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Autore: G RAFFA uwetta    11/11/2019    4 recensioni
La Vita è il ticchettio che scandisce l'ora.
La Morte è il silenzio tra una oscillazione e l'altra del pendolo.
Il Tempo è la velocità con cui la ruggine polverizza l'orologio. (G RAFFA uwetta)
Sarà una raccolta con tema principale i sogni e le sue molteplici sfumature.
Scelgo te si è classificata quarta al contest ‘Tattoo Studio’ indetto da wurags, rilevato da Juriaka, sul forum e quinta al contest ‘L’enigma dell’Uroboro’ indetto da _ Freya Crescent _ sul forum.
Pieghe tra le lenzuola partecipa al contest 'Scriptophobia' indetto da Soul_Shine sul forum.
Anche gli incubi hanno fame partecipa al contest 'Generi a catena' indetto da Dark Sider sul forum e al contest "Hold my Angst (Flash contest - Edite e inedite)" indetto da GaiaBessie sul forum di efp. Ha vinto il 'Premio come migliore storia in conorso'.
Genere: Drammatico, Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Prefazione: I sogni sono il rifugio ideale quando la realtà diventa opprimente.

In un mondo in cui la violenza gratuita sembra dominare anche le persone più insignificanti, i Governi hanno trovato il modo di usarli, a loro vantaggio, come terapia di riprogrammazione degli istinti umani.

Thomas Bourbon ha commesso un errore irreparabile e per questo verrà punito con la rieducazione del comportamento, per renderlo un uomo migliore. Ma si è rivelato un osso duro, un soggetto capace di resistere alla manipolazione governativa.

Cosa succederà al suo rilascio? Sarà in grado di fare la scelta giusta? O il rimorso prevaricherà su tutto?



Scelgo te


Le decisioni sono un modo per definire se stessi. Sono il modo per dare vita e significato ai sogni. Sono il modo per farli diventare ciò che vogliamo. (Dalai Lama)


Thomas Bourbon nacque il 29 febbraio del 1988 in una cittadina a nord di Edinburgo. Mentre il suo primo vagito riempiva di gioia i suoi genitori, in un punto imprecisato del pianeta, l’ingegnoso Anacleto Perdinci mise a punto un intruglio che, somministrato a più riprese alla moglie depressa, le fece tornare la voglia di vivere.

Qualche anno dopo, Perdinci fu lasciato dalla moglie che vendette la formula Sogni d’oro a una spietata multinazionale che ne migliorò le prestazioni.

Così, divenne possibile comprarla nei centri specializzati, in formato capsule, contro la depressione. Inoltre, poteva essere iniettata direttamente nel collo per vivere un momento da sballo, come piaceva dire ai giovani. Oppure, inalata con l’aiuto di speciali nebulizzatori (aerosol) che, a seconda del dosaggio degli ingredienti, aiutavano a creare scenari ad hoc nella mente del ricevente.

I negozi autorizzati crebbero come funghi in ogni parte del globo mentre alcuni Governi pensarono di sfruttare il ritrovato come sedativo per i criminali, che ne uscivano devastati e profondamente cambiati nella psiche.

Una notte, Thomas Bourbon, troppo ubriaco per rendersi conto delle proprie azioni, investì un passante con l’auto. La rabbia e la frustrazione, che covava in corpo da tempo, esplosero all’improvviso. Dominato da una furia cieca, massacrò di botte il corpo inerme lasciandolo privo di vita sulla strada.

Risalito in macchina, viaggiò in tralice fino a casa dove, due giorni dopo, i poliziotti lo prelevarono. Venne condannato, senza possibilità di appello, alla rieducazione attraverso un processo chiamato R.E.M.1, dove il soggetto veniva ciclicamente bersagliato da sogni positivi per cancellare qualsiasi forma di negatività.

Ben presto, si scoprì che Thomas Bourbon era un Onironauta2 puro, in grado di manipolare a proprio piacimento i sogni indotti. Così, lo isolarono in una stanza illuminata a giorno in fondo al tunnel che i condannati avevano soprannominato “il Miglio”, ininterrottamente immerso nell’irrealtà.

