chi si rivede…». Scrollò le spalle e forzò un sorriso, guardando indietro con la coda dell'occhio: Larry aveva trovato la moneta e stava selezionando la canzone. «Non pensavo vi avrei trovate qui… Ci sono molti ristoranti a National City».
Oh, era davvero nervosa. «Lo frequenti ancora?», chiese Lena, arcuando un sopracciglio. «Credevo, dopo ciò che è successo…».
«Perché fa parte della Banda Bassotti, dici? Beh, scopiamo solo, mica gli chiedo i documenti».
«Questo a me sembra un appuntamento», rispose Kara guardando Lena e lei annuì.
«Non è un appuntamento».
«Sì che è un appuntamento».
«Non è un appuntamento», ribadì.
«È un appuntamento, Leslie», controbatté anche Lena.
La musica partì e Larry alzò in aria le braccia pelose in segno di vittoria. «Grande! Adesso è un appuntamento perfetto, baby», l'abbracciò per le spalle incurante della sua aria funesta, di pietra, e solo dopo si accorse di loro. «Ehi, io vi conosco! Piacere, Larry», allungò la mano e gliela strinsero a turno. «Vi avevo viste quella volta in centrale, quando è morto Gand! Brutta storia. Ma è stato anche il giorno in cui ho conosciuto la mia lolita», le sorrise e le ragazze ebbero come l'impressione che l'anima di Leslie si fosse appena divisa dal corpo, poiché nemmeno gli occhi rispondevano più. «Che bella coincidenza trovarvi qui».
«Infatti», abbozzò un sorriso Lena, «Ci sono molti ristoranti a National City», guardò Kara, che annuì.
«Oh, no, è perché io abito qui in zona», sorrise, indicando verso la porta. «Nelle collinette lassù, in campagna. La mia metà ama stare in luoghi appartati e ne approfittiamo. Sta da me, e così…».
«Oh, li ama tantissimo», sibilò Lena. «Tu lo sapevi, Kara?».
«Sì, Leslie è una persona così riservata anche a lavoro».
Fu allora che gli occhi della donna ebbero un sussulto che, se avesse potuto, le avrebbe fulminate.
«Lavoriamo insieme alla CatCo», gli fece sapere.
Lui si mostrò sorpreso, fermando il ritmo che aveva preso seguendo le note della canzone: «Davvero? Non parla spesso di queste cose, ci focalizziamo su… altro», inclinò la testa e abbozzò una risata imbarazzata. «E voi due?», le indicò e non si lasciò sfuggire l'attimo per baciare lei, stranamente silenziosa. «Come mai qui? Siete sorelle, adesso, vero? Vi godete un po' di pace dalla città?».
«Sorellastre», disse veloce Kara; aveva preso ad annaspare e si passava la lingua sulle labbra come se si stesse trattenendo, guardando l'altra in aiuto. «Le nostre madri-».
«Le nostre madri sono sposate».
«Sposate, sì», annuì, togliendole il braccio dalle spalle. «Noi ci… ci fre-frequentiamo… per questo. Sì».
Lui sorrise entusiasta. «Le invitiamo a mangiare il dolce con noi, cicci? Vi va?».
Finalmente, Leslie ebbe un segnale chiaro di vita: «No», sbottò. «Il dolce lo avranno già mangia-».
«Perché no?», dissero in coro. «Nessuno nega un bis al dolce», aggiunse Kara, facendo strada.
Lei lo guardò adirata e lui scollò le spalle. «Ho piacere a conoscere le tue amiche».
«Non sono mie amiche».
Non ricordarono di aver mai riso tanto come quella sera, dopo essere uscite dal locale. Sì, non si aspettavano di passare una parte del loro appuntamento con i Larslie a vendicarsi amorevolmente di Leslie Willis, ma ne era valsa la pena e, in un certo senso, combattendo fianco a fianco quella battaglia, si sentirono più unite che mai. E se prima si domandavano cosa ci facesse lei con uno come lui, bastò quella mezzora per chiedersi cosa ci trovasse lui in una come lei. Lui era troppo buono per l'organizzazione e di certo lo era per Leslie Willis. Arrivarono davanti a un palo della luce e Lena, abbracciata a Kara, ne approfittò per avvicinarsi e rubarle un bacio. L'aria fresca di pioggia pizzicava sulla pelle.
«Ehi», Kara rise, «Potrebbero vederci qui sotto», sussurrò voltandosi: non erano troppo distanti dal locale e ricordava bene un uomo che fumava fuori dalla porta.
