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Autore: QueenVictoria    13/11/2019    18 recensioni
I Cavalieri d’Oro vengono richiamati al Santuario per una riunione straordinaria, questa volta partecipa anche Mu dell’Ariete che torna in Grecia di sua spontanea volontà per sondare la situazione. Ambientata due anni prima dell’inizio della serie classica, questa storia vedrà l’incontro tra i Cavalieri d’Oro in un momento in cui la situazione al Santuario è molto tesa; una breve missione li porterà in viaggio in Asia Centrale e li costringerà a interagire e confrontarsi tra loro.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia, Pisces Aphrodite, Virgo Shaka
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VII
 
 
 
Quando Mu aveva aperto gli occhi, il cielo si stava già tingendo delle prime luci dell’alba. La stanza che divideva con gli altri cavalieri era ancora avvolta nel buio. Il giaciglio di Aiolia, accanto a lui, era vuoto; il suo turno di guardia copriva le ultime ore della notte. Gli altri sembravano ancora addormentati tranne Shaka che, seduto a gambe incrociate con le mani raccolte in grembo, era assorto in meditazione. L’Ariete si era alzato piano, cercando di non disturbare nessuno. Si sentiva riposato, come ci si sente dopo un lungo sonno, o dopo essersi tolti un grosso peso.
 
Il viaggio era ripreso di buon mattino; dopo un’abbondante colazione a base di pane caldo, frutta e yoghurt, il gruppo era ripartito a bordo del fuoristrada. Tutti si erano disposti nello stesso ordine del giorno precedente: Erkut alla guida, Aleksandra seduta al suo fianco, Mu, Aiola e Shaka sui sedili posteriori e Camus e Milo negli ultimi due rivolti verso l’interno, in fondo erano accatastati gli zaini contenenti gli Scrigni con le Armature, alcune provviste e pochi altri bagagli. 
 
Aleksandra aveva indossato un abito di cotone pesante, lungo fino alle caviglie, di colore rosso scuro ornato con fitti ricami in nero e giallo oro, attorno alla testa aveva avvolto un foulard della stessa tinta annodato sotto la nuca dal quale spuntavano le lunghe trecce nere. 
 
“Ci allontaniamo dalle città,” aveva detto “vestita all’occidentale darei troppo nell’occhio.”
 
Nella breve riunione di quella mattina avevano esaminato tutti assieme i possibili percorsi da intraprendere. Avrebbero continuato ad avanzare per qualche giorno seguendo le strade principali, certi che molto presto il nemico si darebbe fatto vivo. Non c’era molta scelta, l’unica strada asfaltata attraversava il deserto dirigendosi verso est, e altre due, sterrate, scendevano verso sud per poi ripiegare a est dopo qualche centinaio di chilometri. 
 
Le mappe fornite da Erkut erano più aggiornate di quelle che avevano consultato al Santuario e indicavano paesini e strade secondarie, percorsi sicuri in pianura e punti di valico tra le montagne. Shaka aveva fatto diverse domande sulla conformazione del terreno di alcune zone, i due fratelli si erano mostrati un po’ impressionati dal fatto che, pur tenendo gli occhi chiusi, osservasse quelle carte leggendo perfettamente ogni nota scritta. Ma erano entrambi al corrente di avere davanti persone particolari e, pur non riuscendo a nascondere la loro inquietudine, non avevano fatto domande.
 
 
 
*
 
 
 
“Quindi, adesso dovremmo andare a zonzo aspettando che qualcuno si faccia vivo?” sbuffò Milo.
 
“Non ci vorrà molto,” rispose Camus “se si sono presi la briga di attaccare il Santuario, non si lasceranno certo sfuggire l’occasione di averci qui in numero ridotto. Appena sentiranno la presenza della pietra ci saranno addosso.”
 
Aiolia, istintivamente, strinse il sacchettino di cuoio che portava al collo nascosto sotto la maglia; oggi era lui a dover custodire la pietra. Erano in strada da parecchie ore e quel viaggio, che ormai era diventato una lunga attesa, stava diventando snervante. Cercò di distrarsi lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino, il paesaggio monotono e il fruscio sommesso e continuo della ricetrasmittente dell’auto non erano molto d’aiuto.
 
