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Autore: T612    01/11/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CAPITOLO XIII



 

27 settembre 2018, Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

L’aveva svegliato la luce in corridoio che faceva capolino dalla porta socchiusa, in una lama luminosa che fendeva il buio della camera da letto, mentre James si porta la mano sana al volto per strofinarsi gli occhi in un tentativo fallimentare di scacciare via la sonnolenza, finendo per girarsi dall’altra parte del materasso dando la schiena alla porta, affinando l’udito limitandosi ad ascoltarla.

Percepisce il rumore sordo delle palme dei piedi che viaggiano sul parquet in punta per fare meno rumore possibile, avvertendo la chiusura metallica del mobiletto in bagno che viene aperto, seguito dallo strappo delle bende e dello scotch per fasciature… e James sopprime l’impulso di alzarsi dal letto ed andare a controllare che la compagna non si sia ridotta ad uno scolapasta –non di nuovo, spera–, sedando l’istinto concedendole il beneficio del dubbio, concentrandosi sul gocciolio del rubinetto appena chiuso, sul tintinnio dello spazzolino contro la ceramica del lavandino, sul lievissimo stropiccio della stoffa mentre la sente infilarsi il pigiama e raggiungerlo a letto… tiene gli occhi chiusi fingendo di dormire percependo la sua ombra aggirare il materasso e scostare le lenzuola alle sue spalle, sibilando infastidito quando un paio di secondi dopo i piedi gelidi di Natasha vanno a scaldarsi in mezzo alle sue gambe, circondandogli il busto con un braccio schiacciando la guancia contro la sua schiena dopo avergli depositato un bacio in mezzo alle scapole.

-Lo so che sei sveglio… a titolo di cronaca, la prossima volta fingi di russare almeno un po’. -lo informa in un sussurro, scostandosi appena per permettergli di girarsi verso di lei, mentre James cerca istintivamente le bende che le fasciano il corpo appena socchiude gli occhi. -Sto bene, torno come nuova tra un paio di giorni.

-Mh-m. -concede volutamente sordo alla constatazione, cercando lo stesso le garze con le dita mentre Natasha lo lascia fare sbuffando spazientita celando un sorriso che fa capolino dalle labbra, annuendo soddisfatto dopo aver appurato che i graffi erano effettivamente contenuti e la donna non stava minimizzando come al solito per rimandare la sua preoccupazione al mattino dopo. -Se volevi evitarti il check-up non dovevi accendere la luce in corridoio e svegliarmi, fino ad un quarto d’ora fa io dormivo.

-Ecco, bravo, torna a dormire su. -replica con tono fintamente scontroso, rannicchiandosi verso la sua porzione di materasso dandogli le spalle. -Certo che tu non ti fidi proprio mai, eh.

-Scusa se tendi sempre a minimizzare… -brontola allungando un braccio trascinandosela contro, facendo collidere la schiena della donna contro il proprio petto. -Ma questo discorso lo affrontiamo un’altra volta, non sono abbastanza sveglio per litigare come si deve.

-Ti odio. -annuncia Natasha con finto risentimento sbadigliando nel mentre, ritornando a dargli fastidio con i piedi congelati per ripicca reputandolo un equo regolamento di conti, intrecciando le dita alle proprie abbandonate sopra il suo stomaco.

-Bugiarda. -la smaschera senza troppa difficoltà, premendo le labbra contro i suoi capelli regalandole un bacio della buonanotte. 

-Di professione… ‘Notte.

-‘Notte.

 

James allunga una mano alla propria sinistra tentando di afferrare nuovamente Natasha convinto che gli sia scivolata via dalle braccia nel sonno, percependo il tocco ispido delle setole del tappeto invece della morbida carezza delle lenzuola di cotone, aprendo gli occhi sul salotto del Complesso appurando di essersi addormentato steso sul pavimento. La colonna vertebrale scricchiola dolorosamente quando tenta di alzarsi seduto, contraendo i fasci di nervi infiammati quando inizia a stiracchiarsi, sibilando dolorante quando la scapola sinistra gli invia una fitta che getta in allarme tutte le sue terminazioni nervose… sbuffa rimuovendo la protesi alleviando il peso che grava sulla spalla dolorante, imprecando di prima mattina contro la propria schiena bloccata, ammettendo a se stesso solo in un secondo momento che la contrattura era quantomeno prevedibile, dato che erano ormai settimane che si ostinava a dormire ovunque –pavimenti, tavoli, sedie o divani sfondati– tranne che sul proprio letto. 