«Nessuno guarderebbe noi, Kara. Siamo invisibili, qui». La strinse più forte e la colse in un nuovo bacio, più atteso, più lento, più caldo. Non c'era nessuno, nel paesello si sentiva solo l'allarme lontano di una macchina e il miagolio dei gatti. Era una serata perfetta.
«Hai freddo? Hai i brividi»: Kara aggrottò lo sguardo e cercò di scaldarle le braccia con le mani; a quel punto si sfilò la giacchetta, infilandola sopra a quella altrettanto fine che l'altra già indossava. La circondò di nuovo con le braccia e la strinse per avvicinare la bocca alla sua: le mordicchiò un labbro, lo assaggiò e la vide sorridere; spalancarono le labbra accogliendosi, chiudendo gli occhi. Si baciarono di nuovo, e di nuovo, tenendosi avvinghiate.
A un certo punto si separarono inspirando piano e Lena, con gli occhi sui suoi, allungò la mano destra per accarezzarle il contorno del viso fermandosi sulla piccola cicatrice che aveva in fronte, sopra un occhio, tastando con delicatezza. «Devo confessarti una cosa, Kara». Lei arcuò un poco le sopracciglia con curiosità e Lena, con il cuore che batteva agitato, continuò: «La capisco… Anche io ero come Leslie. Mi vantavo di essere romantica e leggevo molti romanzi d'amore, immedesimandomi nella protagonista, ma in realtà mi veniva difficile pensarmi seriamente in una relazione vera. Non più, dopo Jack. La cosa mi terrorizzava», scrollò gli occhi verdi.
«E cosa è cambiato?».
«Tu. Sei arrivata tu: conoscevi la risposta». La vide lentamente mutare espressione, intanto che anche le orecchie cambiavano colore, surriscaldandosi. «Non voglio… Sai, non vorrei passasse come una romanticheria da quattro soldi…».
«Non lo è».
«E non credo alle persone che cambiano per amore, Kara, è una cosa da libri. Io dico… davvero. Mi hai svegliata: non sapevo di essere pronta prima di conoscerti».
Le labbra di Kara si piegarono e così se le nascose verso l'interno per trattenere un sorriso; dopo spostò lo sguardo verso il locale, verso un altro lampione per osservare gli insetti in controluce, verso gli alberi dall'altra parte della strada, verso una macchina parcheggiata. Di che colore era poi quella macchina? Ah, ma era quella di Lena. Continuò a contorcersi le labbra, si sentiva così, così…
«Sei imbarazzata».
«No, io…».
«Riesco ancora a farti imbarazzare, Kara Danvers».
Lei strinse i denti e buttò il collo all'indietro. «A-Andiamo a farci un giro qui? Non ci veniamo mai». Dopo averla chiamata fidanzata, questo era il punto più alto della serata, pensò. La sentì ridere ma non ci badò, alzando gli occhi e tentando di trattenere un felice sorriso. «Che cosa ci sarà da quella parte, un canale?».
«Kara», la bloccò fermandole una mano, «Vuoi vedere il canale? Non vuoi andare a casa?».
«N-Non c’è fretta».
«Prima che torni Indigo?».
Maledizione, pensò, mordendosi un labbro. Restarono in quel modo per qualche secondo: Kara buttata in avanti e Lena che la tratteneva con una mano, ancorata sui suoi passi. Se ci avesse messo peso, sarebbero cadute entrambe.
«Che cosa hai combinato?». Kara si voltò piano e Lena si assicurò di stringerle più forte la mano nella sua, strisciando il pollice sul dorso. «Lo sai che a me interessa solamente essere con te e che il resto…». Lasciò la frase a mezz'aria, studiando il suo comportamento.
«È che», tornò a mettersi dritta, accarezzando la mano unita a sua volta, «mi sembra», arrossì vistosamente sotto la luce del lampione, «una cosa un po'… banale. Non riuscivo a trovare niente». Gonfiò gli occhi, iniziando a gesticolare. «A-Avrei voluto avere più fantasia, mi era sembrato di aver trovato un'idea carina e poi mi dici una cosa così… così perfetta che andare a casa ora mi sembra di rovinare tutto».
L'altra rise, spostando anche lei lo sguardo da un'altra parte. «Perfetta?». Kara era più adorabile del solito e avrebbe voluto fare qualche battuta, ma cedette al desiderio di abbracciarla. La strinse e si alzò in punta di piedi per baciarle la fronte. «Tu sei… assurda».