Chiunque lo percorreva, lasciava dietro di sé ogni cosa, pensiero o emozione che fosse. A lungo andare, la percezione di se stessi si diluiva negli intrugli iniettati in vena che li costringevano a sognare a occhi aperti situazioni idilliache e stucchevolmente melense. Un bombardamento onirico che distruggeva qualsiasi velleità di ribellione futura.

Thomas Bourbon andò ben oltre. Rinchiuso in quel circolo vizioso, riuscì a scindere ogni stimolo e a incapsulare i sogni, che faceva apparire secondo le proprie esigenze. Così facendo, mantenne stabile la propria coscienza e intatti i volti a lui familiari.

Ma a lungo andare, anche per lui, ciò che conosceva si era confuso con ciò che pensava di sapere. L’assuefazione a quell’intruglio propinatogli giocò un ruolo importante, perché chiunque nel proprio intimo ha il desiderio di ricercare la serenità.

Ora che il termine del rilascio era giunto, doveva scegliere a quale realtà appartenere, decidere quale dei mondi creati era la giusta verità. Perché là fuori, lui non era più nessuno, e avrebbe dovuto lottare per riottenere ciò che era suo di diritto, per cercare nella moltitudine ogni viso sognato. Una volta destato, non ci sarebbe stata nessun’altra opzione e, se la realtà sarebbe risultata diversa, avrebbe pagato caro il proprio errore.




Il suo sguardo era intenso come se volesse memorizzare ogni imperfezione sul volto di Asper. Eppure, – Considerò nella sua testa – quel viso così bello e angelico era troppo perfetto, quasi inumano e sbagliato.

Cacciò il pensiero inopportuno e si avvicinò lentamente, trattenendo il respiro, elettrizzato alla sola idea che stava per baciarla.

Asper aprì la bocca invitante, in un gesto fin troppo meccanico, ripetitivo. Thomas inarcò un sopracciglio, disturbato da un fischio che giungeva da lontano. Non demorse e, mentre le sue labbra sfioravano le sue…



Il risveglio fu tremendo, come accadeva da sei anni a quella parte.

«Denzel!» ringhiò Thomas. «Non potevi aspettare ancora un secondo?» chiese stizzito al commesso del negozio ‘I sogni sono desideri accessibili a tutti A&Z Company’.

«Non faccio io le regole,» rispose monocorde allungandogli la tessera magnetica. «Hai esaurito il credito. Eh, attento! La strega è sul piede di guerra,» aggiunse sottovoce indicando una donna bassa e grassa con gli occhiali dalle lenti spesse.

«Signor Bourbon!» la voce della titolare era esasperatamente stridula e flaccida come l’enorme addome che dondolava a ogni suo respiro. Thomas si districò dalla poltrona su cui aveva passato l’ultima ora, prese la tessera, strizzò l’occhio a Denzel e si precipitò fuori dal negozio.

«Brutto screanzato! Stia certo che la cancellerò dalla banca dati,» gli urlò dietro la megera, smozzicando le parole per l’affanno. Thomas, per nulla preoccupato e sicuro di sé, oltrepassò le porte scorrevoli a testa alta giusto per finire nelle accoglienti braccia di due energumeni dalla pelle olivastra.

«Lasciatemi! Sono un onesto cittadino, oltretutto invalido. Non avete diritto di trattarmi così!» strepitò senza successo mentre veniva trascinato dentro l’ufficio della direttrice. Dall’altra parte del negozio, coperto da un Distributore Automatico di Sogni, Denzel osservava la scena scuotendo la testa.

«Grazie, Abul e Zabal. Non ho più bisogno di voi.» La signorina Wendy Cooper guardava con sdegno l’uomo seduto al di là della scrivania. «Ho perso la pazienza, signor Bourbon. Non siamo un’opera umanitaria, per quello dovrebbe rivolgersi al P.I.P.P.E.S3. La mia azienda le ha fatto credito per troppo tempo...»

«Troppo Tempo? Sì, sì, certo. Come dice lei, vecchia bagascia senza cuore,» borbottò tra i denti Thomas, scimmiottando la sua voce stridula.

