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Autore: Milandra    11/11/2019    3 recensioni
La nascita dell’amore tra Lily e James, i Malandrini, gli ultimi anni tra le mura accoglienti di Hogwarts prima della Guerra.
L’ultimo bacio, l’ultimo abbraccio, l’ultimo sorriso prima della fine.
E per qualcuno, l'ultima occasione di fare la scelta giusta prima di sprofondare in un baratro senza via d'uscita.
Perché quando la guerra arriva a sconvolgere ogni cosa, l’amore e l’amicizia non bastano più per sopravvivere.
O forse sì?
Perchè forse è solo allora che si conosce davvero l’amore, quello vero. Quello per cui si è disposti a sacrificare ogni cosa...anche la vita...
Prima di Harry Potter, prima della guerra, prima dell’Ordine della Fenice e dei Mangiamorte.
Prima che le scelte li dividessero, portando compagni di infanzia sui fronti opposti di una guerra.
Prima di tutto ciò però, ci furono solo dei semplici ragazzi...
E la storia di un amore che sconfisse la morte...
Solo ragazzi.
Molti di loro, oggi non ci sono più.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Sedicesimo capitolo: Halloween Night- the fall
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 

 

 
Siamo tutti sulla stessa barca, destinati al medesimo naufragio e non ci sarà alcun sopravvissuto.
 
