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Autore: KikiShadow93    05/11/2019    3 recensioni
Lui è resuscitato senza sapere né come né grazie a chi e, dopo attente considerazioni, ha deciso di provare ad integrarsi a sua volta sulla Terra.
Lei, per scappare dal proprio passato e per provare a salvaguardare il proprio futuro, decide di fuggire in città.

Lui è cresciuto tra i guerrieri, nell’odio e nel rancore, ed ha sviluppato un forte senso di inferiorità.

Lei è cresciuta tra i reietti, nella paura e nella violenza, arrivando quasi a perdere la speranza di poter avere una vita felice.

Sono diversi eppure incredibilmente simili, ed entrambi sono inconsapevoli pedine di un disegno molto più grande.


[Radish prende spunto da DBR&R; Post Cell Game; Possibile OOC]

Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Radish
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La vita secondo Radish'
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Prima di cominciare un grazie infinito a The Big Dreamer, Il corsaro nero e Celeste98 per aver lasciato una recensione. Siete voi che mi date la spinta per scrivere sempre più velocemente 💛
 

𝟚. 𝓤𝓷 𝓷𝓾𝓸𝓿𝓸 𝓰𝓲𝓸𝓬𝓸



Tutto è dominato dal silenzio ed il buio riempie ogni cosa.
Tutto tace. Tutto giace. E tutto trema.

Fa freddo. Fa più che freddo. È quel freddo che ti attraversa la pelle, che ti entra nella carne, ti gela il sangue e ti paralizza le ossa. È quel freddo che sa di morte. Tutto sa di morte in quel luogo: la terra arida, senza vita, il cielo fosco, senza luce. Un'estenuante quiete senza tranquillità.
I rami arsi e secchi sembrano volerti afferrare; le foglie scure, prive di sfumature allegre, scricchiolano come se urlassero per il dolore quando le si calpesta, mentre i cespugli ai lati si muovono mossi da quel poco vento che li raggiunge.
Un ululato, uno solo, tanto potente da far vibrare gli antichi tronchi. Così forte che qualsiasi creatura che avesse deciso di passare la notte nascosta in qualche pertugio decide di scappare, di cercare un nascondiglio migliore, consapevole però che è solo una mera speranza.
Si arrampica su di un albero, le braccia ferite faticano a sorreggere il suo peso ma non demorde. Altri bambini seguono il suo esempio, arrancando con gli artigli piantati nelle cortecce. Sono denutriti, sono stanchi e sporchi, non possono far altro che tentare ancora una volta di trovarsi un pasto.
Vede i capelli chiari di Bree ondeggiare nell’aria, facendola sembrare un Angelo benevolo giunto per dar loro conforto. Lo squarcio nella schiena si è riaperto, sente l’odore dell’infezione malgrado i venti metri che le separano.
«Mezcal è furioso.» Afferma uno, stringendosi le braccia ossute attorno al corpicino tremante.
«No.» Sibila un altro, accucciandosi sul ramo.
Sono tutto così stanchi, così piccoli. Molti di loro non supereranno l’inverno.
«È eccitato.» Mormora Sherry, la voce rotta dalla preoccupazione. Quando Mezcal è eccitato, lo sono anche i suoi sottoposti. Quando ciò accade molti muoiono, soprattutto i reietti come loro.
«Torniamo alle grotte prima che ci trovino.» Ordina con voce ferma, saltando giù dal ramo dove stava ritta ad osservare il bosco. Un salto di trenta metri, che per lei sembrano essere trenta centimetri.
Volta lo sguardo, gli occhi come fari di sangue che squarciano l’oscurità.
Il cuore le fa male per quanto batte forte, ma non può arrendersi.
Devono correre, devono tornare nei loro buchi assieme agli adulti per non essere presi. Non hanno le forze necessarie per dar sfogo al loro potenziale per provare così a difendersi, a malapena riescono a reggersi in piedi.
«Veloci!» Scatta, i piccoli la seguono, ma non tutti hanno sopportato l’impatto. Non riescono a rialzarsi, si sono rotti le ossa a causa dell’estrema malnutrizione e per il loro sangue impuro.
Sherry non sa cosa fare. Deve aiutarli? Devono cavarsela da soli come viene loro imposto da sempre?
Non può decidere, viene portata via dal ragazzo più grande del gruppo. Le stringe il braccio ferito, le fa male, ma non può sottrarsi.
Volta appena la testa quando sente le prime urla squarciare l’aria: Mezcal sovrasta uno dei suoi compagni, il sangue cola dalla sua bocca assieme alla carne strappata da quelle deboli membra, gli occhi brillanti come ametiste la fissano con astio.
Latra qualcosa, la voce gutturale, profonda, maligna: «Sei mia…»



«SVEGLIA!»
Butta fuori tutta l’aria che ha nei polmoni e, ne è abbastanza sicura, pure uno di essi, quando Bree le salta addosso piantandole le ginocchia nell’addome.
Si ritrova seduta senza neanche rendersene conto, le braccia che stringono convulsamente la parte lesa e il respiro spezzato. Non appena sente di poter respirare regolarmente volta il capo verso l’amica, pimpante e attiva come sempre. Indossa ancora il pigiama della sera prima e odora di cibo. In realtà Sherry, ancora intontita, non è sicura che sia Bree ad odorare di cibo o se il profumo proviene dalla cucina, ma è sicura che sia un odore davvero buono. È proprio per questo motivo che decide di alzarsi, stiracchiando le braccia verso l’alto in un movimento pigro.
«Ah-Ah!» La riprende la bionda, un dito puntato in mezzo ai suoi occhi come monito «Prima vai a lavarti, così io metto a lavare le lenzuola. Non andrò in bianco con Mimì solo perché sei abituata a vivere nelle grotte, chiaro?»
«Bree, sono affamata, non rompere…» Biascica a mezza bocca, cercando inutilmente di superarla. È stanca, i muscoli sono indolenziti a causa dei tanti sforzi e della scarsa alimentazione delle ultime due settimane, oltretutto ha uno strano presentimento addosso, come se qualcosa di brutto stia per accadere.
«Non mi frega niente, carina. Fuori da questo appartamento comandi tu, nessun dubbio a riguardo, ma qui dentro comanda lei. Io mi sono messa al suo servizio dal giorno in cui ha deciso di volermi come compagna, di conseguenza qui ti sono superiore. Prendere o lasciare.»
Sherry ha capito un quarto di ciò che le è stato appena detto, ma non le importa. Il concetto è chiaro, in fondo: Mimì comanda.
Si dirige svogliatamente verso il bagno strascicando i piedi, sentendo distrattamente l’amica dirle che le metterà dei vestiti sulla cassettiera. Sente un nuovo, fastidiosissimo nervosismo crescerle dentro alla sola idea, visto e considerato che lo stile di Bree è molto, molto, molto diverso dal suo.
Lascia che l’acqua gelida le carezzi la pelle, portando via con sé fango e sangue secco mentre un semplice ma significativo commento esce di prepotenza dalle sue labbra: «Vaffanculo tutto.»


Hanno mangiato di tutto: da una dozzina di cornetti tiepidi col caffè  bollente alla peperonata ghiacciata che hanno trovato in frigorifero. C’è rimasto davvero poco a casa, Bree sa bene però che la compagna ordinerà la spesa online e la farà portare in casa dal vicino svitato. Sanno di potersi fidare, dal momento che la bionda lo ha salvato da una rapina a mano armata. In effetti, sono estremamente ben volute da tutta la palazzina: la dolcezza di Mimì unita alla forza smisurata di Bree le hanno rese le beniamine di tutti!
Dopo aver riordinato, Bree ha deciso di mostrarle il piccolo impero “malavitoso” che si è costruita in quegli anni, cominciando proprio da ciò che ha nascosto in casa: sotto le assi del pavimento, tanto per cominciare, ha nascosto un numero considerevole di pistole, fucili e armi bianche.
Ma Sherry sapeva da subito che non si sarebbe mai limitata a così poco… e infatti la dolce e apparentemente ingenua Bree comprò pure l’appartamento adiacente al suo e, dopo aver murato la porta d’ingresso e le finestre, ha ideato una porta a muro pressoché invisibile per unirle. Non volevano spazio, non era necessario, ma era fondamentale che potessero difendersi al meglio, soprattutto Mimì. È proprio per questo che Bree ha stipato il secondo appartamento di ogni genere di equipaggiamento militare e arma, incluse anche diverse bombe, bazooka, granate stordenti e altre cosucce decisamente poco legali. Nessun porto d’armi le permetterebbe certe cose!
Sherry, dopo aver curiosato un poco, si è messa a caricare una Smith & Wesson Model 500, decisa a nasconderla nella giacca di pelle rubata la sera precedente. Il vestitino rosso che le ha prestato l’amica è quanto di più sbagliato per una che gira quasi sempre armata, ma non poteva lamentarsene: è forse la cosa più coprente e sobria che l’amica possiede, malgrado lo scollo vertiginoso.
«Sai che non mi piace condividere i miei giochi.» La bionda appare alle sue spalle, giocherellando con un pugnale con la lama nera. Lei non gira mai armata, in città ci sono meno della metà dei pericoli che ci sono fuori, e le sue capacità sono più che sufficienti. Senza contare, ovviamente, tutte le sue amicizie.
«Vuoi forse togliermeli dalle mani?» Mentre lo dice si mette la pistola nella tasca interna del cappotto, sfidandola. Non è cattiverai o arroganza la sua, pure Bree reagirebbe così: è un qualcosa di intrinseco nella loro natura. Solo una minaccia reale, come un avversario troppo difficile da abbattere, li fa desistere dal fare gli “spacconi”.
Bree, infatti, non si lascia certo intimorire e scoppia in una fragorosa risata. L’avvicina senza timore e, dopo aver buttato il pugnale in mezzo ad un mucchio sul tavolo, avvolge un braccio attorno alle spalle dell’amica, strattonandola appena.
«Muoviti, bastarda: ti porto in un bel posto.»