Non ha idea di che ora sia e francamente nemmeno gli interessa, registrando appena il cielo stellato che illumina debolmente le vetrate, abbandonando la protesi sopra il divano incurante di generare disordine disperdendo pezzi di se un po’ ovunque… ormai lo faceva da settimane e nessuno trovava mai il coraggio di dirgli nulla, concedendogli tacitamente il lusso di intrattenere delle continue litigate mentali con Natasha sul caos che lasciava in giro, rimanendo deluso ogni volta quando ritrovava un oggetto abbandonato esattamente dove l’aveva lasciato e non fuori in giardino dopo un lancio olimpionico dalla finestra. 

Arranca fino in cucina strascicando i piedi alla ricerca di una tazza di caffè, mezzo storto a causa dell’arto meccanico mancante, in un costante tentativo di bilanciare il proprio baricentro per non inciampare, chiedendosi se la rinuncia a quel peso familiare che solitamente gravava sul suo lieve accenno di scoliosi fosse stata davvero una buona idea. 

Da quando l’avevano operato rendendo l’arto meccanico staccabile, sia Tony che la ragazzina gli avevano suggerito di ritrovare un proprio equilibrio anche senza il braccio sinistro, ma dopo settant’anni con un ammasso di ferraglia appesa alla spalla tre volte più pesante del normale, James non aveva avuto ne il tempo ne la voglia di correggere la sua situazione strutturale, limitandosi a riabituarsi al nuovo peso arrancando per inerzia, abbandonandolo giusto il tempo per la diagnostica di routine, la doccia ogni tanto e le rare volte in cui la schiena urlava infiammata che era un idiota nel voler fare sempre di testa propria. Quelle erano anche le volte in cui Natasha si incazzava sgridandolo per non avere il minimo rispetto della propria salute, sorda alle proteste quando lui sottolineava a tono come la cosa fosse reciproca, ritrovandosi ogni volta con le dita della donna impegnate a sciogliergli le contratture seduta a carponi sopra di lui… ovviamente il litigio non cessava di colpo, ma almeno gli veniva concesso di dormire sul materasso per un paio di notti prima di ritornarsene sul divano, sempre se non riusciva a corromperla prima ed era dannatamente bravo nel corromperla.

James non sa di preciso quando si sia preparato il caffè, ma la tazza fumante che si sta rigirando tra le mani diventa un chiaro sintomo di come ultimamente passi più tempo sconnesso dalla realtà che presente a se stesso, lasciandosi scivolare addosso il mondo che gli gravita attorno mentre il pensiero randomico di impedirsi di accartocciarsi di nuovo su se stesso gli attraversa la mente tentando di convertirlo in un buon proposito, ma forse non ci crede abbastanza per concretizzarlo davvero in un dato di fatto, prefigurandosi tra qualche ora nuovamente addormentato sul tappeto –magari senza protesi, tutto dipendeva dall’evolversi del suo mal di schiena nel corso della giornata–, ridendo con autoironia del proprio equilibrio discutibile e della propria testardaggine… ritornando sempre con la mente al fatto preoccupante di aver ricominciato a sognarla, il che a tratti era forse peggio di immaginarla morta, ferita o agonizzante con il suo nome impigliato nelle corde vocali, dubitando di riuscire ad addormentarsi sul loro letto in tempi brevi. 

Si rende conto di essersi perso di nuovo nei propri pensieri quando, sistemandosi meglio sullo sgabello del bancone, incappa nello sguardo di Wanda e nella sua seconda fetta di pane e marmellata, che gli rivolge un cenno del capo in segno di saluto mantenendo immutato il religioso silenzio che regnava tra quelle quattro mura ancora immerse nel buio della notte.

-Schiena bloccata? -spezza il silenzio la ragazza dopo aver avuto la conferma di essere stata notata, cadendo con lo sguardo sulla manica vuota della sua maglietta.

-Tu puoi farci qualcosa? -replica con tono spento dubitando in una risposta affermativa, rifiutandosi lui per primo di richiedere un massaggio a qualcuno.

-In realtà sí. -afferma la ragazza sporgendosi sul tavolo afferrandogli la spalla sinistra in uno slancio altruistico improbabile ed improvviso, sprigionando dalle dita dei tentacoli vermigli che gli attraversano la schiena infilandosi sottopelle, incuneandosi tra i fasci di muscoli in tensione sciogliendo gradualmente tutte le contratture, ritirando la mano solamente a lavoro concluso. -Meglio?

-Molto… grazie. -concede scucendosi un microscopico sorriso mentre Wanda liquida il gesto con una scrollata di spalle, indugiando con lo sguardo sulle scintille cremisi che sospingono il cucchiaino mescolando lo zucchero nel suo the, riportandosi la propria tazza di caffè alle labbra prendendone un sorso generoso scoprendo con disappunto che nel frattempo il liquido nero si era raffreddato.

