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Autore: Menade Danzante    10/11/2019    3 recensioni
[Mini-long in due capitoli]
Dal testo del capitolo I: "Il demone si voltò verso gli altri perditempo della taverna per fare un gesto teatrale, come a sottolineare la gravità del fatto: qualcuno aveva osato definirlo un baro! Tsk!
Fu allora che, gettando lo sguardo tra la folla, notò una capigliatura bionda fin troppo familiare. Automaticamente sorrise.
«Signori, è stato un piacere» comunicò ai compagni di gioco dopo aver spazzolato via la vincita. Nessuno di loro si sentì in vena di condividere lo stesso spirito e tutti tacquero.
Crowley ancheggiò con stile fino al tavolo di suo interesse, scostò l'unica sedia libera e vi si accomodò gioviale.
«Ma guarda chi c'è in questa bettola di Firenze» esclamò.
«Hai barato» ribatté Aziraphale asciutto, guardandolo con occhi torvi.
«Mm» fornì Crowley, il ghigno ancora stampato in faccia. «Certo, sono un demone: che altro ti aspettavi?»
L'angelo si mostrò piccato, le labbra corrucciate e le sopracciglia supponenti inarcate. «Niente di diverso, ne convengo»"
Genere: Commedia, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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human
I.







Seconda metà del Duecento – Firenze



La prima mano a mosca1 era stata un disastro per Crowley. Aveva deciso di giocare pulito, senza barare e senza sotterfugi di alcun tipo. Peccato, però, che l'insetto, dopo aver svolazzato intorno al suo fiorino d'argento, tanto che tutti i giocatori avevano dato per scontato che il demone sarebbe stato il vincitore, avesse deliberatamente scelto di pulirsi le zampe sulla moneta di bronzo di un provinciale contadino che prima si era preoccupato di mordere tutti i fiorini d'oro sul banco per provarne l'autenticità, e ora li stava spendendo, soddisfatto, in una colossale bevuta di vino di bassa qualità.

Crowley scosse la testa sconsolato: questa era la ricompensa per essere stato misericordioso con gli umani. E adesso la mosca continuava a girare intorno alla sua mano con sfacciata supponenza, tanto che ebbe la fugace sensazione di essere perseguitato da Lord Beelzebub pure sulla Terra. Al solo pensiero gli si arricciò il naso in una smorfia di puro disgusto.

«Lurida» berciò tra i denti in direzione dell'insetto e sventolò la mano per scacciarla. Quella ronzò via risentita e sparì oltre la porta della locanda.

«Forza, un altro giro!» esclamò rivolto agli avventori, cercando di attirare l'attenzione. Tutti quelli che già avevano giocato con lui si riunirono di nuovo attorno al tavolo senza farselo ripetere due volte e Crowley ghignò.

Li osservò mentre sceglievano con cura dalle loro sacche la moneta più scintillante a loro disposizione, probabilmente convinti che le mosche fossero attratte dal bagliore del metallo. Per quanto ne sapeva, Beelzebub tutto era meno che un Lord dedito alle cose brillanti e piacevoli alla vista, ma c'era qualche possibilità che quelle strategie tutte umane fossero il frutto di una decennale esperienza al gioco. Se così non fosse stato, il tizio accanto a sé che aveva appena ritirato il suo fiorino intimorito da quello d'oro di un compare era solo l'ennesimo coglione tra i tanti.

Quando Crowley posizionò davanti a sé la sua modesta moneta di bronzo qualcuno di loro sghignazzò. Il demone fu quasi tentato di vedere i loro giochi al lavoro, di provare le teorie della gentaglia che lo circondava, ma poi decise di non amare le sconfitte. Attese il ronzio di una mosca prima di schioccare le dita sotto al tavolo: l'insetto girò in circolo sulle teste dei contendenti per poi scegliere accuratamente la moneta di Crowley per riposarsi.

«Barattiere!2» lo accusò un uomo enorme con una camicia di un'allarmante tonalità di verde sbiadito. Crowley ebbe la faccia tosta di mostrarsi del tutto incredulo.

«Nah! Controlla, se non ci credi! Tieni!». Gli lanciò il pezzo di bronzo e tutti si strinsero intorno all'omone: con rammarico dovettero constatare di essere in presenza di un normalissimo fiorino di bronzo senza alcuna traccia di miele.

Il demone si voltò verso gli altri perditempo della taverna per fare un gesto teatrale, come a sottolineare la gravità del fatto: qualcuno aveva osato definirlo un baro! Tsk!