Sherry si aspettava che l’amica si pavoneggiasse con una bella macchina sportiva di un colore sgargiante, non certo che la facesse salire su una macchina piuttosto anonima di un altrettanto anonimo grigio metallizzato.
Le ha domandato come può cavarsela in situazioni scomode con quella specie di bidone che non supera gli ottanta chilometri orari e le ha risposto che in caso di fuga preferisce darsela a gambe. Certo Sherry condivide in pieno l’idea, ma proprio non riesce a spiegarsi come faccia ad adattarsi a qualcosa di così lento, arrivando velocemente alla conclusione che pure lei dovrà adattarsi a simili cose: non può correre alle sue velocità in mezzo a quelle persone, non può mostrare tanto apertamente le sue abilità. Se l’avesse fatto la sera prima, per esempio, avrebbe commesso un massacro degno dei serial killer più malati e perversi mai esistiti.
Sono arrivate dopo quasi quaranta minuti di strada davanti ad un capannone verde muschio. Nel grande parcheggio sterrato che lo circonda vi sono diversi macchinoni con vistosi cerchioni cromati. A terra conta un numero spropositato di mozziconi - non solo di sigarette - e nell’aria aleggia tanto testosterone da arrivare quasi ad infastidirla.
«Ecco i miei cagnacci!» Bree è a suo agio in mezzo a quei maschioni grandi e grossi. Non ha niente da temere, non dopo averli messi in ginocchio anni addietro. Ora le sono fedeli, non oserebbero più mandarla in bestia, non dopo aver capito che dispone di una rete di amicizia ben più stabile e pericolosa della loro.
Uno di loro, il più grosso di tutti, quello che ha decisamente l’aria più incazzata, burbera e pericolosa, si alza dal divano che condivide con i compagni, una 629 ben salda in mano. Guarda la sconosciuta con astio, cercando di capire dove abbia già visto quello sguardo così arrogante e freddo.
«Chi è questa?» Tuona indicandola con il revolver, suscitando in lei solo un lieve sorriso beffardo. Quelli come lui li ammazzava a sei anni con la stessa facilità con la quale si allacciava le scarpe, non sarà certo una pistola a fare la differenza.
«Questa è Sherry… figlia bastarda di Mezcal.» Lo informa Bree, ghignando malefica quando lo vede irrigidirsi. Con la coda dell’occhio, poi, nota che pure i suoi compagni sono rimasti come congelati, emanando anche un piacevolissimo odore di paura.
«Ha bisogno di qualche nuovo giocattolo.» Lo informa senza muoversi dal fianco dell’amica, che nel frattempo non ha battuto ciglio. E perché mai avrebbe dovuto? Sa cosa significhi avere la reputazione di aver combattuto anche solo una volta al fianco di Mezcal, figurarsi essere la sua bastarda. Per quanto tra la sua gente i bastardi siano visti come feccia, buoni solo come valvole di sfogo per la rabbia così da tenere le tensioni sociali basse, lei è sempre stata considerata una spanna superiore agli altri: l’unica bastarda che Mezcal ha deciso di lasciare in vita, l’unica che ha deciso di addestrare e crescere assieme alle sette figlie e nove figli legittimi. L’unica su ventuno bastardi assassinati.
«Da questa parte.» Brontola l’omone, la lunga treccia nera che oscilla ad ogni suo movimento. Per un solo secondo, ma solo uno, Sherry pensa che sia fisicamente la terza creatura più grossa che le sia mai capitato di vedere, subito dopo Roman e il tipo strano della sera prima. È proprio l’idea di averlo ripensato, di averlo paragonato ad uno di loro, a lasciarla interdetta.
«Mi procurano sempre un sacco di cose belle, purché io tenga i federali fuori dai loro affari.» La informa di colpo l’amica, riportandola con i piedi per terra.
«E come faresti?» Domanda realmente incuriosita, domandandosi fin dove si sia spinta. Girano voci sulla “Freccia Dorata" che tira i fili in città, ma non ha mai sentito i dettagli.
«Sono un genio con una moralità flessibile, posso ottenere tutto.»
Sherry la guarda scettica, un sopracciglio alzato e un mezzo sorriso sulle labbra, e Bree lo nota. Sorride a sua volta, decisa però a non vuotare del tutto il sacco. Quelli sono i suoi trucchi ed è più che decisa di rivelarli solo ai suoi futuri figli.
«Ho chi lo fa per me.»
«E a questi che favori devi?»
«Nessun favore.» È curiosamente sincera, Sherry ne è quasi sorpresa «Ho sventrato la moglie del tizio giusto e minacciato di fare lo stesso alla figlia in caso di disobbedienza. Quando si è reso conto che i proiettili non sortivano alcun effetto, è diventato molto mansueto.»
Sherry annuisce distrattamente, mordicchiandosi l’interno della guancia.
«Bella mossa. Non ci sarei riuscita.»
Bree stavolta cerca il suo sguardo. È consapevole che tutto ciò che la circonda sia nuovo per lei e che sia anche molto complicato.
È vero, hanno vissuto a contatto con un’umana dai tredici ai diciassette anni, andavano in città con altri ragazzi nelle loro stesse condizioni per procurarsi ciò che poteva tornar loro comodo, ma non ha mai vissuto in città e, soprattutto, ha trascorso gli ultimi sette anni da sola nei boschi.
«Ci vuole un grande autocontrollo per non ucciderli tutti, è vero, ma quando abiti in città diventa più semplice.» La informa cercando di mostrarsi quanto più gentile possibile, venendo però disturbata dall’omaccione, Gregor. Non gli è antipatico, non gli è proprio mai interessato.
«O quando dividi il letto con uno di loro.» Sputa velenoso, cercando di darsi un tono minaccioso e strafottente. Sherry lo guarda con aria annoiata, pensando che uno come lui, uno che ha solo un quarto del loro sangue nelle vene, dovrebbe starsene al suo posto, ma non dice niente. Potrà anche pensarlo di tanto in tanto, ma non li disprezzerà mai come suo padre o i suoi fratellastri e sorellastre.
«Raccontami di nuovo della tua puttanella… aspetta, come si chiama? Ah, sì: Coby.» Controbatte prontamente Bree, i muscoli pronti a scattare per attaccarlo. Lei non è mai stata particolarmente forte, neanche tra quelli come lei, ma può battere senza troppi problemi qualcuno che le è inferiore. Lui avrà anche un quarto di sangue buono, quindi significativamente più forte degli umani comuni, ma lei rimane sempre una Mezzosangue.
«Cos’hai per me?» Domanda con voce piatta Sherry, decisa ad interrompere quello sciocco battibecco. Non ha sopportato quaranta minuti di macchina per sentire le loro scemenze e, oltretutto, le sta tornando fame: che le mostri la mercanzia, che le lasci decidere se prenderlo sotto la sua protezione come sicuramente vuole Bree, ma che faccia tutto alla svelta.
Gregor apre l’armadietto e si fa da parte, lasciandole campo libero.
Appesi ci sono coltelli e pugnali di varie dimensioni e sono tutte lame in diaurum, una lega metallica incredibilmente rara, una delle poche cose capace di tagliare le loro ossa. Certo, lame così corte sono studiate tutt’al più per trapassare il cranio, sventrare, tagliare gole e/o tagliare le dita per scopi da definire sul momento, ma a mali estremi si possono usare anche per staccare le teste. Ma in quei casi, beh… si usano ben altri mezzi.
Prende due pugnali e pensa che li metterà in un paio di anfibi alti che a breve si procurerà, mentre un terzo potrà metterlo nella manica. Per adesso si limiterà a questo, giusto il tempo di testare quanto i materiali siano effettivamente buoni, ed eventualmente tornerà per sigillare un accordo vantaggioso per entrambi.
«Qual è il tuo prezzo?»
Gregor la guarda dritto negli occhi, notando quanto siano simili a quelli di Mezcal: occhi freddi dietro il quale si trova solo oscurità, l’assenza della luce, gli occhi di un assassino senz’anima. E qui Gregor ci prende solo a metà, perché se scrutasse con più attenzione, scorgerebbe una scintilla che Mezcal non ha mai avuto, un calore che pure Sherry fatica a tenere nascosto.
«Il tuo silenzio. Se si sapesse che ho venduto questa roba proprio a te, finirei in un mare di merda.»
Si fissano dritti negli occhi finché Gregor non cede, passandosi anche una mano dietro al collo nerboruto con fare nervoso.
Sherry si lascia andare ad una lieve risata, dandogli una pacca sulla spalla come a volergli dire di poter stare tranquillo. Per quanto le torni spesso comoda la sua fama, prova sempre un ben celato fastidio nel vedersi trattare come la reincarnazione del demonio.
Le due ragazze fanno per andarsene, decise ad andare a prendersi un kebab come prestabilito, ma vengono fermate da Gregor, che si piazza davanti alle due con aria un poco più distesa. Averle entrambe dalla propria parte potrebbe giovare molto ai suoi affari, quindi è ben deciso a tenersele buone.
Allunga una busta bella piena d’erba a Bree, sforzandosi di sorriderle per una frazione di secondo. Ma non ci riesce, non è nelle sue corde. Neanche il ragazzo con cui si diletta di tanto in tanto, Coby, l’ha mai visto sorridere davvero.
«Offre la casa, Barbie.» Afferma con aria serena, facendo poi un cenno verso destra. Le due non avevano dato peso all’uomo morto appeso ad un gancio da macellaio, ma adesso sono costrette a notare gli artigli e le zanne ancora esposti. Un Mezzosangue, senza dubbio, e il marchio è evidentemente quello di Jäger.
Bree storce la bocca con disgusto e si allontana con passo svelto, decisa ad andarsene il più lontano possibile a distendere i nervi, e Sherry rimane giusto il tempo che Gregor le faccia un’unica ma semplice richiesta: «Toglietemi quei bastardi dai piedi.»