Dovettero attendere il pomeriggio, per vedere un segno della presenza del nemico. Percepirono all’improvviso una grande forza lontana. Qualcuno, a diversi chilometri più a sud, stava bruciando il cosmo in maniera più che sostenuta, un’azione che per loro sarebbe stata ancora accettabile ma per un Cavaliere di rango inferiore rasentava il massimo possibile. Inoltre, c’era qualcosa di fastidioso in quel cosmo, una brutta sensazione, come se avesse qualcosa di malvagio in sé.
 
“Sentito?” mormorò Shaka.
 
Gli altri annuirono.  
 
“Cosa succede?” chiese Aleksandra allarmata, i due fratelli non erano in grado di sentire il cosmo del nemico.
 
“Succede che tra circa centocinquanta chilometri verso sud troveremo qualcosa di interessante,” rispose Mu cercando di fare un calcolo approssimativo della distanza che li separava dal nemico.
 
Milo aprì una mappa cercando di orientarsi, dopo qualche istante trovò il luogo che stava cercando, alla distanza calcolata da Mu verso sud c’era un paese abbastanza grande. 
 
“Abbiamo capito dove sono, possiamo raggiungerli” disse Aiolia
 
“Andiamo! Che stiamo aspettando?” esclamò Milo gettando la mappa.
 
“Un momento, che volete fare?” chiese Camus “Se corriamo bruciando il cosmo ci sentono arrivare, sarebbe meglio coglierli di sorpresa, per quanto possibile,” continuò “se davvero sentono la presenza della pietra si accorgeranno subito cha siamo lì, ma fino all’ultimo momento cerchiamo di non fargli capire quanti siamo.”
 
“Sì, hai ragione, in effetti non sappiamo quanti sono lor,.” rispose lo Scorpione “e in più ci stanno attirando là, dobbiamo essere cauti.” 
 
“L’ideale è avvicinarsi il più possibile senza dare nell’occhio,” continuò l’Aquario “Mu, tu non hai bisogno di bruciare il cosmo per teletrasportarti, vero? Potresti portarci laggiù in modo che non se ne accorgano?”
 
“Certo,” rispose l’Ariete “non è una gran distanza. Devo solo capire dove andare.” Chiuse gli occhi per qualche secondo mentre cercava di identificare il luogo esatto dove portarsi.
 
 “Vi stanno attirando da qualche parte?” chiese timidamente Aleksandra, che iniziava ad agitarsi non afferrando bene il senso dei loro discorsi “Vi portiamo noi. Ma… non sarà una trappola?”
 
“Certo che lo è, ma dobbiamo comunque affrontarli,” rispose Aiolia “voi continuate a guidare in questa direzione, troveremo il modo per ricongiungerci.”
 
“Ho trovato il posto. Andiamo!”
 
Erkut e Aleksandra videro i cinque ragazzi sparire all’improvviso assieme a gran parte dei bagagli.
 
“Che… cosa è successo?” chiese la ragazza sbigottita guardando i sedili vuoti.
 
“Parlavano di teletrasporto... non credevo si potesse fare veramente…” rispose il fratello con un filo di voce mentre cercava di non perdere il controllo del fuoristrada. Mu aveva detto centocinquanta chilometri a sud, l’unica cosa da fare era proseguire in quella direzione. 
 
 
 
 
 
Un momento dopo, i cinque Cavalieri si materializzarono dietro a un edificio diroccato alla periferia del paese che Milo aveva identificato sulla mappa. 
 
Shaka e Mu sembravano gli unici perfettamente a loro agio, gli altri tre riaprirono cautamente gli occhi, che avevano istintivamente chiuso al momento della partenza, e si guardarono attorno inquieti. Non erano abituati a essere trasportati all’istante da un luogo all’altro.
 
Si concessero qualche minuto per osservare l’ambiente attorno; vicino a loro c’erano diverse costruzioni piuttosto vecchie e dall’aspetto fatiscente. Sembrava non ci fosse anima viva, tutto era avvolto in un silenzio desolato interrotto solo dal sibilo del vento che veniva dal deserto.
Presi in spalla gli zaini che nascondevano gli Scrigni delle Armature, decisero di dividersi alla prima occasione per raggiungere il centro del paese da strade diverse. Aiolia, che custodiva la pietra, si sarebbe incamminato per la via principale, gli altri lo avrebbero seguito inoltrandosi per le quelle secondarie tenendo gli occhi ben aperti e pronti ad agire in caso di necessità.
 
