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Autore: destiel87    14/11/2019    7 recensioni
Rivisitazione della classica favola disney, con Azraphel nella parte di Belle, e Crowley in quella della bestia.
Più dark e sensuale rispetto all'originale, ma sempre ricca di divertimento, romanticismo e magia.
Il cast:
Gabriele è Gaston
Madame Tracy è la teiera
mr. Shadweel è l'orologio
Newt è il candelabro
Adam è Chicco
Il cane è il cane
E Anatema nella parte della sorella di Azraphel, una stravagante inventrice.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beauty and the beast
 
 
C’era una volta, un giovane principe, che viveva in un antico castello nel nord della francia.
Il nome del principe, era Crowley.
Aveva tutto ciò che poteva desiderare, ma nonostante questo era sempre infelice.
Incapace di capire i suoi sentimenti, mascherava il suo dolore dietro l’odio, il disprezzo, l’arroganza ed il cinismo.
Accumulava tesori e ricchezze, cercando invano di colmare il vuoto dentro di lui.
Era costantemente circondato dai suoi fedeli servitori, eppure si sentiva sempre solo.
Festa dopo festa, ballo dopo ballo, quando li amici lasciavano la sua dimora, e li amanti abbandonavano il suo letto, il sorriso del principe svaniva, lasciandolo in balia dei suoi tormenti.
Una notte tempestosa, giunse al castello una vecchia signora, che in cambio della sua ospitalità gli offrì una rosa.
Il principe rifiutò l’offerta ridendo, e la fece cacciare via.
Fu allora che la donna gli rivelò di essere una strega, e lo condannò ad essere mostruoso nell’aspetto, come lo era nell’animo.
Tra i suoi lunghi capelli rossi apparsero due corna nere, i suoi occhi verdi divennero ambrati,  la sua pelle bianca come la neve, le sue unghie lunghe e nere come la notte, e le sue gambe si tramutarono in zampe di bestia.
L’urlo del suo dolore, fu così forte da arrivare fino al cielo, che riversò  sulla terra una fitta pioggia, mentre i tuoni ed i lampi ruggivano ed abbagliavano la notte.
Attorno al castello si formò una densa nebbia, ed ogni cosa perse il suo colore.
Tutti i suoi servitori caddero vittima della maledizione, e si tramutarono a loro volta.
Per lunghi anni, il silenzio riecheggiò lugubre sulle vaste sale del palazzo, e l’oscurità avvolse ogni cosa, cambiandone la forma.
I servitori, vittime innocenti di quel crudele sortilegio, persero ogni gioia di vivere.
La bestia si chiuse in sé stessa, aspettando la fine, e mentre la rosa perdeva i suoi petali, lui perdeva la sua giovinezza.


Capitolo 1: The dreamer
 
In un piccolo villaggio, avvolto dalle fiorite campagne francesi, vivevano due giovani fratelli.
Rimasti orfani in tenera età, impararono presto a badare a loro stessi, ma non misero mai da parte i loro sogni.
Anatema era una fanciulla minuta e graziosa, con lunghi capelli neri e occhi dello stesso colore, nascosti da pesanti occhiali.
Fin da piccola aveva sviluppato grandi capacità, anche se ancora non aveva ben capito come indirizzarle. Inventava macchinari complessi per svolgere le faccende quotidiane, e sebbene spesso qualcosa esplodesse o si rompesse, lei non si perdeva mai d’animo.
Suo fratello Azraphel, era un giovanotto biondo con gli occhi azzurri, in carne e sempre ben curato, che aveva un piccola libreria nel centro del paese.
I libri per lui, erano i suoi amici, la sua famiglia, e in essi vedeva la vita che avrebbe voluto per sé, ricca di avventure e di emozioni.
Ma non c’erano molte avventure in paese, dove li uomini erano abituati a lavorare sodo, e le donne a crescere bambini.
I due fratelli erano considerati molto strani dagli abitanti del villaggio, sempre sovrappensiero, a parlare di cose che non solo non capivano, ma che non erano neanche in grado di immaginare.
Quella mattina, Anatema si stava preparando per andare nella città vicina, per provare a vendere alcune delle sue invenzioni. Azraphel la stava aiutando a preparare il carro, e si assicurò di lasciarle un po’ di pane e burro per il viaggio.
“Mi raccomando sorella fai attenzione, i boschi non sono sicuri per una fanciulla.” Le disse, aiutandola a sistemare le ultime cose.