Il kebab alla fine non l’hanno mangiato, l’odore non le attirava particolarmente. C’era qualcosa di andato a male lì dentro e, malgrado non possano ammalarsi e non possano neanche essere avvelenate, Bree non ha voluto tirar giù qualcosa di deteriorato. “Qui non puoi comportarti come un cane randagio! Cerca il meglio, bastarda!” le ha detto ridendo forte per poi portarla via.
Hanno optato per una pizza a testa, con quante più cose sopra. Sherry ci ha messo tutto ciò che il pizzaiolo aveva a disposizione dal momento che erano quasi quindici mesi che non si avvicinava neanche per sbaglio alla civiltà.
Le hanno mangiate nel giro di poco, scolandosi due lattine di tè freddo a testa. Sono rimaste un po’ nella pizzeria senza dirsi una parola, la testa tra le nuvole e gli occhi persi nel vuoto.
Poi sono scattate velocemente fuori, il proprietario che urlava perché non avevano pagato. Ridevano mentre correvano come delle matte per le strade affollate, le persone che le guardavano senza capire cosa avessero da correre.
Saltavano le macchine quando attraversavano la strada, si sono spinte e picchiate in una fontana, gli uomini che passavano non riuscivano a chiudere la bocca davanti al top bianco e bagnato di Bree che rivelava l’assenza del reggiseno. Sherry ne ha preso uno per un braccio e l’ha trascinato dentro, sia per farsi due risate sia per rubargli il portafogli. Poi hanno semplicemente ricominciato a correre per la città, fino a buttarsi a sedere su una scalinata che conduce in municipio.
Stanno sotto i caldi raggi del sole ad asciugarsi e nel frattempo fumano una canna chiacchierando del più e del meno.
Bree le racconta nel dettaglio com’è iniziata con Mimì, quando loro due - e il resto del gruppo - si separarono sette anni prima. Lei aveva cominciato a buttare seriamente le basi per il suo dominio in città, decisa a non farsi mancare mai più niente, e un giorno semplicemente l’ha vista per strada. La volle subito e trovò facilmente il modo di attaccar bottone, mettendo in imbarazzo la bella rossa universitaria. Le racconta che malgrado all’inizio Mimì non volesse frequentare una diciassettenne in quanto già impegnata in una relazione con un uomo, alla fine cedette. Lo fece perché Bree la difese quando il possessivo fidanzato la picchiò perché rientrata tardi dopo aver perso l’autobus. In realtà non la difese semplicemente ma lo sbudellò proprio, ma la rossa decise che era meglio usare quella versione dei fatti.
Col passare dei mesi Mimì cedette alle lusinghe di Bree, arrivando ad innamorarsene perdutamente, accettando tutti i rischi, le regole e gli orrori che derivano dall’amare una creatura come lei.
Le dice di essere felice, Bree. Le dice che è davvero felice e che adesso può dirsi “a tanto così" dall’essere completa, ora che è tornata nella sua vita.
Si erano mancate così tanto loro due. Ne hanno passate di tutti i colori da che ne hanno memoria. Bree nacque cinque mesi dopo Sherry e furono messe entrambe nel reparto degli scartati. Lì dormivano tutti assieme, se avevi fortuna qualche ragazza ti aiutava a campare fino a quando non ne fossi stato capace da solo, e loro due venivano sempre nutrite assieme e messe nella stessa pelliccia per terra.
Hanno condiviso ogni momento fin quando ad undici anni Bree decise che dovevano andarsene, senza voler dire perché. Insistette così tanto che Sherry l’accontentò e la seguì lontano da tutto e tutti, immergendosi in quella che all’epoca le è sembrata la situazione più orrenda che si potesse andare a creare. Se avesse saputo cosa le sarebbe successo rimanendo tra la sua gente, avrebbe affrontato pure di peggio col sorriso in volto!
Sherry adesso la guarda mentre tira l’ennesima boccata sotto lo sguardo sconcertato dei passanti. È sicura che chiameranno delle guardie prima o dopo, ma è anche altrettanto sicura che come vedranno chi è che sta portando rogna lasceranno stare.
«Hanno dell’erba fantastica… prova!» Le sventola sotto al naso il sacchetto con l’erba, sulla quale c’è scritto sopra ad un adesivo di carta “Bubbonica cronica”. Deve ricordarsene, Bree, perché l’ultima volta ne aveva preso un tipo diverso e, per quanto fosse buona, non era neanche lontanamente paragonabile a questa.
Sherry afferra lo spinello e fuma a sua volta, godendosi con ogni fibra del suo essere la sensazione di rilassamento muscolare e stordimento mentale.
«Cristo, erano mesi che non mi sentivo così…»
Sia chiaro, non lo fanno perché tossicodipendenti o cose del genere, ma per abbassare il rischio di far danni. Se le persone comuni sapessero che stanno momentaneamente danneggiando le proprie capacità psicofisiche per evitare di far loro del male, non farebbero come la signora grassottella con l’abito giallo tutto pizzi e merletti blu che si è piazzata davanti a loro.
«Ma non vi vergognate?! Fumare quella robaccia in pubblico! Davanti a dei bambini!» Ad entrambe ricordo un grosso rospo, come quelli che cacciavano negli stagni da bambine e poi sbranavano ancora vivi.
«Quei bambini rimarranno molto più traumatizzati dalla tua faccia, credimi…» Biascica Bree, un sorriso strafottente a stenderle le labbra rosee e carnose, il corpo mezzo steso sui gradini in una posizione comoda e scomposta.
«Io chiamo la polizia!» Bercia in risposta la grassa signora, cercando il telefono nella borsetta.
Quello che la signora non sa è che provocare uno di loro è una mossa stupida, soprattutto se non si è ancora ambientato alla città e ai suoi abitanti. Non lo sa, non può saperlo dal momento che non sa proprio della loro esistenza, ma lo capisce quando si trova con il grosso revolver di Sherry puntato davanti al viso.
«Io non lo farei.»
Bree ride mentre tutti scoppiano a gridare e, non senza fastidio, abbandona la comoda posizione e invita l’amica ad alzarsi a sua volta.
Non ha intenzione di riprenderla, è stata sin troppo brava per gli standard di quelli come lei. La stessa Bree premette più volte il grilletto quando a diciassette anni si trovò da sola in città per la prima volta, ancora incapace di capire appieno come funzionassero le dinamiche tra gli umani comuni. Se poi si considera che Sherry rimane comunque una Purosangue, si può dire che si sia comportata da vero angelo.
«Andiamo a rimediarti dei vestiti!» Afferma Bree, cominciando a correre, sfrecciando senza problemi in direzione della macchina che hanno abbandonato nei pressi della pizzeria. Le viene da ridere all’idea di quell’uomo che ricomincerà ad urlare quando le vedrà passare lì davanti, ma non le importa davvero. Per quelli come loro il detto “chi lo trova se lo tiene, chi lo perde piange e ha pene” è visto quasi come una regola massima.
Tutto sommato è brutto trovarseli attorno… e loro sono ovunque.


