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Autore: T612    08/11/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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SECONDA PARTE - CAPITOLO XIV



 

30 settembre 2018, Motel, periferia di Mosca

 

Natasha fluttua, trattenuta a riva dalle onde, mentre la risacca del mare tenta inutilmente di trascinarla nuovamente a largo. 

Sa che dovrebbe preoccuparsi di qualcosa, lo sa perché intravvede delle ombre scure ed affilate che nuotano al largo, ma non le sovviene il motivo per cui dovrebbe crucciarsi… gli squali sono lontani, lontanissimi… e lei è al sicuro, sospesa e sola in mezzo ad un’isola deserta, stesa sulla sabbia bagnata con gli occhi rivolti alle nuvole indaco che si rincorrono sullo sfondo di un cielo camaleontico, sospese anch’esse contro una volta celeste cristallizzata in secondi che procedono densi come il miele, generando un tramonto senza fine… anche i suoi pensieri sembrano rallentare, chiedendosi dopo quelle che pensa siano ore se per caso si trova in Paradiso, mentre la risacca del mare continua monotona a scandire quel tempo fluido, infondendole una pace totalizzante che la abbandona in balia di un torpore piacevole.

Natasha continua a connettersi e dissociarsi da quel limbo ovattato con scadenza quasi ciclica, ma dopo quelli che crede siano giorni –forse il secondo o il millesimo in quella sua isola felice– percepisce un lievissimo refolo di vento che la fa rabbrividire al punto da farle tremare le ossa, notando solo in quel momento la stranezza della sua assenza per contrasto… è leggero, quasi impercettibile, e sospinge un eco altisonante alle sue orecchie che conserva nell’inflessione un qualcosa di terribilmente familiare, aumentando di sonorità secondo dopo secondo articolandosi in sillabe che formano il suo nome. Almeno crede, spera, siano secondi… desi, lenti e dolci come il miele.

Natalia, Natalia, Natalia… una cantilena simile ad una ninna nanna, che cresce fino a quando quella voce non la circonda da tutte le parti al pari di un abbraccio da lungo atteso, desiderando visceralmente di annullarsi in esso… segue la voce, perché è dolce, perché è calda, perché sa di casa e sembra indicarle con precisione indiscutibile il suo posto nel mondo… Natasha cede, e la risacca la inghiotte.

 

A Natasha servono diversi secondi per mettere a fuoco la stanza, riattivando gradualmente i cinque sensi per orientarsi, percependo per primo il refolo di vento che filtra dalla porta-finestra socchiusa, portando con sé una zaffata di tabacco che sembra annullare momentaneamente qualunque altro odore. Riesce a distinguere l’aroma del caffè e la puzza ferrosa del sangue raffermo solo in un secondo momento, ma il tutto viene stemperato dalla forte esalazione di disinfettate e farmaci che ristagna nell’aria circostante. Tuffa il naso tra le pieghe della trapunta fuggendo dagli odori aggressivi che la circondano, trovando le lenzuola curiosamente profumate di lavanda mista a tabacco, eclissando quell’ultimo pensiero concentrandosi nell'abbraccio morbido e caldo della coperta ed il pizzicore fastidioso delle garze che le comprimono lo stomaco in una stretta che le accorcia il respiro. 

Realizza con genuina sorpresa di trovarsi in un letto, al caldo e con dei vestiti puliti addosso, mentre i suoi occhi mettono a fuoco le pareti di una camera che si affaccia sulla periferia di Mosca, sollevandosi sui gomiti con forse troppa foga strattonando dolorosamente i bendaggi strappandole un gemito dolorante subito silenziato, soffermandosi sul profilo di Barnes che fuma spaparanzato in terrazzo dando una spiegazione all’aroma persistente di tabacco che aleggia nell’aria… sembra quasi familiare, riconoscendo la compagnia, la vernice scrostata delle imposte, la consistenza del cuscino ed i rilievi delle molle del materasso come se appartenessero ad un ricordo offuscato risalente ad una vita fa.

-Sei sveglia. -annuncia l’uomo quando si rende conto di essere osservato, spegnendo la sigaretta sul posacenere e rientrando dalla porta-finestra chiudendosela alle spalle. 