(Philippe Bouvard)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sirius non riusciva proprio a ricordare quale fosse stata la prima volta in cui aveva assaggiato un goccio di Whisky incendiario.
Come non riusciva a ricordarsi il suo primo bacio o la sua prima ragazza.
Sicuramente troppo presto, se avesse dovuto azzardare un’ipotesi. D’altronde bruciare le tappe era sempre stata la sua specialità, ma alla fine dei conti neanche gli importava più di tanto.
Certe cose per lui erano come l’acqua. O l’alcool. Passavano e scivolavano via come nulla fosse.
E a proposito di alcool..
“Fanculo al Whisky che finisce troppo presto” sibilò inviperito, squadrando i cinque centimetri di liquore ambrato che rimanevano attraverso il vetro spesso della bottiglia.
Il fatto che poi al posto di una bottiglia ne stesse vedendo due, era forse sintomo di doverci dare un taglio, prima di trovarsi riverso sul curato prato di Hogwarts, come nella migliore tradizione di Halloween che si rispettasse, e sempre forse, il fatto che ce ne fossero solo cinque di centimetri in realtà rappresentava una vera manna dal cielo per il suo fegato. Non che gliene fregasse davvero qualcosa del suo fegato.
Magari però avrebbe potuto passare come il primo Black al circolo degli ‘anonimi alcolisti’ o come Merlino si chiamavano. Forian Dorley gli aveva parlato di una tale usanza tra i babbani: sedersi tutti in cerchio a sparare cazzate con gente di cui non ti fregava nulla, e di cose di cui in fin dei conti ti fregava ancora meno di nulla, con tutta la grana di doversi sorbire anche le cazzate sparate degli altri oltre alle proprie che già bastavano e avanzavano, il tutto per convincere l’imbecille capo degli alcolisti anonimi che tu, no, non amavi l’alcool. E no, non ne avresti più toccato neanche una goccia.
Dei veri coglioni i babbani.
O per lo meno gli ‘anonimi ubriachi’.
Però, per le moto...
Al diavolo, forse finire tra quegli imbecilli anonimi avrebbe fatto saltare finalmente la bacchetta ai suoi, chissà che qualche coronaria scoppiata non gli sfoltisse un po’ l’albero genealogico. Avrebbe dovuto provarci.
Il suo fegato d’altronde non era problema suo, come qualsiasi altra cosa del resto.
Era James il rompicoglioni di turno che sbatteva la verità sotto il naso altrui.
Sirius dei problemi se ne fregava da una vita.
E James era ormai sull’orlo del precipizio.
Se ne erano accorti tutti. Lui, Remus, Peter...
Sospirando si sedette incurante sul pavimento del corridoio, subito fuori la Sala Grande, le gambe pigre allungate, fregandosene bellamente se qualcuno mezzo ubriaco si fosse sfracellato al suolo a causa sua.
Tempo mezz’oretta poi, e iniziarono i primi peregrinare disperati al bagno.
Altra mezz’oretta e Sirius, dalla sua postazione privilegiata, ebbe l’onore di assistere alla fuga di massa di mezza Slytherin, diretta con ogni probabilità verso il bagno più vicino. Mano alla bocca e pallidi come se avessero appena incontrato un dissennatore, Sirius li vide quasi spintonarsi pur di raggiungere i servizi e cercare di accaparrarsi uno dei non infiniti cubicoli. Una vera gioia per gli occhi, specie quando vide Martina Zabini farsi largo a suon di tridente e un Avery che a causa della sbronza più grande della sua vita non distingueva una statua da una porta.
Sirius rise tra sè, buttando giù un sorso di Whisky incendiario, mentre Marlene McKinnon usciva in quel momento dalla Sala e lo adocchiava ironica.
“Devo pensare che tu non centri niente con tutto questo, vero?”
Non ricordava più neanche in quanti gli avessero rivolto la medesima domanda quella sera.
“Sei ripetitiva” sbuffò altero, incredulo mentre la ragazza si sedeva al suo fianco e gli sfilava il Whisky incendiario dalle mani.
“Stai calmo” lo riprese divertita la bionda, gli occhi azzurri leggermente aranciati sotto la luce delle torce, “non te lo finisco”.