-C’è qualcun’altro di sveglio? -chiede dopo diversi secondi di silenzio, il cervello leggermente più reattivo che gli permette di rendersi conto che loro due sono gli unici svegli a discapito dell’altro paio di persone che soffrivano di insonnia ospitate occasionalmente al Complesso.

-No. -replica atona sollevando appena lo sguardo dalla propria tazza, celando il guizzo fulmineo che le colora le iridi di rosso. -Sharon è rientrata dalla missione un paio di giorni fa quindi Steve è tornato a casa a Brooklyn, mentre Tony è ancora in luna di miele a Venezia1.

-Uh... giusto. Che ti avevo detto sul leggermi nel pensiero? -replica scorbutico cambiando discorso quando la ragazza abbassa di nuovo lo sguardo, nascondendo le iridi screziate di cremisi fingendo di non aver sentito la domanda. -La mia mente è zona off-limits se non ti do il permesso verbale di giocarci.

-Io non ho la pazienza di decifrarti a parole… e poi i tuoi pensieri sono rumorosi, sono difficili da ignorare. -ammette Wanda stringendosi tra le spalle a mo’ di scuse. -Dobbiamo continuare a fingere di intrattenere una conversazione qualsiasi o possiamo tornare a dormire?

-Non credo ritornerò a dormire. -afferma alzandosi dal bancone afferrando la tazza sporca consegnatogli da Wanda quando le passa davanti, depositandole entrambe nel lavello. 

-Non puoi nemmeno scendere al poligono e svegliare tutti a colpi di mitragliatore.

-Le pareti sono insonorizzate. -replica con tono ovvio alla constatazione dirigendosi verso la porta, vedendosela chiudere in faccia da un guizzo color cremisi, voltandosi a fronteggiare la ragazzina con sguardo vagamente scocciato. 

-Dovresti dormire, sono le quattro del mattino Bucky… non è sano che tu sia a zonzo già a quest’ora. -ribatte spigliata sprigionando una scintilla dalle dita. -Ti do’ una mano a riprendere sonno se vuoi.

-Non è sano nemmeno che tu sia in piedi a quest’ora a dire il vero. -replica puntiglioso, aprendosi la porta da solo ed avviandosi verso il salotto seguito a ruota dalla ragazzina. 

-Io ho la scusante dei crampi alla pancia e dell’antidolorifico per essermi svegliata, che poi mi sia venuta fame e tutto un altro discorso. -commenta con un sorriso ironico sulle labbra, fronteggiando lo sguardo dubbioso di James quando si volta verso di lei cercando una spiegazione ai suoi malanni randomici. -Sai, quel favoloso periodo del mese… 

-Ah. -si ritrova a tendere le labbra in un sorriso divertito soffocando un principio di risata, scatenando un lampo di confusione negli occhi di Wanda, affrettandosi a fornirle una spiegazione alla propria reazione prima che lo etichetti come un pazzo completo. -Scusa, ma non mi capitava di chiamare in causa l’argomento dal ‘43… mia sorella non aveva gli antidolorifici, credo tu possa immaginare le lamentele in merito. Tutto qui.

-Natasha non…? -il quesito germoglia spontaneo sulle labbra della ragazza, prima di risucchiare un respiro riportando alla mente l’ovvia risposta. -Domanda idiota, l’ho anche visto. Sai… mi dispiace per Praga.

-Perché dovresti? Il padre non ero io… e comunque nessuno dei due vuole avere dei figli tra i piedi, di solito evitiamo semplicemente di parlarne2. -risponde per automatismo con voce atona sforzandosi di sembrare convincente, ma come tentativo fa abbastanza pena persino per lui, nonostante Wanda si astenga dal commentare l’intera faccenda lasciando sprofondare la conversazione nel silenzio… mentre un vago giramento di testa gli preannuncia una emicrania da favola se non trova immediatamente altro a cui pensare, articolando la frase successiva prima che riesca a comprenderla davvero. -Puoi rimettermi a dormire… per favore?

-Okay. Ma sul divano. -concede indifferente per poi bloccarlo subito dopo appena lui posa un piede sul tappeto, ben prima che possa anche solo formulare l’idea di lasciarsi ricadere sul pavimento, afferrando la protesi dai cuscini. -E dormi qualche ora senza quell’affare, altrimenti ti ritrovi nella situazione di prima con uno schiocco di dita, chiaro?

-Ho come minimo ottant’anni in più di te, di certo non prendo ordini-... 

-Vuoi seriamente metterti a litigare alle quattro del mattino? -lo placa con un sorriso che si sforza di essere gentile dipinto sulle labbra, sfregandosi le mani sprigionando scintille rosse che illuminano la stanza nella penombra, in un tacito monito che lo sfida a metterla alla prova. -Io ho sonno e voglio tornare a dormire… sii collaborativo, per favore.

