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Autore: 92Rosaspina    15/11/2019    2 recensioni
"Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas". Così il fisico Edward Lorenz spiegò, in una conferenza del lontano 1979, la Teoria del Caos, secondo cui il minimo cambiamento può significare una storia del tutto diversa. Da un’azione svolta o non svolta, oppure svolta in modo diverso, possono nascere futuri ed eventi imprevedibili.
Contrariamente al pensiero comune, però, Caos non è disordine. Caos è un ordine così complesso da sfuggire ad ogni tentativo di comprensione dell'uomo. Una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile.
E se è vero che il minimo cambiamento può condizionare l'epilogo di una storia, e che la vita è fatta di scelte e ogni scelta ha le sue conseguenze, allora le possibilità diventano infinite.
Tutto però ha un inizio ben definito, una comune origine. Un lounge bar nel mezzo di Nuova Domino. E tutto passa sotto lo sguardo indagatore di un occhio carico di conoscenza.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Atemu, Mana, Seto Kaiba, Yuugi Mouto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Pharaoh's Kingdom 14


12. Drago Stellare Maestoso


Ogni atomo nel tuo corpo viene da una stella che è esplosa. E gli atomi nella tua mano sinistra vengono probabilmente da una stella differente da quella corrispondente alla tua mano destra. È la cosa più poetica che conosco della fisica: tu sei polvere di stelle.
Lawrence Maxwell Krauss




L'articolo riportava, con grande dovizia di particolari, il paranormale evento che aveva visto come sfondo uno dei distretti di Domino City: poco dopo le sei e mezza del mattino, decine di auto in sosta si erano sollevate a decine di metri d'altezza, muovendosi in cerchio su tutto il quartiere. Nessuno era rimasto intrappolato all'interno di un abitacolo, ma lo spettacolo era bastato per congestionare il traffico per almeno un quarto d'ora: tanto era servito, perché le auto ritornassero con le ruote per terra. E questo senza che venissero danneggiate in alcun modo: con la stessa delicatezza con cui si erano sollevate dal suolo, così erano ritornate ai loro parcheggi, come se nulla fosse successo.
Seto Kaiba sorrise, enormemente soddisfatto. Dal suo smartphone, digitò velocemente un breve messaggio.
Il mio turno è concluso.
Lo inviò senza troppi preamboli al numero di telefono di Atem, prima di bloccare lo schermo del dispositivo e tornare a fare colazione. In piedi sul balcone della sua stanza, con la vestaglia sulle spalle e il telefono posato sul tavolino accanto a lui, Seto posò lo sguardo sulla linea dell'orizzonte dipinta dal mare, mentre staccava un piccolo morso dal suo cornetto.
    -    Per quanto ancora andrà avanti questa sfida?-
La sua voce gli fece rizzare il capo, ma non si voltò. Sapeva che era lì, ad osservarlo dall'interno della sua stanza.
    -    Finché non verrà decretato il vincitore- si limitò a risponderle.
    -    Sono cinque anni che state gareggiando per decidere chi, dei due, sia il migliore-
    -    E impiegheremo altrettanti anni, se sarà necessario. O questo, o farà quello che dico io-
    -    Seto...io non potrò tornare indietro, in alcun modo. E tu lo sai-
    -    Questo lo dici tu-
    -    Seto...oh-

Solo allora Seto Kaiba si voltò per osservarla, dopo aver masticato lentamente anche l'ultimo pezzo di cornetto.
La sua stanza, essenziale senza privarsi di eleganza e funzionalità, era vuota: oltre a lui non c'era nessuno, e la prima voce che sentiva era quella della telecronista che annunciava il prossimo servizio al televisore lasciato acceso. Ma la seconda voce, quella che solo lui poteva udire, era calda e vellutata, flebile come una delicata carezza che troppo gli mancava.
Gli ci volle del tempo, prima che i suoi occhi potessero distinguere il profilo evanescente della sua figura. Bella come il più dolce dei ricordi, di fatto intoccabile: visione mistica, quasi angelica, i capelli candidi le circondavano il volto diafano come un velo da sposa, gli occhi blu svettavano come zaffiri incastonati in un gioiello. Vividi, dolci, eppure eternamente tristi.
    -    Non puoi rischiare così tanto. Non potete entrambi- gemette la donna, coprendosi il volto con entrambe le mani – Te lo chiedo ancora, metti fine a questa disputa. Non è necessario. Non rischiate di coinvolgere qualcun altro. Già in due abbiamo pagato per questo-
    -    Kisara...non posso- scosse il capo lui.
    -    Perché?!-
    -    Perché NON LO ACCETTO!-
Il suo fu un autentico grido di dolore. L'immagine di Kisara sembrò tremare tutta, mentre indietreggiava con il volto deformato dalla paura. Seto prese un bel respiro e cercò di darsi un freno.
    -    Quello...quello che è successo...- iniziò lui, lo sguardo basso – Non era previsto. Neanche Atem aveva calcolato un simile rischio. Nessuno dei due prevedeva...questo-
E la indicò con un vago cenno della mano destra, senza tuttavia guardarla.
    -    Atem non ha colpa, e lo sai- mormorò Kisara, scuotendo il capo.
    -    Questo lo dici tu. Lui poteva fare qualcosa per fermare quel...quel pazzo-
    -    Nessuno poteva prevederlo, Seto. Neanche lui. Non è onnisciente come può sembrare-
    -    Non sarà onnisciente, ma tra i due è quello che ha più contatti con quel...quel mondo. E so che può fare qualcosa. So che può sistemare tutto-
    -    Il prezzo da pagare sarebbe troppo alto-
    -    Il prezzo più alto lo abbiamo già pagato. Lui ha ben due vite sulla coscienza e io...io ti ho persa-
    -    Tu non mi hai persa-
Quella che gli sfiorò la mano destra sembrò una folata di vento arrivata da chissà dove: Seto aveva imparato a riconoscerla come una sua carezza, un suo disperato tentativo di raggiungerlo, toccarlo, sentirlo ancora vicino a sé.
    -    Io sono sempre qui con te. Ovunque tu vada- gli mormorò, con un sorriso sul volto.
Seto alzò gli occhi su di lei, cercando di scrutarla in volto, ma tutto ciò che riusciva a vedere erano solo i suoi perforanti occhi blu, immensi nella loro triste dolcezza, e il suo viso quasi confuso tra la luce e la stanza. Provò ad alzare una mano, a raggiungerla, sfiorarle quel volto diafano irrorato di luce: le sue dita afferrarono l'aria nel momento in cui Mokuba fece il suo ingresso nella stanza.
    -    ...Fratellone?!-