“Sarà meglio McKinnon” sibilò altero, “se no la prossima a far visita al bagno potresti essere tu.”
La bionda al suo fianco alzò teatralmente gli occhi al cielo, per poi avvicinare la bottiglia alle labbra e berne un sorso davvero esiguo, che tuttavia ebbe comunque il potere di far storcere il naso a Sirius.
Un sorso in meno.
Un dannato sorso in meno per lui.
... e una coronaria in più in famiglia.
“Si può sapere che ci fai qui McKinnon?” le chiese inquadrandola, mentre lei lo imitava e distendeva le gambe nude sul pavimento di pietra del corridoio.
“Aspetta” Sirius aggrottò per un attimo la fronte, squadrando meglio la figura evanescente e a triplo contorno della bionda al suo fianco, “ma tu sei vestita da Bernice Briscott?” bofonchiò allibito, tentando di metterla meglio a fuoco.
La bionda d’altrocanto rise divertita.
“No, fammi capire... per Halloween ti sei travestita da Bernice Briscott? Potrei quasi amarti.” Bofonchiò incredulo, “Che faccia ha fatto quell’impiastro?” volle sapere poi, immaginandosi già una Briscott su tutte le furie per quell’affronto.
“Bernice, dici? Oh, lei non se ne è neanche accorta” rise la bionda, scuotendo i capelli lunghi e boccolosi in un gesto di diniego, “in compenso Fabian e Gideon erano prossimi ad erigermi una statua.”
“Mmh, ammetto che la trovata sia buona, ma ribadisco che non capisco che ci fai qui, McKinnon. Se sei ancora incazzata per questa mattina, ti avviso che non è aria.” La avvisò serio, per nulla intenzionato a sorbirsi ancora le recriminazioni della Grifondoro.
“Oh, sul perchè sono qui te ne accorgerai tra poco” ghignò lieve la bionda, gli occhi fissi su un punto indefinito di fronte a lei “Per stamattina invece, meriteresti di finire giù dalla Torre di Astronomia, Black. Sai cosa significa tenere la bocca chiusa?” gli ringhiò dietro furibonda, “com’è possibile che...”
Eccola che ricominciava.
“Senti, mi hai già tediato le orecchie a sufficienza con questa manfrina.” La stoppò subito, “Vedi di non ricominciare McKinnon, o ti ritrovi schiantata nel giro di due secondi netti.”
“Tu sì che sei gentile” ironizzò Marlene, roteando gli occhi, per nulla turbata.
“E tu stai rompendo le palle” le frecciò Sirius senza mezzi termini, inchiodandola con gli occhi grigi.
La bionda annuì. “Per non parlare della tua finezza” lo blandì soave.
“...e senza contare che hai quasi rischiato di mandare all’aria un mese di piano accurato per queste tue cazzate con quell’idiota di Harold” Sirius la ignorò totalmente, grato che la bottiglia fosse finalmente tornata tra le sue mani.
“Sai che sei intrattabile, Black?”
Sirius si aprì in una smorfia. “L’alcool sta finendo, dà la colpa a lui” se ne uscì tetro.
“Se tratti così tutte le tue conquiste, mi sorprendo che ci sia ancora qualcuna che osi guardarti senza la voglia di evirarti seduta stante” gli frecciò dietro la bionda.
“Cos’è?” Sirius aggrottò la fronte, estremamente divertito, “Vuoi essere una mia conquista McKinnon?”
“Preferirei essere con quelle care personcine degli Slytherin a intasare uno dei cubicoli” gli rispose candida Marlene, con un sorriso più finto della ciglia allungate in stile Briscott.
Lui annuì, dando un sorso dalla bottiglia, per nulla offeso. “Ottimo, perchè non funzionerebbe mai” la stroncò subito.
Al sopracciglio inarcato della bionda, Sirius rise. “Sei troppo simile a me McKinnon” le chiarì, guardando la bottiglia invece di lei.
E io non ho alcuna intenzione di innamorarmi.
Nè ora, nè mai.
Ma questo non lo disse, sarebbe stato inutile.
Nella sua vita Sirius aveva scelto di legarsi a poche persone. Pochi erano coloro che lui si riservava di poter amare.
James. Remus. Peter.
Fratelli.
Il resto erano solo macchie su uno sfondo nero.
“Decidere di amare qualcuno è un rischio che non voglio permettermi” sussurrò, dimenticandosi per un attimo di Marlene seduta al suo fianco, gli occhi fissi su quella bottiglia, su quel liquore ambrato che scivolava ad ogni tocco.