-Quanto…? -inizia confusa, afferrandosi la testa colta da un capogiro quando si mette seduta troppo velocemente.

-Tre giorni. -replica Barnes alla sua domanda inespressa, avvicinandosi sfiorandole la fronte con la mano sana per poi proseguire con un veloce check-up di controllo, con tocchi rapidi e precisi come se quella fosse una procedura alla quale era abituato, ma Natasha fa fatica anche solo ad assimilare i suoi gesti vagamente apprensivi a causa dell’intontimento dato dai suoi pensieri, che tentano ancora di districarsi dalla melassa che le allaga il cervello. -Hai fame? Hanno recapitato la colazione una decina di minuti fa.

Annuisce sovrappensiero accettando la tazza di caffè ancora in stato di trance, mentre il liquido nero le brucia la gola contribuendo in modo decisivo nel risvegliarla dallo stato di torpore di cui era ancora vittima, mettendo a fuoco i dettagli fuori posto dopo diversi secondi di scarto… sfiorandosi con le dita le garze puntinate di rosso allarmata apprendendo di essere stata medicata, realizzando di essere in una camera di un motel a Mosca, mezza nuda e con fasciature, cerotti e punti di sutura a coprire e rimarginare le ferite che le costellano il corpo… e poi c’è Barnes, che le ha appena ascoltato il battito cardiaco trovando la sua carotide a colpo sicuro, ed ora le sta porgendo una aspirina chiedendole se può sforzarsi di essere collaborativa, informandola che vorrebbe controllare lo stato della ferita che le attraversa lo stomaco ora che è sveglia e si è alzata frettolosamente prima che lui potesse avvisarla di doversi muovere con cautela.

-Avevo inviato le coordinate a Fury. -obietta in risposta scannerizzandolo con lo sguardo, ritraendosi dal suo tocco infastidita… lo sfida apertamente nel provare a mentirle, nella speranza che finalmente si tradisca e le fornisca una motivazione valida che giustifichi la sua presenza, perché sa benissimo che il mese prima Nick aveva raggiunto definitivamente le Mura assecondando le sue paranoie, ma lei e il Colonnello erano rimasti d'accordo che in caso di emergenza avrebbe dovuto palesarsi Hill, di certo non Barnes.

-Se ti stai chiedendo il motivo per cui Fury ha girato le coordinate a me e non a Maria, è perché sono l’unico che sa come entrare nella Stanza Rossa per una missione di recupero ed uscirne vivo. -replica con tono ovvio raddrizzando la schiena, deducendo dal suo sguardo di dover tenere le mani al loro posto ora che è cosciente. -Comunque, ostilità a parte, quella ferita va controllata seriamente.

-Posso farlo anche da sola. -annuncia scontrosa sistemandosi meglio la maglietta dell’uomo che aveva indosso nel tentativo di coprire più pelle possibile, percependosi fisicamente troppo debole per sentirsi anche esposta allo sguardo di terzi. -E voglio farmi una doccia, mi sento la puzza del sangue e del disinfettante addosso.

-Come vuoi, ma prima metti qualcosa sotto i denti, presumo tu voglia evitare di svenire sotto la doccia. -ribatte con una scrollata di spalle, avvicinandosi al cartellino della colazione prelevando per lei una brioche, allungandogliela con fare perentorio. 

-Hai derubato un ospedale? -domanda diffidente nel mentre, cambiando discorso dando un morso alla sua prima colazione solida dopo tre giorni, sfregandosi il cerotto all’interno del gomito dove in un prima imprecisato doveva esserci stato l'ago della flebo.

-C’è il Quinjet parcheggiato sul tetto con dentro una cassetta del pronto soccorso molto fornita. -spiega puntando l’indice verso il soffitto, per poi convertire il gesto in una grattata nervosa alla nuca. -Probabilmente ti senti intontita, ti ho dovuta sedare per evitare che ti strappassi i punti nel sonno… la prima notte è stata molto…  movimentata con solamente la morfina in circolo.

-Mi hai drogata? -ribatte basita strabuzzando gli occhi, ottenendo un’occhiata esasperata al soffitto in risposta come se la sua fosse una reazione esagerata.