Hanno sgraffignato tutto ciò che poteva servire: vestiti, biancheria intima, due paia di scarpe e di giacchetti, cappelli scuri e occhiali da sole. Per primo, però, hanno preso un borsone per trasportare il tutto con un solo viaggio. Bree ha voluto prenderle anche un cellulare per farla sentire più umana e Sherry ha avuto il forte impulso di spaccarglielo in testa, lasciando poi cadere la questione.
Hanno preso tutto ciò che volevano, tutto quello sulla quale posavano lo sguardo. Mentre si allontanavano con la refurtiva, canticchiavano come da bambine “Lo vedo, mi piace, lo voglio, lo ottengo”, per poi puntare a qualcosa di nuovo.
Hanno caricato la macchina e portato tutto a casa, per poi andare di nuovo a mangiare qualcosa. Sherry voleva andare nei boschi a divertirsi come ai vecchi tempi, ma Bree le ha detto che la compagna sarebbe arrivata a breve e che voleva aspettarla alla fermata dell’autobus.
Si sono messe così a girovagare per strada senza meta per un paio d’ore, con Bree ridotta ad un fascio di nervi. Sa bene che nessuno è tanto scemo da provare a toccare Mimì in quanto sua amante, ma non può comunque stare tranquilla. Non le lascia più prendere i mezzi pubblici proprio per tenerla al sicuro, ma quella mattina ha insistito così tanto per farle avere la macchina che proprio non se l’è sentita di dirle di no.
Sta già escogitando un modo per farla pagare a tutti quanti, riportando alla memoria tutti i metodi più violenti e macabri che conosce, arrivando pure a pensare che pure il suo luogo di lavoro, la Capsule Corporation, dovrà pagarla cara nel caso le succeda qualcosa. Ma poi eccola lì che scende dall’autobus, il leggero vestitino azzurrino che le lascia scoperte le cosce paffutine che fanno tanto vibrare il cuore della bionda.
Le corre in contro Bree, la solleva in aria tenendole le mani in vita e la bacia come se non la vedesse da una vita. E Mimì la lascia fare, si lascia stringere e lascia che immerga il viso nei suoi capelli, fino a mordicchiarle il collo. Non le importa più degli sguardi e dei commenti delle persone: ama la sua pazza fidanzata come non credeva fosse possibile amare qualcuno e sa di essere ricambiata con un’intensità impensabile. Perché mai ascoltare il giudizio degli altri?
«Ci siamo divertite un botto! Non vuole ammetterlo, ma le ero mancata!» La informa con entusiasmo mentre Sherry le avvicina calma. Non le danno fastidio questo genere di effusioni, è abituata sin dall’infanzia a spettacoli ben più spinti. Oltretutto, contrariamente a quasi tutti quelli come loro, per lei l’amore è amore, indipendentemente dal sesso e dalla razza.
Sorride cordialmente a Mimì, lanciando poi un’occhiataccia all’amica: «Soprattutto le ginocchiate mattutine nello stomaco.»
«Bree! Ti avevo detto di essere gentile! Era ovvio che non avesse passato una bella serata!» Brontola la più grande delle tre, cercando di togliersi di dosso la compagna che, in tutta risposta, lascia scivolare le mani sotto la gonna del vestito fino a sfiorarle il bordo degli slip. Le tira una gomitata, Mimì, facendola solo scoppiare a ridere di gusto.
«Smettila! Dio, cosa devo fare con te?»
Bree le afferra il viso con entrambe le mani, costringendola a stare a pochi centimetri di distanza: «Tante porcate, tesoro. Tante porcate!»
La rossa le tira una spinta decisa e s’incammina impettita davanti alle due, sforzandosi per non girarsi mentre le due cominciano ad azzuffarsi. Lo fanno spesso quelli come loro di giocare così quando sono euforici, strangolandosi con le braccia e tirandosi calci nel didietro. Con lei in fondo non può farlo, la spezzerebbe in due, quindi è meglio lasciarla sfogarsi finché ne ha l’occasione.
Quando però si rende conto che le due ragazze non la stanno più seguendo e non si stanno neanche più picchiando, si blocca e si volta a guardarle, trovando Sherry con un’espressione stranita in volto. Nota anche che la compagna si è fatta improvvisamente attenta… troppo attenta: quando Bree fa così, sta rimuginando su qualcosa di davvero importante.
«Ma che…?» Mormora Sherry aggrottando le sopracciglia, gli occhi ancora puntati davanti a sé.
«Problemi?» Domanda con curiosità la bionda, avvicinandola.
Sherry fa un segno stizzito col mento, puntando dritto davanti a sé.
Le due donne guardano in quella direzione, notando qualcosa di insolito di fianco al portone del loro palazzo. È un uomo molto alto ed estremamente muscoloso, indossa un paio di pantaloni di uno sgargiante arancione, con in vita una stranissima cintura di pelo e sul petto quello che ha l’aria di essere una specie di bizzarra armatura. Ha i capelli incredibilmente lunghi nerissimi e gli occhi, altrettanto neri, le osservano attentamente.
«Sonic il Porcospino.» Brontola a mezza bocca Sherry, ricominciando a camminare. È furiosa, vorrebbe avere più spazio per prendere una maggiore rincorsa e poi placcarlo violentemente fino a fargli sfondare almeno un paio di muri.
Bree, che ha ben capito che si tratta nientepopodimeno del grande guerrieri che la sera precedente le aveva dato qualche preoccupazione... e che le aveva lasciato sulla pelle quell’odore inconfondibile di eccitazione sessuale.
«È davanti ad esemplari così che l’idea di fare sesso con un uomo diventa pericolosamente allettante.» Ridacchia mentre lo dice, cercando subito di tranquillizzare la compagna che la guarda di traverso. Sa bene, in fondo, che Mimì non ha mai abbandonato la paura che possa improvvisamente cambiare sponda per un motivo piuttosto fondamentale per quelli come lei, e i suoi continui tentativi di calmarla sembrano sempre poco efficaci.
«Tranquilla, amore mio: voglio ancora morire tra le tue cosce!»
Sherry le ignora deliberatamente e arriva in pochi secondi a piazzarsi davanti a Radish, le braccia conserte al petto e lo sguardo furioso.
«Come hai fatto a scoprire dove abito?» Ringhia a denti stretti a pochi centimetri da lui, tenendo il mento ben in alto per guardarlo dritto negli occhi, ma quei quindici centimetri di differenza tra loro sembrano moltiplicarsi tutto in un colpo.
«Intuito.» Sherry sa che mente, lo sente distintamente dal battito del suo cuore, ma davvero non ha idea di come farlo parlare. Una sberla ad uno così sarebbe solo controproducente.
«Sai… io abito a dieci minuti da qui.» Sghignazza divertito Radish, osservando con attenzione il suo sguardo. Non ci metterebbe la mano sul fuoco, ma è quasi del tutto certo di aver visto uno screzio rosso sangue nei suoi occhi d’ambra.
Dopo una giornata passata ad allenarsi con Piccolo, che lo ha pure costretto alla meditazione perché, a quanto pare, lo vedeva troppo su di giri, è più che intenzionato a punzecchiare il suo nuovo giocattolo.
In realtà non sa neanche lui cosa aspettarsi da lei, come agire e quali tasti andare a toccare. Non sa proprio cosa lo spinga a volere la sua compagnia, ma è certo di volerlo. E lui è Radish, uno degli ultimi Saiyan, un guerriero che è riuscito ad elevarsi, ad evolversi: può ottenere ciò che vuole. O, almeno, questo è ciò di cui è  fermamente convinto.
«Dove, di preciso? Così so quale edificio incendiare.»
«MMMHHH! Vero che qui si respira proprio una bellissima atmosfera?!» Urla Bree, mettendosi tra i due. Non si fa tanti problemi a poggiare una mano sul pettorale dello sconosciuto e neanche a guardarlo con l’aria furba di chi la sa lunga.
«Che fai, entri?»
«No, non entra.»
Le due amiche si guardano dritte negli occhi, pronte a prendersi a pugni pur di avere ragione, ma vengono interrotte da Mimì.
Mimì la Santa, Mimì la Risolutrice, che pur di evitare di vedere uno spettacolo improbabile fatto di urla e sangue, decide di immolarsi e di frapporsi tra tutti, arrivando pure a piazzarsi al fianco di quell’uomo enorme che le incute non poca paura.