La sua voce risuonò lontana, come il richiamo di un pastorello alla ricerca della sua pecorella smarrita. Seto sbatté gli occhi, puntandoli sulla figura del fratellino appena entrato, vestito sempre più elegante ogni giorno che passava. Quella mattina aveva scelto un completo blu scuro, con i profili della giacca bordati in argento, ma era senza cravatta: la reggeva nella mano destra, di lucida seta azzurra.
    -    ...Posso chiederti di darmi una mano con questa?- gli domandò poi, mostrandogliela – Ho provato a fare come hai fatto tu l'altra volta, ma non ci riesco-
    -    ...Prova a mettertela, vediamo dove sbagli-
    -    Okay!-
Si sedette a bordo del letto, mentre osservava Mokuba che, di fronte alla grande anta a specchio dell'armadio, armeggiava sulla sua cravatta, cercando di annodarla: aveva la punta della lingua stretta tra le labbra, in una simpatica smorfia di concentrazione.
    -    Vado bene?- gli domandò, gli occhi fissi sullo specchio.
    -    Sì, Mokuba-
    -    Che hai questa mattina? Sei piuttosto...strano-
    -    Sono solo un po' pensieroso-
    -    Per cosa? Il tuo trucchetto di stamattina è riuscito alla grande! Ne parlano tutti i giornali!-
    -    Non è per quello. Attento a quello che fai, Mokuba. Più giù-
    -    Più...ooooh! Ecco dove sbagliavo allora-
Seto si lasciò sfuggire un sorriso.
    -    Non è per il trucchetto hai detto?- chiese poi il ragazzino – E allora per cosa? C'è qualcos'altro?-
    -    C'è sempre qualcos'altro, Mokuba. Col tempo capirai-
    -    ...Bah. Quanti misteri che fai...solo perché non sono alto come te!-
    -    Non è questione di essere alti, Mokuba! È...oh...-
Seto si passò una mano tra i disciplinati capelli castani e scoppiò a ridere, sconcertato da quella battuta. Mokuba gli aveva sempre fatto notare quanto fosse alto, forse anche troppo per gli standard normali degli uomini della sua età, e in passato, quando il ragazzino chiedeva spiegazioni su argomenti che non avrebbe mai potuto comprendere, Seto gli aveva sempre risposto con un laconico “quando sarai alto come me capirai”. Un modo come un altro per dirgli che era necessario diventasse più grande e più maturo per capire certe cose del mondo dei grandi; ma Mokuba aveva preso quella frase letteralmente sul serio, e ad avvalorare la sua ipotesi c'era il fatto che Seto si fosse alzato di un'altra decina di centimetri almeno.
Ma avrebbe mentito a sé stesso, se non avesse ammesso di adorare quella sua verve ironica e dissacrante. Chissà da chi aveva preso.
    -    Impegni per oggi?- gli chiese il minore – Hai ancora qualche riunione per la linea ferroviaria?-
    -    Indovinato- rispose lui, aggiustandogli il colletto della camicia – Il progetto sembra essere piaciuto molto, ma dobbiamo decidere quali punti andare a toccare. La mia idea era quella di coinvolgere Nuova Domino e zone limitrofe-
    -    ...Anche il Satellite, allora?!-
    -    Anche il Satellite. Potrebbe enormemente facilitare i trasporti commerciali o gli spostamenti in generale. Quell'isola è stata ripulita, e della pattumiera galleggiante che era è rimasta solo la vecchia conduttura. La mia idea è di smantellare quel tubo gigante e costruirci la linea ferroviaria. Più pulita, più sicura e più decente-
    -    Alla gente del Satellite piacerà tantissimo! Non so alle teste coronate di Nuova Domino...-
    -    Non mi importa granché di loro. Il mio intento è di estendere la linea ferroviaria quanto più possibile, per trarne il maggior profitto e la maggiore pubblicità. Quelli di Satellite non mi hanno fatto nulla, non ho motivo per escluderli. E anche se fosse, c'è una cosa al mondo che si chiama business: di fronte a questo, ingoi qualsiasi malumore tu possa avere con qualsiasi gente-
    -    Il business fa parte di quelle cose che capirò solo quando sarò alto come te?-
    -    ...Anche-
    -    Mh! Dev'essere bello! Insomma, capire tutte queste cose e usarle per avere il mondo tra le tue mani-
    -    Non userei proprio quest'espressione, ma sì. Più o meno è così-
    -    Lo sai che sono capace anche io di reggere il mondo tra le mani?-
    -    Ah? Figuriamoci, e come faresti, vediamo un po'?-
Detto, fatto: prima che Seto potesse anche solo pensare di muoversi, Mokuba si avvicinò e gli racchiuse il volto tra le sue mani piccole, lasciandolo interdetto e togliendogli ogni parola.
    -    ...Mokuba, io ho una reputazione- sibilò Seto, dopo qualche attimo di tensione.
   -    Lo so!- rispose lui, allegramente – E sai anche tu che con me non attacca, questa minestrina del “Sono un uomo d'affari tutto d'un pezzo gnegnegne Atem gnegnegne”-
Lo faceva apposta. Seto lo sapeva, lo faceva apposta: ogni volta che lo vedeva imbronciato o serio (più del solito almeno), il suo fratellino si inventava sempre qualche modo per fargli sparire quell'espressione accigliata dal volto e provare a strappargli uno dei suoi rarissimi sorrisi. E doveva ammettere che stava migliorando a vista d'occhio. Incapace di rispondergli in altro modo, Seto allargò le braccia e lasciò che fosse il più piccolo a stringerlo per primo, prima di ricambiare la stretta a sua volta.
Alzò lo sguardo: in un angolo della stanza, Kisara sorrise.




Con Yuma e Kotori nell'altra stanza, a una porta di distanza a separarli, scambiarsi coccole ed effusioni diventava più difficile e rischioso: il problema era rappresentato dall'eccessiva sensibilità di Yuzu, che squittiva (e non usava un termine a caso) anche per un semplice pizzicotto ad un fianco, figurarsi quindi per baci e carezze più audaci. Avrebbe rischiato di risvegliarli in pochi minuti: l'unica soluzione era porsi un freno a tutti i costi e limitarsi, per quanto gli riuscisse.
Nulla però impediva Yuya di serrarla in uno dei suoi forti abbracci spaccaossa, quelli che la facevano svegliare nel cuore della notte e lo scostavano alla ricerca di ossigeno: sapeva di essere davvero invadente quando ci si metteva, per cui non si stupiva se, al risveglio, si ritrovava separato dal corpo di lei. A volte Yuzu restava con il volto verso il soffitto, altre invece la ritrovava addormentata su un fianco, proprio di fronte a lui. Era il momento ideale per osservarla: quando dormiva era ancora più carina e dolce.

Mai avrebbe pensato che il rosa potesse stare così bene sui capelli di una persona. Glieli accarezzò piano, quanto bastava per non farle riaprire gli occhi.
Nella casa regnava il silenzio. Yuya si stropicciò debolmente gli occhi prima di allungarsi verso il comodino e afferrare il suo cellulare: il display gli mostrava l'una meno un quarto. Si svegliavano sempre più tardi, ma considerato tutto il lavoro che avevano ogni sera era prevedibile.
Solo allora si ricordò che quella sera anche Yusei sarebbe stato assente, oltre ad Aki.
La cosa lo fece stupidamente sogghignare. Atem aveva spiegato le ragioni di quella decisione in un breve messaggio nella conversazione, sostenendo che Aki avesse bisogno di recuperare il suo stato mentale dei giorni precedenti: e infatti loro tutti avevano notato un repentino cambiamento nello stato d'animo della ragazza, manifestatosi poi con un'autentica crisi di pianto due sere prima. Ci erano voluti diversi minuti perché si calmasse, perfino Yusei non sapeva che pesci pigliare, e lui sembrava essere quello più consapevole di ciò che stava passando Aki in quei giorni: le sue parole erano state chiare e forti, le aveva promesso di non farla piangere mai più.
Una promessa così importante non si faceva senza una buona motivazione di fondo.
Eppure, nonostante l'evidenza di un piano molto più contorto, Yuya proprio non riusciva a non pensare che, sotto sotto, Atem l'avesse fatto apposta a coordinare i riposi tra quei due. Già la prima serata tra loro sembrava essere andata molto bene, con i due che sembravano aver da raccontarsi tutta la vita passata: il rapporto tra i due sembrava consolidarsi giorno dopo giorno, era davvero interessante osservarli.
Erano una coppietta niente male: lui serio e pensoso, imbronciato, a volte imbronciatissimo come diceva Yugi, e lei carina e gentile, pronta a sfoderare artigli smisurati quando qualcosa non le andava a genio. La sua scenata nei confronti di un cliente era stata memorabile.
Era successo tutto il sabato sera scorso, quando Aki sembrava già essere più rabbuiata del solito: c'era tanta gente, e le ordinazioni si susseguivano a ritmo esponenziale. Quando uno dei ragazzi del tavolo da cui stava raccogliendo le ordinazioni aveva azzardato una palpata al suo sedere, Yuya aveva avuto l'impressione di vedere Aki gonfiare il pelo, letteralmente, prima di sferrare una potente zampata o, nel suo caso, uno schiaffo che aveva fatto girare sulla sedia il burlone. Aveva esaurito gli improperi da utilizzare, e avrebbe potuto continuare per minuti se non fosse stato per l'entrata in scena di Atem che, notata la situazione e il gesto, aveva cordialmente invitato i signori ad alzare i tacchi e andarsene senza neanche prendere la consumazione. “Non si allungano le mani sulle donne, nel mio locale” aveva detto, con un tono che avrebbe fatto gelare il sangue ad uno Yeti.