Non passò molto tempo che gli edifici si fecero via via più fitti e si incominciarono a intravedere segni di vita; finestre aperte, persone sedute a chiacchierare su piccole panche accanto alla porta di casa, bambini che si rincorrevano ridendo. Si stavano avvicinando al cuore del paese.
 
 
 
La piazza principale era occupata dal mercato, Mu e Aiolia vi entrarono quasi contemporaneamente da strade diverse e si immersero in quell’ambiente rumoroso. I venditori cercavano di attirare l’attenzione dei clienti, gran parte della merce era esposta in recipienti posati su tappeti o direttamente sul terreno. Solo in pochi casi era sistemata su banchi di legno, che erano poi gli stessi carretti con i quali era stata trasportata, con le ruote bloccate da piccole pietre, gli animali da tiro in piedi a pochi metri dietro il venditore. Sembrava che per comprare qualsiasi cosa si dovesse contrattare, le persone discutevano animatamente anche il prezzo di un singolo frutto. 
I due cavalieri, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, camminavano avvolti dal profumo di frutta e spezie, ascoltando quel piacevole vociare. Sembrava tutto tranquillo, tanto che si faticava a immaginare un pericolo in agguato.
 
Il mercato non era molto grande, né particolarmente ricco; Mu si chiese se non fosse anche clandestino, girava voce che ce ne fossero diversi e in un luogo così lontano dalle città non si sarebbe stupito di trovarne uno.
 
Guardandosi attorno si rese conto che Aleksandra aveva ragione; tutte le donne indossavano abiti tradizionali più o meno rivisitati, era così anche per circa metà degli uomini, gli altri vestivano all’occidentale come Erkut, con semplici camicie su pantaloni da lavoro e l’immancabile cappello a semisfera o di forma leggermente più schiacciata.
 
Un mendicante stava seduto per terra in un angolo, all’ombra di una casa, una mano tesa per raccogliere le offerte, le gambe incrociate, la testa bassa sotto il cappello di panno. Appena Aiolia gli passò davanti, alzò gli occhi e seguì con attenzione il suo percorso. Quando fu abbastanza lontano si mise lentamente in piedi e, avanzando con fatica aiutandosi con un bastone, lo seguì cercando di rimanere nascosto tra la folla.
 
L’uomo poteva confondersi con le persone che riempivano la piazza, ma non ingannare il sesto senso del Cavaliere, che realizzò subito di essere seguito. Anche l’Ariete, che fingeva di ammirare le decorazioni delle pagnotte tonde e piatte esposte su una bancarella poco lontana, si accorse subito di lui.
 
Il Leone indugiò ancora qualche minuto per il mercato, poi svoltò a un incrocio e, dopo aver superato gli ultimi banchi, si allontanò dalla piazza inoltrandosi in una via laterale. Facendo un percorso leggermente differente, per non farsi notare, il mendicante lo seguì nei suoi movimenti.
 
Aiolia iniziò a guardandosi attorno, mostrandosi interessato alle forme delle case che, attaccate l’una all’altra, si affacciavano sulla strada. Qualunque cosa stesse per succedere, preferiva allontanarsi il più possibile dalle zone affollate.
Man mano che avanzava in quella direzione, la natura della strada cambiava. Le case divenivano di nuovo più brutte e trasandate, per poi scomparire del tutto, sostituite da costruzioni più simili a magazzini e stalle circondate da reti coperte di ruggine. Dopo una ventina di minuti pensò di essersi allontanato abbastanza dal centro e decise di rallentare il passo, in attesa di vedere cosa accadeva.
L’uomo lo stava seguendo ancora, avanzando lungo una via parallela e cercando di nascondersi dietro gli ultimi edifici; Aiolia aveva visto bene, non si era reso conto che fossero in cinque, non lo avrebbe seguito da solo, in quel caso. A meno che non ci fossero suoi compagni nascosti nei paraggi; per quanto attorno sembrasse tutto tranquillo, non era un’idea da scartare.
 
Era ancora assorto in queste considerazioni quando, all’improvviso, sentì qualcosa muoversi sul petto: la giada rossa aveva iniziato a tremare per poi sollevarsi nell’aria assieme al sacchettino nella quale era custodita, sfilandosi da sotto la maglia. L’afferrò al volo, stringendola con foga tra le dita. Cosa stava succedendo? Riconobbe il cosmo percepito poche ore prima, la sensazione sgradevole che avevano sentito divenne più nitida e forte, vibrava ancora come mosso da qualcosa di malvagio.
 