-Ti ho sedata secondo i tuoi parametri svalvolati, è diverso… avresti preferito che ti ricucissi i punti che ti strappavi ogni mezz’ora? -replica seccamente, accompagnando la domanda retorica con un gesto scocciato della mano. -Io credo di no… hai dormito immobile per due notti filate, nel frattempo il siero ha fatto il suo lavoro e fisicamente sei tornata come nuova.

-Peccato che i sedativi normali come la morfina con me non funzionino. -osserva piccata, posando la tazza vuota di caffè sul comodino reprimendo una smorfia nonostante si fosse mossa con la dovuta cautela. -Quindi che mi hai somministrato?

-Una fiala di Illium1 in endovena… ad occhio e croce starai da schifo per un altra mezz’oretta, ma poi passa. -afferma con tono quasi noncurante controllando l’ora sulla sveglia posata sul comodino, schivando prontamente la traiettoria del cuscino che lei gli lancia contro in reazione alla risposta.

-Illium?! Ma ti è dato di volta il cervello?! -strepita deducendo il perché Barnes fosse stato così apprensivo nel controllarle i suoi parametri vitali appena si era svegliata. -La porcheria spaziale di Fury di norma manda in overdose le persone e tu mi hai somministrato un’intera fiala?! 

-Tu sei fuori dalla norma, Natalia. -ribatte accondiscendente ergendo un muro di finta indifferenza contro cui rimbalza la sua rabbia, svuotandola perché esternarla così a scoppio ritardato risulta quasi immotivata, ritrovandosi a fissarlo con sguardo vacuo mentre lui le offre una giustifica inattaccabile su un piatto d’argento. -La porcheria spaziale, come dici tu, sugli organismi potenziati ha l’effetto di un oppiaceo… nel peggiore dei casi ti sei fatta una passeggiata nei tuoi Campi Elisi personali e poi sei tornata indietro, e comunque ti ho monitorata tutto il tempo.

-Quindi dovrei anche ringraziarti?

-Sei viva, no? 

Natasha sbuffa perché è palese che preferisca essere intontita che morta dissanguata, ma deve passarne di acqua sotto i ponti perché lei arrivi a ringraziarlo per il salvataggio… perché glielo leggeva nello sguardo che Barnes avrebbe preferito non vederla in quelle condizioni a priori, deducendo da solo il come ci fosse finita in mezzo ad uno scontro suicida, anche se la donna non riusciva ancora a giustificare tutta quella apprensione.

-È già la seconda volta in un mese che mi faccio ricucire da te, non va bene. -esordisce dopo diversi secondi di silenzio teso, sollevando lo sguardo su di lui con riluttanza, lasciando intuire che la mezza ammissione appena proferita era il massimo a cui poteva aspirare come ringraziamento nelle condizioni attuali.

-Perché no? 

-Perché vuol dire che mi sono rammollita.

-Uccidere Madame B e rivoltarsi contro l’intera Stanza Rossa non è essere rammollita, solo incredibilmente stupida… in quante ti hanno ridotto cosí? -chiede con leggera titubanza indicandola per intero con un unico ampio gesto della mano, ed il fatto che la sua voce sia venata da un leggerissimo sottotono di preoccupazione la mette in soggezione, come se quello sguardo color ghiaccio potesse scandagliarle l’anima e sondare ogni sua più microscopica bugia, frenando la risposta sgarbata sulla soglia delle labbra riscrivendone una veritiera.

-Sei mini-me… seguono le direttive di Yelena ora. -afferma riluttante, chiedendosi il perché diavolo stia concedendo informazioni sensibili con una facilità disarmante… scovando una spiegazione nell’ammettere che Barnes le ha comunque salvato la vita –anche se con metodi poco ortodossi– e come minimo gli doveva un po’ di sincerità in merito all’intera faccenda.

-Yelena? É lei la nuova Madame?

Natasha non si scompone di fronte all’incredulità di Barnes nell’apprendere il coinvolgimento della sorella, realizzando di non essere stata l’unica a dimenticarsi della sua presenza nella scacchiera… un errore gigantesco, che ultimamente stava generando una valanga di problemi che nascevano da un odio represso legittimo, perché Yelena poteva illudersi di tante cose ma aveva ragione nell'affermare di essere stata abbandonata a se stessa senza remora alcuna da parte sua. Natasha vorrebbe riuscire a convincersi che all’epoca non aveva avuto il modo o la possibilità di salvare il salvabile, ma mentirebbe a se stessa solamente nel pensare che dopo Budapest desiderava trovare qualcuno da risparmiare dall’incendio che aveva appiccato intenzionalmente… li voleva morti, tutti. Punto.