«Come vi siete conosciuti?» Pigola insicura, notando che però lui pare completamente a suo agio. E le sembra così strano: nessuno è mai a proprio agio con Bree nei dintorni e, da quel che ha capito, lo è ancor meno con Sherry.
«Ieri sera in un locale. Ha massacrato della gente.»
Mimì non ha bisogno delle straordinarie abilità delle due per capire che non sta mentendo e che è tranquillo, lo capirebbe anche un bambino. Non le teme, ne è sicura. Non sa con chi ha a che fare ma non le teme assolutamente, e questo gliela dice lunga.
«Beh, sapete come si dice? Il primo in contro può essere un caso, ma il secondo… è il Destino!» Mentre lo dice Bree lascia saettare lo sguardo ammiccante da uno all’altra, incrinando ancor di più la situazione.
Mimì lo capisce dal basso e appena udibile ringhio che sente salire dalla gola della corvina e per questo decide bene che è il caso di afferrare la compagna per un polso e trascinarla il più lontano possibile. Se Sherry è davvero peggio di lei come le è stato più volte detto, se sono vere solo la metà delle atrocità che ha commesso, Mimì è ben consapevole di doversi allontanare prima che scatti e, soprattutto, che è bene che le tolga dalle mani Bree.
«Entriamo, prima che tu peggiori la situazione!» La trascina dentro il palazzo, non riuscendo però a farle fare neanche la prima rampa di scale. Ogni volta che succede una cosa del genere si ritrova a ripetersi che sarebbe meglio far aggiustare o direttamente cambiare quel maledetto ascensore sempre guasto.
Bree poggia le spalle al muro e tende le orecchie per ascoltare la conversazione all’esterno, capendo però che l’amica sta facendo altrettanto e quindi non emette un fiato. L’unica cosa certa, è che in qualche modo ha zittito lo sconosciuto in attesa che si allontani.
«Quello ha tutta l’aria di uno che la legherà al letto e-!» Mentre lo dice mima in modo molto esplicito cosa le farebbe, ma Mimì le afferra i polsi e la guarda con aria preoccupata.
«Bree, smettila! Non dirlo neanche per scherzo!» La rimprovera con tono allarmato, bloccandosi per qualche istante a guardare il portone chiuso «Quello ha l’aria pericolosa per davvero. Potrebbe farle male.»
«Ohhh, mia dolce, piccola, ingenua, adorabile Mimì… davvero non lo capisci? È un po’ come il gatto col topo. Quel bestione non accetterà mai un rifiuto o la sconfitta di essersela dovuta scopare usando la forza. Capisci cosa intendo?» Non le piace mentirle, ma non può davvero dirle la verità. Certo, Bree è sicurissima che non la violenterà, le basta un’occhiata per inquadrare le persone e, per quanto capisca che il tipo è effettivamente molto pericoloso, sa per certo che non è un bastardo come molti dei loro. Come Jäger, per esempio.
«Hai le pupille dilatate.» Afferma un secondo dopo, avvicinandosi pericolosamente al volto della compagna.
«Che intendevi dire? Dai!» Vuole sapere, Mimì. Non è stupida, sa bene con che genere di donna ha a che fare ed è sicura che la faccenda non le è poi così estranea. Deve solo capire quanto effettivamente ci sia dentro.
«Andiamo in camera, forza! Tutta questa storia mi ha fatto venire una gran voglia!»
Sherry, ormai consapevole che le due si sono dirette di gran fretta in casa, torna a concentrarsi sull’uomo che ancora la sta fissando. Non sa neanche come si chiama, ma non le interessa poi molto. Le interessa molto di più sbarazzarsi di lui, in tutta onestà. In fondo ha già un problema bello grosso di cui occuparsi senza che ci si metta anche lui.
«Senti, è lusinghiero che tu ci metta tanto impegno, sul serio…»  mente e Radish lo sa, ma non lascia trapelare alcun tipo di emozione e la lascia continuare «…ma questa faccenda è decisamente inquietante.»
«Ti porto a bere qualcosa.»
Sherry si è ammutolita tutto in un colpo.
Lo guarda senza vederlo, gli occhi spalancati e le labbra serrate.
La sensazione che la stia prendendo in giro è così forte che si recide i palmi delle mani con le unghie per evitare di mettergli una mano in bocca per strappargli la lingua.
In due secondi netti ripensa a tutte le persone stupide che ha incontrato nella sua vita. Ripensa in modo particolare a Mordecai e alle scemenze che gli ha visto fare, tipo quando ingoiò un rotolo di monetine per impressionarla e strapparle un appuntamento, tanto per citarne una.
Alla fin fine scuote semplicemente la testa, grattandosi nervosamente la punta del naso.
«Prova a chiederlo più gentilmente.» Scherza, rialzando finalmente lo sguardo.
Radish nota che gli occhi si sono ammorbiditi, che non lo guarda più con l’espressione di chi è pronto a saltarti alla gola da un secondo all’altro. Decide stupidamente di rincarare la dose, perché così davvero non lo diverte.
«Non te lo stavo chiedendo. Ho detto che ti porto a bere qualcosa.»
«Beh, in fondo anche se tu lo avessi chiesto gentilmente avrei detto di no, quindi…»
Radish, quasi patologicamente incapace di sopportare un no o di portare troppa pazienza in certe situazioni, l’afferra per un polso e se la trascina dietro.
«Muoviti.»
«Ma che stai facendo?!»
La sente dimenarsi come un pesce fuor d’acqua ma non gli frega niente. Gira un angolo per trovarsi così in una stradina poco affollata e continua a camminare con passo deciso, malgrado lei tenga i piedi puntati a terra, arrivando quasi a sedersi.
Sente distintamente le cicatrici marcate sul polso, domandandosi come se le sia procurate. Non ha decisamente l’aria di un’autolesionista e, se anche lo fosse, quelle non sono decisamente ferite inflitte con un una lama. Ad un primo impatto potrebbe dire che sono bruciature profonde, ma scarta l’idea: sembra più probabile che qualcosa di grosso abbia bucato in profondità la pelle e poi abbai come tirato per strapparla.
Sherry, dopo essersi accorta che con un dito le sta studiando le vecchie ferite e deducendo così che è distratto, pensa bene di provare ad accopparlo sparandogli in testa. Certo, sparare alle spalle è da vigliacchi ed è un atteggiamento da lei sempre ripudiato, ma è consapevole che in uno scontro diretto sarebbe spacciata.
Quando però porta la mano libera nella giacca, si accorge che la pistola è sparita e in un attimo mille e più maledizioni volano contro Bree e le sue mani lunghe.
Così, demoralizzata e sconfitta, smette di fare resistenza e si sforza di camminargli dietro, soffocando una bestemmia.
«Ok, qui c’è un bar, entriamo, prendiamo un caffè e poi sparisci.»
Cerca di condurlo all’interno di quel buco desolato ma viene ignorata e, di colpo, ecco che accade l’impossibile: Radish si alza in volo, la mano sempre ben stretta attorno al suo polso.
«CRISTO! MA CHE CAZZO STAI FACENDO?» Urla terrorizzata, dimenandosi per farsi lasciare. Dentro sa benissimo che è un’idea a dir poco idiota, ma davvero vuole togliersi da quella situazione. Ok, aveva intuito che l’uomo non è un comune essere umano, ma non aveva preso in considerazione neanche per un misero secondo che potesse volare… e lei ha paura della altezze troppo elevate!
«Se continui a dimenarti così poi cadi e credimi se ti dico che non muoverò un dito per riprenderti.» L’avverte abbassando finalmente lo sguardo, scoppiando a ridere di cuore davanti al suo sguardo supplichevole e terrorizzato. Sembra un tenero cucciolo che ti prega con tutta l’anima di essere risparmiato e, per quanto si renda conto che sia brutto anche solo da pensare, lo diverte ancora da impazzire.
Quando poi la sente arrampicarsi alla meno peggio sul suo corpo per potersi aggrappare, allacciandogli le gambe alla vita in modo davvero doloroso e le braccia attorno al collo, non riesce a trattenere un commento che, se ne rende conto, è proprio scontato ma necessario: «Sapevo che morivi dalla voglia di saltarmi addosso…»
Sherry, che di colpo ha perso tutta la sua spavalderia, nasconde il viso nell’incavo del suo collo e rafforza la presa, sorprendendosi di non essere ancora riuscita a spezzargli le ossa, ringhiandogli contro con rabbia: «Riportami subito giù. Adesso!»