Così come le persone. Tutti nella sua vita scivolavano via.
La sua famiglia. Suo fratello.
Pochi rimanevano.
E non aveva intenzione di legarsi ad altri.
James, Remus e Peter.
Sarebbero rimasti loro tre. Loro tre e basta.
Eppure Sirius non lo sapeva, ma la realtà sarebbe stata un’altra. Una che non sempre segue il filo logico dei nostri desideri.
La verità sarebbe stata che Sirius avrebbe amato, avrebbe amato anche troppo.
E purtroppo alla fine avrebbe perso, avrebbe inesorabilmente perso tutto. Proprio come quel liquore ambrato. Tutto sarebbe scivolato via, giù, sempre più giù, e via in un oblio senza fine.
“Che intendi dire Black?”
Sirius scosse il capo. “Lascia stare.”
La bionda non gli diede retta. “Tutti amiamo, e presto o tardi anche tu ti innamorerai di una ragazza e...”
“Ma io non voglio McKinnon” la fermò, inchiodandola con gli occhi grigi, “è questo il punto. Io non voglio. Esattamente come tu non vuoi.”
“Io voglio innamorarmi” sostenne la bionda, senza un briciolo di dubbio, nessun tentennamento nella voce, cosa che lo fece ridere.
Si tirò leggermente più su, sedendosi più composto, guardando la ragazza come fosse la prima volta, come se non la conoscesse, e ciò che vide in lei gli diede solo la conferma di ciò che già pensava. “Tu non vuoi amare McKinnon, se no ti degneresti di conoscere almeno un briciolo quelli che tu ti ostini a chiamare ragazzi” le replicò spiccio, non curandosi dell’eventualità che ci potesse rimanere male.
Cosa che effettivamente accadde, vista la smorfia che le corrucciò i lineamenti delicati e il lampo d’ira nelle iridi azzurrine.
“Non prendo lezioni da uno che che si rifiuta di provare qualcosa che non sia...”
“Nelle mutande?” la anticipò lui, sorridendo ironico.
Marlene serrò le labbra in una smorfia, squadrando il ragazzo che le sedeva al fianco.
Gli occhi grigi alteri, i lineamenti aristocratici, da Black.
E non lo capiva.
“Non ti capisco” ammise, vedendolo solo ghignare ironico, guardandola senza vederla davvero, gli occhi grigi che la trapassavano da parte a parte.
“Non è necessario che tu mi capisca McKinnon. E poi...” Sirius si interruppe, aggrottando la fronte in un’espressione perplessa, mentre qualcuno si fiondava fuori dalla Sala Grande, passo svelto e pallido come un cencio.
Qualcuno che non era di certo un Serpeverde.
“Non dirmi che...” alitò sconvolto Sirius, guardando Marlene ghignare lievemente.
Sirius azzardò una risata, che presto si trasformò in un sogghigno bieco quanto quello della McKinnon. “Quello era Harold. Harold in nostro portiere” rimarcò incredulo e divertito.
“No, Harold il numero uno di settembre” lo corresse giuliva la bionda.
Sirius scosse il capo, sinceramente colpito. “Com’è che hai fatto a...”
“Potrei avergli diluito il Whisky con della Menta Liquorosa” lo anticipò Marlene, intuendo la domanda. “Confidavo nel ‘non bere qualcosa di verde’ ”mimò divertita.
“Se James scopre che gli hai falciato il portiere, ti uccide McKinnon” la avvisò ridendo il ragazzo.
“Oh ne sono sicura Black, il problema è che poi si ritroverebbe senza cacciatrice di punta” ammiccò la bionda, per poi alzarsi, scrollarsi la polvere dalla lunga gonna argentata e infine rubargli la bottiglia come se nulla fosse.
A nulla valsero il richiamarla, le minacce o gli insulti.
Lei semplicemente rise e gli alzò il dito medio in segno di cortese saluto, per poi incamminarsi con alla mano la sua bottiglia verso i dormitoi.
“Stronza di una bionda. Spero che ci si strozzi” sibilò tra sè, assolutamente non intenzionato ad alzarsi, onde evitare che il prato di Hogwarts lo vedesse, sì, e da davvero molto vicino. Magari con il naso ficcato a terra e lo stomaco sotto i piedi.
“E poi sono io il cacciatore di punta!” le urlò dietro.
 