«Quindi saldi il conto immediatamente o sarò costretta a cancellare il suo nome dalla lista.»

«Senta, questa conversazione è imbarazzante e si ripete da quando ho messo piede qui quasi sei anni fa. Abbiamo un contratto che saldo regolarmente il ventotto di ogni mese. Ma lei, puntualmente, il ventisei mi dà la caccia quasi fossi un criminale,» sputò risentito.

«È solo che voglio essere sicura che lei paghi. Comunque, se lei mi concedesse le sue credenziali, signor Bourbon, questa spiacevole situazione cesserebbe all’istante,» disse melliflua mentre si leccava le labbra in un invito volgare. Thomas, schifato, si alzò facendo perno con i palmi aperti sulla scrivania, abbassò il capo per essere all’altezza del volto della donna e la guardò dritto negli occhi porcini.

«Qui tutti sanno cosa ne fa dei dati personali dei suoi clienti, di come li ricatta per ottenere dio solo sa cosa. Quindi, da me non riceverà niente di più che il pagamento dovuto.» Girò sui tacchi e uscì in strada sotto il sole impietoso del mezzodì.

«Dovresti smetterla di venire in negozio.» Denzel era appoggiato al palo in fondo al vicolo, la sigaretta che gli pendeva dalle labbra secche. «Non serve a niente rifugiarsi nei sogni, Thomas, e dimenticarsi di vivere,4» disse triste.

«Vuoi farmi la predica? Non sei mica mia madre, sai?» lo aggredì astioso. «Fai tanto il moralista e poi tu li vendi quei sogni!»

«Lo dici come se ci speculassi sopra.» Scosse la testa amareggiato mentre spegneva la sigaretta schiacciandola contro il muro. Poi, con un movimento calibrato, la fece volare nel cestino del bar lì accanto. «Ti offro un caffè, ti va?» propose avviandosi all’interno del locale.

Denzel era un ragazzo come tanti, dal corpo ben delineato e una zazzera indomita in testa. Portava gli occhiali dalle lenti perennemente sporche di ditate e una fila di piercing rotondi su entrambi i lobi. Fumava solo quando era nervoso e beveva quantità industriali di caffè aromatizzato alla cannella. Secondo Thomas, aveva un solo difetto: pretendeva di insegnargli come vivere.

L’arredamento era in stile anni cinquanta con grandi stampe colorate sui muri e foto in bianco e nero di qualche divo dell’epoca. In un angolo, un jukeboxe cromato in color oro e ottone diffondeva la migliore musica in voga a quei tempi.

Si sedettero a un tavolino appartato, dagli alti sgabelli foderati in finta pelle rossa. In quel mentre, si avvicinò una ragazza minuta con in testa un foulard a scacchi, ingabbiata in una tuta di jeans troppo larga con una bretella che le penzolava su un fianco. Aveva un viso aperto, e vagamente familiare, mentre segnava meticolosamente l’ordinazione su un block-notes.

«Torno subito,» disse civettuola ficcandosi dietro l’orecchio la penna.

«Perché ti ostini a venire ogni giorno?» cominciò senza preamboli. «Lo sai che crea dipendenza assumere quell’intruglio.» Thomas sbatté le ciglia, sorpreso dalla veemenza con cui Denzel parlava. «Ti sta friggendo il cervello. Sono pronto a scommettere che cominci a dubitare quale sia la realtà.»

L’arrivo della ragazza interruppe quel fiume di parole ma non lo sguardo bellicoso di Denzel.

«Ma di cosa stai ciarlando? Sono in pieno possesso delle mie facoltà,» rimbeccò secco.

«Ne sei sicuro? Dimmi, da quanto tempo vieni al negozio?» Alzò la mano per fermare la sua risposta. «Perché chiedi sempre di visionare quel sogno? Cosa ti ha spinto verso quel particolare sogno? Sentiamo.» Appoggiò la schiena alla vetrata dietro di lui e incrociò le braccia al petto, in attesa.