James si morde la lingua e si lascia sprofondare tra i cuscini serrando gli occhi con forza, mettendosi l’anima in pace lasciandola fare… dopotutto qualche altra ora di sonno non può fargli davvero male, desiderando egoisticamente di ritornare al punto in cui si era interrotto il sogno di prima. 

-Puoi evitarmi gli incubi? 

-Questo non dipende da me, ma dal tuo cervello… io ci provo, ma non garantisco. -lo informa inginocchiandosi al suo fianco, posandogli un indice sulla tempia. -Pensa bene al dove vorresti essere.

Riporta alla mente la carezza delle lenzuola di cotone, il respiro rilassato di Natasha che si espande attraverso le costole fino al suo torace… i suoi capelli che gli solleticano il naso… i suoi capelli… rossi… rosso, rosso, rosso… rosso sangue…

 

James corre in mezzo alla neve… o almeno ci prova, arrancando immerso nella distesa bianca fino alle ginocchia lasciandosi la protezione della macchia erbosa del boschetto alle spalle, raggiungendo la strada battuta dai pneumatici del fuoristrada che ha abbandonato da poco la base militare limitrofa.

James corre come se avesse l’inferno alle calcagna fino alla porta d’accesso di metallo della base militare, discostandola con una spallata energica, perdendosi in mezzo al dedalo di corridoi con il battito del cuore che gli martella nelle orecchie, perchè sa che non ha più molto tempo… ignora il come fa a saperlo, lo sa e basta. Non ha tempo.

Pensava di non doverci più rimettere piede in quel luogo… ma anche quel pensiero fugge dalla sua testa e si nasconde dietro alla paura viscerale di essere in ritardo, mentre i corridoi gli scorrono a fianco a tutta velocità senza vederli davvero, fidandosi dei propri piedi che evidentemente sanno da soli dove devono portarlo, registrando appena la variazione di sonorità quando smettono di calpestare il cemento e raggiungono il parquet di legno. 

L’odore del sangue gli dà alla testa appena apre la porta della sala da ballo… e la vede, i capelli dello stesso colore della chiazza che si sta allargando sotto di lei colorando gradualmente il pavimento, inginocchiandosi al suo fianco iniziando a far pressione sulla ferita esposta praticando le manovre di primo soccorso… non ha tempo… 

 

-Buck… 

 

...non ha tempo… 

 

-Ehi, va tutto bene… 

 

...non ha tempo… 

 

James riapre gli occhi reprimendo uno spasmo sorpreso, profondamente grato che la tortura dettata dal suo inconscio sia finita, riconoscendo la mano di Sam ancorata alla sua spalla destra che lo scruta preoccupato dall’alto.

-Sam… -lo riconosce imprigionando un respiro nella gabbia toracica, iniziando istintivamente a contare i secondi per regolarizzare il respiro, mandando al diavolo Wanda ed i suoi sogni indotti, scuotendo il capo per scacciare via i recessi dell’incubo appena vissuto.

-Scusa amico, stavi tremando ed il tuo battito cardiaco era alle stelle… -lo informa mentre l’accenno di un sorriso rassicurante fa capolino dalle sue labbra, afferrandogli la mano tesa per aiutarlo a mettersi seduto. -Buongiorno, socio.

-Ehi… Quando sei tornato? -chiede sopprimendo uno sbadiglio passandosi la mano sul volto, stiracchiandosi ruotando le spalle, appurando che almeno le contratture si erano dissolte come se non fossero mai esistite.

-Stanotte. Dormivi sul pavimento, sono quasi inciampato su di te. -lo informa mentre lui annuisce in risposta, afferrando l’arto meccanico abbandonato sul pavimento, riattaccandoselo con il clangore secco del metallo ed uno sfrigolio di circuiti. 

-Non farlo mai più in mia presenza, fa senso… -annuncia Sam mimando la sensazione di un brivido che gli percorre la schiena, scatenando involontariamente la sua ilarità.

-Sbaglio o la tipa con cui ti frequenti di recente ha anche lei un braccio bionico? -scherza alzandosi dal divano muovendo l’articolazione avanti e indietro, calibrando il peso facendola aderire meglio alla placca elettromagnetica che nascondeva il moncherino. 

-Quello di Misty3 non si stacca… cambiando discorso, quando sei finito a barboneggiare in salotto come soluzione definitiva? Pensavo fossi tornato a Parigi… o avessi raggiunto Fury alla S.W.O.R.D.4… 

-Nah… barboneggio qui al Complesso da dopo il matrimonio di Tony1, tralasciando le gite fuori porta quando appare miracolosamente una pista e me la litigo con Natasha.