Sarebbe stata una coppietta davvero interessante da vedere in azione. Per il momento, Yuya si era fatto bastare la soddisfazione di vedere quel tardone di Judai mettere finalmente in moto il cervello: grazie all'ossigeno, tanto per riprendere una delle esclamazioni preferite di Yusei, quel ragazzo aveva finalmente fatto chiarezza sui sentimenti provati per Alexis, e la ragazza aveva accolto quella confessione a braccia aperte. Indubbiamente non aspettava altro, ma gli riusciva semplice immaginare cosa avesse provato in quel momento.
Tra lui e Yuzu era stato più o meno lo stesso. Ed era davvero felice di come le cose fossero andate.

Le fece dono di un bacio sulla fronte: Yuzu si mosse impercettibilmente ma non si svegliò. Allora scostò il lenzuolo che aveva usato per coprirsi, e mise piede a terra, restando qualche secondo a fissare il vuoto, seduto sul bordo del letto.
C'era davvero tanto silenzio nella casa. Stavano ancora tutti dormendo, probabilmente. Si stropicciò ancora gli occhi e si mise in piedi.
Le fitte partirono dal basso: le piante vennero colpite simultaneamente in più punti, facendolo boccheggiare dal dolore e sbilanciare prima in avanti, poi indietro. Crollò seduto di schianto sul materasso, rimbalzando un paio di volte; Yuzu mugugnò qualcosa ma non si mosse né si svegliò. Incredulo, con il torpore del sonno scemato improvvisamente, Yuya alzò un piede e se lo osservò per bene, alla ricerca della fonte di tanto dolore tutto insieme.
    -    Ma-ma porco tutto il mondo! YUMA! Questa è opera TUA!-
Solo allora si accorse che qualcuno sveglio, in quella casa, c'era: Yuma e Kotori stavano cercando di soffocare le loro risate, dietro la porta, senza successo. Il giovane dai capelli verdi sbuffò adirato, si rimise in piedi e mosse ampi passi verso la porta.
L'avesse mai fatto. Il dolore divenne allucinante ed insostenibile, e Yuya si lasciò sfuggire un grido mentre spalancava la porta e cadeva con un ginocchio a terra. Dietro di essa, Yuma e Kotori si scostarono di scatto, mentre il ragazzo, nudo eccetto per i suoi coloratissimi boxer, si era rovesciato sulla schiena, lamentandosi.
    -    Solo tu puoi andare in giro con quei boxer osceni, Yu!- esclamò Yuma, piegato in due dalle risate. Yuya lo squadrò torvo dal basso.
    -    Cos'hai contro i miei boxer, tu?!- sbottò poi, amareggiato.
    -    Sono osceni, ecco cos'ho!-
    -    Sono di Adventure Time!-
    -    E sono osceni lo stesso!-
    -    Si può sapere cosa mi hai fatto?!- sbraitò il ragazzo, tornando ad osservarsi i piedi – Ma...ma sono MATTONCINI LEGO?!-
    -    Sai come si dice Yuya? Chi la fa l'aspetti!-
E senza dire altro, Yuma gli fece atterrare sul petto nudo lo stesso tubetto di supercolla da lui adoperato il giorno prima. Yuya lo osservò per bene, poi si riguardò i piedi, infine fece due più due e, con un urlo che sembrava un ruggito, si rimise in piedi pronto a balzare addosso a Yuma; il dolore provato, però, distorse l'urlo in un alto gemito di dolore corredato da un'imprecazione. Tuttavia nulla gli impedì di lanciarsi addosso al compagno e trascinarlo con sé sul divano letto, imprecando in tutti i modi che conosceva e coinvolgendolo una specie di lotta greco-romana molto rumorosa.
    -    Io come diavolo faccio a lavorare con 'sta roba ai piedi, dannazione!- sbraitò il ragazzo dai capelli verdi e rossi, paonazzo.
    -    Come io ieri ho lavorato con quell'altoparlante DI MERDA appiccicato alla faccia, IDIOTA!- sbottò Yuma per tutta risposta, cercando di difendersi.
    -    E poi con quale sentimento sprechi dei preziosissimi mattoncini della LEGO?! Mostro senza cuore!-
Il suono di uno scatto fotografico li fece voltare tutti e tre.
Yuzu si era risvegliata in seguito al grande trambusto, e attirata dai forti rumori si era diretta in salotto, vestita con la maglietta di Yuya dei Bad Religion, quella rossa dove le due suore si scambiavano un bacio saffico, e si era ritrovata la scena apocalittica di Kotori seduta a terra che non riusciva a smettere di ridere, e Yuma e Yuya avvinghiati tra loro sul divano letto, il secondo con le piante dei piedi ricoperte di rettangolini rossi, gialli e blu. Senza pensarci troppo sopra aveva alzato il suo smartphone e aveva immortalato i due compagni in uno scatto decisamente equivoco, con Yuya coperto solo dai suoi coloratissimi boxer, incuneato tra le gambe di Yuma, che almeno indossava ancora una maglietta.
Le ci volle qualche secondo di troppo per capire che il suo fidanzato era sceso di corsa dal divano letto e si stava dirigendo verso di lei a grandi passi doloranti.
    -    Vieni qui!- esclamò, paonazzo – VIENI QUI! DAMMI QUEL CELLULARE, PICCOLAAAAAHIA!-
Yuzu urlò quando il compagno si schiantò a terra, impossibilitato a camminare. Ormai senza respiro, Yuma si abbandonò disteso sul materasso, scosso dalle risate.
La giornata era cominciata sotto i migliori auspici...



    -    Ogni vagone dovrà avere a disposizione una cassetta per il pronto soccorso e l'accesso facilitato per persone con handicap fisici. Rampe, sedili speciali, qualsiasi cosa possa facilitare loro la salita e la discesa-
L'immagine del prototipo venne ingrandita a tutto schermo sul grosso LCD al plasma, mostrando il disegno in vettoriale del vagone di un treno agganciato alla sua locomotiva: disegnata quasi dovesse tagliare il vento, le linee sinuose favorivano la sua aerodinamicità e riducevano quanto più possibile la resistenza aerodinamica, favorendone la velocità sui lunghi tratti. I canonici colori ormai simbolo della Kaiba Corporation, il bianco e il blu, erano usati rispettivamente per la carrozzeria e per le rifiniture, mentre il logo dell'azienda svettava in lucente argento.
Ho bisogno di buone finiture interne. Niente che possa deteriorarsi col tempo o rovinarsi con atti vandalici-
    -    Questo potrebbe richiedere un po' di tempo- ragionò Ishizu, accarezzandosi una ciocca scura mentre prendeva appunti sul suo tablet – Un materiale a prova di tagli, bruciature e inchiostri di qualsiasi tipo, quindi?-
    -    Esattamente. A costo di inventarne uno da zero-
    -    Capisco. Ci sono alcune aziende che producono materiali simili: ottima resistenza a trazione, calore, facili da pulire dagli addetti-
    -    Le contatti. Analizzi le loro condizioni di vendita e stringa accordi con la più vantaggiosa-
    -    Sarà fatto. Per quanto riguarda invece l'estensione della linea?-
    -    Tutta Nuova Domino e zone limitrofe. Compreso il Satellite-
Ishizu alzò gli occhi sul CEO della Kaiba Corporation, la penna digitale sospesa a pochi centimetri dallo schermo del tablet. Incuriosito dal suo silenzio, Seto Kaiba si voltò ad osservarla, senza battere ciglio.
    -    Ho sentito bene?- domandò poi Ishizu, incerta – Anche il Satellite?-
    -    Crede possano esserci problemi, da parte della gente del Satellite?-
    -    Da parte loro no sicuramente. Ho più pensiero per le...come le aveva definite l'altra volta? Le teste coronate di Nuova Domino. Qualcuno potrebbe non essere daccordo-
    -    Quello che pensa la gente non è affar mio. Voglio che la linea ferroviaria si estenda anche al Satellite e così sarà-
    -    Ishizu annuì e riprese a scrivere febbrilmente sul tablet.
Seto Kaiba aveva parlato. E quando parlava, c'era davvero da mettersi l'animo in pace e attendere: qualsiasi cosa fosse nei suoi desideri, fosse stata la più assurda o improbabile, non solo veniva realizzata a regola d'arte, ma si rivelava anche un successo, un veicolo di attrazione per la massa con lo stesso potere di un alveare su un grosso orso. Quel giovane Re Mida trasformava ogni sua iniziativa in realtà, portando nuova ricchezza alle casseforti già piene della società, e sembrava non esistere un freno per quel ragazzo cresciuto troppo in fretta. In quella sala conferenze, dove erano solo in tre a discutere degli ultimi dettagli della linea ferroviaria (due, magari, non sapeva se Mokuba contasse...), il CEO aveva preso le decisioni più importanti della sua carriera, veri e propri azzardi che si erano rivelati i più grandi successi.
Qualunque cosa decidesse, sembrava che gli astri si allineassero per piegare il destino a suo favore.
In quella sala conferenze sospesa a centinaia di metri dal suolo, a quell'ovale tavolo a cui sedevano i suoi più fidati collaboratori, Seto Kaiba aveva annunciato l'inizio dei lavori per la sua linea ferroviaria targata Kaiba Corporation. Azione lodata da tutti, ma ora che si parlava seriamente di estenderla anche al Satellite, Ishizu sapeva che le cose avrebbero potuto complicarsi.
Le famiglie più benestanti di Nuova Domino erano le stesse che, fino a pochi anni prima, usavano l'isola come pattumiera galleggiante, sfruttando le condutture per scaricare rifiuti e liquami e richiedendo maggiore sorveglianza per impedire che la “feccia” le usasse per scappare. La creazione del ponte Daedalus aveva suscitato malcontenti e opposizioni, e la futura notizia della creazione di una linea di trasporto veloce da e per il Satellite non avrebbe fatto altro che aggiungere benzina all'incendio.
E questo, Seto Kaiba lo sapeva. Ma non gli importava granché.