Si voltò, il mendicante era a pochi metri da lui, in mezzo alla strada, gli abiti tradizionali sporchi di polvere, il viso contratto in una smorfia carica di odio. Si prese un momento per osservarlo; doveva avere una trentina d’anni, non di più, aveva la pelle molto chiara, gli occhi azzurri, dal cappello spuntavano lunghi capelli biondi raccolti in una coda fatta alla meno peggio.
 
L’uomo alzò un braccio e strinse il pugno avvicinandolo a sé, come stesse tirando qualcosa.
 
“Finalmente ti fai vedere! Pensavamo di doverti cercare fin chissà dove!” disse Aiolia.
 
“Dammi quella pietra!” rispose l’uomo.
 
“Cosa hai intenzione di farne?”
 
“Non sono affari che ti riguardano!”
 
“Quelli che hanno attaccato il Santuario di Athena qualche giorno fa sono tuoi compari, giusto?” disse il Leone “Dopo un’azione del genere direi che sono affari che ci riguardano eccome. Comunque, non posso dartela, spiacente.”
 
“Quella pietra non vi appartiene!” gridò l’altro.
 
“Non appartiene nemmeno a te. A meno che tu non possa dimostrare il contrario, s’intende”.
 
Sentiva la pietra tremare e spingere, come cercasse di divincolarsi per volare verso quell’uomo.
 
“Ti decidi a rispondere? Cosa vuoi farne di questa pietra?” Aiolia cercava di parlare con voce decisa ma ferma, per non tradire lo sforzo che stava facendo.
 
“Me la voglio riprendere. Appartiene a noi Cavalieri di Indra, non ai seguaci di Athena.”
 
“I Cavalieri di Indra? Perché non ne abbiamo mai sentito parlare?” la voce di Shaka risuonò alle sue spalle.
 
L’uomo si voltò e si guardò attorno; senza che se ne accorgesse, erano giunti altri quattro ragazzi. Si erano avvicinati in silenzio e adesso lo guardavano con aria di sfida, mentre lentamente gli si disponevano attorno circondandolo. Non ci voleva molto a capire che non si trattava di semplici ragazzi; il modo silenzioso di muoversi, i sensi all’erta, lo sguardo attento con cui lo tenevano sotto controllo, rivelava si trattasse di altri Cavalieri.
 
Milo lo superò alla sua sinistra e si avvicinò lentamente ad Aiolia, Mu fece lo stesso dall’altro lato e allo stesso tempo adoperò i suoi poteri telecinetici per rinforzare la presa della mano del Leone.
L’uomo si voltò verso l’Ariete, gli occhi puntati dritti nei suoi. Si guardarono per un lungo momento, poi le labbra di Mu si piegarono in un mezzo sorriso; aveva riconosciuto quell’uomo dal modo di usare la telecinesi, così diverso dal suo. Era stato lui, quel giorno, a inibire i suoi poteri davanti alla scalinata che portava al Santuario. Anche adesso aveva cercato di farlo, ma questa volta era all’erta e se n’era accorto appena in tempo per contrastarlo.
 
“Forse è come dici,” continuò Shaka, interrompendo quei pensieri “ma noi abbiamo delle responsabilità. Per il momento questa pietra deve rimanere a noi.”
 
“Maledetti!” gridò l’uomo “È questa la sete di potere del Santuario!?” mosse qualche passo indietro, sembrava reggersi in piedi con fatica, appoggiandosi al bastone. Conscio di non poter avere la meglio combattendo contro cinque Cavalieri, imprecò sottovoce e lasciò la presa sulla pietra.
 
Aiolia fu costretto a fare un passo indietro per bilanciare il contraccolpo, continuando a stringere in maniera spasmodica il sacchettino che conteneva la giada.
 
Rimasero in silenzio per lunghi attimi, squadrandosi a vicenda, poi l’uomo sembrò rassegnarsi all’idea di trattare.
 
“Quella pietra ci appartiene!” ripeté con tono brusco. Riaprì la bocca per rincominciare a parlare, quando accadde qualcosa.
 
Un improvviso bagliore si sprigionò da sotto la sua camicia. Sobbalzò per la sorpresa, poi spostò cautamente i lembi dell’indumento scoprendo la collana che indossava, dalla quale veniva quella luce abbagliante.
 