«Queste sono questioni personali a cui non sono tenuto a rispondere. Però, il tuo sguardo mi suggerisce che non è ciò che vuoi sentirti dire,» aggiunse piccato. Per un momento, lo guardò ribelle negli occhi chiari, poi, sbuffando, si decise a rispondere. «Il 30 luglio saranno sei anni da quando ho messo piede per la prima volta nel negozio. Non puoi ricordare perché non eri stato ancora assunto,» precisò, quando lo vide alzare un sopracciglio.

«Quel sogno è stato creato apposta per me, secondo delle mie specifiche richieste. Ogni giorno rivivo gli ultimi istanti di vita di Asper, la mia ragazza, prima che muoia per colpa della bomba esplosa alla Maratona di Boston. Ogni dannatissima volta, mi invento un nuovo modo per salvarla,» berciò con occhi lucidi mentre si massaggiava inconsciamente la gamba mutilata.

Rimasero in un silenzio teso per alcuni istanti, poi Denzel scattò e portò le proprie labbra a un soffio da quelle di Thomas, il cui cuore prese a battere come un forsennato mentre inspirava bruscamente il suo odore di maschio.

«Risposta sbagliata.» E lo baciò.



L’aria era frizzante e solleticava piacevolmente la pelle. La grande città era rumorosa e gli alti edifici impedivano al sole di lambire le strade con il proprio calore. C’era una folla immensa, trattenuta a stento dalle transenne lungo il tragitto della maratona, quasi giunta alla sua conclusione.

Thomas aveva il cuore in fermento e lo strascico di un languore che gli intorpidiva la mente. Teneva gli occhi serrati, come a volere rimanere aggrappato a quelle sensazioni il più a lungo possibile. Il vociare dei passanti lo distrasse tanto da sentirsi costretto ad aprirli.

Il suo sguardo si posò immediatamente su una ragazza minuta il cui sorriso era capace di illuminare il mondo, teneva una sigaretta in bilico dietro l’orecchio.

«Come sono eccitata,» stava dicendo Asper, mentre le sue mani applaudivano. «È tutto così perfetto. Grazie, grazie mille Thomas.» Stava per rispondere quando una spalla sfiorò la sua e l’eco delle sue emozioni riprese vigore.

«Ecco il vostro drink,» disse gentile il cameriere. Era un ragazzo alto, dai capelli castani e gli occhiali storti sul naso. Portava una serie di piercing su entrambi i lobi. Thomas l’osservò incantato, respirando appieno il suo alito che sapeva di sigaretta appena fumata, caffè e cannella.

Non riusciva a capire perché quel cameriere lo turbasse così tanto. Abitava in una città sconosciuta, a mille miglia di distanza da casa sua con un intero oceano che li divideva.

Eppure, il suo volto aveva un che di convissuto e i suoi occhi tristi sembravano consapevoli del tafferuglio che si dibatteva nel suo petto.

«Cameriere! Cameriere!» urlò una voce acida tre tavolini più in là. «Sono ore che aspetto la mia ordinazione!» Una donna grassa, con un vistoso alone di sudore sotto le ascelle, i capelli crespi e le dita ingioiellate livide, si sbracciava sbuffando il proprio disappunto. Poco distante, due energumeni neri discutevano tra loro reggendo il The Boston Globe5 davanti a due tazze di caffè.

«Grazie,» riuscì a biascicare Thomas prima che il ragazzo si allontanasse sbuffando.

«Ti amo,» gli disse inaspettatamente Asper prendendogli le mani, e qualcosa ai bordi della sua visuale sfrigolò.

Divenne tutto irreale, metallico. Era come guardare il sole attraverso il riflesso di uno specchio opaco. I suoni, i colori e gli odori persero d’intensità fino a diventare vaghi ricordi. Ebbe uno spasmo di paura e, al contempo, la calma si impadronì di lui, come se tutto ciò fosse normale, un’abitudine a cui non era in grado di rinunciare.