****

Poche volte era capitato che Aki entrasse in profonda crisi per il suo abbigliamento, e questa era una di quelle rare occasioni. Sbuffando costernata si spogliò per quella che era ormai la quindicesima volta, sedendosi a bordo letto e passandosi le mani sul volto, esausta: rischiava di ritardare all'appuntamento e tutto perché non sapeva vestirsi, e si diede subito della stupida al pensiero di restarsene seduta sul letto in contemplazione invece di darsi una mossa e decidere quale abbinamento usare. Si stropicciò gli occhi, sbuffando ancora una volta.
Ecco, quello poteva essere definito un appuntamento in piena regola: lei e Yusei, uscire insieme e da soli, lontani dal Pharaoh's Kingdom. O meglio, lontani solo per un po': il piano iniziale era quello di fermarsi al locale per prendere qualcosa e fare un rapido saluto, per poi partire insieme alla scoperta della Nuova Domino di notte, fino ad arrampicarsi sulle colline a vedere le stelle.
Davvero molto romantico se ci ripensava, ma considerando che Yusei era un aspirante astronomo doveva anche aspettarselo, forse: chissà quante volte si era già goduto quello spettacolo in solitaria...o magari in dolce compagnia...
Strinse i pugni e si mise di buona volontà a cercare un abbinamento che la soddisfacesse, togliendosi dalla testa le smielate immagini di Yusei con qualche svitata gallina da spennare. Più facile a dirsi che a farsi, e subito lo sconforto si impadronì ancora di lei: chissà cosa si aspettava, quello là...su che standard viaggiava? Cosa si aspettava da una ragazza?
Poi scosse il capo. Era già decollata per voli pindarici senza neanche ragionare: Yusei non aveva mai manifestato chiaramente dell'interesse nei suoi confronti...non in quel senso almeno. Ed era vero, la stava aiutando ogni giorno, l'aveva letteralmente strappata dalle grinfie della sua famiglia due giorni prima...ma queste erano cose che si facevano più che volentieri tra amici, no?
Devo darmi una calmata. Allora, cosa aveva detto? Vestirmi comoda, giusto.
Pantaloni, maglietta e stivaletti. E giacca, che sulla moto poteva fare freddo. Più comoda di così non sapeva davvero cosa inventarsi. Diede un'occhiata all'orologio, e si sbrigò ad indossare gli abiti scelti: doveva fare presto.
E quando il suo telefono squillò, proprio non riuscì a trattenere un'imprecazione. Lo afferrò con un gesto stizzito, e imprecò ancora una volta quando lesse il nome sul display. Fece scorrere velocemente il dito prima di portare il ricevitore all'orecchio.
    -    Mamma?- soffiò nella cornetta – Tutto bene?-
    -    Tesoro, sì! Come stai? Non ti ho sentita per tutta la giornata ieri...-
Non che avessi tanta voglia di parlare...
    -    Sto bene, grazie. Mi sto preparando per uscire-
    -    Ah davvero? Son contenta! Dove vai di bello?-
Avesse potuto si sarebbe presa a calci da sola. Aki si morse l'interno della guancia, riflettendo quanto più velocemente le riuscì.

Dire a sua madre che usciva con quel BRUTO che l'aveva portata via alla festa, aveva rischiato di far saltare un fidanzamento e sembrava aver perfino soggiornato nelle comode celle della Struttura non era la mossa più intelligente da fare, soprattutto con quegli eventi successi a distanza così breve. Allo stesso modo non era molto carino mentirle, ma almeno poteva guadagnare tempo.
    -    Ad un locale- buttò lì poi – Con delle mie amiche-
    -    Allora sei davvero riuscita a fare amicizia! Sono davvero contenta!-
Sono capace di relazionarmi con gli altri mamma, ma grazie della fiducia.
    -    Mamma, perdonami, ma se non c'è niente di importante da dirmi dovrei chiudere, sono in ritardo...-
    -    Tuo padre è davvero furioso con te, Aki-
Eccolo lì, il reale motivo della telefonata. Aki chiuse gli occhi e si buttò a sedere sul materasso, stringendosi l'attaccatura del naso con pollice e indice della mano sinistra. Fantastico, ora anche sua madre piazzava il carico.
    -    Tuo padre è davvero furioso perché hai mancato di rispetto a tua zia e tuo cugino-
    -    Ah, io ho mancato di rispetto a loro?!- sbuffò Aki, roteando gli occhi nelle orbite – E loro allora? Che mi hanno dato della poco di buono che vende il suo didietro nei locali?!-
    -    Ti ricordo che hai scelto tu questa via, Aki...-
    -    Esatto, l'ho scelta io! E non vedo quale sia il problema!-
    -    Che non è un mestiere--
   -    Oh per favore non provarci neanche a propinarmi la minestrina sciacquata del “non è un mestiere per una giovane nobile come te!”! Non voglio averci niente a che fare con la nobiltà se devo diventare come zia Sakue o quello svitato del figlio!-
    -    Aki, ma lo sai come sono!-
    -    Appunto perché lo so! E dovrei lasciarmi ugualmente offendere gratuitamente?!-
    -    Aki, tesoro, capisco come ti senti--
    -    No che capisci-
    -    Sì invece. E credimi, vorrei davvero che le cose fossero diverse ma sai che non possiamo permettercelo. Tuo padre soffre molto la tua mancanza, Aki-
    -    Mh, e quindi? Vorrebbe che tornassi a casa?!-
    -    La nostra porta è sempre aperta, lo sai-
    -    E mai più la varcherò. Neanche quel cretinazzo di Suketsune dovesse sposarsi domani, neanche oggi stesso!-
    -    AKI! Oh buon cielo...-
    -    Lascia stare il cielo. Dovevi dirmi solo questo?-
    -    Tesoro...davvero, sai quanto ci tengo a te, e quanto amo tuo padre e quanto vorrei che la nostra famiglia tornasse quella di prima...ma sai che non è possibile-
    -    Già, lo so. Se me ne sono andata è anche per questo-
    -    ...Dimmi, tesoro: quel ragazzo...quello che ti è venuto a prendere l'altro giorno...è davvero un tuo collega?-
    -    Sì-
    -    Ed è davvero stato nella Struttura?-
    -    Per una serie di sfortunate circostanze, sì-
    -    Oh. Capisco. Mi dispiace, non sembra una cattiva persona-
    -    Non lo è-
    -    Io mi fido di te, Aki, e lo sai. Ma spero davvero che tu non ci deluda-
    -    Non lo farò-
    -    Vai pure, tesoro-
    -    Ciao-
Con un secco gesto, Aki chiuse la conversazione e lasciò il telefono sul letto, restando ad osservare ancora il vuoto. Si lasciò sfuggire un sospiro stanco.