Yelena, semplicemente, era stata una variabile fondamentale ed erroneamente trascurata.

-Sì, apparentemente, ma non credo sia consapevole che quella a tirare le vere fila non è lei… -ammette confrontando i suoi sospetti con l’uomo, realizzando nuovamente la mancanza di un tassello in snervante ritardo. -...ma Yelena l’ho allenata io, non tu. Come fai a conoscerla, James?

La domanda aleggia tra loro, ma nessuno dei due accenna a pronunciare una singola sillaba, come se tutto l’ossigeno fosse stato risucchiato dalla stanza costringendoli ad entrare in apnea… James. L’ha chiamato per nome, ma ciò che la sconvolge è quanto quel nome suoni familiare alle sue orecchie, con l’inflessione inusuale data dal proprio accento che riecheggia contro le pareti della scatola cranica, in un eco prorompente che va ad aggravare il suo mal di testa latente… ed il fatto che Barnes si sia bloccato come se gli avesse appena conficcato un coltello in mezzo alle scapole non la aiuta per niente nel risolvere la situazione, notando il suo respiro pesante ed il suo sguardo incredulo quando leva gli occhi su di lei come se fosse un'allucinazione.

-Come mi hai chiamato? -si lascia sfuggire la domanda d’istinto, ma sembra avere un ripensamento immediato che lo spinge a giustificarsi subito dopo. -Scusa, è che nessuno mi chiama più così.

-Scusami tu… -mormora anche se non sa di preciso per cosa dovrebbe chiedere perdono o dispiacersi.

-Non mi infastidisce… solo è strano. Inaspettato. Puoi chiamarmi come preferisci. -mormora in risposta, mentre un sorriso mozzafiato gli germoglia sulle labbra, mandandola ancora più in confusione di come già non sia.

-Okay… ma non hai risposto alla domanda. -replica titubante cercando di riassumere il controllo della situazione, imponendosi di pensare che quel sorriso non sia nulla di speciale nonostante le sue viscere si siano trasformate in una gabbia per farfalle… è conoscenza comune che ad ogni persona nel mondo servono dodici muscoli per sorridere, ma non è normale che lei sia così attratta da un gesto così basilare, come se Barnes generasse inconsapevolmente una sottospecie di campo magnetico al quale lei non era in grado di opporsi.

Stupida, stupida, stupida.

-L’ho allenata anch’io nel ‘91, insieme a Novokov e gli altri… Petrovich si era ritirato, tu te ne eri già andata da un pezzo. Hanno unificato le nostre sezioni al Dipartimento X. -sciorina in fretta riscuotendola, facendole la grazia inconsapevole di reprimere il sorriso, ma continuando a scrutarla con sguardo luminoso.

-Mh… ha senso. -ammette sovrappensiero, alzandosi dal materasso reprimendo un gemito ed ondeggiando pericolosamente, l’irrefrenabile bisogno di cambiare stanza per scrollarsi di dosso quel bruciore fastidioso alle terminazioni nervose e respirare dell’aria che non sia elettrostatica, portando una mano in avanti per bloccarlo dal raggiungerla per aiutarla. -Faccio da sola, sto bene.

Procede a tentoni con passo malfermo fino alla porta del bagno, sotto lo sguardo vigile di Barnes che sembra fremere sul posto nonostante gli sia stato negato il permesso di avvicinarsi, pronto ad afferrarla nel caso inciampi evitandole che sbatta la testa sul pavimento.

-Natalia? -la richiama, voltandosi a fulminarlo con lo sguardo.

-Che c’è? -replica scontrosa osservandolo raggiungere la poltrona nell'angolo, aprendo il borsone abbandonato lì sopra.

-Tieni. -afferma compiendo un paio di passi fermandosi esattamente dove l’aveva bloccato, porgendole dei vestiti puliti. -Trovi l’occorrente per medicarti nel mobiletto sopra il lavandino.