Dopo venti minuti buoni di volo ad alta quota, le ossa di Radish supplicano pietà per quanto vengono strette. Se non fosse per la sua sorprendente resistenza, come lo sono tutti i Saiyan, a quest’ora si ritroverebbe come minimo con il bacino in briciole.
Alla fine decide di atterrare su di un isolotto disabitato, grande quanto uno sputo. Oltre alla sabbia bianca c’è giusto un appezzamento di terra e qualche palma, perfetto proprio per la totale assenza di nascondigli e vie di fuga. Gli ricorda incredibilmente l’isola del Maestro Muten, ora che ci pensa.
Non appena posa i piedi a terra, sente gli arti di Sherry mollare la presa. Si massaggia le anche con fare stizzito mentre la guarda scattare in avanti, le mani tra i capelli scompigliati e gli occhi fuori dalle orbite per la rabbia e lo spavento.
«Tu sei un perfetto idiota! Sei un vero demente! Che razza di disturbo hai, si può sapere?! Cazzo! Giuro che se ci riprovi ti squarto in tredici pezzetti uguali che darò in pasto ai ratti per un periodo di tredici settimane, con un’opzione per altri tredici pezzi!» Urla con tutta l’aria che ha nei polmoni e Radish stavolta è sicuro di aver visto lo screzio color rubino nei suoi occhi. Nota pure che le manca un pezzetto di cartilagine nell’orecchio sinistro, come se qualcuno lo avesse strappato nella foga.
«Hai finito?» Le domanda nel mentre che lei riprende fiato, roteando gli occhi al cielo quando però ricomincia a macchinetta.
«So che ci sono persone che soffrono di mutismo selettivo ma tu, razza di minorato, sei un sordo selettivo, perché a quanto pare quello che ti dico non lo senti!» Respira profondamente per trattenersi, studiando al tempo stesso una strategia di fuga. Ma come può seminarlo? Solo adesso riesce a spiegarsi come mai la sera precedente si sentisse osservata senza riuscire a vedere nessuno ed anche perché ha avuto la stessa sensazione quella mattina: questo vola e sembra capace di trovarla con una facilità sorprendente.
Trattiene il respiro per un paio di secondi per calmarsi e si passa le mani tra i capelli, portandoseli dietro le orecchie. In fondo non ha mai cercato di nascondere le proprie cicatrici, perché farlo di fronte a lui?
«Ora ho finito. Stronzo.» Sibila nervosa, osservandolo mentre le cammina accanto in tutta tranquillità per andare ad appoggiarsi contro una palma. È proprio la sua ostentata calma che la manda ancor più in bestia, motivo per cui gli si rigira contro come un animale rabbioso: «Che stai facendo?!»
«Voglio vedere come ti libererai di me adesso.»
«Dove vuoi che vada, eh?! Non so dove mi hai portata e oltretutto sai volare, Cristo Santo!, come potrei mai sfuggirti?»
Radish continua a guardarla con aria orgogliosa e divertita, il mento leggermente alzato ed un sopracciglio inarcato. Vuole spingerla oltre la barriera che ha alzato lei stessa, vuole spingerla nel baratro che tanto evita: vuole vedere chi ha davanti davvero.
«Arguta.»
«E non so come tu faccia, davvero, ma sono altrettanto sicura che tu riesca in qualche modo a captare la mia presenza, una stronzata alla X-Men!»
Ridacchia appena Radish, le braccia conserte al petto muscoloso. Inclina un poco la testa di lato, facendo così scivolare i lunghi capelli neri lasciati liberi. Gli occhi di Sherry si sono di nuovo ammorbiditi, indice che non ha alcuna intenzione di soddisfare il suo capriccio.
«Molto arguta.»
Sherry assottiglia lo sguardo e lo osserva con una nuova curiosità. Se da un lato vorrebbe sventrarlo come un branzino, dall’altra vuole apprendere la sua capacità di localizzazione. Le tornerebbe utile in un modo incredibile, in fondo. Certo, sarebbe utilissimo anche imparare a volare, ma come potrebbe? Un conto è saltare giù da un albero o buttarsi in una gola con una parete vicina che può sempre diventare un appiglio, un altro è starsene sospesa a mezz’aria. Assolutamente inconcepibile per lei.
«Come ci riesci?» Lo avvicina di un passo, stando sempre sulla difensiva. La sera precedente lo aveva in qualche modo sottovalutato e successivamente inquadrato in modo sbagliato: le sue intenzioni le sono ancora sconosciute ma non vuole farle del male, almeno questo lo ha capito, così come ha appurato che pure lui è incuriosito da lei.
«Segreto.» Risponde Radish, studiandola a sua volta. È ormai evidente che la paura la spinge ad un’improvvisa rabbia che però riesce a controllare in modo eccellente, tanto da non sbilanciarsi mai troppo. L’idea di doverla combattere per ottenere ciò che vuole diventa sempre più palpabile, ma ancora vuole scartarla. Piccolo lo rimprovererebbe sicuramente, poi arriverebbero suo nipote e Chichi - e proprio è una possibilità che vuole evitare con tutto sé stesso - ed infine arriverebbero i rimproveri e prese in giro anche da sua altezza in persona. Questo, per Radish, è assolutamente inconcepibile.
«Segreto un cazzo, fustacchione! Dimmi come ci riesci!» Lo avvicina ancora di più, una nuova determinazione negli occhi. Senza neanche rendersene conto, si sta avvicinando pericolosamente ad un qualcosa dalla quale non potrà sottrarsi più.
Radish indurisce improvvisamente lo sguardo e drizza la schiena. Con un colpo di reni si allontana dall’albero, facendo un passo verso Sherry, ora immobile e pronta ad allontanarsi: «Non mi piace quel nomignolo.»
«Tu mi chiami bambolina, quindi per quanto riguarda i nomignoli siamo pari. Resta però il fatto che mi hai portata qui contro la mia volontà, quindi come minimo devi dirmi come fai a trovarmi sempre.»
Quest’ultima affermazione lo diverte, soprattutto se considera che si sta impegnando per ostentare un’atteggiamento minaccioso. Non può batterlo, non può sfuggirgli e ne è consapevole, però sta comunque cercando un modo per guadagnare tempo ed una via di fuga, Radish lo capisce da come, di tanto in tanto, lasci scattare gli occhi sul circondario.
«Io non devo fare proprio niente.»
«No? Tu dici?»
Quasi senza rendersene conto, Radish slaccia la coda che di solito tiene annodata in vita e la agita alle proprie spalle. È abituato a farlo, la tiene legata solo quando sta in città o quando “lavora”. Tutti quelli che sono a conoscenza dei pericoli che comporta continuano a criticarlo, ma lui non ha alcuna intenzione di tagliarla a causa dei suoi ricordi d’infanzia e perché non vuole insultare la sua razza.
Trattiene a stento una risata di fronte allo sguardo di Sherry: gli occhi e la bocca sono spalancati ed un poco lo sorprende non vedere alcuna traccia di disgusto, anzi, gli pare emozionata.
«Porca puttana quella è una coda… hai una dannatissima coda da scimmia, cazzo!»
Quando la vede scattare velocemente per poterla toccare ed anche seguirla con gli occhi quando lui glielo impedisce, lo fa inevitabilmente scoppiare a ridere di gusto: è passata in un secondo scarso dall’essere furiosa e sulla difensiva, pronta a scappare alla sua minima distrazione, all’essere entusiasta per una cosa che, a rigor di logica, per lei dovrebbe essere come minimo strana.
«Sapevo che saresti stata un gioco divertente.»
Questa sua affermazione però spegne il suo entusiasmo. Lo guarda con aria offesa, puntando i pugni sui fianchi: «Un gioco? Io sarei un gioco?!» Gli urla contro, notando che le sue parole, pure stavolta, non sortiscono alcun effetto «Sono una persona! Farò anche schifo come tale, ma lo sono lo stesso!»
«E con questo?»
Sherry si blocca.