Fu allora che, gettando lo sguardo tra la folla, notò una capigliatura bionda fin troppo familiare. Automaticamente sorrise.

«Signori, è stato un piacere» comunicò ai compagni di gioco dopo aver spazzolato via la vincita. Nessuno di loro si sentì in vena di condividere lo stesso spirito e tutti tacquero.

Crowley ancheggiò con stile fino al tavolo di suo interesse, scostò l'unica sedia libera e vi si accomodò gioviale.

«Ma guarda chi c'è in questa bettola di Firenze» esclamò.

«Hai barato» ribatté Aziraphale asciutto, guardandolo con occhi torvi.

«Mm» fornì Crowley, il ghigno ancora stampato in faccia. «Certo, sono un demone: che altro ti aspettavi?»

L'angelo si mostrò piccato, le labbra corrucciate e le sopracciglia supponenti inarcate. «Niente di diverso, ne convengo»

Crowley annuì comprensivo. «Ovvio. Quindi se ti offro da bere con i soldi della vincita, tu, da bravo angioletto quale sei, rifiuterai: sono soldi vinti con l'inganno, dubito che la tua fazione approverebbe»

Aziraphale non rispose subito e il demone poté vedere la tentazione farsi strada nei suoi lineamenti.

«Suppongo che ormai siano soldi tuoi, no?» tentò il biondo, una sfumatura leggermente rosata a colorargli le guance. «E poi sarebbe scortese da parte mia rifiutare... Non credi, caro?»

Crowely batté una mano sul tavolo: «Ah! Ben detto!»

Furono serviti poco dopo con vino e focaccia dolce: sul volto di Aziraphale tornò il solito caloroso sorriso di sempre.

«Cosa ti porta qui?» chiese l'angelo, più querulo con la pancia piena.

«Una tentazione per uno del posto, solite cose. Anche per te, immagino»

Il sorriso dell'angelo si allargò: «Sì, ma stavolta è molto avvincente». Crowley alzò un sopracciglio scettico. «Devo ispirare un uomo di lettere» rivelò Aziraphale tutto tronfio.

«Tutto qui?» fece il demone. Dalla fronte aggrottata dell'altro capì di non aver colto tutta la magnificenza di quell'impresa.

«Crowley, devo fare in modo che un uomo scriva un poema!»

«Ah. Non l'hai già fatto a Roma qualche secolo fa?»

Il viso dell'angelo si rabbuiò appena. «Sì, ma non andò benissimo... Il finale non piacque ai miei capi3», e puntò l'indice verso l'altro.

Crowley fece una smorfia al sentir nominare gli Arcangeli. «Però ti hanno ridato l'incarico» rilevò ottimista.

L'angelo annuì con vigore. «Questa volta è difficile che sbagli. Il poema sarà religioso: il figlio di Alighiero è molto legato alla Fede e-»

«Alighiero?» interruppe bruscamente Crowley, sporgendosi sul tavolo. «Alighiero di Bellincione4? Parli di Dante, per caso?»

Aziraphale strabuzzò gli occhi, incredulo. «Proprio lui. Lo conosci?»

Il demone faticò a trattenere la risata. «Se lo conosco? L'ho tentato qualche giorno fa!»

L'angelo spalancò la bocca ma non ne uscì alcun suono. «Santo Cielo» venne poco dopo.

Crowley scosse il capo e sospirò. «Ci siamo spostati nuovamente tutti e due per tentare la stessa persona. Che spreco di tempo»

Probabilmente per Aziraphale non sarebbe mai venuto il momento di accettare quel loro piccolo Accordo: l'angelo deglutì visibilmente e lanciò intorno a sé occhiate allarmate, come se si fosse aspettato di veder spuntare qualche angelo sotto copertura pronto ad accusarlo di Alto Tradimento. Crowley abbassò lo sguardo coperto dalle lenti e bevve un sorso di vino.

«Qual era il tuo compito?» pigolò Aziraphale dopo aver recuperato un po' di coraggio.

«Niente che interferisca con il poema» rassicurò prontamente Crowley. «Credo. L'ho convinto ad aumentare i capi d'accusa di quel borioso di Filippo Argenti»

«Argenti?». L'angelo batté le palpebre più volte, pensieroso. «Dici... Cavicciuoli?»