-Uh… okay.

Scompare oltre la porta arrancando fino al lavandino, puntellandosi alla ceramica il tempo necessario perchè le piastrelle del pavimento smettano di vorticare, iniziando a spogliarsi con cautela, srotolando man mano i bendaggi notando che i tagli superficiali erano guariti completamente, i lividi si erano assorbiti quasi del tutto e lo sfregio sullo stomaco si era ridotto ad una striscia rossa incrostata e pulsante che con ogni probabilità le avrebbe lasciato una bella cicatrice. Natasha solleva lo sguardo sullo specchio, perdendosi in contemplazione delle nebulose nerastre che costellano la sua pelle lattiginosa, provando un moto di repulsione misto a terrore al pensiero delle condizioni in cui doveva averla trovata James… ed il fatto che abbia iniziato a pensare a lui come James e non come Barnes la getta in balia dell’agitazione, correndo sotto il soffione della doccia regolando la temperatura lasciando che l’acqua gelata la riporti con i piedi per terra causandole uno choc termico collaterale e rinvigorente, concentrandosi unicamente nell’acqua che le scivola sulla pelle incuneandosi tra le sue ferite pulsanti come lame ghiacciate, iniziando a scrostarsi di dosso la colla dei cerotti, l’odore del disinfettante e le incrostazioni di sangue raffermo con movimenti lenti e metodici, nel tentativo di riplasmare il ghiaccio gocciolante di cui era fatta e cancellare definitivamente l’intontimento fisico ed emotivo a cui era soggetta.

La doccia gelata sembra aiutarla a snebbiare la mente, rinunciando ai vari appigli una volta uscita dal box riuscendo a stare in piedi sulle proprie gambe senza oscillare, fasciandosi nuovamente le ferite più problematiche per poi rivestirsi.

Quando torna in camera lo trova disteso sul letto con un tablet tra le mani, le finestre spalancate e le lenzuola cambiate di fresco, mentre le tazze di caffè vuote sono scomparse insieme al carrello della colazione.

-Hai freddo? Chiudo le finestre? -chiede James sollevando la schiena dalla testiera appena lei fa capolino dalla porta, tornando a sdraiarsi quando lei nega con un cenno del capo. -Stai ancora uno schifo? L’effetto dell’Illium dovrebbe essere passato ormai.

-Sto meglio. -afferma mentre un “grazie” le muore sulle labbra, percorrendo i due metri che la separano dal materasso con passi irrigiditi. -Come l’hai trovato questo posto?

-Debiti. -replica atono spostandosi verso destra, facendole spazio sulla metà di letto che le spetta, rassegnandosi a concederle una spiegazione quando lei non distoglie lo sguardo aspettandosi una continuazione. -Abbiamo salvato la vita al padre di Joseph, il proprietario… è stato uno dei pochi che siamo riusciti a far evacuare prima della carneficina di Kronas nel ‘43, come ringraziamento questa camera è mia a vita.

-Abbiamo

-Howlings. -la liquida in fretta con una scrollata di spalle, come se per un solo secondo avesse dato per scontato che lei sapesse già a chi si riferiva quando usava il plurale senza soggetti.

-Perché solo tu?

-Perché, a differenza mia, dopo la guerra nessuno di loro ha messo più piede in questa parte del mondo. -ribatte con tono ovvio, svicolando con lo sguardo mentre lei studia l’ambiente circostante con più consapevolezza di quella che aveva da appena sveglia.

-Sembra familiare… come se ci fossi già stata2.

-Improbabile. -nel dirlo quasi si mangia le sillabe, ma Natasha non ha il tempo di curarsene che James cambia nuovamente discorso. -Mentre dormivi ho fatto qualche ricerca, mi annoiavo… sempre se non ti dispiace, so che preferisci lavorare da sola.

-No, arrivata a questo punto un aiuto mi farebbe comodo… -ammette indicandosi il punto in cui si nascondeva lo sfregio sullo stomaco. -...sempre se per te non è un problema.

-Nessun problema… così la prossima volta posso ricucirti subito, senza che rischi di morire dissanguata mentre aspetti il mio aiuto. -la provoca facendo entrare in collisione le loro spalle, inviandole al contempo una scarica elettrica nel punto colpito… appurando che la doccia gelata era servita fino ad un certo punto, incendiandosi all’istante replicando su tono.