-A questo proposito… inizi a parlare tu o conduco un interrogatorio io? -replica Sam con tono leggero, ficcanasando nella sua vita sentimentale senza sforzarsi di nasconderlo troppo… come al solito, James trovava estremamente rassicurante che certe cose non cambiassero mai. -Manco da un po’ e a Hell’s Kitchen non arrivano poi così tanti aggiornamenti… 

-Ah no, non esiste. -ride scuotendo l’indice di metallo in segno di dissenso. -Mi sono appena alzato dal divano e sono reduce da un incubo, mi serve un caffè prima di riuscire a dire qualunque cosa di non compromettente

-Tipo? Che ti stai piangendo addosso da un mese anche se fingi di no? -lo provoca ben consapevole di quali tasti toccare.

-Ad Hell’s Kitchen non arrivano aggiornamenti, ma le telefonate di Steve sì, vedo… -brontola fintamente risentito, riuscendo a scoprire più carte di quelle pensate quando Sam tende le labbra in un sorriso di circostanza. -Quanto ti fermi?

-Un altro paio d’ore, poi sparisco di nuovo. -James annuisce avviandosi verso la cucina, reprimendo un sorriso a sua volta quando Sam lo segue d’impulso. -Se mi offri un caffè le ore potrebbero diventare tre.

-Solo tre? Non ti vedo da un bel po’, ho parecchie domande da farti… e poi a te servono decisamente più di tre ore per strapparmi di bocca una qualsiasi confessione cuore a cuore su Natalia.

-Idiota. 

James ride in risposta scacciando i recessi dell’incubo dalla propria mente, afferrando il barattolo di caffè mentre Sam inizia a parlare senza che lui gli abbia chiesto niente… non lo ammetterà mai ad alta voce, ma ultimamente si ritrovava ad affogare troppo spesso nei propri pensieri, quindi ora che gliene veniva offerta l’occasione, scivola volentieri nei problemi di qualcun altro –qualcuno a cui tiene e verso il quale non deve fingere interesse– sentendosi davvero utile per la prima volta dopo settimane… e, francamente, non pensava che quella sensazione potesse mancargli così tanto.

 

***

 

Alla fine le due ore erano bastate, Sam era tornato ad Hell’s Kitchen dalla sua nuova banda di disadattati3 come preannunciato e James, che non aveva niente di meglio da fare se non pensare a tutti i torti che aveva subíto dalla vita, si era messo a preparare il pranzo per tutti quanti evitando di dare fuoco alla cucina nella speranza che ciò bastasse a tenere la sua mente al guinzaglio, impedendole di tornare al fotogramma del parquet insanguinato collocabile presumibilmente sotto il cielo di Mosca.

Si impone di ritornare con la mente ad un paio di ore prima, ripensando agli aggiornamenti di Sam sul gruppo di persone che aveva raccattato a New York –un alcolista anonima, un paio di ex poliziotti, un miliardario fissato con il kung fu ed un avvocato– che tenevano sotto controllo la situazione locale istituendo l’ufficio di Murdock a centro operativo, lasciando a loro il problema più urgente delle nuove reclute, delle minacce internazionali ed occasionalmente quelle intergalattiche.

Contro ogni pronostico la sua lingua si era sciolta solamente dopo un ora e mezza, riassumendo in trenta minuti stringati il cosa si fosse perso da dopo il matrimonio di Tony, mettendolo a conoscenza del suo piano alquanto discutibile e decisamente controverso per ritornare –di nuovo– tra le grazie della sua fidanzata, venendo bruscamente interrotto ricevendo in cambio il solito monito che evidentemente tutti provavano gusto nel rinfacciargli: che Natasha sapeva cavarsela benissimo da sola, che non c’era davvero bisogno che lui si preoccupasse e che nessuno voleva ritrovarsi nei suoi panni quando la compagna l’avrebbe scoperto.

James ormai aveva rinunciato da tempo a provare ad illustrare a terzi i delicati equilibri di potere che regnavano in casa propria, tenendo per sé la considerazione che Natasha aveva lo stesso spirito di autoconservazione di una falena davanti ad una lampadina, reprimendo la visione del parquet macchiato di sangue che aveva popolato il suo incubo più recente, astenendosi dal spiegare che lui non metteva in dubbio le sue capacità di combattimento –né l’aveva mai fatto–, semplicemente sapeva che da separati non funzionavano bene… erano due parti di un meccanismo rotto che si completava perfettamente a vicenda, senza il supporto dell’altro iniziavano a cadere tristemente a pezzi, anche se in un modo o nell’altro si raccoglievano e si riassemblavano di nascosto a vicenda. 

Sta pensando troppo, sta decisamente pensando troppo… mentre l’idea di sfogare la propria frustrazione nell’allenamento fisico assume contorni ben definiti e concreti quando arrivano i ragazzini dopo pranzo, prestandosi volentieri al ruolo di insegnante per la prima volta dopo nemmeno sa più quanto tempo.