«Cosa?».
«Andiamo a casa, ti prego», la fissò, tenendole di nuovo una mano. «Però andiamo prima a vedere velocemente quel canale perché mi hai messo curiosità», lo indicò, tirandola dietro di lei.

UN ANNO FA

Kara si era coricata sul letto con tanti pensieri a frullarle nella mente. Quella Lena Luthor doveva ancora essere in salotto, da sola, a guardarsi un film. Beh, poteva starci il tempo che voleva, ma… Ciò che aveva detto a tavola su come Lillian volesse più bene al primogenito, l'aveva davvero colpita e non faceva altro se non pensare che, se vero, doveva essere terribile. Eliza e Jeremiah avevano sempre trattato lei e Alex allo stesso modo, anche se lei aveva già dieci anni quando avevano iniziato a conoscerla. Le erano stati vicini, l'avevano supportata e sopportato il suo periodo buio ai primi tempi; erano stati indispensabili per la sua serenità, per farla sentire voluta e amata. Accettata. Aveva sempre pensato che fosse una cosa normale in un'adozione, nulla in più di altre famiglie, ma quella Luthor pareva funzionare in modo diverso. Era arrivata alla conclusione che, forse, era per quella ragione che Lena si dimostrava tanto acida con lei: questa unione famigliare aveva dei punti in comune a un'adozione e doveva ricordargliela. Non era stata accettata dai Luthor, o per lo meno non da Lillian, e così temeva di non essere accettata da loro allo stesso modo. E lei, adottata a sua volta, era quella che più di tutti avrebbe potuto starle vicino. Beh, aveva indubbiamente sbagliato qualcosa fin dal treno, ma poteva ancora recuperare, aveva pensato. Se solo si fosse presentata intanto che era sveglia, sdraiandosi anche lei, avrebbero potuto parlare da persone civili. E forse darle quella possibilità che prima, a causa dello scherzo all'armadio, non aveva voluto assolutamente darle. Beh, aveva continuato a pensare mentre gli occhi le si chiudevano dalla stanchezza, poteva rimandare la discussione da persone civili all'indomani. Però la porta era scattata in quel momento e si era aperta piano, così Kara aveva finto di dormire, lasciando gli occhi chiusi. L'aveva sentita camminare come se si stesse muovendo in punta di piedi, sentendoli scricchiolare sopra il pavimento di legno. Aveva sbirciato una volta sola, vedendola sistemarsi il letto in modo ordinato, poi aveva richiuso le palpebre pesanti. Quella Lena poteva non essere tanto male, in fondo. In fondo.

PRESENTE

C'era qualcosa di diverso nell'aria, quella notte. Qualcosa di nuovo e vecchio allo stesso tempo, di fresco e caldo, di dolce e aspro, che sapeva di versioni di loro che andavano a letto, l'una davanti all'altra e, mentre una provava a dormire pensando di darle un'occasione, l'altra metteva play a un documentario sul cellulare per riuscire a dormire in una casa nuova, ritrovando nella voce del narratore quella di suo padre che le leggeva una favola; sapeva di versioni di loro che tornavano in villa col cuore in gola, che erano nervose, che si sentivano piccole e grandi in momenti diversi o gli stessi, amate e speciali, fortunate, anime affini con cicatrici invisibili che sapevano curarsi con uno sfiorarsi. Stava accadendo parallelamente a distanza di un anno, eppure Kara e Lena non potevano sentirsi più distanti da quel giorno: allora non si sopportavano, poi però iniziarono a conoscersi e a innamorarsi quasi subito, a provare ad allontanarsi per fermare il terremoto che si apprestarono a sentire dentro, e finalmente cascarci, baciarsi, toccarsi, fare l'amore tra bigliettini e tanto sospirate dichiarazioni d'amore, separarsi e piangere, arrabbiarsi e… aspettarsi, perdersi e tentare disperatamente di ritrovarsi e farlo, farlo con il pericolo concreto di non esserci più un noi. Era passato molto più tempo in quei trecentosessantacinque giorni, sei ore, nove minuti e nove virgola cinquantaquattro secondi di trecentosessantacinque giorni, sei ore, nove minuti e nove virgola cinquantaquattro secondi. Avevano trascorso una vita e, ora, ne iniziavano un'altra. Alle vecchie loro tutto stava per succedere, si stava ripetendo in quel momento, intanto che le nuove loro si accingevano a un nuovo percorso.