«Lui» confermò il demone. «Gli ha chiesto di mettere una buona parola con il giudice, ma io ho fatto notare a Dante quanto sarebbe più giusto fargliela pagare per tutto il resto5». Di fronte al sopracciglio corrucciato dell'altro si sentì in dovere di aggiungere: «È una testa di cazzo, sicuramente lo sai anche tu»

Da come Aziraphale non rispose capì di avere il suo stesso pensiero.

«Dunque Inferno e Paradiso lottano per quest'umano» considerò il demone. «Che ha di così speciale per voi?»

L'angelo si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea, non l'ho nemmeno visto»

Crowley annuì. «Lo puoi facilmente trovare a sbavare dietro le gonne della figlia di Portinari» rise.

«Oh! Un'anima innamorata!». Gli occhi di Aziraphale brillarono.

«Un'anima stupida» corresse il demone. «Lei è sposata e lui è già promesso»

Il viso del biondo si rattristò immediatamente, ma non ribatté alcunché: c'era ben poco da protestare quando si parlava di matrimoni combinati in giovane età.

Ma Crowley era sicuro che non ci fosse solo il rammarico di vedere un amore infranto ad atteggiargli il volto: dover competere con una tentazione già assestata stava rodendo l'angelo dall'interno. Il che era un peccato: Crowley sapeva bene quanto Aziraphale fosse legato alla conoscenza e alle lettere e per lui fallire in quel compito specifico non avrebbe significato solo ricevere dei rimproveri dall'Alto, ma anche una delusione personale.

«Prendiamo una boccata d'aria, angelo» suggerì alzandosi e indicando l'uscita con il capo. «Forza»

Fu veramente un sollievo uscire da quella taverna puzzolente e fare due passi. Il biondo l'aveva seguito con piacere e ora gli camminava al fianco con lo sguardo un po' più brillante di prima.

«Andrà bene» provò Crowley. «La tua missione» precisò.

Aziraphale lo guardò interdetto per un attimo, poi sorrise con somma gratitudine. «Oh, lo spero proprio». Quando l'angelo sorrideva in quel modo a Crowley tornava in mente l'Eden, l'espressione che Aziraphale aveva rivolto così sinceramente e con spontaneità a lui, un demone tentatore responsabile della cacciata dell'uomo dal giardino. Ogni volta che questo succedeva, Crowley doveva sforzarsi di nascondere il sorriso che faceva per spuntargli sulle labbra.

Per un attimo ebbe l'idea di proporsi di aiutarlo nell'impresa, ma desistette subito: quello era troppo anche per loro due, e Aziraphale sapeva il fatto suo: avrebbe trovato in qualche modo la giusta idea per riuscire al meglio nel suo lavoro.

«Tienimi-»

«Ser Crowley!»

Il demone non riuscì a finire la frase. Entrambi si voltarono in direzione della voce che aveva urlato il nome del rosso con così tanta foga in pubblico. Crowley di certo non era il tipo che passasse inosservato, ma oltre ad Aziraphale nessuno lo chiamava in maniera così entusiasta in giro per le strade. Quando capì da dove fosse venuto il richiamo sgranò gli occhi.

«Quello è...» cominciò l'angelo, perplesso.

«Filippo Argenti, sì» concluse per lui il demone. Che diavolo voleva quel pallone gonfiato da lui? Non gli aveva mai parlato, di fatto, e non aveva alcun conto in sospeso con il fiorentino.

«Che c'è?» berciò, costretto ad alzare lo sguardo per cercare di guardare il volto dell'interlocutore. «Guardalo, guardalo» bisbigliò rabbioso ad Aziraphale. «Cavalca veramente con i piedi larghi6, allora»

«Non sta scomodo?» considerò di rimando l'angelo.

Crowley fece una faccia schifata: lui su un cavallo stava scomodo sempre. «È per urtare i passanti, Aziraphale». Il biondo sgranò gli occhi e non trovò nulla di sufficientemente adatto da replicare.

Con stupore del demone, Argenti smontò da cavallo e si diresse a passo spedito verso Crowley.

«Volevi forse conoscermi?» optò il rosso. Ma il nerboruto non sembrava intenzionato a conoscerlo nel senso proprio del termine: prima ancora che il demone potesse vederlo, il pugno chiuso dell'umano si scagliò prepotente sul suo naso. Il colpo fu così forte che Crowley perse momentaneamente l'equilibrio e dovette usufruire del braccio di Aziraphale, prontamente proteso verso di lui, per non rovinare a terra.

«Ehi! Che cazzo pensavi di fare?!» sbraitò, coprendosi la parte offesa con la destra e provando a slanciarsi verso il folle che aveva davanti e che blaterava accuse alternandole al nome di Dante.