Cercò di focalizzare il pensiero sulla ragazza che sedeva davanti, ma le si sovrappose un’altra figura. Era alta, mascolina, completamente immersa nel bagliore solare e sapeva di casa. Una fitta dietro l’orecchio gli fece chiudere gli occhi mentre le immagini si assottigliavano e sfumavano in un cono di luce che lo inghiottì.



«Bentornato, Thomas,» la voce preoccupata di Denzel attraversò la nebbia dove stava annegando e l’agguantò, trascinandolo a riva.

«Ti avevo avvertito,» continuò alterato. «Sei appena entrato nella fase acuta. Al tuo cervello basta poco per trasportarti nella prigione che ti sei creato con i tuoi stupidi sogni. Alla fine il tuo subconscio ha creato una dipendenza e, a breve, non sarai più in grado di distinguere la realtà dalla fantasia. Quindi fai la tua scelta e falla in fretta, perché lasciare libero arbitrio al fato potrebbe essere deleterio. Rimarresti prigioniero e cosciente del tuo errore senza alcuna possibilità di rimediare.» Dopo avergli passato un dito lunga la mascella ben rasata, uscì dalla sua visuale strappandogli un pezzo di cuore.

«Ti ho portato un punch caldo,» gli disse la barista porgendo una tazza fumante. «Che spavento. Sei diventato tutto pallido e il tuo amico non riusciva a svegliarti,» gli confidò agitata. «Ma poi, come nelle favole ti ha baciato e…» Thomas si alzò di scatto, facendo rovesciare il contenuto bollente sul pavimento. «Ehi! Che modi.» Ignorando le vertigini, e la zelante barista, che per qualche strano motivo sapeva chiamarsi Asper, Thomas si fiondò sulle tracce di Denzel.




Thomas rabbrividì. Tutt’intorno a lui il Tempo era consumato come una vecchia ciabatta mangiucchiata da un cane. Si sentiva stanco, appesantito nell’anima da un bagaglio non suo. Aveva le vertigini e lo stomaco gorgogliava come un ruscello ingrossato dalle acque piovane.

Per un breve istante ebbe paura. La sua mente abbracciò l’infinito spingendosi fino a sfiorare l’eternità del Tutto. Era così innaturalmente vasto che la sua coscienza stridette come un unghia intenta a graffiare l’ardesia. La sua essenza si espanse troppo in fretta, rischiando di collassare e perdersi nel nulla.

Strinse i denti e si aggrappò al ricordo di un volto mascolino dal sorriso sincero e gli occhi tristi.

Denzel.

Quel nome esplose nella sua testa, abbagliante come il sole estivo.

Sbatté le ciglia e gli occhi misero a fuoco un muro grigio. Avvertiva le membra rigide, pesanti come se fosse fatto di pietra. A fatica, mosse il mignolo destro mentre un dolore acuto e pungente gli perforò la carne.

«Non si agiti, signore. Ci vorrà un po’ prima che il suo risveglio sia completo e ogni movimento inutile le porterà solo sofferenza.» Davanti a lui si insinuò il volto paffuto di una donna. «Sono la dottoressa Cooper. Secondo i dati diagnostici in mio possesso, l’intera operazione è andata a buon fine. Lei è un uomo libero, congratulazioni.»

Thomas la guardò come se le fosse cresciuta un’altra testa. La donna piegò le labbra all’insù mentre dalla bocca le sfuggì una specie di grugnito.

«È normale essere un po’ disorientati, ma vedrà che nel giro di qualche ora tutto le apparirà più chiaro. Per ora le consiglio di riposare.» La donna uscì dalla sua visuale e, subito dopo, sentì spostare degli oggetti metallici. Allungò il collo fin che poté, ma l’unica cosa che riuscì a scorgere furono due energumeni incastrati dentro una divisa militare con tanto di mitragliatore tra le braccia.

«Non faccia caso a loro,» disse la dottoressa. «Sono innocui. Ora le somministro un antidolorifico. Ecco fatto, tornerò più tardi a vedere come sta.» Ammiccò verso i due uomini e se ne andò.