Lena chiuse gli occhi e Kara deglutì, stringendo il lembo di stoffa rossa tra le dita. La prima faticava a restare dritta con la schiena, agitata com'era; non voleva darglielo a vedere perché la conosceva e sapeva bene che doveva averla anticipata in quello, soprattutto per come si era fatta strana fuori dal locale. La seconda era un fremito: e se avesse fallito? Se a Lena sarebbe venuto da ridere e non in modo positivo? Era una cosa così… banale. O forse esagerata? Aveva come l'impressione di essersi messa in quella situazione tutta da sola: aveva creato delle aspettative in Lena e su se stessa senza che fosse obbligata a far nulla, e adesso… Adesso erano lì, l'una davanti all'altra, e l'unica cosa che Kara poteva fare era andare avanti, provarci, dare del suo meglio per rendere quella notte unica.
Tremò nell'atto di alzare le braccia; raggiunto il volto di Lena, le carezzò una guancia e, non mancando di emettere un breve sospiro, le passò il pezzo di stoffa sugli occhi. Non poté resistere alla tentazione di baciarla, circondandole il collo per fare un fiocco.
Lena sorrise. «Ah… Finalmente so cosa passa per la mente della mia fidanzata». Attese, certa di averla sorpresa nel ripetere quella parola in modo così naturale com'era stato per lei. «Non vedeva l'ora di bendarmi». Allora la sentì ridere e dopo abbracciarla, rubandole un bacio e infine, tanto vicino all'orecchio da sentire il fiato battere sulla pelle, sussurrarle di fare silenzio. Oh, ora voleva anche dirle di stare zitta? «Avresti dovuto tapparmi anche la bocca con qualcosa, Kara. Non è sicuro», ridacchiò. Aprì la mano destra sentendo le sue dita cercarla e così si strinsero, lasciandosi guidare all'interno della camera.
Aveva fatto in tempo a vedere le candele accese sui mobiletti, comodini e scrivania che illuminavano la stanza creando un'atmosfera calda e tenue, più intima; il letto coperto da un lenzuolo color orchidea e delle ciotoline di diversi colori, di sicuro trovate in cucina, disposte ai piedi del letto. Si domandò cosa contenessero ma prima era troppo distante per sbirciare e ora la regola le imponeva di tenersi la benda. E non poteva violare una regola. Forse non era pronta a dirlo a voce ma, a parte la paura di inciampare, non le dispiaceva l'idea.
I loro respiri erano l'unico rumore che Lena riusciva a captare nell'aria. Sentiva l'odore di cera squagliata e quella leggermente bruciacchiata della fiammella, del deodorante rimasto sui vestiti, l'odore dolce della sua pelle come se potesse disperdersi a ogni tocco.
Kara si accorse presto di aver sbagliato: voleva tendere le redini del gioco come Lena aveva fatto con lei senza fargliela pagare com'era nell'idea iniziale, e aveva impostato delle regole, ma non era suo il compito di rendere quella notte unica: era di entrambe. Erano insieme in quel gioco e poteva funzionare solo se insieme avrebbero giocato. E nessuna delle regole di Kara impedivano a Lena di prendere iniziativa.
L'aiutò lentamente a spogliarsi, sistemandole la benda dopo che le sfilò il top. Lena sentiva i polpastrelli bollenti di lei che le sfioravano il bacino e le sue labbra, se possibile ancor più bollenti, passare sullo sterno e perdersi lungo il seno sinistro. Le venivano i brividi. Normalmente le avrebbe detto di premere, ma stavolta non si sarebbe azzardata: Kara non temeva più di farle male, il suo tocco era leggero di proposito, voleva che la sentisse in quel modo e se la sarebbe goduta. Alzò la mano destra e le trovò i capelli: cominciò a prenderle ciocca dopo ciocca con entrambe le mani e a giocare con loro intanto che sentiva la sua lingua che, com'era caldo il sole, le infiammava la zona intorno all'ombelico. Bagnata, calda; le sue labbra morbide accarezzavano. Sentì un sospiro ancor prima di rendersi conto che era suo. L'aiutò ancora e risero finendo sul letto, quando Lena sbatté il mento sul suo naso.
«Non capisco come tu abbia fatto».