-É stato un inconveniente!

-É stata una mossa stupida ed avventata.

-Come se tu non fossi per niente spericolato ed impulsivo! -ribatte piccata colpendolo sulla spalla sana con un pugno scherzoso, reprimendo una risata perché ci avevano messo meno di cinque minuti per tornare a bisticciare, imponendosi di pensare ad altro aprendo il database olografico. 

-E tu che ne sai? -la stuzzica di nuovo allungando l’indice digitando la combinazione sullo schermo dopo il suo secondo tentativo fallimentare, dipingendosi un'espressione sul volto che Natasha vorrebbe davvero prendere a schiaffi.

-Ti conosco… ho come l’impressione di conoscerti da sempre. -replica senza pensare troppo a ciò che sta dicendo, irritata dal come basti anche un piccolissimo movimento dell’uomo che entri più del dovuto nel suo spazio vitale per sfaldare il filo di concentrazione che stava tentando inutilmente di riacquistare, ma evidentemente deve aver detto qualcosa di compromettente perché il suo sorriso mozzafiato torna a far capolino dalle sue labbra, prendendosi la libertà di negarle una qualsiasi replica all’affermazione appena proferita lasciandola cadere nel vuoto.

Lo odia quando fa così, ponendola in una posizione di svantaggio, lasciando intendere che se vuole informazioni e la leadership in quel stupido gioco di supremazia deve impegnarsi di più per corromperlo… ma Natasha, per quanto le sia familiare la situazione, non è davvero in vena di giocare, aprendo i file sul progetto “Vedova Nera” con tocchi precisi delle dita che tradiscono un'arrabbiatura latente.

-Tania? -chiede James con tono indagatore quando apre il suo file, soffermandosi due secondi di troppo sulla sua foto segnaletica, fraintendendo.

-Fuori dai giochi… il rapporto l’hai stilato tu, dovresti saperlo. -mormora in risposta con tono duro, leggendo la dicitura sulla causa di decesso. -Sei stato tu?

-No, ma ero presente… voleva aiutarmi a scappare, diceva di farlo un po’ per vendetta personale ed un po’ perché me lo doveva per via dei cadaveri di Berlino. -replica con tono spento, mentre un lampo doloroso gli illumina lo sguardo, smorzandolo subito dopo.

-Cos’è successo a Berlino3? -chiede titubante covando il sospetto fondato che lei dovrebbe saperlo, ma la sua memoria continua ostinata a brancolare nel buio, finendo ogni volta per schiantarsi contro un muro in fase di sgretolamento.

-Non lo so di preciso, ho sempre avuto troppa paura per chiedere… certe cose è meglio non saperle. -la informa svicolando con lo sguardo nel tentativo di ricomporsi, tornando ad osservarla di sottecchi a distanza di un paio di secondi. -Mi dispiace… ricordo che ci eri affezionata.

-È questa la fregatura. -ribatte monocorde tenendo lo sguardo fisso sullo schermo, rinunciando a priori nell’indagare sul come diavolo poteva essere a conoscenza del suo rapporto affettivo con Tania, schiarendosi la voce e scrollando le spalle prima di aprire il file su Yelena. 

-Cosa vuoi farne di lei?

-Vorrei salvarla… non ci sono riuscita con Tania, ma con lei voglio provarci... è una vittima inconsapevole, non ha colpe se non quella di essere cresciuta in mezzo ad un branco di lupi. -afferma reticente con il senso di colpa a colorarle la voce, mentre James la spinge con la spalla richiamando il suo sguardo su di sé.

-Non è solo colpa tua ciò che è successo a Tania, Natalia… gran parte di questo disastro è merito mio. Soprattutto merito mio.

James lo afferma con una convinzione tale che Natasha vacilla e rinuncia a contraddirlo, nonostante l’istinto le suggerisca di correggerlo attribuendosi almeno metà dei misfatti… ma si morde la lingua, carente dei dettagli necessari per dar credito o meno al proprio istinto.