«No, Crowley!». Aziraphale si interpose tra il demone e l'umano, schioccò rapidamente le dita e l'Argenti, come colto da un'improvvisa illuminazione, smise di parlare, tornò indietro verso il proprio cavallo, rimontò in sella e si allontanò, stavolta con le gambe ben serrate intorno ai fianchi dell'animale.

«Perché mi hai fermato, eh?» urlò Crowley rivolto all'angelo. «Mi ha picchiato!»

«L'ho visto» assicurò Aziraphale, truce. «Fammi vedere la ferita»

«Mi ha dato un pugno sul naso!» continuò imperterrito il demone, schiaffeggiando la mano dell'angelo. «Dante gliel'ha detto. Maledizione!»

Crowley digrignò i denti per il dolore e continuò a sibilare ingiurie a volte verso quell'Adimari da strapazzo e a volte nei confronti di Dante: era evidente che si fosse fatto bello, il letterato, con la sua bravata. Si guardò la mano appiccicaticcia che copriva la ferita e la vide sporca di sangue. Premette indice e pollice sul ponte del naso e avvertì gli occhi farsi lucidi per un mero riflesso involontario.

Si guardò attorno e in strada era come se non fosse successo niente: nessuno sembrava aver notato il fattaccio, ma Crowley era certo che non fosse il frutto di un miracolo dell'angelo: per Firenze quella era la normalità e il demone non era altro che l'ultimo di una lunga serie di uomini malmenati dall'Argenti. In effetti, era il primo demone picchiato da Filippo, ma il rosso avrebbe volentieri fatto a meno del premio per una buona volta.

Alzò gli occhi al cielo e cercò Aziraphale accanto a sé per rendersi conto di quanto fosse mogio. Era ovvio che si fosse offeso per il trattamento ricevuto: si teneva a distanza, le mani in grembo a tormentare l'anello al mignolo e il viso fisso sul selciato, ben attento a non incrociare la figura del demone nemmeno per sbaglio. Seppe subito di essere il responsabile di quel cambio di umore nell'angelo e sentì una spiacevole fitta allo stomaco. In fondo sapeva bene che il provvidenziale intervento di Aziraphale lo aveva salvato da danni fisici ben peggiori di quelli appena subiti: con l'Argenti non c'era possibilità di vittoria, ne era consapevole. L'angelo gli aveva fatto un favore, nessuno avrebbe potuto negarlo, ma Crowley lo aveva attaccato lo stesso.

Il demone emise un sospiro che gli fece afflosciare le spalle con rassegnazione. «Senti, non posso rimettermi in sesto in pubblico. Vieni all'albergo dove alloggio»

Aziraphale sollevò subito la testa e gli fornì un sorriso nonostante tutto.

La locanda dell'albergo non era diversa da quella in cui avevano bevuto: lurida, puzzolente e troppo frequentata. Crowley condusse l'angelo ad un tavolo appartato e Aziraphale si posizionò di fronte a lui per coprirlo alla vista altrui. Stavolta non chiese il permesso di visionare la ferita, probabilmente per paura di ricevere lo stesso rifiuto di quando aveva tentato in strada: scostò direttamente il polso del demone che non ebbe il tempo di protestare in alcun modo.

Il biondo lo scrutò con occhio critico. «Temo che il tuo naso sia rotto» decretò infine.

«Ma davvero?» fece Crowley. «Dimmi qualcosa che non so, angelo»

Gli occhi blu di Aziraphale lo fissarono con poca grazia e il rosso scoprì gli incisivi in un atto derisorio. L'angelo non ne venne scalfito: alzò la mano e la fece ondeggiare davanti al volto dell'altro. Crowley fu sul punto di dire di poter fare da solo, che non aveva bisogno di aiuto, ma la sensazione ambigua che gli solleticò il viso mentre si aggiustava per il potere dell'altro fu sufficiente a farlo stare zitto.

«Ecco fatto» sorrise Aziraphale una volta completata l'operazione. Crowley arricciò il naso e l'azione gli risultò estremamente facile. Annuì un ringraziamento prima di tastare la parte offesa ora tornata alla normalità. Emise un verso disgustato quando toccò il sangue gelatinoso per la seconda volta e d'istinto tenne le dita a distanza da sé, decisamente non intenzionato a pulirsi sul suo surcotto7 rosso.

«Tieni questo» disse Aziraphale porgendogli un fazzoletto appena miracolato.