-Tira! 

James colpisce la pallina con precisione millimetrica, il rumore secco del cuoio che impatta contro il legno della mazza da baseball sovrastando ogni suono, osservando la parabola della pallina bloccarsi bruscamente quando la freccia la trapassa da parte a parte e la conficca nel muro alla sua sinistra. 

-SI! -Kate esulta sollevando un pugno in aria in una reazione di gioia genuina, scatenando istantaneamente l'ilarità dei due uomini.

-Niente male, Katie. -si complimenta Clint staccando la freccia dal muro sollevando una mano per darle il cinque, mentre la ragazzina sorride soddisfatta nell’essere finalmente riuscita ad inchiodare alla parete un bersaglio in movimento dopo il settantesimo tentativo. -Ci riproviamo, vuoi? 

Kate annuisce, Clint lancia, James colpisce a colpo sicuro… e Bishop fa punto, di nuovo, con la pallina traforata appesa sul muro. 

Servono almeno altri venti tentativi riusciti perché la stessa Kate conceda loro una pausa, interpretandola come l’occasione perfetta per rifugiarsi sul terrazzo con una sigaretta che gli pende dalle labbra, congratulandosi con se stesso perché quella era la prima della giornata e l’orologio appeso alle sue spalle segnava già le quattro del pomeriggio… erano progressi enormi, considerata la quantità industriale di pacchetti consumati solamente la settimana prima.

-Sei curiosamente di buon umore per aver passato una nottataccia. -afferma Clint raggiungendolo a distanza di qualche minuto, osservando con la coda dell’occhio la sua ombra avanzare verso la balaustra sulla quale era puntellato.

-Penso che questo sia uno dei peggiori tentativi di conversazione che abbia mai sentito in vita mia. -replica illuminando la sigaretta, rilasciando la nuvola di fumo con rilassata calma. -È merito di Sam, comunque.

-Era qui? Non l’ho visto… 

-Hai dormito fino a mezzogiorno, ci credo che non l’hai visto Clint. -afferma ricevendo in cambio una linguaccia, sorprendendosi di non udire nessun commento sarcastico sulla propria insonnia in risposta, deducendo dal silenzio creatosi cosa non gli era stato ancora detto. -Hai parlato con Wanda.

-La tua testa è veramente un casino.

-Sai che novità. -replica riportandosi la sigaretta alle labbra, recitando una preghiera muta nella speranza che la conversazione cada nel vuoto, ma evidentemente impreca troppo spesso perché vengano davvero ascoltate.

-Sai che la cazzata del “sta meglio senza di me” ha smesso di essere credibile da un bel pezzo, vero? Natasha si caccia tranquillamente nei guai con o senza di te, ma preferirei sapere che ci sei sempre tu a tirarla fuori da qualunque situazione, invece di saperla svenuta da qualche parte in mezzo ad una pozza del suo stesso sangue.

James tace e fissa l’orizzonte impedendo al proprio cervello di disseppellire il fotogramma a cui aveva evitato di pensare per tutto il giorno, consapevole che se la sentenza fosse uscita dalla bocca di qualcun altro gli avrebbe già rifilato un pugno spacca-ossa come minimo.

-E dai amico, il mese scorso al matrimonio avete passato tutto il tempo a sbranarvi con gli occhi… non è una situazione irrecuperabile come tu pensi. -riprende conciliante quando da lui non giunge più alcuna risposta, spintonandolo per una spalla cercando una reazione qualsiasi. -E poi se non risolvete, mi spieghi a Natale come diavolo faccio a giustificare la tua presenza? I miei figli ti adorano, non puoi non presentarti… 

-Sei così disperato da giocarti la carta dello “zio preferito”, davvero? -soffoca una risata che di allegro non ha quasi nulla, rivolgendogli lo sguardo mentre Clint replica facendo spallucce, cambiando tono decidendosi a sputar fuori la conferma pericolosa che aveva reso un inferno i suoi ultimi tre giorni. -Le causo costanti emicranie, Clint… me l’ha detto quasi per sbaglio l’ultima volta che l’ho vista… 

-Emicranie? -lo interrompe Clint confuso, mentre un lampo di consapevolezza gli illumina lo sguardo collegando un qualche dettaglio che aveva ignorato fino a quel momento.

-Già… ricalibrazione cognitiva… l’opposto dei reset, ma ciò non significa che sia meno doloroso. -mormora fornendo una spiegazione stringata. -Ogni volta che mi vede, mi parla o mi insulta il suo cervello ricollega dettagli alla routine del prima

-E perchè ne parli come se fosse una brutta notizia?