“Non preoccuparti, starò bene! E vedrai che questa volta, riuscirò a vendere qualcosa.” Rispose lei, dandogli un leggero bacio sulla fronte.
“Ne sono certo, sei un eccellente inventrice, devi solo trovare qualcuno che creda nella tua follia!”
Lei sorrise, salendo in groppa a Philippe.
“Anche tu fratello, cerca di fare buoni affari, non possiamo certo mangiare i tuoi libri per cena!”
“E poi sarebbe un tale spreco!” Aggiunse lui, guardandola partire verso l’orizzonte.
Sorrise, mentre aspettava che la sua figura svanisse del tutto, poi prese una mela e si diresse verso il paese, mentre leggeva uno dei suoi libri preferiti.
Era arrivato al punto in cui il veliero stava per salpare verso i mari dell’india, e né il carro del pane, né le capre, né i bambini che si rincorrevano per le strade, riuscirono a distrarlo dalla sua avventura.
La giornata passò velocemente, mentre scorreva le pagine, ignorando il mondo intorno a lui,
per lottare con i pirati e sospirare ogni volta che la fanciulla baciava il tenebroso capitano.
Arrivò a casa verso il tramonto, anche oggi non aveva venduto niente, e anche oggi, avrebbe dovuto accontentarsi di un po’ di pane per cena.
Tuttavia, ad aspettarlo davanti casa, con un grosso cerbiatto sulla spalla, c’era Gabriele.
Buttò la carcassa dell’animale ai suoi piedi, sfoggiando il suo miglior sorriso.
Azraphel si chinò un poco, guardando con tristezza gli occhi spenti dell’animale, e facendogli una leggera carezza sul muso.
“Un bel esemplare non trovi? Potresti cucinarlo per me stasera, mentre ti racconto della mia giornata di caccia.” Esclamò Gabriele, mettendogli un braccio intorno alla vita.
Era un uomo robusto, con i capelli neri, gli occhi blu scuro, mascella quadrata e spalle larghe.
Tutte le fanciulle del paese erano innamorate di lui, e tutti gli uomini lo ritenevano un eroe.
Ma per Azraphel, non era altro che un essere arrogante e maleducato, totalmente privo di immaginazione e di gentilezza.
Si scostò bruscamente da lui, salendo li scalini che lo separavano dalla porta di casa.
“Grazie del pensiero, Gabriele, ma non sono bravo a cucinare. E come vedi, ho da fare.” Disse, mostrandogli il libro.
In tutta risposta Gabriele scoppiò a ridere, prese il libro e lo scaraventò nel fango.
“Non dire sciocchezze, i miei racconti sono molto più interessanti di quelle vecchie pagine. E non preoccuparti, non mi arrabbierò se lo bruci, posso cacciarne un altro domani.”
“Preferirei che tu non lo facessi!” Rispose Azraphel seccato, raccogliendo il libro dal fango.
Gabriele lo prese di nuovo per la vita, avvicinandolo a sé.
“Fai il difficile eh? Mi piace. Ormai né animali né donne sono più una sfida, cascano tutti ai miei piedi. Ma tu…” Gli prese il mento, sollevandolo, e portandosi più vicino alle sue labbra. “Sei l’ unico che ancora mi sfugge. Eppure, dovresti sapere che non mi arrendo mai!”
Azrpahel si liberò dalla sua presa, salendo a gran passi le scale.
“Beh sappi che la mia testa non finirà appesa alla parete del tuo salotto, perciò cercati un’altra preda!”
“Oh ma tesoro, non è certo la tua testolina bionda che mi interessa!” Disse maliziosamente Gabriele, avvicinandosi alla porta.
Azraphel gliela chiuse in faccia, sperando di colpirlo dritto in testa.
Lo sentì strillare alle galline, mentre se ne andava.
Solo qualche ora dopo, si decise ad uscire, per fare due passi e andare incontro alla sorella.
Era strano, che non fosse ancora tornata.
Iniziò a preoccuparsi, quando il sole tramontò dietro le colline.
D’improvviso vide arrivare Philippe, spaventato e ferito.
Capì subito che qualcosa di terribile era successo, e salendo in groppa al cavallo, andò alla sua ricerca.
Non le era rimasta che lei al mondo, e non si sarebbe fermato finché non l’avesse trovata.
A lungo cavalcò nella foresta, inoltrandosi sempre di più nell’oscurità e nel silenzio, nemmeno il canto degli uccelli accompagnava più il suo cammino.