Rimasto solo, ebbe un fremito come se un pensiero infastidisse la sua mente per farsi acchiappare. Interdetto, cercò di chiudere gli occhi ma le palpebre sembravano non rispondere alla sua volontà. Preso dal panico, si agitò ma dovette scartare subito l’idea perché mille aghi gli perforarono il cervello. Mentre cercava di calmare il respiro, il suo sguardo si concentrò su una macchia scura del soffitto e, pian piano, la visuale si offuscò.

Il battito accelerato del suo cuore gli giungeva da lontano, un ronzio insistente come gli insetti d’estate. Si sentiva in pace e tutto quel bianco che lo circondava lo avvolgeva come una coperta.

Chi sono? Cosa faccio? Cosa voglio?

Erano domande semplici, eppure non era in grado di dare una risposta. Perché dentro di sé sapeva che c’era un quesito più importante, una questione rimasta sospesa che pretendeva la sua attenzione.

Un punto fermo? Lettere al posto di altre? Un’emozione viva?

Più si sforzava e più diventava sfuggente. Così si fermò e azzerò la mente, mettendosi ad ascoltare il silenzio.

Arrivò piano, come la brezza serale che accarezzava le pelli accaldate. Da lontano, come un gabbiano stanco che rientrava dal mare. Grande e luminoso, come la luna che scavalcava l’orizzonte. Un nome, l’unico a fargli battere forte il cuore.




«Denzel...» sussurrò. Allungò il braccio e premette le sue labbra su quelle del ragazzo. «Sono finalmente a casa e rimarrò per sempre qui con te. Potrò farti vivere in eterno nei miei sogni.»

«Ma tu…» Thomas mise un dito sulle labbra gonfie di Denzel e gli sorrise sereno.

«È ciò che voglio.»

Lo merito per averti ucciso più di sei anni fa, pensò Thomas mentre il suo cuore cessava di battere.




Il corpo di Thomas sobbalzò e mille spie presero a fischiare all’unisono.

«Che sta succedendo?» La voce stridula della dottoressa Cooper irruppe nella stanza un attimo prima della sua ampia figura. «No! No! Abul chiama immediatamente giù in infermeria. Zabel aiutami a tenerlo fermo devo iniettargli…»

Ma Thomas smise di agitarsi e sul monitor fecero mostra di sé tre linee piatte.


Se mi chiedono dove vorrei vivere, rispondo: “Dove vanno i sogni quando ci si sveglia”. (Fabrizio Cavagna)




Note dell’autrice: ho voluto dare un’interpretazione del tutto personale al prompt che ho scelto per il bando. Infatti ho cercato di rendere il sognare una cosa concreta, quasi uno spauracchio di cui avere paura. Ma al contempo, rimane comunque l’unico rimedio fattibile per correggere le imperfezioni dell’animo umano. Due facce contrapposte della stessa medaglia.

Spero di essere riuscita nel mio intento ma soprattutto di non avere sconfinato con le richieste della giudice.


Questa storia partecipa al contest ‘Tattoo Studio’ indetto da wurags, rilevato da Juriaka, sul forum con i seguenti prompt:

Fandom: originale.

Tatuaggio: Acchiappasogni – Il suo intento è quello di allontanare gli spiriti maligni dai sogni. Una persona con questo tatuaggio desidera scacciare l’influenza negativa, pensieri e sensazione paurosi, o tristi.

Citazione: Dito – Non serve a niente rifugiarsi nei sogni, Harry, e dimenticarsi di vivere. (Harry Potter e la Pietra Filosofale, JK Roowling)

Questa storia partecipa al contest ‘L’enigma dell’Uroboro’ indetto da _ Freya Crescent _ sul forum.


Buona lettura e i commenti sono graditi.



Leggenda

Genere: drammatico – introspettivo – malinconico.

Rating: giallo.

Coppie: het – slash.

Note-avvertimenti: Missing Moments – Tematiche delicate.

1Rimozione Emozioni Maligne.

2Spiegazioni su cosa consiste questa tecnica: https://it.wikipedia.org/wiki/Onironautica

3Promemoria Impossibili Per Poveri Emarginati Sognanti

4Cit. Harry Potter e la Pietra Filosofale.

5Testata locale.

   
 
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