-Perchè come amate tutti ripetermi, prima o poi arriverà l’input che sgretolerà il muro… non mi importa della quantità di ossa che mi spezzerà quando recupererà tutti i ricordi che ha perso, ciò che mi preoccupa è il suo cervello che andrà in ebollizione… perchè sarà come subire la stasi, ma senza corrente elettrica per perdere conoscenza e senza sedativi per alleviare i sintomi, sarà un vero e proprio crollo psicotico lucido e doloroso.

-Per questo avevi chiesto a Tony di fermarsi, di non rimescolarle più il cervello… 

-I mal di testa avrebbero dovuto placarsi nel giro di un paio di settimane, ma dopo il matrimonio si è isolata a Little Ukraine e non ho più avuto modo di sbirciare la sua cartella clinica. -ammette affranto sfuggendo dallo sguardo impensierito di Barton, spegnendo il mozzicone della sigaretta contro la balaustra.

-E se la prossima volta ci litighi? Non fate altro dalla mattina alla sera, più appigli le dai diluiti nel tempo, meno cose dovrà recuperare con il blackout fondi-cervello. -propone ragionando ad alta voce. -Non risolve il problema, ma devi ammettere che lo migliora.

-Si, okay… ma queste non sono come le solite litigate, non ci sono le stesse regole. 

Clint non aveva torto nel dire che lui e Natasha bisticciavano sempre ad ogni ora del giorno e della notte, ma i loro litigi di routine vantavano uno spettro molto ampio di soluzioni… variavano dalle piccole scaramucce risolvibili con uno scappellotto a tradimento, alle discussioni un po’ più serie dove iniziavano ad urlarsi contro dopo giorni di silenzio scontroso e dormite sul divano, raggiungendo un punto di non ritorno quando la tensione diventava troppa e passavano al rincorrersi da un capo all’altro della cucina, finendo per avventarsi sulle labbra dell’altro concludendo la disputa diversi minuti dopo fissando il soffitto ansimanti proclamando ad alta voce quanto si odiassero a vicenda, ma con un tono così falso da lasciar intendere tutt’altro. 

Il transponder trilla una notifica salvandolo dalla deriva dei propri pensieri, leggendo le coordinate inviategli da Fury, mentre il suo stomaco si trasforma in un groviglio gelido quando identifica il luogo sull'atlante geografico, sperimentando la sordità completa per alcuni brevi secondi di puro panico.

-Bucky… ehi! -Clint urla richiamandolo indietro risvegliandosi dal momentaneo stato di choc, rendendosi conto di aver raggiunto la porta inconsapevolmente, come se i suoi piedi avessero pensato bene di prendersi avanti sui tempi in modo del tutto autonomo. -Dove stai andando?

-Vado a tirarla fuori dai guai… e non ho tempo, non ho davvero tempo.

 

***

 

28 settembre 2018, Dark Room - Base operativa, Mosca

 

James ha come l’impressione di rivivere un incubo… aveva una vaga idea di cosa avrebbe dovuto aspettarsi, di certo escludeva il mezzo metro di neve a fine settembre, ma trovava comunque inquietante l’aver dovuto parcheggiare il Quinjet nella radura in mezzo al bosco limitrofo alla base militare, ripercorrendo all’incontrario a passo di marcia i solchi dei pneumatici del fuoristrada impressi sulla terra dura del selciato battuto.

Segue l’istinto, identificandolo come l’unico elemento di sé di cui ancora riusciva a fidarsi, ritrovandosi a correre come se avesse davvero l’inferno alle calcagna… perché se c'è davvero la possibilità che i suoi peggiori incubi si concretizzino in realtà, ciò che troverà alla fine della corsa non gli piacerà per niente… scoprendosi realmente impreparato ad una situazione del genere, a discapito degli anni di addestramento ed orrori che aveva accumulato nel proprio curriculum, mentre lo stomaco si contrae ed il cuore minaccia di sfondargli la cassa toracica lasciandolo in balia di un terrore ansiogeno, permettendo al proprio battito accelerato di sovrastare qualunque altro suono.

Non ha tempo.

I corridoi sono interminabili, un dedalo infinito di cemento claustrofobico che sembra voglia restringere le pareti contro di lui, mentre i suoi passi risuonano forti e chiari fregandosene di farsi sentire da terzi, scandendo i secondi che trascorrono inesorabili.

Non ha tempo.

Spalanca la porta con forse troppa irruenza, immaginando il rumore di almeno venti fucili che scattano con un rumore secco togliendo la sicura contemporaneamente –non sarebbe la prima volta che li sente, lì dentro–, mentre l’odore del sangue gli invade le narici… incespicando sui propri piedi quando la vede, svenuta sul pavimento con una mano posata sulla pancia in un tentativo ormai infruttuoso di placare l'emorragia, registrando appena il fatto che la chiazza vermiglia era più contenuta rispetto a quanto preventivato.