La luna stessa, sembrava essersi nascosta dietro le nuvole.
Dopo un lungo cavalcare, giunse di fronte ad un castello avvolto dalla nebbia.
Era molto antico, e le sue alte torri, sembrava arrivassero fino al cielo.
Orridi mostri di pietra, lo seguivano con lo sguardo, immortali guardiani di quel nero castello.
Aveva sentito molte leggende su quel luogo, che si diceva fosse la dimora di una bestia demoniaca.
Ma nonostante la paura, proseguì per il suo cammino.
Se Philippe lo aveva condotto lì, era perché aveva riconosciuto la strada.
Entrò incerto, aprendo l’imponente porta di legno massiccio, e aggirandosi silenziosamente nelle vaste e tetre stanze del palazzo.
Mobili antichi e pregiati, ricoperti di polvere, spesse tende di velluto rosso, quadri strappati e tappeti graffiati, erano l’unica cosa che si trovasse in quelle stanze.
Continuò a camminare, chiamando sottovoce la sorella, con la costante sensazione di essere osservato, seguito, da qualcosa che non era in grado di vedere.
Poi d’improvviso, dalle grandi scale che si aprivano sulla sala da ballo, apparve un uomo.
O qualcosa di molto simile ad un uomo.
Era una figura esile, il cui petto nudo era pallido come la luna che lo illuminava.
Lunghi capelli rossi e selvaggi, gli ricadevano sulle spalle, e sopra di essi, ai due lati della testa, spuntavano due lunga corna nere.
I suoi occhi, dorati come il sole, lo scrutavano severi e profondi.
Un lungo mantello nero copriva parte del suo corpo, ma passo dopo passo, mentre scendeva le alte scale, la luce rivelò le sue zampe di bestia, ricoperte da una folta peluria marrone, ed il rumore dei suoi zoccoli che battevano sul marmo, gli fece gelare il sangue.
“Chi sei tu?” Chiese la bestia, la cui voce era quasi un ruggito.
“I-io chiedo scusa, se sono entrato… Non volevo disturbare.”
“Ho chiesto chi sei! Sei forse sordo, oltreché folle?” Rispose la bestia, avvicinandosi.
“Mi chiamo… Azraphel. Stò cercando mia sorella, si è persa nel bosco…”
“Nessuno si perde nei miei boschi, e giunge a me prima che i lupi si siano saziati con le sue carni.”
“Non l’avete vista dunque?”
“Non è ciò che ho detto. E’ qui la tua cara sorella, solo mi chiedo per quale motivo due stranieri siano giunti a me. Cosa volete? Denaro?  O è il sangue che cercate?”
La bestia era ormai a pochi passi da lui, al punto che il suo respiro gli scaldava il viso, ed il suo odore aspro e pungente gli penetrava nelle narici.
“Voglio solo lei, e poi me ne andrò. Avete la mia parola.”
“Non so’ che farmene della tua parola.”
“Vi prego, signore io..”
La bestia scoppiò a ridere, aprì le braccia, liberandosi del mantello, e lasciò che il suo corpo nudo venisse alla luce.
“Ti sembro forse un signore?” Chiese con una smorfia.
E per un momento, nei suoi occhi Azraphel intravide il profondo dolore che lo consumava.
“Le apparenze, spesso ingannano…”
Lui per un momento, abbassò lo sguardo, perso nei suoi pensieri.
“Si, una vecchia strega mi disse la stessa cosa, anni fa.”
“Vi prego, portatemi da mia sorella, fatemi vedere il suo viso…”
La bestia lo scrutò a lungo, avvicinandosi di più ed ispirando il suo odore.
Azraphel tremava, ma non si mosse.
“Seguimi.” Esclamò a bassa voce, dandogli le spalle e incamminandosi verso un lungo corridoio.
Attraversarono molte stanze, prima di giungere ad una ripida scala, e per tutto il tempo, Azraphel aveva la sensazione di essere osservato, gli sembrò perfino di udire delle voci.
Si chiese se fosse la sua immaginazione, o se qualcun’altro vivesse in quel castello.
Arrivarono di fronte ad una porta, che la bestia aprì.
Al suo interno, trovò Anatema, che piangeva su un grande letto.
“Sorella! Sei viva!” Urlò, correndogli incontro e stringendola tra le braccia.