«Se non lo sai tu, come potrei io con una benda?». Però trovò facilmente la sua bocca, annusando il suo respiro e aroma di ciliegia: aveva preso da poco quel rossetto, glielo aveva consigliato lei; era così forte che sarebbe stato impossibile non sapere di esserle tanto vicino. Era sopra di lei, quindi si resse con un gomito e con la mano sinistra libera le vezzeggiò la pancia, tenendo le dita unite e il palmo pronunciato. Non voleva rovinare tutto iniziando a stringere. Il suo profumo era come lievemente zuccherato, lo percepiva ora come mai prima; concentrò l'aria intorno, le entrava dentro come una droga e allora, arrivata al limite, colse le sue labbra. Era da tanto che voleva sentirla di nuovo così. Inspirarono, si lasciarono e si ripresero come se fossero due parti della stessa entità, sorprendendosi in un abbraccio caldo, sbottonando e tirando via ciò che ancora impicciava i loro corpi.
C'era qualcosa di diverso nell'aria, e non era solo la cera che colava o l'aroma alla ciliegia che si mischiava con quello alle rose del rossetto di Lena.
Era sdraiata sul letto, nuda. Sentì Kara che si separava da lei dall'aria che prese il suo posto. Le mancava già ma sapeva che, qualunque cosa contenessero quelle ciotoline, doveva essere andata a prenderle.
«E ora non ti muovere».
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la verità era che le si seccò subito la gola dall'ansia. E poi dirle cosa? Come se avesse avuto le parole per farlo. La attese, semplicemente. Avvertì la pressione del materasso cambiare: doveva essere salita. Sentì con le dita della mano destra che doveva aver appoggiato una ciotolina, un'altra, un'altra alla sua sinistra e una quarta. Che cosa…? Poi captò il suo odore e il suo respiro sulla bocca dello stomaco prima ancora del movimento del materasso che le diceva che stava per mettersi su di lei. Ma no, non sdraiarsi: si sedette sulle sue cosce, gambe piegate. Passò poco che la risentì di nuovo inchinarsi in avanti e, inaspettato, un goccio d'acqua al centro del petto. Colta di sorpresa, percepì il suo corpo inghiottirsi rapidamente; la pelle si tirava a contatto con una cosa tanto fredda in contrasto col caldo provato fino a quel momento. Sospirò rumorosamente da stupirsi lei stessa, piegando indietro la testa.
«È- È tiepida», la sentì balbettare. «Lo giuro. L'ho messa prima di venire in camera e-e io la sento-».
«Va bene, vaniglia», sorrise. «Sono io quella accaldata, non è colpa dell'acqua».
«… Giusto».
Le venne di nuovo da sorridere poiché doveva essersi allarmata per la sua reazione. Ma andava bene, andava molto bene e sospirò, intanto che le passava le dita bagnate lungo le braccia, sotto le ascelle, sotto il collo per poi passarle la lingua. Anche l'acqua odorava di buono. «Mirtilli?». La sentì ridere appena prima di baciarle dietro un orecchio. Riconobbe chiaramente il rumore dell'acqua incresparsi su una di quelle ciotole e dopo sentire la scia lungo il suo ombelico: glielo riempì d'acqua e ci immerse la lingua. Lena trattenne il fiato.
Era un misto di sensazioni: se da un punto di vista gli odori la drogavano, dall'altro il conflitto nato dal caldo e dal freddo accompagnati dal suo tocco leggero le rendeva la pelle sensibile da impazzire. Non capiva più da quanto tempo si trovavano lì. Né per quanto tempo sarebbe riuscita a resistere. Era una tortura, pensò. Una tortura piacevole che risvegliava qualcosa all'interno e, allo stesso tempo, scopriva all'esterno.
Le bagnò i fianchi, lasciò che una goccia le solcasse il ventre. Cercò di bagnarle anche i piedi ma Lena per poco non le diede un calcio e, pur non mancando qualche risata divertita, sembrò rinunciarci. Le bagnò il naso e seguì l'acqua con un dito fino alle sue labbra, che lo catturarono. Non se lo aspettava e la sentì emettere un verso di stupore e così, quando glielo lasciò andare, sorrise compiaciuta. «Arancia», borbottò. Quell'acqua era aromatizzata all'arancia.
«E?».
«Menta?». La sentì sporgersi e le poggiò due dita sul mento per farle aprire la bocca. La goccia d'acqua le arrivò dritta sulla lingua. «Limone». Le poggiò un dito umido sul naso: pensò che doveva aver indovinato. «Posso chiederti dove hai-», le parole le si fermarono in gola all'improvviso: non si era accorta, distratta, che Kara si era spostata per bagnarle i capezzoli.