-Chi credi ci sia dietro a tutto questo? Dietro a Yelena intendo. -cambia discorso prima di sconfinare irrimediabilmente in un terreno minato, focalizzandosi sui problemi più urgenti che richiedevano una rapida soluzione.

-Non lo so… sono tre giorni che tento di capirlo da solo, arrivato a questo punto un aiuto mi farebbe comodo.

La guarda mentre lo dice, con quello sguardo di sfida che le contorce piacevolmente le viscere… e chissene frega dei non detti, delle circostanze e dell’astio latente, Natasha non riesce proprio a trattenere un sorriso.

 

***

 

2 ottobre 2018, Periferia di Mosca

 

Nei giorni a seguire si sforzano entrambi per colmare il silenzio, collaborando sopportandosi e bisticciando per tre quarti del tempo, ma Natasha scopre che non è poi così male lavorare insieme a James, come se fosse la cosa più naturale del mondo. 

Indagano, si infiltrano, un paio di volte gli sparano anche addosso… Natasha non sa spiegarsi il come facciano sempre a cavarsela da ogni situazione, sul come si anticipano sempre nelle movenze e nei tempi, ma riescono a recuperare abbastanza dettagli ed indizi da rendere comprensibile la mappa incoerente che avevano iniziato ad assemblare al motel due giorni prima, iniziando a decifrare una sorta di filo conduttore. 

In quel paio di giorni Natasha si ritrova fin troppo spesso a pensare a quel “ti conosco da sempre” lasciato in sospeso, al come lei fingesse di non notare tutti quei dettagli che lui evitava di sottolineare, trascurando volutamente tutte quelle discrepanze nella facciata di maestro-allieva che li accomunava nella speranza di aggirare le proprie emicranie, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di riflettere sul come tutti quei gesti inconsci fossero la base per qualcos’altro… un qualcosa di così spaventoso che entrambi erano restii a definire a parole, lasciando inespresso quel segreto di stato che aleggiava tra loro.

Dopo le prime ventiquattro ore Natasha aveva iniziato a sospettare che ci fosse di più… perchè non temeva la sua ombra nel buio, perchè l’aroma di tabacco, ferro e polvere da sparo che James si portava sempre dietro come una scia aveva l’inconcepibile capacità di tranquillizzarla anche quando non si rendeva conto di essere in ansia, perchè il suo respiro le conciliava il sonno e le suonava dannatamente familiare quando alla mattina si svegliava e si rendeva conto che si erano cercati nel sonno –come se il dividere il materasso non bastasse ad arginare quel bisogno inespresso di dormire pelle contro pelle–, perchè trovava assurdamente normale che James sprecasse un fiammifero per accenderle una sigaretta quando decideva di volersene fumare una… sorprendendosi della facilità con cui il suo vero nome gli scivolava sulle labbra con più facilità di “Bucky”, di “Barnes” o di qualunque altro modo ci sia per chiamarlo, anche se non riusciva ancora a definire se quella sensazione di spaesamento che provava ogni volta nel pronunciare quelle cinque lettere era positiva o negativa, al punto che dopo un po’ si era imposta di smetterla di pensarci… dopotutto aveva altro per cui crucciarsi, tipo i topi russi.

Il Mercato Nero aveva ancora paura della loro ombra, il che facilitava enormemente il loro compito di spillare informazioni senza inutili spargimenti di sangue, ma ciò che avevano scoperto non era né piacevole ne rassicurante… la loro fonte in Minnesota li aveva indirizzati verso i giusti informatori ed avevano raccolto mormorii sui mostri, sui mutanti, sulle briciole di pane che si stavano radunando, sulle partite a scacchi ancora in corso d’opera, ed alla fine da quel guazzabuglio intricato si era defilata un'ombra inquietante –tragicamente speculare a quella che si erano lasciati alle spalle– che vedeva la figura solitaria di Yelena raggiungere l’Antarctica entro le dodici ore successive dalla scoperta.

-Il nome ti dice qualcosa, ‘Tasha? 