Rimane completamente immobile a scrutarlo, a fissare con insistenza i suoi occhi: è serio, troppo serio.
Aggrotta le sopracciglia e inclina la testa di lato, gli occhi ridotti a due fessure: «Tu non ci arrivi, vero? C’è qualcosa, non so cosa, che davvero non te lo fa capire…»
Radish ha smesso di ridere di fronte a quello sguardo indagatore. Lo sta studiando in modo differente ora e di certo non lo sta facendo per trovare un punto debole da attaccare. È proprio curiosa, lo capisce e lo sorprende. Perché mai provare questo genere di curiosità per chi ti ha rapito? Se solo sapesse che lei rischia molto peggio di questo da quando ha undici anni, non si sorprenderebbe più di tanto.
«Ok, senti, facciamo un accordo: tu non ti comporti più come un arrogante primitivo testa di cazzo e io ti insegno come ci si comporta tra le persone civili senza insultarti più, così arriverai a capire che seguire e rapire una donna non è ben visto dalla società. Un corso intensivo di, boh, un pomeriggio? Posso arrivare ad un’intera giornata, guarda quanto sono altruista! Andata?»
Sa bene che è una scemenza, ne è più che consapevole. Ma le pare di capire che in qualche strano modo e per una ragione che ignora lui sembri apprezzare la sua compagnia. Provando a tenerlo buono e calmo, possibilmente in un luogo affollato e con più nascondigli, non è la peggiore delle idee che potevano venirle sul momento.
«Ci sono un paio di problemi nella tua proposta.» Risponde prontamente Radish, avvicinandola. La sovrasta completamente, ma non c’è più timore nel suo sguardo, gli sembra quasi che si sia arresa all’idea e che cerchi solo di sistemare la faccenda alla meglio. E questo gli dà parecchio fastidio.
«Il primo e più importante, è che a me non importa niente di sapere come ci si comporta tra voi terrestri. Secondo, i tuoi insulti in qualche modo sono divertenti…» L’afferra di slancio per un fianco e l’avvicina senza darle il tempo di poter reagire e Sherry, in tutta risposta, sfoggia il dito medio a pochi centimetri dal suo viso, facendolo sghignazzare.
«Sei eccitante quando t’incazzi.»
«Possibile che devo dirti più di una volta di tenere giù le mani?» Lo spinge via senza trapelare una vera rabbia, quanto più un fastidio dovuto al contatto fisico non desiderato. Sono poche le persone che possono effettivamente toccarla in qualsiasi momento senza farle salire l’istinto di strapparti una mano a morsi.
Si passa una mano dietro al collo, rimanendo comunque un po’ troppo vicina al Saiyan. Questo certo non passa inosservato agli occhi di Radish, che a questo punto è più che confuso: ha dato prova di non voler essere toccata, di non volerlo attorno e di voler scappare da lui, eppure gli sembra piuttosto a suo agio, tanto da non provare ad allontanarlo neanche quando le avvicina la coda al fianco.
«Che devo fare per farti togliere dai piedi?» Gli domanda quasi soprappensiero, fulminandolo con lo sguardo quando nota i suoi occhi d’onice scivolare velocemente nella vertiginosa scollatura del vestito che le ha fatto indossare Bree «Tranne quello.»
«Voglio sapere che cosa sei.» Risponde onestamente il Saiyan, lasciando momentaneamente perdere ogni atteggiamento arrogante per la prima volta da quando si sono visti neanche ventiquattro ore prima.
«Non sei una comune terrestre, l’ho capito subito. Un terrestre non picchia come te e soprattutto non si trattiene in una situazione di pericolo potenzialmente letale… e non riuscirebbe a correre alla tua velocità.»
Ci pensa su per qualche secondo Sherry, arrivando a prendere pericolosamente in  considerazione l’idea di infrangere quella che probabilmente è la regola più importante tra la sua gente. Può essere infranta solo ad una condizione se si desidera mantenere in vita l’altra persona e lei non ne ha alcuna intenzione.
«Se te lo dico, sparisci dalla mia vita?» Alla fine cede, la testa abbassata e gli occhi ricolmi di vergogna. Non conosce nessuno che si sia mai abbassato a dover scendere a patti in questo modo per salvarsi la pelle.
«Può darsi…»
«Stai mentendo.» Gli occhi d’ambra della ragazza scattano verso di lui, fulminandolo. Odia che qualcuno le dica una bugia, soprattutto per il fatto che può sentirlo chiaramente. Almeno Bree riesce a nasconderlo… che s’impegnassero anche gli altri!
«Ok, ascolta: dobbiamo raggiungere un accordo. A te non interessa quello che offro, io non voglio darti quello che vuoi, seguendo questa logica non posso sbarazzarmi di te.» Borbotta subito dopo, notando un lieve cambio d’espressione nel suo pseudo rapitore. I suoi occhi si sono fatti attenti e seri come mai prima e la osservano in modo quasi fastidioso.
«Perché spingi tanto a sbarazzarti di me?»
«Perché sei più fastidioso delle pulci!»
Radish è sorpreso da questo genere di risposta. In fondo poteva aspettare un qualsiasi tipo di paragone, questo non era assolutamente uno da prendere anche solo in considerazione. Ma lascia cadere subito la faccenda, decidendo di giocare una nuova carta.
Se qualcuno gli chiedesse perché lui spinge per avvicinarla, perché sia diventato improvvisamente così insistente e perché si interessi tanto ad una terrestre, proprio non saprebbe dare una risposta. Certo, è oggettivamente carina come ragazza, molti probabilmente le definirebbero pure bella, ma non è questo il punto. E Radish, dentro di sé, sa bene che non è neanche più per la questione di scoprire che cos’è in realtà, forse non è mai stato per questo motivo. Sa che c’è un motivo che quasi lo obbliga a spingerla all’angolo per poterla in qualche modo catturare, ma non saprebbe assolutamente dire qual è.
«Verrai ad allenarti con me, così ti insegnerò i miei trucchi.» Tenta così, provando un profondissimo senso di fastidio nel vederla roteare gli occhi al cielo con aria scocciata. In fondo si sta comportando egregiamente nei suoi confronti, se lo conoscesse un minimo lo saprebbe, eppure ha comunque questo atteggiamento indisponente.
«Voglio liberarmi di te, non starti ancora più vicino!» Fa un mezzo passo indietro quando sente il suo odore cambiare di colpo, emanando quel pericoloso sentore di rabbia. Alza le mani in segno di resa, abbozzando ad un quasi impercettibile sorrisetto: «Facciamo a modo tuo, ok? Lo faremo diventare un gioco. Nascondino, per la precisione.»
Assottiglia lo sguardo, Radish, nuovamente incuriosito. Continua però a muoversi verso di lei, spingendola dove meglio crede senza neanche che se ne renda conto, un po’ come se fosse un burattino. Vuole vedere come reagisce e non lo sorprende più di tanto constatare che, malgrado non stia guardando, riesce a captare ciò che la circonda, impedendole di mettere un piede in fallo.
«Ti ascolto.»
«Mi darai tempo fino a domani al tramonto per nascondermi ed avrai tempo fino alla mezzanotte per trovarmi. Se riuscirai, toccherà a me pagare pegno… in caso contrario mi lascerai stare.»
Si guardano negli occhi per secondi che sembrano durare molto di più, dove entrambi studiano una strategia. È proprio grazie a questi ragionamenti che Radish capisce che c’è qualcosa che non va.
«Sarà facile… troppo facile.» Ammette senza perdersi un suo movimento mentre gli gira attorno. Guardandola così, gli ricorda incredibilmente un predatore che sta cacciando la preda. «Dove sta la fregatura?»
«Non potrai usare i tuoi trucchi… e io non userò i miei. Una partita ad armi pari.» Stende un braccio verso di lui, porgendogli una mano per sigillare il patto. Non ha altro modo per svignarsela, lo sa bene… e sa pure che dovrà barare.
«E come saprai se giocherò pulito?» Non lo farà di certo, non Radish. Che provi pure a fregarlo con qualche frase sull’onore o una scemenza del genere, quella roba con lui non attacca. Forse lo farebbe con suo fratello o con Vegeta, ma decisamente non con lui. E qualcosa gli dice che, probabilmente, lei ha intenzione di giocare alla stessa maniera.
«Speravo avessi un briciolo di onore… o hai forse paura di perdere contro una ragazza?»
Con quest’ultima frase, a Radish si chiude improvvisamente la vena: scatta velocemente, troppo pure per i riflessi sovrumani di Sherry e la sbatte brutalmente contro la corteccia di una delle palme, facendo quasi aderire il corpo al suo. Non si sorprende nel vedere che non prova neppure a divincolarsi, limitandosi ad uno stizzito «Tu sei molto più fuori di testa di quanto pensassi…»
Le blocca i polsi sopra la testa con solo una delle sue mani. Con l’altra le afferra il collo e stringe forte, mozzandole il respiro, avvicinando lentamente il viso al suo. Le sfiora la guancia con la punta del naso, il respiro caldo che le solletica la pelle mentre cerca di prendere fiato. Si muove piano, Radish, senza allentare la presa: non è spaventata, non lo teme e questo da una parte lo eccita come non credeva possibile mentre dall’altra lo manda in bestia. Come può una semplice terrestre - o presunta tale, ma comunque fisicamente inferiore a lui per sua stessa ammissione - non temerlo?
Le stringe per pochi secondi il lobo dell’orecchio tra i denti, sussurrandole «Risparmia il fiato… ti servirà…»
Dopodiché, continua a scendere lungo il collo, dapprima sfiorandola solo con le labbra appena schiuse, poi mordendola con decisione sulla giugulare.
Gli occhi di Sherry si riempiono, al contempo, di rabbia e lussuria. Vuole allontanarlo, fargli del male, ma non riesce a resistergli. C’è qualcosa in quel bestione che le stringe la gola che l’attira pericolosamente, malgrado sia più che decisa a tenerlo fuori dalla propria già incasinata vita.
Si odia per non riuscire a fermarlo in alcun modo, optando per un atteggiamento totalmente passivo. Se ha ragione, però, la lascerà di sua spontanea iniziativa. Pur sapendo di non avere una bella persona davanti a sé, dubita fortemente che si abbasserebbe a violentarla: vuole che sia una partecipe attiva, proprio come ragionerebbe lei.
Capito l'andazzo, infatti, Radish libera le mani della ragazza, che si limita a farle cadere lungo i fianchi.
«Accetto la sfida, bambolina.» Afferma con un ghigno divertito stampato in volto. Non si sentiva così da molto tempo, gli eventi finalmente stanno prendendo una nuova piega e lui ha finalmente trovato un passatempo che renda il tutto un poco più piccante e colorato.
«Te ne pentirai.» Quella di Radish è una minaccia vuota, Sherry lo sa. Malgrado senta che non sta mentendo, malgrado sappia che è convinto di ciò che dice con ogni fibra del suo essere, è sicura che una vittoria così infima per lui non sarebbe sufficiente.
L’atteggiamento da predatore che invade ogni sua cellula è incredibilmente simile al suo e, malgrado stia tirando molto la corda, probabilmente non gli piacerebbe mettere le mani su una preda anche solo apparentemente morta.
Non lo conosce, ne è consapevole, ma qualcosa lo ha capito: odia perdere, scatta violentemente se gli viene dato del codardo e vuole dimostrare a chissà chi, forse proprio a sé stesso, di poter fare ciò che vuole. Ed è annoiato. La via che conduce gli va stretta, sta cercando una scappatoia, una valvola di sfogo, e lei gli è sembrata interessante proprio perché emana la sua stessa pericolosità.
Lo avvicina senza paura, decisa ad andare fino in fondo. Deve però farsi riportare a casa se vuole andare ad un nascondiglio sicuro: lì dentro la strana abilità che usa per trovarla non sarà assolutamente sufficiente.
Non aveva però preso in considerazione che lui non aveva mai preso in considerazione l’idea di darle un simile vantaggio, ma comincia ad intuirlo quando lo vede alzarsi in volo.
Prova quindi ad afferrarlo subito per una caviglia, ma questi scatta in alto e continua a guardarla con quell’aria arrogante che la fa andare in bestia.
«Ehi! Devi riportarmi a casa! EHI!» Gli corre dietro finché non si ritrova con l’acqua a metà coscia, capendo tutto in un colpo che no, non tornerà indietro a prenderla. Comincia così ad urlargli dietro i peggiori insulti che le vengono in mente, non sortendo alcun effetto: per il Saiyan lei ormai è un puntino su un isolotto, un qualcosa che ha momentaneamente perso ogni attrattiva dal momento che sta facendo tardi ad un appuntamento che aveva stupidamente scordato.
Dopo quanto successo al suo arrivo sulla Terra e dopo aver avuto una seconda occasione proprio dal fratello resuscitato, dal nipote rapito e dalla donna resa momentaneamente vedova, vuole provare a rigare dritto almeno con questi ultimi due. È per questo che di tanto in tanto accetta gli inviti a cena di Chichi, resa ancor più isterica e pericolosa dalla gravidanza, ormai quasi al termine, ed è per questo che deve muoversi più velocemente del solito se non vuole che gli spacchi la testa a furia di padellate.
Ora che ci pensa, suo fratello è davvero una delle persone più coraggiose che conosca: chi avrebbe mai il coraggio di sposarsi una donna così incazzosa?! Lui no di certo… anche se, inconsapevolmente, è andato a stuzzicare una donna ben peggiore della cognata.