I Cavalieri la osservarono con attenzione: era composta da un unico pezzo d’oro, una sorta di anello piatto con incastonate delle pietre; quella centrale mancava, attorno c’erano quattro giade verdi, due per ogni lato. Era identica all’immagine di quella rubata mesi prima al National Museum di Nuova Delhi, era la collana del dio Indra!
Le pietre si erano illuminate di una luce verde brillante e avevano iniziato a pulsare tutte assieme; era come se qualcosa di vivo si accendesse e spegnesse dentro di loro, sembrava quasi un segnale o una sorta di richiamo.
 
Aiolia gridò, vedendo la giada rossa illuminarsi tra le sue dita, ed emettere una luce quasi accecante prima di iniziare a pulsare come le altre. La sentì muoversi, tremare, cercò di trattenerla con tutte le sue forze, chiudendo entrambe le mani attorno a essa. Non servì a nulla, la pietra sembrò attraversare le sue mani alla velocità di un lampo dirigendosi verso il mendicante. Milo allungò il braccio per afferrarla al volo, ma questa attraversò anche le sue dita raggiungendo rapidamente la collana per poi, con un ultimo bagliore, incastonarsi al suo posto assieme alle altre gemme.
 
L’uomo sgranò gli occhi, lui stesso era stupito dell’accaduto. Con aria incredula passò le dita sulle cinque pietre come per verificare ci fossero davvero. La forte luce di prima era scomparsa e le pietre avevano ripreso il loro aspetto, sembravano essersi calmate dopo essersi riunite.
Il suo sguardo si illuminò di un sorriso di grande soddisfazione, guardò i Cavalieri e scoppiò in una fragorosa risata.
 
“Vi ammazzerò tutti! Tutti quanti!” gridò infine. 
 
I ragazzi non ebbero il tempo di reagire, l’uomo chiuse gli occhi per un momento come cercasse di concentrarsi, lo sentirono bruciare il cosmo al massimo digrignando i denti per lo sforzo. Improvvisamente un bagliore circondò nuovamente il suo corpo e l’aria attorno sembrò diventare pesante.
 
“Sta scappando!” gridarono all’unisono Mu e Aiolia, che riconobbero il fenomeno percepito al Santuario poco prima dell’arrivo dei guerrieri nemici.
 
L’Ariete protese le mani cercando di usare la telecinesi per fermarlo, lo Scorpione gridò qualcosa, il suo cosmo sembrò esplodere all’improvviso, il Leone fece un salto in avanti ma arrivò troppo tardi, cadendo in ginocchio sul terreno. Nessuno di loro fu abbastanza veloce, in un attimo l’uomo era scomparso.
 
I cinque ragazzi rimasero a fissare il suolo, cercando di realizzare cosa fosse appena accaduto. Si guardarono tra loro come inebetiti per qualche istante, immobili, il respiro affannato, il cuore in gola.
 
“Dov’è andato?” gridò Aiolia rivolto a Mu “Dobbiamo inseguirlo!!”
 
“Non lo so...” rispose l’Ariete con un filo di voce.
 
“Cosa è successo?” gridò Milo.
 
“No. No. No!!” gridò fuori di sé il Leone, ancora in ginocchio, picchiando i pugni sul terreno.
 
“Non può esserci scappato così!” fece eco lo Scorpione avvicinandosi.
 
“Calma. Calmiamoci tutti!” il tono della voce di Camus non era distaccato come al solito, per quanto cercasse di dominarsi anche lui tremava dalla rabbia.
 
“La pietra mi ha… attraversato la mano,” disse allora Aiolia.
 
“L’ha teletrasportata lui?” chiese l’Aquario.
 
“No. È stata la pietra a spostarsi,” rispose il Leone “è stata richiamata dalle altre, ho sentito la traccia di cosmo che era rimasta in lei. È stata… viva per un momento, si è mossa quasi per volontà propria e si è ricongiunta alla collana. O forse è tutto l’insieme ad avere vita propria. La collana con tutte le pietre, intendo.”
 
“Non sono riuscito a fermarla,” disse Mu rispondendo alla tacita domanda che leggeva negli occhi degli altri. “non… potevo raggiungerla. La stessa cosa vale per lui, è sgusciato via.”
 
“Ero io ad averla in custodia,” mormorò Aiolia “era una mia responsabilità.”
 