James aveva ceduto al vezzeggiativo dopo le prime trentasei ore di convivenza forzata, ma contrariamente a quanto Natasha pensava, quel diminutivo non le dispiaceva affatto… e quello era stato il tassello mancante, il punto di non ritorno in cui si era tragicamente resa conto di aver perso contro se stessa, di aver ceduto… perchè detto con il suo accento, in quel modo, con quel tono, le provocava una scarica elettrica lungo la spina dorsale che la scombussolava ogni volta. Ma si frenava ogni volta, perché prima di scoprire le proprie carte doveva riuscire a leggere e bruciare quelle di James, scovando le sue responsabilità mancate nel tentativo di comprendere il perché continuassero a sfiorarsi senza mai scontrarsi.

-Natalia, ti ho fatto una domanda… l’Antarctica ti dice qualcosa?

-Sono un Livello 8, ovvio che mi dice qualcosa… mi sorprende che tu non lo sappia a dire il vero. -ribatte piccata scoccandogli uno sguardo di sfida, seguendolo e superandolo fuori dal vicolo puntando in direzione del motel che avevano tacitamente eletto come base operativa. 

-Ti prego, illuminami. -replica seccamente quasi infastidito, riguadagnando il terreno perso.

-Considerla la base SHIELD salvavita, è l’ultimo avamposto a crollare in stato di crisi, qualunque dato passa da lì… tutti i codici, i protocolli, le centraline. In parole povere, è lo scrigno di Pandora di Nick Fury.

-Se viene aperto si scateneranno tutti i mali del mondo? -chiede afferrandola per un gomito obbligandola a fermarsi, rendendosi conto di essersi tradita dal tono di voce venato dall’ansia, nonostante avesse provato a mascherarla… dandosi della stupida, perché a volte dimenticava che era stato lui ad insegnarle a mentire.

-I segreti di Nick hanno segreti, James… inizieremo tutti ad assaltarci alla gola a partire dal primo brandello di informazione. -ammette con tono di voce mesto, mentre l’incombenza di una seconda Guerra Civile si palesa davanti a loro minacciando di distruggere l’impero che avevano faticosamente ricostruito.

-Non si salva nessuno?

-Nessuno. -rimarca rabbrividendo al solo pensiero di tutte le morti secretate, le catastrofi insabbiate e gli intrighi politici che fino a quel momento erano riusciti a tenere fuori dalle aule di tribunale, al come una sola singola informazione presa a caso da uno dei loro fascicoli potesse scatenare una guerra mondiale, al come gli scheletri nell’armadio di ognuno potenzialmente potevano vallicare il raziocinio e spingerli tutti ad inscenare una battaglia fratricida, avvertendo la disperata necessità di correre e raggiungere il Salvavita prima che sia troppo tardi.

-Okay… -sfiata James con voce costretta, perchè non deve essere l’unica ad aver immaginato le implicazioni di una catastrofe di quella portata, sfilando le chiavi dalla tasca mascherando la preoccupazione con una faccia da schiaffi ed una domanda retorica. -Allora… chi guida fino in Antartide?

Non gli concede nemmeno il tempo di concludere la frase che Natasha gli ha già sfilato le chiavi di mano… e James sa che protestare è praticamente inutile, limitandosi a caricare le armi sul Quinjet e correrle dietro prima che spicchi il volo senza di lui. 





 

Note:

1. Illium: pianta coltivata nel pianeta Mer-Z-Bow (Settore 6 della Via Lattea), viene sintetizzata in fiale o pasticche e rivenduta nell’intera galassia per scopi terapeutici, va da sé che venga usata anche come vero e proprio oppiaceo e che abbia delle controindicazioni diverse in base alle varie specie che lo assumono, nel caso degli umani generalmente porta all’overdose, ma nei fisici “potenziati” (che hanno il metabolismo accelerato e sono in grado di assimilare meglio la sostanza) si manifesta l’effetto collaterale di un “sogno lucido” che seda il corpo e proietta la coscienza nei “Campi Elisi” (il loro “posto felice”). Ovviamente alla lunga si può sviluppare una dipendenza, soprattutto se lo si usa come rimedio per l’insonnia, perché dopo un po’ non si riesce più a dormire senza.

2. Motel: il famoso luogo degli incontri clandestini ai tempi del Cremlino.

3. Berlino: accenno all’easter-egg presente nel “Capitolo 25” di “1956”, ho intenzione di illustrare tutte le dinamiche del caso specifico nel nuovo progetto in corso d'opera: “We always live in the castle”.
   
 
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