Forse ha tempo, più di quello che pensava.

Silenzia il cervello estraniandosi da se stesso mentre placa la fuoriuscita di sangue, mettendo a fuoco esclusivamente Natasha ed imponendosi come fine ultimo quello di portarla al Quinjet per ricucirla ed imbottirla di farmaci, caricandosela in spalla senza sforzo percorrendo a passo sostenuto il tragitto inverso.

James non ha idea del come sia riuscito a raggiungere il velivolo senza ammazzarsi, come ignora completamente il dove abbia attinto la forza di volontà per non cedere all’attacco di panico nel vedere Natasha ad un passo dalla morte, concedendosi di riprendere fiato solamente dopo averle somministrato la morfina, averla ricucita ed aver stabilizzato il battito cardiaco di entrambi… dubita che il suo fisico sia predisposto all’infarto, ma non esclude di averlo sfiorato un paio di volte nelle ultime ore.

L’ondata di sollievo che lo pervade quando la dichiara fuori pericolo è totalizzante, ma non ha il tempo di bearsene che il suo cervello si riattiva, scaravantandogli addosso tutti i problemi incombenti che fino ad un paio di secondi prima si era rifiutato categoricamente di prendere in considerazione… non potevano andarsene da Mosca, consapevole che qualunque cosa fosse in atto non si sarebbe di certo fermata per concedere loro una pausa prolungata, ed allo stesso tempo avevano un urgente necessità di un tetto sicuro e decisamente più caldo di quattro pareti composte da metallo e spifferi –Natasha nello specifico aveva estremamente bisogno di una coperta ed un giaciglio infinitamente più comodo di un pavimento in lamiera– e, soprattutto, a James serviva una giustificazione verosimile sul perché diavolo ci fosse lui a salvarla da morte certa e non chiunque altro.

Per un solo secondo prende in considerazione l’idea di dirle la verità pura e semplice –quello che sono stati, quello che lei non ricorda, quello che lui le ha involontariamente inflitto, quello che potrebbero ancora essere se solo lei glielo permettesse–, ma scarta velocemente l’ipotesi consapevole del perchè fosse un’opzione impraticabile… rassegnandosi all’incombenza decretando che si inventerà qualcosa a tempo debito, concentrandosi su problemi di prima necessità come la ricerca di un tetto fatto di tegole sopra la testa, raggiungendo un’ipotesi nebulosa che probabilmente ha del vantaggioso per entrambi.

Afferra il cellulare ignorando le chiamate perse di Steve e la trafila di messaggi da parte di Clint, componendo il numero sorprendendosi nel riuscire a ricordarselo ancora a memoria, ascoltando pazientemente la risposta standard in russo del receptionist del motel dall’altro capo del telefono.

-Joseph…? -la voce sembra più stanca, più vecchia, di come la ricordava.

-зимний солдат? -non sembra sorpreso di sentirlo, al contrario, probabilmente intuisce già il motivo della chiamata.

-Mi serve un aiuto, per la nostra solita amica in comune. -replica in codice, mentre il tintinnio delle chiavi in sottofondo alla frequenza disturbata si trasforma nel suono più bello che James abbia mai sentito, in un segnale inequivocabile che sottoscrive quell’accordo vecchio di decenni.

-Quando vuoi, i debiti sono sempre debiti.





 

Note:

  1. Stando alle scene tagliate di “Infinity War” l’ipotetica data del matrimonio doveva essere il 27 agosto (la stessa delle nozze di RDJ), mentre la luna di miele a Venezia era dovuta dato che quei due dementi mi nominano il Cipriani dal lontano 2009.

  2. Il padre della bambina che Natasha ha perso a 16 anni a Praga era un fantomatico tizio di nome Nikolaj. Ovviamente a noi poveri comuni mortali non c’è dato sapere con certezza se James sia un “padre mancato”, nonostante io abbia delle teorie al riguardo e, anche se fosse, lui sarebbe davvero l’ultimo ad esserne informato. 

  3. Fumettisticamente parlando Sam finisce per avere una relazione amorosa con Misty Knight (ex-poliziotto che ha perso un braccio durante una sparatoria), mentre la “banda di disadattati” citata sono i Defenders (Jessica Jones, Luke Cage, Danny Rand AKA Iron Fist e Matt Murdock AKA Daredevil).

  4. S.W.O.R.D.: stazione spaziale che gravita in orbita, è la prima difesa della Terra contro gli orrori del cosmo, chi regna lì dentro viene denominato “uomo sulle mura” ed è esattamente dove abbiamo visto Fury nella scena dopo i titoli di coda di “Far from home”.

   
 
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