 
 
 
 




 
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A Evan piacciono le stelle.
Piuttosto generico James, soprattutto se il cielo era un qualcosa di parecchio esteso, e specie considerando che lei non aveva alcuna intenzione di battere Hogwarts da cima a piedi per sapere dove Merlino si fosse cacciato quel Serpeverde.
Emmeline schioccò la lingua infastidita, mentre l’istinto di tornare indietro e strozzare James con le sue mani si faceva sempre più vivido.
Oh, perchè lei ne era certa che lui era stato vago apposta.
Avrebbe potuto dirle subito dov’era -  e lei ne era certa che lui sapesse esattamente dov’era – senza doverle far percorre chilometri di prato con i tacchi a disintegrarle le caviglie.
Che James Potter fosse dannato.
Lui, e anche Evan Rosier.
Non potevano piacergli cose un po’ meno estese e magari ubicabili in un unico e preciso luogo?
Stava per dare voce ad una sequenza colorita di insulti, quando all’improvviso si bloccò.
Lago nero.
James avrebbe potuto benissimo dirle che Rosier amava vedere le stelle al Lago Nero, invece che farla scarpinare avanti e indietro come una trottola.
Ignorando l’aria che le scompigliava i capelli e che le frustava il viso, Emmeline osservò quella sagoma, la schiena appoggiata a un tronco massiccio, il capo reclinato all’indietro.
Sì, ad Evan piacevano effettivamente le stelle.
Per un attimo si sentì di troppo, ad invadere un’aura di intimità che non le spettava.
Un’intimità che effettivamente non le era mai spettata, sebbene potesse a ragion veduta affermare di essere una di coloro che conosceva Evan Rosier da più tempo.
Ed era strano ricordare un tempo in cui erano stati in tre.
Lei, James ed Evan.
Un trio, qualcosa di unito, anche se in realtà il vero collante era sempre stato solo James.
Evan era amico di James.
Lei era amica di James.
Ma la storia finiva lì. Lei ed Evan non erano mai stati nulla l’uno per l’altro; condividevano solo un pezzo d’infanzia e degli stralci di ricordi ormai lontani.
Non avrebbe dovuto essere lì.
“Che cosa vuoi Vance?”
Diretto. Brutale.
Emmeline si strinse nelle spalle, ringraziando che lui non potesse vederla, perchè era sicura che non era quella l’immagine che lei avrebbe voluto dargli di sè.
“Immagino che la risposta giusta sia che non voglio nulla.” Lo blandì ironica, mentre si avvicinava, i tacchi che affondavano impietosi nell’erba alta, e lui che si volgeva di poco verso di lei, degnandola della sua attenzione.
Non era cambiato, si ritrovò a pensare.
Buffo come in realtà non ci avesse mai legato, e nonostante tutto si ritrovasse a riconoscere il bambino di allora nel ragazzo di oggi.
Entrambi alteri, entrambi scostanti.
Troppo belli per gli occhi e troppo freddi per il cuore.
Non concedevano nulla, ma dagli altri pretendevano.
O forse, più semplicemente, erano gli altri che tendevano ad accondiscendere a quella cappa di soggezione che si sentivano addosso.
James era stato un’eccezione. Non aveva mai capito come due persone così diverse avessero potuto legare ed essere così amiche. Certo, ad ora non si sarebbe mai detto, ma al tempo...
Erano stati fratelli. In tutto e per tutto.
James era sempre stato l’unico a cui Evan Rosier aveva mai permesso di avvicinarsi, e si chiese perchè, come funzionasse la mente ermetica del Serpeverde.
Non era solita interessarsi ad altre persone, e a conti fatti di Rosier non le importava davvero, voleva solo qualcosa da lui. La sicurezza che non avrebbe aperto bocca. Eppure si ritrovò a chiedersi chi fosse Evan Rosier.
Un enigma.
Era sempre stato un enigma per lei, fin da bambina.
Gli occhi blu che la scrutavano indagatori, due pozzi neri fissi su di lei, e i capelli biondi che gli incorniciavano i lineamenti aristocratici.
Emmeline sogghignò, il sorriso che non si rifletteva negli occhi azzurri, mortalmente pallidi.
Era il momento di tornare ad essere ciò che era sempre stata.
Serpe. Nel corpo. Nell’anima.
“Andrò dritta al punto, Rosier” gli rispose altera, mentre si avvicinava lenta e lui la scrutava, “Voglio sapere se l’hai detto a qualcuno.”
E assicurarmi che tu non lo dica... ma questo evitò di dirlo, per lo meno non ancora.
Il biondo la fissò per qualche secondo, facendo vagare gli occhi foschi su di lei.
“Non ti credevo ipocrita, Emmeline Vance” l’apostrofò infine, il tono basso, ma derisorio nel profondo, “Perchè non mi poni la vera domanda? Ossia perchè non ho ancora sfruttato ciò che so a mio vantaggio” la blandì ironico, l’ombra di un sorriso cattivo sulle labbra pallide.
“Oh, ma sarebbe venuta subito dopo quella domanda, appena saputo che tu non l’avessi detto a nessuno” gli rispose altrettanto gelida lei, mentre si fermava a pochi passi da lui.
L’aria le frustava il viso, i capelli neri si aggrovigliavano in un turbinio indefinito, eppure non pensò neanche per un secondo di distogliere gli occhi da quelli del Serpeverde.