«Di… cevi?».
Doveva sorridere. La vedeva con l'immaginazione. «Dove… hai-», sospirò, sentendo le sue dita umide che giravano intorno al capezzolo destro: aveva la pelle d'oca su tutto il seno. Un dito, tre, cominciò a passarle delicatamente la mano, sfiorando appena, bagnando con piccole gocce il centro. Glielo baciò e Lena alzò le mani per cercarla, accarezzandole le braccia nude. Avrebbe tanto voluto arrivare a quell'acqua. «Dove hai preso… l'acqua?».
«Shh».
Lena aggrottò la fronte. «Dove, Kara?». Lo aveva capito, voleva il silenzio, ed era perfino strano da parte sua che ogni volta si metteva a parlare, ma stavolta era lei a sentire il bisogno di farlo, di estraniarsi un attimo.
«Segreto».
Ah, okay. Se non fosse bendata, lei… Ma certo, pensò Lena. Per questa ragione Kara riusciva a stare zitta in un momento di tensione: lei non poteva vederla. Si vergognava quando la guardava negli occhi: aveva risolto un impiccio, ma era momentaneo. Un senso era fuori uso, ma gli altri erano più attivi di sempre. La costrinse a sollevarsi, spingendola e chiedendole di avvicinarsi una volta sedute, ma le labbra gliele sfiorò soltanto. Non la fermò: tastò il materasso fino a trovare una di quelle ciotole e ci immerse le dita. L'acqua era poca e si bagnò appena i polpastrelli, portandone uno in bocca. «Mela e…».
«Cannella».
«Cannella», ripeté. Si avvicinò a lei, seguendo l'odore di ciliegia. Doveva essere ferma, forse voleva vedere cosa avesse in mente di fare: con la mano sinistra le toccò le labbra per essere certa che non si sarebbero spostate e, con le dita della mano destra, bagnate, ne seguì il contorno. Scese sul mento e le colse il viso con entrambe le mani, allora la baciò. Il suo corpo andò a fuoco quando sentì le sue braccia passarle sulla schiena e tenerla stretta a sé, contro il suo seno nudo e bollente. Allungò ancora la mano destra, lasciandola, e tastò fino a trovare una delle ciotole, non sapeva se la stessa. La baciò di nuovo e la lasciò svelta, staccandosi il tanto per passarle le dita umide sul collo. Poteva sentire le vene pulsare. Scese seguendo le clavicole, e gliele baciò, ascoltando i suoi ansimi. Si bagnò ancora e le lasciò andare una goccia. Sentì impercettibile gli schizzi sulla propria coscia destra: doveva aver preso il materasso. Allungò per bagnare le dita che la mano di Kara le guidò il polso fino a dove serviva e, ancora unite, le lasciò cadere la goccia sul suo corpo. Le appoggiò la mano sul suo stomaco, sentendolo bagnato. Giocherellò con le dita passeggiando fino all'ombelico, lasciando le sue. La bagnò intorno, abbassò la testa e le colse con la bocca una spalla, lasciandole una scia di baci fino al collo. Bagnando la mano e passandole le dita dall'altro lato. Kara tremava sotto di lei: finalmente poteva sentire la tortura del caldo e del freddo insieme. Si bagnò di nuovo le mani, allungando entrambe le braccia, e le lambì i fianchi, l'interno coscia. Poteva averlo emesso molto piano, ma il suo udito lo aveva percepito lo stesso: un gemito. Era stato di certo un gemito. Le accarezzò le cosce mentre Kara, bagnata, pensò di coccolarle sotto le braccia. La sua pelle era così sensibile che avrebbe potuto rompersi. Si baciarono di nuovo e fu Kara a infilarsi in mezzo alle sue gambe e a stimolarla con le dita bagnate. Quando la sentì allontanarsi creando il vuoto freddo, capì di non poter resistere: «Kara». La sua voce era strozzata, quasi un brusio. «Per favore». Non poteva farglielo, non dopo tutto quel tempo a scaldarla e a farle entrare i brividi. A farla accaldare là in mezzo alle gambe.