Sapeva che sarebbe finita così. Non aveva mai goduto di troppa fiducia da parte del padre, che la considerava troppo poco responsabile per tante mansioni, e quel suo improvviso atto di ribellione non aveva fatto altro che peggiorare le cose. E la sua uscita di scena dalla festa di fidanzamento aveva portato ulteriori problemi. Non ce l'aveva con Yusei perché aveva fatto quasi irruzione nel giardino, certo...ma non poteva negare che quella sua iniziativa avesse guastato i rapporti già precari tra lei e la sua famiglia.
La figlia di un senatore lavorava come cameriera e frequentava un ex galeotto. I cravattoni dell'alta società avrebbero avuto di che parlare...e la cosa peggiore era che a lei non importava nulla.
Era la sua famiglia quella al centro dei pettegolezzi, certo...ma si sentiva fuori da quel mondo da molto tempo ormai.
Il telefono squillò ancora. Non lo prese in mano, semplicemente si voltò a guardarlo.
Il cuore le fece un tuffo degno di un atleta olimpico. Afferrò il cellulare e rispose alla chiamata, il cuore che aveva aumentato le pulsazioni.
    -    Yusei!- esclamò – Perdonami! Il tempo di recuperare la giacca e la borsa e scendo!-
    -    Ehi ehi, tranquilla!- ridacchiò Yusei, dall'altra parte – Non scappo da nessuna parte! Non farmi un capitombolo dalle scale per scendere di corsa eh! Prenditi il tempo che serve per finire di prepararti!-
Non sembrava infastidito dal ritardo. Meglio così, si disse Aki, sorridendo sollevata. Forse era abituato...magari Judai era un ritardatario cronico. Oppure le ragazze che frequentava in passato erano ancora più ritardatarie...chissà com'erano, le sue vecchie conquiste. Magari tutte giovani e carine? Forse tutte studentesse? Lo vedeva bene a fare la punta alle universitarie, aveva tutte le carte in regola per piacere a giovani ragazze: un segno dorato in faccia che poteva indicarlo come probabile bad boy, e solo il cielo sapeva quanto le femmine adorassero i ragazzi che si atteggiavano da stronzi, per non parlare delle cicatrici! Sicuramente era un tipo duro...e la moto? Davvero bella tra l'altro? E se tutto questo non fosse bastato c'erano i due occhi più belli che avesse mai visto e un corpo che...cielo, che corpo...
Sono un'idiota.
Aki scosse il capo e si infilò gli stivaletti in corsa, mentre recuperava smartphone, giacca e borsetta.


Aveva perso un po' di tempo prima di partire: con i precedenti lavoretti fatti alla moto si era dimenticato di fissare meglio una delle trombe del clacson, e ci aveva messo velocemente mano per evitare di perdere quel componente per strada. Aveva ritardato qualche minuto giusto per salutare Judai: il ragazzo si era affacciato in cucina mentre lui si concedeva il suo solito bicchiere di latte, e aveva i capelli castani tutti arruffati e un'espressione così beata da sembrare quasi stupida.
Non poteva negare di essere contento e sollevato per come le cose erano andate, tra lui e Alexis: il suo compagno sembrava aver aperto gli occhi giusto in tempo per accorgersi dell'inevitabile e, fatta chiarezza nel suo cervello, aveva capito come stavano davvero le cose tra lui e lei. Sicuramente anche quella notte passata insieme aveva influito molto, ma per Yusei non era stata altro che la conferma dell'ovvio: Judai nutriva un profondo affetto per Alexis, e anche lui aveva accarezzato l'idea di stare insieme di fatto, ma qualcosa l'aveva frenato fino a quel momento, quando aveva accolto il suo desiderio.
Era contento di come le cose si erano evolute tra loro.
Ci aveva ripensato mentre usciva dal garage, e durante tutto il tragitto per arrivare fino a casa di Aki. Era davvero contento di come le cose si erano sistemate per entrambi.

Lasciò il telefono nella tasca interna della giacca, tirando di nuovo su la zip e chinandosi sul casco appoggiato al serbatoio della moto, restando in attesa.
Il palazzo dove viveva Aki non era esattamente recente, ma la sua facciata ben si amalgamava con quella delle costruzioni più innovative; a sentire la rossa, però, neanche gli interni erano tutto questo granché. Aki aveva infatti messo in conto un po' di spese da fare per sistemare l'appartamentino, e non si trattava solo di rinnovare l'arredamento ma anche di chiamare qualcuno a sistemare l'impianto elettrico che stava saltando troppo spesso: si era inizialmente tirata indietro quando Yusei le aveva proposto di sistemarglielo a zero spese, salvo poi accettare l'aiuto.
Aki sembrava davvero estranea all'idea di essere trattata con gentilezza. E conoscendo i fantastici esemplari della sua famiglia non gli riusciva difficile capire il perché.
Sorrise quando la vide uscire velocemente dal portone: notò con piacere che l'aveva ascoltato quando le aveva suggerito di vestirsi comoda. E come riuscisse ad essere così carina anche abbigliata in maniera così semplice restava un mistero, per lui: pur ammettendo che la base di partenza non era affatto male, quella ragazza pareva avere un fascino tutto suo. O forse era quel bel seno stretto sotto la maglietta grigia? Yusei era indeciso.
    -    Eccomi!- esclamò Aki, con un gran sorriso – Scusami, ho dovuto prima rispondere ad una telefonata urgente...-
    -    Niente di grave spero- buttò lì Yusei, lasciando la moto sul cavalletto e smontando rapidamente.
    -    Mah, se per te una madre che ti ripete quanto il tuo comportamento abbia deluso la famiglia non è niente di grave...-
Non perse il sorriso, ma le sembrò molto più tirato di prima. Yusei si diede dello stupido per aver tirato di nuovo in ballo l'argomento, e si ripromise di non parlarne più.
    -    Aaaah, figuriamoci. Cos' hanno detto? “Chi è quel bruto sfregiato che ha sputato sentenze in casa nostra?” e roba del genere?-
    -    Ebbe l'insperabile risultato di riuscire a farla ridere. Yusei rimase ad osservarla chiudere gli occhi e reclinare il capo, le spalle scosse dalle sue risate.
Pensare che esisteva qualcuno in grado di farla piangere...Yusei strinse i pugni: il pensiero gli creò un nervoso mai provato prima.

Perché?


    -    Dai, non pensiamoci- pronunciò poi, togliendosi con agile mossa lo zaino dalle spalle, aprendolo e porgendole il casco da indossare – Ho in mente un bel piano per oggi!-
    -    Davvero? Sentiamo un po'...- rispose Aki, infilando la borsa nello zaino.
   -    Giro sul lungomare, ci fermiamo a vedere il sole che comincia a tramontare e a respirare un po' di iodio; passiamo al Pharaoh's, ci prendiamo qualcosa, restiamo un po' e quando si fa abbastanza buio ripartiamo e andiamo a goderci Nuova Domino di notte, fino a vedere le stelle-
    -    Sembra divertente!-
    -    Lo sarà! Metti il casco e monta su, non dimenticarti dello zaino!-
Aki sorrise ampiamente e annuì.