«Mm» rispose Crowley accettandolo con riluttanza: era umido e sul lato vi era ricamato il nome dell'angelo. «Sul serio? E lo stemma della Casata dove sta?» chiese sarcastico e vide le guance dell'amico infiammarsi. Ghignò prima di cominciare a tamponare il viso con la stoffa.

«Non sappiamo dove finirà Dante,» disse di punto in bianco Aziraphale con un sorriso accennato, «ma di sicuro l'Argenti sarà dei vostri»

Crowley annuì senza entusiasmo. «Che gioia»

L'angelo gli rivolse uno sguardo sorpreso, ma non disse niente. Il demone aggrottò la fronte dubbioso: Aziraphale era forse stupito di sentirlo così critico nei confronti di un'anima sicuramente indirizzata all'Inferno? Non seppe se considerarsi pesantemente offeso o solo irritato: insomma, Argenti era un sadico, un violento... Come poteva Aziraphale pensare che a Crowley potesse andare a genio un'anima del genere?

Il demone deglutì per controllare l'impulso di rispondere di nuovo in maniera arrogante all'angelo. Quel biondo riccioluto lo spiazzava sempre, nel bene e nel male. Era l'entità più intelligente che avesse mai incontrato nel corso dei millenni, eppure era in grado di dimostrare la più ingenua ottusità con estrema naturalezza. Crowley non se ne capacitava: Aziraphale non era così, il demone lo sentiva, ne era sicuro, glielo dimostrava di tanto in tanto, ma Bene e Male continuavano ad essere due categorie assolutamente valide per l'angelo, il suo filtro sul mondo e su tutti, compreso Crowley, lo stesso demone con cui condivideva i pasti e una segreta alleanza. Ma quando faceva così, quando Aziraphale non onorava la sua stessa intelligenza e gli ricordava tutte le loro differenze e i pregiudizi delle rispettive fazioni, non era raro che il rosso fosse colto dall'improvvisa urgenza di stuzzicarlo, di insinuare il dubbio nella sua mente e di saggiarne l'autonomia.

Anche in quel momento Crowley avvertì lo stesso impulso.

«Sai che cosa mi piace davvero di Argenti?» iniziò, facendo sussultare l'angelo. «Che non dà la colpa a noi»

Aziraphale lo guardò stralunato. «Che cosa vuoi dire?»

L'interesse che il demone poté leggere negli occhi del biondo gli fece capire di aver ottenuto la sua piena attenzione. «Che si prende le responsabilità delle sue azioni senza scaricarle sull'Inferno». Fece una studiata pausa per permettere a quell'informazione di sedimentare nella mente dell'angelo. «Sai quanti se ne vanno in giro a fare malefatte per poi incolpare noi o addirittura Satana?». Rise e modulò la voce prima di riprendere. «“Satana mi ha costretto”, “Non ero in me”, “Il demonio mi ha indotto in tentazione”. Stronzate, dico io!»

Aziraphale corrugò la fronte: «Vuoi forse dire che Satana non c'entra mai niente con il Male?»

«Quasi mai» confermò il demone. «A Satana non interessa di tentare gli uomini. Manda noi, ma principalmente per mantenere una facciata»

«Una facciata?»

Crowley annuì. «Certo. Con tutto il casino che ha combinato in Paradiso, angeli caduti e tutto il resto, deve tenere alte le apparenze e buoni i diavoli, ma la verità è che potrebbe lasciare gli uomini completamente da soli e ottenere lo stesso risultato»

Aziraphale non parve affatto convinto e fu sul punto di replicare, ma il demone anticipò qualsiasi risposta: «Angelo, è il libero arbitrio, l'avete inventato voi. Beh, Lei...». Fece una smorfia disgustata. «Comunque, il punto è che gli uomini scelgono, possono farlo, e possono scegliere anche il male. Satana lo sa, come lo sappiamo tu ed io, no?»

Aziraphale deglutì visibilmente: sì, lo sapeva anche lui.

«Dunque... S-Satana...» cominciò l'angelo dopo qualche attimo di silenzio e con un fremito sul nome del Principe infernale.