“Era un responsabilità di tutti noi, Aiolia,” disse Camus “anche se oggi la portavi tu, la pietra era stata affidata all’intero gruppo.”
 
“Abbiamo visto chiaramente la pietra attraversare le tue mani e poi quella di Milo, nessuno di noi è stato in grado di fermarla,” aggiunse Shaka.
 
“Sì, mi è passata tra le mani ma non l’ho sentita, sembrava quasi un’illusione,” disse Milo continuando a guardarsi la mano che aveva usato per cercare di afferrare la giada. “Ho cercato di fermare almeno lui, di paralizzarlo ma era come se fosse stato protetto da qualcosa.” La voce tremava ancora, e quella frase suonava come un rimprovero verso se stesso.
 
“Era la collana a proteggerlo, aveva deciso di restare con lui. È un oggetto sacro, non possiamo raggirarlo facilmente,” rispose Mu.
 
Camus interruppe quei discorsi facendo notare che la forte luce di prima aveva attirato un po’ troppo l’attenzione.
 
Si guardarono attorno, alcune persone stavano guardando incuriosite nella loro direzione: uomini in piedi in mezzo alla strada, bambini improvvisamente spuntati dalle viuzze laterali, donne e persone anziane affacciate a porte e finestre. Quel luogo che fino a poco prima era sembrato disabitato, ora si rivelava decisamente troppo affollato.
 
“Allontaniamoci.”
 
Si incamminarono a passo veloce verso il deserto, dove le strade sparivano nel terreno brullo. Continuarono ad avanzare in silenzio, soli con loro pensieri, avviliti, lo stomaco ancora stretto dalla rabbia.
 
Dopo alcuni minuti rallentarono il passo, ormai si erano allontanati abbastanza dal paese, anche dalle ultime abitazioni. Milo calciò dei frammenti di ghiaia davanti a sé facendoli volare in aria assieme alla sabbia. Quel posto era talmente desolato da non offrire neppure un sasso decente da prendere a calci.
 
Non c’era un solo albero in vista, solo una distesa piatta, brulla e spoglia. La strada principale che usciva dal paese portava diritta nel deserto, all’orizzonte la linea azzurra del cielo terso combaciava perfettamente con quella bianca del terreno. Erkut e Aleksandra sarebbero arrivati da quella direzione, tra qualche ora.
 
Verso est, in lontananza, si intravedevano delle montagne.
 
Un colpo di vento alzò un misto di polvere, sabbia e sale che irritava la gola e gli occhi. In lontananza si stagliavano i profili di altri relitti di barche, anche quel luogo faceva parte del vecchio fondo del lago.
 
Camminarono per quasi un’ora sotto il sole, incuranti del caldo soffocante, non avevano davvero la necessità di spostarsi, ma erano troppo arrabbiati e scossi per rimanere fermi in un punto ad aspettare. Raggiunsero uno dei relitti più vicini; i resti arrugginiti di quello che doveva essere stato un peschereccio stavano immobili con lo scafo incastrato sulla sabbia.
 
Mu si tolse lo zaino e lo lasciò cadere sul terreno, si sedette vicino ad esso appoggiando la schiena sul relitto, abbracciò le ginocchia e rimase in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto. Shaka e Camus fecero lo stesso, Milo e Aiolia invece restarono in piedi camminando su e giù davanti a loro; erano troppo nervosi per stare fermi.
 
L’Ariete appoggiò la fronte sulle ginocchia e chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. Erano arrivati convinti di combattere, chiedendosi quanti avversari avrebbero dovuto affrontare. Avevano trovato un uomo soltanto, che li aveva raggirati.
No, a dire il vero, era stata la pietra stessa a raggirarli. Era letteralmente scappata assieme al nemico, come stesse dalla sua parte. Tutto era accaduto talmente in fretta…
 
Già dal secondo giorno la loro missione era un fallimento; non avevano capito cosa stava succedendo da quelle parti, né ottenuto alcuna informazione, e avevano perso anche la giada.
 
Ma in fondo, cosa si erano aspettati di fare? Erano partiti senza un minimo di preparazione, senza un vero piano, portandosi dietro una pietra della quale non sapevano quasi niente, e che non si erano resi conto di non essere in grado di custodire.
 