Divertente lo fu davvero, e questo nonostante la poca esperienza che Aki aveva come passeggera.
A furia di portare Judai sul sellino come una zavorra, Yusei si era rapidamente abituato all'idea di avere una persona in sella con sé. In passato era una cosa che cercava di evitare quanto più possibile: non solo perché la comodità sulle moto che aveva posseduto era ridotta all'osso per il pilota, figurarsi per il passeggero, ma soprattutto perché proprio non riusciva a sopportare la presenza di una persona che poteva mettere a dura prova l'equilibrio della moto con movimenti bruschi e inappropriati. E poi c'era che preferiva guidare da solo, con i suoi tempi e i suoi metodi, senza dover avere il pensiero costante di una persona di cui tenere conto; e doveva anche considerare il fatto che, ad ogni frenata leggermente più brusca, o al contraccolpo di un'accelerazione improvvisa, quello dietro andava a cozzare con la mentoniera del casco contro la sua nuca, e a lungo andare risultava davvero fastidioso.
Per Aki sentiva di poter fare tranquillamente un'eccezione.
Che poi, se proprio doveva dirla tutta, non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo.
L'idea del giro in moto insieme era stata un pensiero che gli era balenato in testa con l'irruenza di un flash fotografico, troppo veloce perfino per riprenderlo, portarlo dietro e ragionarci sopra. Gliel'aveva chiesto di getto, a bordo della piscina del Pharaoh's, convinto che lei avrebbe rifiutato l'offerta.
Quando aveva accettato si era sentito il cuore frullargli in maniera mai sentita prima, una sensazione al quale non sapeva dare un nome.

Il cielo solo sapeva per quale motivo si fosse affezionato così tanto a quella ragazza. Qualcosa di lei l'aveva colpito, inevitabilmente: forse la sua natura schiva e gentile, la stessa che nascondeva quell'animo introverso al limite del rabbioso, o forse era perché trovava ingiusto che una ragazza con tale iniziativa fosse osteggiata da una famiglia così complicata. Potevano essere anche mille i motivi, ma indubbiamente quella giovane l'aveva colpito, più di quanto volesse ammettere a sé stesso.
Si era guadagnato la sua fiducia col tempo: Aki era sembrata piuttosto turbata dal loro primo, rocambolesco approccio al Pharaoh's Kingdom. Non aveva mai valutato l'idea di mostrarsi coperto solo da un grembiule come tattica di seduzione, ma qualcosa in quell'assurda situazione sembrava averli sensibilmente avvicinati. Ragionandoci sopra, Yusei era arrivato alla conclusione che entrambi possedevano un carattere molto simile: schivo, serio, rispettoso degli altri finché quello stesso rispetto non veniva loro negato per il più astruso dei motivi. Aki ci metteva un po' di femminile innocenza e incolpevole ignoranza, la stessa che l'aveva fatta crescere senza conoscere come sbrigare le faccende di casa più semplici, ma l'assicella era stabile su quel livello.

E c'era anche da tenere presente che, a differenza di altri, non aveva mai chiesto nulla riguardo alle sue cicatrici e al suo segno sul volto, preferendo un discreto silenzio ad una scomoda ficcanasaggine. Aveva poi raccontato di persona del suo soggiorno alla Struttura, e contrariamente a quello che si aspettava Aki non ne era rimasta spaventata, né turbata in alcun modo: non le aveva chiesto il perché, ma si era già fatto una sua idea.
Allo stesso modo sapeva che la ragazza aveva notato tutte le sue cicatrici: quelle numerose sulle braccia, e quei tre colpi al ventre che, non fosse stato per il tempestivo intervento di Jack Atlas, lo avrebbero lasciato agonizzante sull'asfalto del Satellite. Aveva sicuramente capito che quelle erano ombre di ferite da arma da taglio, in fondo era un aspirante medico; ma allo stesso modo di cui non gli aveva chiesto nulla sul segno dorato, così Aki non aveva domandato nulla a riguardo di esse.
Sapeva che le importava qualcosa, sapeva che la incuriosivano, eppure lei rispettava il suo silenzio a riguardo e attendeva che fosse lui a parlargliene.
La cosa lo destabilizzava da una parte e lo inteneriva dall'altra.
E aveva scoperto che ad intenerirlo erano soprattutto i suoi improvvisi silenzi mentre le parlava: restava ad ascoltarlo, rapita dalla sua voce come un serpente verso il flauto di un incantatore, gli occhi persi in chissà quale fantasticheria. E aveva letto quell'espressione negli occhi di fin troppe ragazze per non sapere cosa le passava per la testa, in quei momenti. La differenza era che Aki fosse molto più riservata e timida al riguardo, e quando veniva riscossa da quei pensieri non poteva fare altro che scuotere il capo e sbattere gli occhi con quell'aria innocente che aveva imparato ad apprezzare. La prima volta che si erano ritrovati in piscina, sulla terrazza del Pharaoh's Kingdom, ci era mancato poco che le scoppiasse a ridere in faccia: la rossa era ammutolita, alla sua vista, e la sua punta d'orgoglio tipicamente maschile l'aveva fatto sorridere divertito, salvo poi cercare disperatamente un punto, del suo corpo, dove poter posare lo sguardo con una certa sicurezza. Il punto era che ovunque la guardasse nulla sembrava salvarlo: gli occhi nocciola che lo osservavano con quel loro misto di curiosità e impressione, le belle labbra che apparivano morbide già solo a guardarle, i capelli rosso-violacei e il collo candido da cardellino...e per chissà quale grazia divina era riuscito a non soffermarsi troppo su quel seno florido, ma distogliere lo sguardo era stato davvero difficile. Alla fine si era accontentato di posare gli occhi sulla saltellante figura di quel cretino di Judai: mai sua comparsa era stata più provvidenziale.
Il tuffo in piscina era stato d'obbligo, se non altro per raffreddare certi spiriti bollenti.

Gli ci era voluto poco per capire che, involontariamente, si era ritrovato in una situazione molto vicina a quella di Judai con Alexis: con una ragazza, tra i piedi, che presentava il perfetto connubio tra testa e bellezza. La differenza era che lui non aveva nulla da rifletterci sopra: il rapporto che c'era tra il suo amico e la bella biondina era fuori da ogni metro di paragone. Aki era appena entrata nella sua vita, e sì, ne era attratto, ma doveva ancora capire in quale misura.

Per il momento si accontentava di sentirsela vicina mentre scorrazzavano in moto.

Già alla terza uscita sembrava avere molta più familiarità, e sapeva che le cose non avrebbero fatto altro che migliorare: Aki gli si era stretta addosso con molta più confidenza e sicurezza, e aveva assecondato tutti i suoi movimenti lungo la strada, trovandosi a ben presto a passeggiare a velocità sostenuta per il lungomare. Yusei alzò la visiera, Aki lo imitò e si voltò in direzione indicata dal pilota, spalancando gli occhi e sorridendo estasiata.
Di fronte a lei, Aki riusciva a distinguere la spiaggia dorata e gli ombrelloni colorati, le persone in acqua e quelle ancora comodamente sdraiate a prendere il sole: un caos di voci, risate e musica che si alzava dagli stabilimenti, coperto dal borbottare della Bimota: ma il vero spettacolo ce l'aveva di fronte. Il sole cominciava a scendere, e aveva dipinto le nuvole di incandescenti riflessi dorati, tramutandosi in una gigantesca sfera di fuoco che si apprestava a sprofondare nell'oceano. Il mare stesso stava rubando i raggi solari e li stava usando per incoronare d'oro le lievi increspature sulla sua superficie. Aki non poté fare altro che godersi quello spettacolo mentre Yusei faceva avanzare la moto, con il suo solito fare sicuro.
Per qualche motivo, gli si strinse addosso ancora di più.