L’aveva colta in un momento di debolezza già una volta. Non ce ne sarebbe stata una seconda.
“Perchè, se l’avessi detto a qualcuno cosa avresti fatto?” gli chiese lui, inclinando il capo di lato, vagamente interessato.
“Non ti deve importare cosa avrei fatto, ma stai sicuro che non avrei agito da Grifondoro” lo blandì ironica, vedendolo scrutarla a fondo, fin nell’anima.
E non seppe cosa vide, fatto sta che si alzò fino ad arrivarle ad un soffio.
Gli occhi foschi resi ancora più scuri, fissi come due spade su di lei.
“Sei cresciuta velenosa Emmeline” le soffiò ironico, mentre la distanza che li separava si accorciava. Eppure avrebbe potuto dire che mai più di ora erano stati distanti anni luce.
Neanche quando erano bambini, quando si ignoravano vicendevolmente erano stati così distanti.
Era come essere su fronti opposti di un burrone.
In mezzo, il vuoto.
“Tu da serpe mi dai della velenosa?” parlò incredula, mentre lui accennava un sorriso freddo sui lineamenti regolari.
“Hai tentato di liberarti della tua famiglia, Emmeline Vance. Hai tentato di cambiare diventando una Grifondoro, eppure non ci sei riuscita. Alla fine, si è ciò che si è.” Le rispose mellifluo, per poi superarla in un’unica falcata.
Se ne stava andando.
La lasciava indietro.
La verità era che Evan Rosier si era sempre ritenuto superiore a tutti gli altri, Emmeline lo capì in quel momento. O quanto meno, non aveva mai ritenuto gli altri sufficientemente degni della sua attenzione. E l’atteggiamento remissivo che questi sembravano adottare in sua presenza non faceva che confermarlo al Serpeverde.
Forse per questo James era sempre stato diverso per Evan. L’eccezione. E lo era ancora. James non stava ad aspettare che altri gli dessero il permesso, lui faceva quel che voleva senza bisogno del consenso di nessuno.
James non aveva mai avuto bisogno che Evan gli concedesse di essere suo amico, perchè James un bel giorno aveva preteso improvvisamente di esserlo.
“Si è ciò che si sceglie di essere...” sussurrò, talmente piano che non sapeva se il Serpeverde l’avrebbe sentita o meno, anche perchè quella considerazione era più per se stessa che per lui.
Scegliere chi essere.
James aveva scelto di essere amico del Serpeverde.
Ed era stato suo amico.
Mentre chi aspettava un cenno dal ragazzo sarebbe sempre rimasto lì, in bilico sulla corda, indegno anche di una sola occhiata.
Alla fine era tutta una questione di scelte.
C’era chi le prendeva, e chi si faceva trascinare dagli eventi.
“E tu non hai mai scelto chi essere...” gli disse voltandosi, “non è forse vero..., Evan?”
Già, scegliere chi essere.
Accaparrarsi il diritto di chiamarlo per nome.
Scegliere di non porsi un gradino al di sotto di lui, ma al suo pari.
In quanti sono abituati a piegarsi a te, Evan Rosier?
Hai mai concesso a qualcuno il privilegio di essere scelto?
O forse semplicemente... hai mai scelto?
Il principe al di sopra di tutto e di tutti...
Emmeline mosse un passo.
E poi due.
Il Serpeverde ancora di spalle.
Anche da così poteva percepire quell’alterigia.
Quella cappa soffocante.
Eppure...
..Era deludente.
Emmeline contrasse la bocca in una smorfia. “Alla fine sei come tutti gli altri.”
Un passo, un dettaglio in più.
Il vento gelido che smuoveva quei capelli chiari, e mai come ora aveva la sensazione di riuscire a scorgere nell’anima del Serpeverde.
Deludente.
Così al di sopra degli altri, eppure così uguale a tutti loro.
“Alla fine anche tu aspetti che siano altri a scegliere per te? Non è vero, Evan?” un passo ancora, se avesse steso il braccio avrebbe potuto non solo toccargli la schiena, ma molto probabilmente trapassargli l’anima da parte a parte.
Perchè lui alla fine era come tutti gli altri...
Anche gli dei cadono a volte, e allora è una delusione vedere che alla fine erano gli uomini ad erigerli a tali.
Non dei, ma solo dei comuni mortali come tutti gli altri.
“È più facile così, non è forse vero?”
Era solo un altro tra tanti.
Eppure...
Se qualcuno le avesse detto che non c’era più aria al mondo lei ci avrebbe creduto.
Perchè sentirsi addosso gli occhi del Serpeverde era come respirare sott’acqua.
Mortale.
Uguale a tutti gli altri.
Deludente.
Eppure... perchè non riusciva a respirare?
Perchè si trovava a rimpiangere tutti quegli anni in cui lo sguardo di lui le era scivolato oltre, senza mai vederla davvero. Come un’altra comparsa in un’opera teatrale di quint’ordine.
“Non l’ho detto a nessuno perchè capisco, Vance” fu la risposta del Serpeverde, chiara e indelebile, talmente vicina che Emmeline riusciva quasi a cogliere sulla lingua ogni nota, ogni sillaba.
Gli occhi blu, per una volta attenti, presenti, che le scavavano dentro, sotto pelle, dove Emmeline si sentiva bruciare.
Fuori il gelo.
Dentro una cappa afosa che la inchiodava a terra.
“Noi siamo simili” sancì il ragazzo distanziandosi, un’ombra che gli velava gli occhi, ed Emmeline che riprendeva a respirare normalmente “simili molto più di quanto pensi.”
 