Quel fallimento era la conseguenza della loro inesperienza, pensò rialzando la testa e scostandosi i capelli ricaduti sul viso. Anche colui che si fingeva il Sacerdote aveva dimostrato una certa ingenuità, permettendo una cosa del genere; chiunque fosse, non era tanto più preparato di loro.
Il vecchio Shion, dai suoi duecentocinquant’anni di esperienza, li avrebbe certamente messi in guardia dal fare un errore simile. Ma non era il momento di pensare a queste cose, adesso dovevano rimediare al guaio che avevano combinato.
 
 
“Cosa facciamo adesso? Dobbiamo ritrovare quell’uomo,” sospirò Aiolia mettendosi finalmente a sedere di fronte agli altri.
 
Nessuno rispose. Nessuno sapeva da dove cominciare.
 
“C’è una cosa che mi fa pensare...” disse Shaka dopo qualche minuto “anche quell’uomo era sorpreso di vedere la pietra muoversi da sola.”
 
“Sì, l’ho notato anch’io,” ribatté Mu “probabilmente non conosce nemmeno lui le potenzialità di quell’oggetto.”
 
“Quella che ha usato per sparire è una forma di telecinesi?” chiese Milo “Ha bruciato il cosmo quasi al massimo per farlo, Mu non lo fa. E non mi pare che abbia creato luce mentre ci portava qui.”
 
“Sì, è qualcosa di molto diverso,” rispose l’Ariete “ho perfezionato la mia con lo studio, ma la base è un dono naturale, una caratteristica della mia stirpe. Posso…” fece una pausa, cercando le parole adatte per spiegare la differenza.
 
“Tu smaterializzi il tuo corpo fisico e lo materializzi di nuovo in un altro luogo,” disse Shaka “lui invece ha aperto un varco dimensionale e vi è passato in mezzo come fosse un portale. È questa la differenza, giusto? E il motivo per cui lui ha usato il cosmo”.
 
L’Ariete annuì, non avrebbe saputo spiegare meglio quella situazione.
 
“Io, grazie alla meditazione, non ho difficoltà a separare l’anima dal corpo,” continuò il Cavaliere della Vergine “non sono ancora riuscito a smaterializzare il mio corpo fisico ma, se mai ci riuscirò, avrò certo bisogno dell’aiuto del cosmo. Lui non ha le capacità innate della tua stirpe, ha conquistato questo potere con l’addestramento.”
 
“Già. Inoltre ha bruciato il cosmo all’inverosimile, per lui è stato uno sforzo terribile,” ribatté Mu “e ho la sensazione che si tratti di una tecnica che non sia in grado di padroneggiare pienamente.”
 
“Concordo. Poi ha parlato dei Cavalieri di Indra, ma mi sembrava un po’ impacciato per essere lui un Cavaliere,” disse Aiolia “Appena si è visto circondato ha mollato la presa sulla giada. Come avesse capito di non essere abbastanza forte.”
 
“Vero. E avete sentito il suo cosmo?” intervenne Camus “Aveva qualcosa di malvagio, come intriso di odio. E prima di andarsene ha detto che ci ucciderà tutti. Come se ce l’avesse con noi.”
 
“La storia non descrive Indra come una divinità tranquilla,” rispose Shaka “ma mi pare inverosimile che, adesso come adesso, muova guerra contro Athena o altre divinità. È più probabile siano solo le intenzioni di quell’uomo, anche se non ne capisco la motivazione.”
 
 
Il vento si alzò di nuovo per qualche minuto soffiando polvere e sabbia verso di loro costringendoli a ripararsi il volto con le mani. Poi sparì com’era venuto, lasciando al suo posto il silenzio più assoluto.
 
Un uomo che camminava seguito da una fila di cammelli passò a qualche centinaio di metri di distanza; avanzava lentamente, quasi fondendosi con il paesaggio brullo e deserto. Il sole cominciava ad abbassarsi nel cielo azzurro.
 
 
“Non capisco però la faccenda della giada rossa,” disse Milo grattandosi la testa “si è svegliata all’improvviso sentendo la vicinanza delle altre?”
 
“Sì, io credo di sì,” rispose l’Ariete “quando vi ho trasportati fino al paese non ho avuto nessuna difficoltà, era un oggetto inanimato come gli altri. Adesso era diverso, non si lasciava prendere, era come se riuscisse a respingermi.”
 
“Ammetto di non aver pensato a questa possibilità,” disse Shaka dopo un lungo momento “non avevo immaginato che la giada potesse fare una cosa del genere.”
 