****


    -    Ho paura, cosa sto vedendo?!- gemette Yusei, allibito, le braccia aperte e il casco nella sinistra.
Concluso il loro giro panoramico sul lungomare, Yusei e Aki si erano fermati al Pharaoh's Kingdom, come pattuito. Con il sole che si abbassava sempre più, e l'orario di apertura che si avvicinava, avevano posteggiato la moto nel parcheggio dei dipendenti ed erano scesi in sala, con l'intento di prendersi qualcosa prima di ricominciare la loro passeggiata; ma tutto si sarebbero aspettati tranne un comitato di benvenuto come quello.
Atem e Yugi erano già presenti, come prevedibile: dei due, il primo si stava preparando un Martini, apparentemente ignaro di tutto quello che stava succedendo, e il secondo era appena risalito dai camerini con un paio di pinze in metallo nelle mani. Suddette pinze avevano attirato lo sguardo di Yuya che, fatto sdraiare su una poltroncina, prese a dimenarsi con tanta energia che Judai non fu più capace di trattenerlo e fu necessario l'intervento congiunto di Yuzu e Kotori. Il castano aveva quindi alzato le gambe del bartender, aiutato da Yugi, mettendogli bene in mostra i piedi ricoperti di strani rettangolini rossi, gialli e blu.
    -    Qualsiasi cosa tu abbia in mente di fare ti prego NON FARLA!- gridò Yuya, gli occhi spiritati dal terrore, a Yuma che aveva preso le pinze in consegna.
   -    Oooh, ma tranquillo collega!- gli rispose l'altro, con un tono che lo rendeva tutto fuorché tranquillo - Sarà una cosa molto rapida! Non posso assicurarti che sia completamente indolore, ma posso fare del mio meglio!-
    -    Il tuo meglio è il mio pegAHIAAAAA!!! MA SEI MATTO O COSA?!-

Aki sobbalzò a sentire quell'urlo di dolore misto a rabbia: aveva osservato impotente Yuma che aveva avvicinato le pinze ad uno dei rettangolini e l'aveva tirato via con un ghigno divertito. Assolutamente poco divertito sembrava essere Yuya, che aveva cominciato a snocciolare tutto il suo repertorio di insulti mentre Yugi e Judai se la ridevano come matti, cercando di tenergli ferme le gambe.
Atem terminò di preparare il suo Martini, e si voltò ad osservare i due motociclisti prima di prenderne un sorso. Yusei e Aki raggiunsero il bancone proprio mentre Yuya scagliava il secondo urlo della serata.
    -    Esattamente cosa stanno facendo quelle due bestie?!- domandò Yusei, attonito. Atem scrollò le spalle.
   -    Da quello che ho capito, stanno regolando i conti con degli scherzi- gli rispose poi, facendo roteare lievemente il drink nel bicchiere – Ciao Aki. Volete che vi prepari qualcosa?-
    -    Per me no grazie, sto guidando-

    -    Oh? Siete in moto? Tu vuoi il tuo solito, Aki?-
    -    Sì, stiamo facendo un giro insieme. Grazie, se possibile sì- rispose Aki.
    -    Un giro insieme eh? Mmmh...-

Quando Yuya urlò per la terza volta, gli occhi ametista di Atem scoccarono una lunga occhiata prima a Yusei, e poi alla rossa. Aki deglutì, torcendosi le mani incerta.
Quello sguardo...sembrava quasi che li stesse leggendo dentro, scrutando nel cuore. E forse dovette trovare quello che cercava, perché poi sorrise loro enigmatico e prese a preparare l'analcolico, con Yuya che strillava e imprecava di sottofondo e gli altri che ridevano.
    -    Mi raccomando, andate piano- disse loro, sorridendogli.
    -    Contaci, capo. Ehi, cosa intendevi prima con “stanno regolando i conti con degli scherzi”?- domandò Yusei, per tutta risposta.
    -    Quello che ho detto. Hai presente l'altoparlante di ieri?-
    -    Sì, e?-
    -    Beh, pare sia stato uno scherzetto di Yuya, e Yuma non ha fatto tardare la sua risposta-
    -    ...Mi sembra crudele...insomma, i LEGO sotto i piedi...non lo farei neanche al mio peggior nemico-
    -    Perché?- domandò Aki, innocente – Che hanno di strano?-
    -    Ti è mai finito un LEGO sotto i piedi, Aki?-
    -    ...No...-
    -    Come no? Quando ci giocavi?-
    -    ...Mai giocato con i LEGO-
    -    Oh diavolo. È...è più complicato di quanto pensassi...okay, ti farò vedere anche quelli. Nel frattempo sappi che se ne pesti uno ti fai davvero male-
    -    Immagino che incollati alle piante dei piedi siano ancora peggio-
La risata di Yusei coprì momentaneamente l'ennesimo, ultimo urlo di Yuya. Il giovane bartender con gli occhialetti aveva i lucciconi agli occhi, tanta era stata la sofferenza, ma le sue piante dei piedi erano finalmente libere da quegli infidi mattoncini e poteva muoverli tranquillamente.
    -    Mai, mai, MAI!- esclamò Yuya, una volta liberato dalla presa dei compagni – Se questo è il dolore di un parto, io non farò MAI figli!-
    -    Ma che diavolo dici!- sbottò Yuzu, sferrandogli un buffetto sulla testa – A confronto di un parto, quello che hai passato è nulla! È molto peggio!-
    -    Altro motivo per non fare MAI figli!-
    -    Guarda che non devi partorire tu!-
    -    Ah no? E dovresti partorire TU?! A saperti che attraversi un dolore forte dieci volte più di questo io MUOIO!-
    -    Yuya...ooooh!-

Incapace di rispondere, Yuzu scoppiò a ridere tenendosi la pancia mentre il compagno si rimetteva in piedi con molta lentezza, valutando se fosse tutto intero o meno. Fu Yuma il primo ad avvicinarglisi, porgendogli la mano.
    -    Pari patta e pace?- gli propose, con un sorriso da lestofante: sembrava che strappargli mattoncini LEGO dai piedi l'avesse davvero divertito...
Yuya lo fissò con sguardo truce. Sembrò quasi pensarci sopra per un po', indeciso su quale soluzione adottare, prima di muovere un passo, afferrare il volto del compagno e schiaffargli un bacio a bocca aperta.
Lo scoppio d'ilarità fu generale, perfino Atem si concesse una risata nel vedere Yuma dimenare gambe e braccia come in un fumetto comico. Yuya si separò da lui con un grugnito, lasciandolo ruzzolare a terra e pulendosi la bocca con il dorso della mano sinistra.
    -    ADESSO possiamo dire pari patta e pace!- esclamò il ragazzo – I miei poveri piedi, che male!-
Aki si ritrovò a doversi asciugare le lacrime mentre Atem le porgeva il suo analcolico.
Decisamente il gruppo di amici più strano al mondo.


****


Una volta tornati in sella, Aki capì per quale motivo a Yusei piaceva prendere la moto di notte. L'aria era sensibilmente più fresca, la giacca le stava tornando molto utile, ma la visiera chiara che durante il giorno le aveva dato qualche problema si stava rivelando perfetta per osservare le mille luci di Nuova Domino.
Contro il cielo scuro della notte, insegne, lampioni, cartelloni pubblicitari e grattacieli sembravano immersi in una luce propria. In movimento sulla superstrada, ad una buona velocità sulla corsia di sorpasso, Yusei guidava la sua moto in un giro panoramico intorno ai distretti di Nuova Domino, lasciandola godere dello spettacolo offerto dal dedalo di luci che illuminava la città, trasformandone i ponti sospesi sul canale in sentieri di luce.
Quando poi si erano allontanati dalla superstrada, e si erano immersi nella sfera luminosa del centro di Nuova Domino, lo spettacolo era diventato ancora più vivo. Traffico a parte, sempre presente con l'avvicinarsi del fine settimana, si erano concessi un secondo giro sul lungomare, ad osservare gli stabilimenti animati dalla movida notturna e a guardare il mare vestito di nero e argento.
Non aveva mai allentato la stretta al suo corpo.
Potevano entrambi abituarsi a quella sensazione.