“Azraphel! Non dovresti essere qui, è troppo pericoloso, c’è un demonio che vive in questo castello…”
“Lo so, è lui che mi ha condotto da te. Ma non temere, ti porterò via.” Disse baciando la sua guancia rigata dalle lacrime.
“No! Scappa finché sei in tempo, non preoccuparti per me, troverò un modo per sopravvivere, lo faccio sempre…”
“Non questa volta.”
“Quanto coraggio, quanta dolcezza!” Esclamò Crowley, disgustato. “Il mio cuore si scioglierebbe di fronte a questa scena, se solo ne avessi uno.”
Azraphel lasciò la sorella, andando incontro al mostro.
“Vi prego, farò qualunque cosa, ma lasciatela andare.”
“Qualunque?”
“Si.”
“Anche diventare il mio schiavo?”
“Si.”
“Anche rinunciare alla tua stessa vita?”
“Si.” Disse, mentre una lacrima scendeva sul suo viso.
La bestia rimase a lungo a fissarlo con i suoi occhi ambrati, scavando dentro i suoi.
“E sia. Una vita per una vita.”
Anatema strinse il fratello, appoggiando il viso alla sua schiena e circondandogli il petto con le braccia.
“Ti prego, non lo fare!” Gli disse tra le lacrime. “Posso farcela, mi inventerò qualcosa e  fuggirò da qui.”
A fatica, Azraphel si staccò dal suo braccio, allontanandola.
“Ho promesso ai nostri genitori che mi sarei preso cura di te, Anatema. Finora non ho fatto molto, avrei dovuto trovarmi un lavoro onesto, come fanno tutti, per poterti dare tutto quello che meritavi. E invece sono stato un egoista, perso com’ero nei miei libri, non mi sono accorto di tutti i pasti che saltavi, dei vestiti che ti rammendavi da sola, delle scarpe rotte ai tuoi piedi.”
“Non mi importano queste cose! Tu hai sempre creduto in me, anche quando nessun altro lo faceva! Mi hai voluto bene, mi hai lasciato libera di essere me stessa, non c’era altro che io volessi.”
Azraphel le asciugò le lacrime con la manica della giacca, e le diede un ultimo bacio sulla fronte.
“Ora và sorellina, e vivi una bella vita. Una grande vita, piena di avventure meravigliose, e innamorati di qualcuno. Se farai questo, il mio sacrificio non sarà stato vano.”
D’improvviso la bestia la strappò dalle sue braccia, spingendola verso la porta.
“Mi state facendo venire la nausea, con questi discorsi inutili. Vattene, prima che cambi idea e decida di tenervi entrambi.”
Anatema rivolse un ultimo sguardo al fratello, prima di correre via.
Azraphel cercò di seguire il rumore dei suoi passi, e rimase a guardare dalla finestra, finché non la vide salire a cavallo, ed inoltrarsi nella foresta.
“Siamo rimasti soli a quanto pare…” Disse malinconicamente.
“Io sono sempre solo…” Sussurrò la bestia.
Dopo qualche minuto, Azraphel si voltò verso di lui.
 “C’è una cosa che vorrei chiedervi…”
“Cosa?”
“Vorrei sapere come devo chiamarvi.”
 “Potresti chiamarmi padrone, tanto per iniziare.”
Azraphel lo fissò a lungo, scavando nei suoi occhi ambrati, e si avvicinò un poco.
“Da questo giorno in poi, per quanto brevi e tristi saranno le nostre vite, le condivideremo.
Io non avrò altro che voi, e voi non avrete altro che me. Sarete l’unica persona che vedrò per il resto della mia vita, l’unica voce che potrò udire. Voglio sapere il vostro vero nome.”
Trascorse un lungo tempo, nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto, in cui schiavo e padrone si persero l’uno negli occhi dell’altro, cercando affannosamente oltre l’apparenza, oltre la maschera, fin dentro l’anima, quel disperato contatto di cui entrambi avevano bisogno.
“Puoi chiamarmi Crowley.” Disse malinconicamente la bestia, voltando lo sguardo verso la finestra.
Solo in quel momento, mentre la luna illuminava il suo viso, Azraphel lo guardò in modo diverso.
Gli occhi profondi volti ad osservare il cielo, quasi a volerlo raggiungere, le labbra sottili corrucciate in uno strano sorriso, i capelli rossi che ricadevano sulle guancie candide, il collo esile e delicato.
Solo in quel momento, si rese conto di quanto affascinante fosse la bestia.
  
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