 
 
 
 
 
-o-o-o-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare.
 
(Victor Hugo)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Due falci che domani non ci sarà l’ombra di un Serpeverde in giro per il castello.”
“Non scommetto contro qualcosa che sappiamo entrambi come andrà a finire” ghignò James, passando la bottiglia al cenno di richiesta dell’amico.
“Effettivamente non ha senso scommettere contro un esito certo” annuì Sirius, mentre la testa gli ciondolava lievemente, il Whisky che aveva ripreso a fare il suo lavoro.
All’alba delle tre di notte di quello che poteva benissimo definirsi il giorno dopo Halloween, James e Sirius stavano tranquillamente svaccati davanti al camino della Sala Comune.
Sirius, che benediva James per aver raccattato altre bottiglie di prezioso alcool, aveva ormai da tempo rinunciato a tenere una posizione eretta, e giaceva tranquillamente a terra con la testa appoggiata sul tavolino della sala comune, rinunciando ad una qualsiasi forma di vaga compostezza. Appena tentava di alzarla difatti, quella prendeva a girargli come una trottola, e allora tanto valeva abbandonarsi a quel tavolino stile ancora di salvataggio in mezzo a una marea.
James d’altro canto non stava messo meglio. Con lo stomaco che gli chiedeva pietà e la sensazione che la Sala Comune ballasse impazzita davanti ai suoi occhi, James aveva finito per stazionare fisso davanti alla finestra aperta della Torre, nella vana speranza che l’aria fredda d’inizio Novembre gli attutisse vagamente quel senso di nausea soffocante che gli rimescolava lo stomaco da cima a fondo.
Eppure non era solo nausea ciò che gli squassava gli organi interni come un bolide impazzito.
C’era altro.
C’era ansia.
C’era irrequietezza.
C’era...
“La bottiglia, Sirius”
Sirius Black aprì appena gli occhi con l’intenzione di mandare a quel paese James, quando qualcosa negli occhi dell’amico lo spinse a passargli la bottiglia senza emettere un fiato.
James stava crollando.
James con cui Sirius condivideva tutto, anche l’anima. Lui era il fratello, quello vero, quello di sangue nonostante il sangue fosse diverso. Quello di malefatte, quello di spirito.
James che oramai era sull’orlo del tracollo.
E nonostante l’alcool che gli appannava la vista, Sirius riusciva a vedere in quegli occhi nocciola, da sempre specchio dei suoi e ora una landa di...
Stanchezza?
Sirius corrucciò la fronte, tentando di sollevare la testa dal tavolino per poi ripiombare giù sconfitto.
Disperazione?
Quello che era certo era che quegli occhi erano come il Whisky, come quel liquore ambrato, che scivolava giù, sempre più giù.
James stava scivolando.
E lui non sapeva come fare per tirarlo a galla.
Non era bravo a salvare le persone, era James quello bravo in questo. Lui non poteva fare altro che offrirgli il suo aiuto, essere lì quando lui sarebbe affondato.
Affondare insieme.
“Sta cadendo tutto a pezzi, e io non so come fermarlo”
James non si accorse neanche di aver parlato, fino a che la voce dell’amico, straordinariamente attento, non lo riscosse.
“Cosa sta cadendo a pezzi, James?”
Già, cosa sta andando a pezzi, James?
Tutto.
Le convinzioni di una vita.
Lui.
Suo padre...
“La Evans” mormorò, sviando il discorso, la voce stanca che gli pressava la gola come quella sensazione di ansia soffocante che gli graffiava le viscere.
Affondava.
Scivolava.
Si aggrappava.
O forse era tutto il resto intorno a lui che stava scivolando, mentre lui non sapeva come fare per impedirlo.
Fermare il tempo, bloccare tutto.
E invece scivolava, sempre più giù, con la disperazione di chi tenta di rimanere a galla e i polmoni che raschiavano per il bisogno d’aria.
“E io che pensavo fosse Charlotte” farfugliò Sirius, acconsentendo al cambio di registro, e permettendogli di accantonare quel dirupo che si stava creando tutto intorno a lui.
Perchè James sapeva che Sirius sapeva.
Non a caso lui era suo fratello.
Ma dirlo ad alta voce avrebbe significato renderlo reale.
Precipitare in quel fottuto dirupo senza speranza di risalita.
Per una volta si chiese cosa avrebbe provato a lasciarsi andare.
Fu solo un attimo, in cui si permise di sprofondare in quella coltre nera, per poi sollevare l’angolo della bocca in una parodia di sorriso che sapeva che non avrebbe minimamente ingannato Sirius.
E per quanto riguardava la Evans...
Già, la Evans... l’altra fottuta voragine che rischiava di tirarlo a fondo.
Ormai era così la sua vita.
Lottare per stare a galla.
“Sirius” lo chiamò, inumidendosi le labbra secche, il vento freddo che gli raschiava la pelle, lo stomaco, il cuore... “Forse a breve dovremo affrontare un discorso..”
Sirius annuì.
Consapevole.
Gli occhi fissi su quella bottiglia tra le mani dell’amico.
Il liquore ambrato che si muoveva in circolo, sotto lievi movimenti ondeggianti.
Sirius sospirò.
“Non avevo dubbi James. Non avevo dubbi...”
 