Erano infine usciti dalla città: qui Yusei si era arrampicato su stradine e curvoni in salita, illuminati di tanto in tanto da qualche lampione ma, di fatto, la strada era principalmente rischiarata dal faro allo xeno della Bimota. Aki gli si era stretta ancora di più addosso, quasi impaurita da quell'improvviso buio e silenzio, come se volesse fondersi con lui.
L'aveva lasciato solo quando si erano fermati al punto panoramico preferito da Yusei. In cima alla collina, lontani da tutto e tutti, una piccola area di sosta li mise di fronte al panorama di cartolina di Nuova Domino e delle sue mille luci. Scesa dalla moto ed avvicinatasi al parapetto, Aki rimase a guardare meravigliata la sua città da un'angolazione molto diversa da quella che conosceva.
    -    E quello cos'è?- domandò a Yusei, una volta che anche lui le fu vicino. Il ragazzo seguì la direzione indicata dal suo indice destro: Aki puntava una gigantesca costruzione che sormontava un ponte che, estendendosi sul mare, collegava Nuova Domino ad una città molto ben conosciuta a lui.
    -    Quello è il monumento eretto per simboleggiare l'unione tra il Satellite e Nuova Domino- le spiegò, indicando i due bracci sospesi che si univano in un anello dorato – E quello sotto è il ponte Daedalus-
    -    Non l'ho mai attraversato-
    -    Non c'è ragione di farlo, se non devi entrare nel Satellite. La vedi la conduttura?-
    -    ...Eccola lì! Ehi, è vicinissima al ponte!-
    -    Già. Se ho capito bene, vogliono rimpiazzarla col binario di un treno veloce. Più elegante, senza dubbio-
    -    E quell'isola laggiù è il Satellite?-
Aki accennò all'agglomerato di luci che, in lontananza, illuminava l'intera isola che aveva fatto da casa a Yusei.
    -    Proprio quella- annuì lui – Ora le cose sono molto cambiate, è più visibile; in passato era talmente satura di rifiuti, smog e inquinamento da essere circondata da una foschia che la rendeva invisibile a questa distanza. Ora è stata ripulita e resa più vivibile-
    -    ...Ti manca?-
    -    ...No. No, troppi ricordi, credo. Non mi spiacerebbe rivisitarla, un giorno, per scoprire cosa è cambiato e cosa no...ma sto bene così-

Aki annuì debolmente col capo, sorridendogli dolce.
Quando poi sentì le sue mani sulle spalle il cuore le fece un tuffo dalle parti dello stomaco, e prese a battere con tanta violenza che temette lui potesse sentirlo. Yusei la fece dolcemente voltare e le indicò il cielo.
    -    E qui c'è il vero spettacolo! Guarda come si vede bene il Dragone!-
Tutto quello che poté fare fu semplicemente restare a bocca aperta, di fronte a quell'immensa tavolozza nera punteggiata d'argento. La luna piena sembrava illuminare tutta la collina a giorno, striando strade e alberi di merlettature argentate. E in quel mare oscuro, in mezzo a quei scintillanti punti di luce, Aki contò rapidamente le stelle più luminose ed evidenti: due, tre, cinque, dieci, quattordici in tutto, disposte in una lunga, sinuosa coda.
    -    Quella più a sinistra è Eltanin- le indicò Yusei – Una stella gigante arancione. Accanto c'è Rastaban, la terza stella più luminosa della costellazione. Viene dall'arabo Al Ras al Thu'ban, che vuol dire “la testa di serpente”-
    -    La seconda più luminosa? È quella lì?-
    -    Quella, esatto, Al Dhibain Prior. Viene anche questo dall'arabo e significa “due lupi”. E l'ultima più luminosa è Delta Draconis. Lì, invece, quasi alla fine della coda, c'è Thuban. È il nome arabo che veniva dato per questa costellazione, vuol dire “il basilisco”. Intorno al 2700 avanti Cristo è stata la stella polare nord. Intorno ci sono i due Carri, li vedi?-
    -    ...Eccoli! L'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore!-
    -    Già. Ora sai cosa vengo a fare quando riposo e non ho voglia di vedere quei brutti musi dei miei colleghi-
Aki scoppiò a ridere, gli occhi ancora puntati su quelle stesse stelle che Yusei aveva imparato ad amare. Si sentì sollevato al vederla divertirsi, meno a disagio.
    -    Uno spettacolo- mormorò la ragazza, avvicinandoglisi impercettibilmente. Lei lo vide sorridere e annuire, gli occhi blu puntati al cielo.
    -    La mia tappa fissa- le spiegò – Vengo quassù, spengo la moto, mi appoggio al parapetto e resto a guardare le stelle. A volte ci passo le ore e non me ne accorgo-
    -    Non ti facevo così romantico-
Yusei si lasciò sfuggire una risatina.
    -    Un ex carcerato che prepara intrugli alcolici e scorrazza in giro su un cavallo d'acciaio non è esattamente quello che si definirebbe “romantico”- le rispose poi, con un'alzata di spalle.
    -    Magari lo sei davvero, nel tuo profondo-
Yusei scosse le spalle e si voltò verso di lei, gli occhi scintillanti quasi le avessero rubate, quelle stelle che stavano in cielo.
    -    Forse. Chi lo sa- disse poi.
    -    Non avresti avuto motivo di portarmi fin quassù-

Yusei scosse il capo, sorrise e tornò ad osservare le stelle senza dire una parola.
Era vero, perché l'aveva portata fin là sopra? Era il suo luogo speciale quello, il suo rifugio personale, neanche Judai ne era a conoscenza, non ce l'aveva mai portato. Si rifiutava di pensare di averla portata fin là sopra perché, sotto sotto, un po' romantico lo era davvero e quasi aspettava che fosse lei a fare il primo passo.
Rischiava di fare la stessa fine di Judai e il peggio era che lo sapeva. Cosa doveva aspettarsi, che gli saltasse al collo e si lanciasse in una smielata dichiarazione d'amore come in quelle commediucce romantiche che lui e il suo collega si divertivano a sbeffeggiare?
Il fatto che gli avesse poggiato la testa sul braccio sinistro bastava e avanzava.

Si sentiva in imbarazzo. Tremendamente, come mai gli era capitato prima. E si odiò per qualche secondo, e si diede dello stupido, e maledisse il momento in cui aveva deciso di portarla fin lassù perché non aveva la più pallida idea di che cosa fare adesso.
Per un attimo la osservò, con la coda dell'occhio, mentre continuava a tenergli la testa indolentemente appoggiata al braccio. Osservava la volta celeste con un sorriso sul volto, e gli occhi nocciola rivolti verso un punto indefinito sembravano brillarle.
    -    Grazie per questa serata- gli disse poi, in un flebile sussurro – Sono stata davvero bene-
Escitene con qualche battuta sugli occhi e sulle stelle e potrai avere una scusa per andare a ucciderti male.
    -    Anche se hai preso freddo per i tre quarti abbondanti della serata?-
Aki scoppiò a ridere, e si separò da lui per piegarsi sulla pancia, di nuovo. E Yusei sorrise sollevato tra sé, resistendo al primo impulso di sparare qualche romanticheria diabolica che non era proprio da lui. Poi la sentì aggrapparsi alla sua spalla, alzarsi sulle punte e scoccargli un bacio sulla guancia, di quelli così forti da potergli dare una consistenza, quasi toccarli.
A posto. Poteva mandare tutto al diavolo, l'archivista del cervello, il cricetino sulla ruota, la sanità mentale, il mondo, anche il paradiso che tanto non se lo meritava.
E adesso? Che poteva fare?
Che doveva fare?
Restò ancora qualche attimo a guardare le stelle, poi le passò un braccio intorno alle spalle.

Silenzio, tra di loro. Solo qualche isolato frinire di animaletti in mezzo agli alberi, e i lontani rumori della città.
Nessuna parola tra di loro.
Non servivano d'altronde.


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Della serie, chi non muore si rivede.
Non ricordo quando è stato l'ultimo aggiornamento di questa storia...forse quest'estate, o poco prima. Beh, in ogni caso mi mancava troppo e ho deciso di ridarle ancora spazio!
Non starò a tediarvi troppo sui motivi del mio ennesimo ritardo, credo in realtà già sappiate che ho una storia originale in cantiere che mi assorbe in tutto e per tutto. Conto di pubblicarla sul sito, ma non troppo presto, voglio studiarmela molto bene. Ci tengo, ecco.
Ma avevo voglia anche io di rileggermi qualche scanzonata avventura di questi mitici duellanti nelle improbabili vesti di bartenders!

Fatemi sapere se vi è piaciuto, se avete qualche domanda, o dubbio, o anche solo per imprecarmi dietro per il ritardo xD

Ci si rilegge presto! (spero)

92Rosaspina
   
 
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