Nessuno di loro lo aveva immaginato.
 
 
 
Qualche ora dopo il fuoristrada con a bordo Erkut e Aleksandra apparve in una nuvola di polvere. Aiolia lanciò una scarica elettrica verso il cielo, formando un lampo luminoso che venne avvistato subito dai loro collaboratori che ripiegarono verso di loro. I due fratelli fermarono la macchina accanto al relitto e scesero per andare loro incontro. Vedendoli scuri in volto preferirono non fare domande sull’accaduto.
 
“State tutti bene?” si limitò a chiedere Aleksandra, ricevendo come risposta solo alcuni cenni di assenso.
 
“Tra qualche ora sarà buio,” disse Erkut “sarebbe meglio trovare un posto per dormire qui nel paese vicino, preferirei non guidare di notte. A meno che non vogliate andare più avanti. Conosco un affittacamere che ha anche il telefono, nel caso abbiate bisogno di  comunicare con i vostri.”
 
I Cavalieri chiesero di proseguire ancora un po’ almeno per allontanarsi dal paese; ora che il nemico aveva portato via la giada non avevano motivo di temere nessun attacco, ma avevano solo bisogno di andarsene da quel luogo, come se in quel modo avessero potuto prendere distanza dal loro errore.
 
“Va bene,” rispose l’uomo. “In caso ho in macchina la radio, se avete comunicazioni da fare ci possono fare da ponte fino in città.”
 
I ragazzi annuirono e salirono sul fuoristrada, in quel momento comunicare con il Santuario in era l’ultimo dei loro pensieri.
Viaggiarono per ancora un paio di ore verso est allontanandosi dal centro abitato fino a raggiungere un’area collinosa. Era quasi buio quando Erkut si fermò presso i resti di un vecchio caravanserraglio dove si sarebbero accampati per la notte. L’edificio era abbandonato da almeno un centinaio di anni, il muro di cinta in parte crollato, ma la parte centrale era ancora utilizzabile e offriva un valido riparo ai viaggiatori di passaggio.
 
I Cavalieri aiutarono Erkut a scaricare i bagagli e preparare la sistemazione per la notte, poi uscirono in quel che restava del cortile guardandosi attorno con aria stanca. Il sole era ormai tramontato all’orizzonte lasciando solo un’ultima luce cremisi nel cielo, il deserto stava sprofondando nel buio e così le colline circonstanti.
 
Aleksandra aveva trovato il modo di accendere un fuoco dentro un vecchio forno e stava preparando la cena riscaldando le provviste che le aveva previdentemente dato la cognata. Un buon profumo di carne e pane si stava diffondendo nell’aria.
 
“Non possiamo stare qui con le mani in mano, dobbiamo fare qualcosa,” disse Aiolia battendo un pugno contro il muro. Non riusciva a darsi pace. Nessuno di loro ci riusciva.
   
Già. Avrebbero dovuto fare qualcosa. Nessuno di loro aveva però la più pallida idea di cosa.







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Vi lascio come sempre le schede dei personaggi apparsi nel capitolo, anche se ormai li conoscete benissimo. ;)
Io vi aspetto a fondo pagina.




Mu - Cavaliere dell’Ariete
Paese di Origine: Jamir (tra India e Cina)
Età: 18 anni
Particolarità: Telecinesi, teletrasporto

(L'immagine a destra è una fan art di Marco Albiero)
Aiolia - Cavaliere del Leone
Paese di Origine: Grecia
Età: 18 anni
Particolarità: Capacità curative.

Shaka - Cavaliere della Vergine
Paese di Origine: India
Età: 18 anni
Particolarità: Reincarnazione di Buddha, raggiunge l’illuminazione all’età di sei anni. È considerato l’uomo più vicino agli dèi.

Milo - Cavaliere dello Scorpione
Paese di Origine: Grecia
Età: 17 anni

Camus - Cavaliere dell’Aquario
Paese di Origine: Francia
Età: 18 anni

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Angolo di quella che scrive:


Dopo un sacco di tempo finalmente riesco ad aggiornare. Questa volta i nostri amici si sono presi un po’ una badilata sui denti, ma un incidente di percorso può capitare, no? ^_-
L’importante è sapervi porre rimedio, vediamo cosa combineranno nei prossimi capitoli!!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate. Ciao e grazie di essere arrivati a leggere fin qui!!





 
   
 
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