 
 
 
 
 










 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
 
Vengo a canossa XD
 
Alloora... volevo innanzitutto chiedervi scusa per il ritardo. Tra l'altro volevo ringraziare tantissimo chi ha recencisito, chi continua imperterrito a seguire nonostante i miei tempi eterni, chi si è informato su questa storia (grazie davvero, non pensate assolutamente di essere invadenti perchè in realtà siete tanto di motivazione. Quindi grazie), e confermare che assolutamente non sarà abbandonata. Semplicemente questi per me sono gli ultimi sette mesi circa prima della laurea quindi sono sempre incasinatissima, senza contare che ci metto tanto a scrivere. E proprio per questo volevo rassicurarvi sul fatto che questa storia non verrà abbandonata.
A questo proposito il prossimo capitolo, sia per il fatto che sono lunga io sia perchè sono lunghi i capitoli (ho provato a spezzarli ma non mi piacevano quindi ho deciso di lasciarli interi) sarà nel periodo di Natale/Capodanno.
 
Detto ciò, ecco la seconda parte del capitolo di Halloween.
Spero vi ricordiate cosa sia successo nella prima, ma rispetto al capitolo precedente se notate c'è un cambio di registro.
Le cose iniziano a muoversi...
 
Nella speranza che il capitolo vi piaccia e che non abbiate gettato la spugna,
Un bacio e buon halloween in ritardo
 
E ancora mille e una scusa (corro a nascondermi)
 
Milandra





 
   
 
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