ANGOLO DELL’AUTRICE
E si comincia con i capitoli sempre più lunghi… vi giuro che io cerco di contenermi, taglio sempre un sacco di cose in fase di correzione, ma escono sempre cose del genere… SEMPRE!
Nella mia long di One Piece ci stanno capitoli di 30-35 pagine sempre tagliatissimi! Capite il disagio che mi pervade? È brutta come situazione, bruttissima.
Comunque… a ‘sto giro sono stata un poco più lenta a pubblicare, ma non perché scrivevo più lentamente - magari, quando mi ci metto, buttare giù una decina di pagine è un vento! - ma perché ho iniziato un altro corso in palestra, quindi ho quasi sempre mattina e pomeriggio occupati, poi mi devo occupare della mia dolce cagnolina che sennò mi sfascia casa e dei gatti che mangiano come orsi e poi vogliono giocare - non potete capire quanti segni ho addosso! - e poi ci stanno le pulizie a casa… insomma, ritagliarsi un paio d’ore è difficile!
Oltretutto vivo a venti minuti scarsi da Lucca, quindi… 😏🤪
E niente… che dire? Sarebbe meglio non dire niente eh, visto che GUARDAQUANTOHOGIÀSCRITTOMADONNA!, ma diciamo qualcosa lo stesso: come avrete ben notato, tendo a scrivere di situazioni poco comuni nelle fan fiction (non vi dico quel che c’era nell’altra long… il delirio tra sangue, droghe e casini vari!), e per molti questa è una pecca, ma proprio non riesco a farne a meno (ho pure abbassato il rating ad arancione per non scrivere di cose davvero pesanti!).
È sempre tutto così colorato negli anime, con i buoni sentimenti e tutto il resto… perché non buttarci dentro personaggi che faticano a capire questa realtà? Mi diverte molto gestire creature come Sherry o Bree, che per quanto vogliano adattarsi e vivere come gli altri hanno un’educazione dietro diversa, una cultura che non accetta ciò che per gli altri è normale. E comunque c’è un motivo ben specifico per il loro riuscire a fare praticamente tutto, per il fatto che hanno doti che di solito vengono coltivate e sviluppate in anni e anni di pratica/allenamento, e anche questo motivo non è dei più… mh, delicati, diciamo?
Loro sono questo: creature che hanno passato buona parte della loro esistenza lontane da ciò che per chiunque è normale, che hanno lottato per un posto al sole da quando hanno emesso il primo vagito e che nessuno ha mai voluto, motivo che le spinge con ancor più grinta a volersi prendere tutto ciò che gli è sempre stato negato.
Discorsi scemi a parte, torniamo a Radish(😍). Ho intenzione di maltrattarlo molto meno rispetto a Marco la Fenice (porello, lui lo massacrai in ogni modo possibile 😅), ma comunque non sarà semplice. In fondo ha capito le dinamiche sulla Terra, come funzionano i rapporti umani, sa come funziona il corteggiamento e tutto il resto, ma non avrà ben chiaro come metterlo in atto. Senza contare che, ehi!, è per sempre un Saiyan che ripudia più che abbastanza l’idea dell’uomo che porta un bel mazzo di fiori alla fanciulla che vuole conquistare (Sherry gli staccherebbe il braccio a morsi se ci provasse, gli va pure bene!), quindi deve capire come sbrogliarsela senza cedere. E la volete sapere una cosa? Quando capirà come fare (e Sherry accetterà la faccenda, accantonando momentaneamente il suo passato/presente che le sta col fiato sul collo), per lui la situazione sarà molto più facile di quel che pensa. Perché lei, al contrario di Bree, non appartiene per niente alla razza umana, non ha gli standard di una donna comune nello scegliere un compagno. Diciamo che tra quelli come lei, uno con le caratteristiche di Radish farebbe grandi conquiste!
Ah, già, la coda!!! In R&R se l’è tenuta per i motivi già scritti, quindi ho deciso di lasciargliela. Tanto per Sherry una coda non è certo un problema!

Ok, ho scritto una roba allucinante anche a ‘sto giro! Maledetta logorrea!!! (sto scrivendo ma il concetto è sempre quello, accettatelo!)
Me ne vado a farmi torturare da cane e gatti (uno di loro due vuole leccarmi nelle narici gente! Non posso mai abbassare la guardia neanche in casa mia!😱), spero di ricevere un vostro parere su questo nuovo capitolo!


A presto,
Kiki🤙🏼

  
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