«... non ti induce a fare proprio un bel niente» concluse Crowley. «È la natura dell'uomo. Sono le condizioni in cui l'uomo vive, semmai, a fare il lavoro sporco per noi»

Lasciò che quelle parole attecchissero prima di riprendere le fila del discorso. «Argenti fa le cose che fa perché vuole farle e se ne vanta amabilmente con il mondo. Questo lo apprezzo»

Quando giocava con la mente dell'angelo, quando cercava di pulire le note rosse sul registro dell'Inferno8, Crowley non sapeva mai perché esattamente lo facesse. Una parte di lui gli diceva di dover sfruttare la possibilità di ampliare gli orizzonti di Aziraphale, di dovergli dare l'opportunità di scoprire una nuova prospettiva da cui guardare il mondo; d'altro canto, chi voleva prendere in giro? Era il primo a sapere di essere circondato da una massa di demoni imbroglioni e crudeli, dediti al sangue e alla disperazione, esseri che godevano nel procurare il Male all'uomo, alla creatura preferita di Dio, senza interrogarsi mai su quelle questioni. Quello che si poneva le domande giuste e cercava di smacchiarsi la coscienza era solo lui, Crowley, e il sospetto che volesse far vedere all'angelo quanto diverso fosse dalla feccia dei Piani Bassi cominciava a farsi ad ogni incontro più chiaro, anche se ricacciava indietro il pensiero con la stessa velocità con cui veniva a galla. Per questo un po' si odiava, ma odiava di più vedere l'espressione abbattuta sul volto di Aziraphale ogni volta che il suo obiettivo andava a segno.

Passarono attimi di silenzio ben poco rilassato in cui l'angelo evitò accuratamente di fissare lo sguardo su Crowley per più di qualche secondo. Al demone si palesò la necessità di dover sbloccare la situazione con qualsiasi cosa, ma contro le aspettative fu Aziraphale a parlare per primo.

«Forse... Forse è meglio che vada a cercare Dante». Il demone fu sollevato nel non sentire tracce di rancore in lui. «Tu ti senti meglio, vero?»

Crowley annuì, sforzandosi di grugnire il suo dissenso sulla preoccupazione dell'angelo. «Ci si vede in giro, angelo»

Fu sul punto di augurargli buona fortuna, ma le parole non gli uscirono di bocca e rimase a fissare la porta della locanda per qualche secondo dopo la dipartita di Aziraphale. Distolse lo sguardo solo quando si accorse di avere tra le mani ancora il fazzoletto umido ormai insozzato del sangue del suo involucro umano. Osservò per un attimo il nome ricamato sulla stoffa per poi scuotere il capo. «Stupido angelo»









Note:
[1]: Mosca è un gioco da taverna che consiste nel poggiare delle monete in circolo sul tavolo e attendere che una mosca si posi sopra una di esse, decretando il vincitore. Di solito si riusciva a barare cospargendo la moneta di miele o zucchero.
[2]: G. Boccaccio usa “barattiere” nel Decameron con il significato di “imbroglione”.
[3]: Sì, è un riferimento a Virgilio e all'Eneide. Il finale non può essere piaciuto alla “propaganda Celeste” perché Enea va contro tutto ciò che doveva essere la pietas romana. Ho immaginato che il Paradiso abbia cercato di giocare la carta della sua influenza in campi di competenza altrui.
[4]: Alighiero di Bellincione è il padre di Dante Alighieri.
[5]: Su Filippo Argenti le notizie sono poche. Si hanno dei dubbi sulla scintilla che fece scattare la faida tra le due famiglie, ma una delle teorie più accreditate è proprio questa: Dante che promette all'Argenti di mettere una buona parola per lui, ma finisce per aumentare i suoi capi d'accusa.
[6]: Di nuovo, queste informazioni sono molto leggendarie. Gli autori che hanno parlato di Filippo Argenti (in primis, Dante e Boccaccio) concordano su due aspetti fondamentali: l'arroganza e la violenza. Si dice che camminasse con le ginocchia divaricate e le piante dei piedi larghe per malmenare la gente al suo passaggio.
[7]: Il surcotto è una sorta di casacca in stoffa utilizzata dalla popolazione civile e mutuata dal vestiario militare. Si chiama così perché veniva indossata sulla cotta del soldato.
[8]: Rimaneggiamento della citazione di Black Widow “I want to wipe out the red from my ledger” dal film “Avengers” (2012).


Il titolo è un riferimento a “The importance of being earnest” di Oscar Wilde.




Angolino di Menade Danzante:
Chiedo scusa a tutti i personaggi storici citati. Penso sia il minimo in queste circostanze! ^^”
Non ho veramente altro da dire, se non che spero che questa prima parte vi sia piaciuta. Anticipo che per il secondo e ultimo capitolo affronteremo un salto temporale!
Alla prossima!

   
 
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