La sentì toccarle le spalle, il viso, il suo respiro sulle proprie labbra. La fermò tenendo il braccio sinistro e poggiò l'altra mano sul fianco destro, aiutandola a sdraiarsi di nuovo. La bagnò piano lungo il suo corpo e trasalì, prendendo un grosso sospiro, chiamandola ancora. Non poteva più resistere. Poi, dopo qualche attimo in cui non captò più nulla, la sua lingua fu proprio dove ne sentiva più bisogno, sentendo il suo corpo ritrarsi com'era successo con la prima goccia fredda. I brividi sulla pelle. Spalancò la bocca, stirò le dita dei piedi e tirò il lenzuolo. Sentì una delle ciotole cadere, ma l'acqua doveva essere così poca che l'altra non si mosse, continuando a infiammarle dentro, fuori, ovunque; il calore saliva dalle ginocchia su per lo stomaco. Poi cambiò. Percepì le dita umide vezzeggiarle l'interno coscia e la sua lingua salì a baciarle la pancia, in fiamme. Lena sollevò le gambe, respirando a pieni polmoni.
C'era qualcosa di diverso nell'aria, quella notte. Lo sentivano.


***


«Sono di Eliza».
Lena spalancò gli occhi. «Hai rubato l'acqua aromatizzata di Eliza?».
«Sapevo che ne teneva in un armadio e così…», diventò rossa quando la fissò. «Gliele ricomprerò».
Lena rise e l'abbracciò, Kara ricambiava. Erano sedute sul materasso, sui cuscini e coperte dall'unico lenzuolo. Ebbero qualche brivido di freddo quando l'acqua finì e la loro temperatura corporea sembrò tornare normale, trasportandole dal loro mondo a quello dove una finestra si era spalancata di colpo dopo una folata di vento.
«Che ore saranno?», domandò Kara e Lena si sporse per recuperare il suo cellulare sul comodino.
«Non abbiamo sentito Indigo rientrare, vero?».
Kara stirò un sorriso. «A-Avevo la testa da un'altra par-».
«Ho una sua chiamata persa», le parlò sopra e si imbronciò.
«Le avevo chiesto di chiamare Alex. O me. Quella ragazza non mi ascolta, non-», Lena le tappò la bocca con un dito e, vedendola con il cellulare a portata d'orecchio, decise di fare silenzio.
«Indi- Winn?», strabuzzò lo sguardo, «Come mai…? Cosa?». Il suo sguardo si fece paonazzo e guardò l'altra; anche lei aveva appena perso il sorriso. «Stiamo arrivando», staccò la chiamata con decisione.
«Cosa è successo?».
Lena aprì il lenzuolo per scendere dal letto, ricercando con uno sguardo rapido i suoi vestiti. «Hanno avuto un incidente», spiegò in fretta. «Stava riaccompagnando Indigo qui e una macchina gli è andata addosso».
Anche Kara si alzò subito, infilandosi gli slip. «Co-Come stanno? Dove sono?».
«Bene, non- Ancora sul posto o… o meglio lo è Winn». La guardò grave: «Appena ha capito che sarebbe intervenuta la polizia, Indigo è scappata. Dobbiamo andare a cercarla».






























***

Il capitolo sembra lungo, ma è una magia: è colpa di Kara e dei suoi messaggi a singhiozzo che richiedevano l'andare a capo XD
Ebbene, ben ritrovati! Vi è piaciuto questo capitolo?
Come ho scritto altre volte, e la situazione non è che sia proprio cambiata, io non sono mai sicura su certe scene, come ho le scritte e descritte, ecc… Anche questa, come altre, l'ho riscritta due/tre volte perché non mi soddisfaceva, poi l'ho lasciata decantare giorni e rileggendola non l'ho trovata così male come ricordavo. A voi l'ultima parola!
Cosa ne pensate del resto? Della cena, Leslie Willis e il suo appuntamento (è un appuntamento, Leslie) con Larry, del rapporto cane/gatto di Kara e Indigo (e non è difficile intuire chi sarebbe il cane e chi il gatto, tra le due), Winn e Indigo, del passato e di come si sentisse Lena, dei pensieri di Kara, di Tre gemelle e una strega… Voi l'avete mai visto? Onestamente io ne avrò visto qualche pezzetto anni fa, non l'ho mai seguito, ma era tenero.

La pausa annunciata nelle note dello scorso capitolo si avvicina, purtroppo… Ma intanto, ci si rilegge sabato 9 novembre per il capitolo 58 che si intitola Dei miei sbagli :)


   
 
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