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Autore: Mary P_Stark    19/11/2019    2 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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4.
 
 
 
 
 
Seduto alla sua scrivania, Joshua si lasciò andare contro lo schienale della poltrona e, cellulare alla mano, domandò a Keath – all’altro capo del telefono – con tono stanco: «Allora, che mi sai dire del suo retroterra?»

«E’ come mi ha raccontato lei. Anzi, in qualche modo, è pure peggio» ammise Keath, poggiato contro una delle colonne del locale dove lavorava quella sera. La musica doveva ancora iniziare, perché sul palco c’era stato un cambio di band, perciò ne aveva approfittato per chiamare il suo Fenrir.

Dopo aver abbandonato il loft di Joshua, aveva fatto qualche indagine preliminare in merito a ciò che gli aveva detto Elizabeth, trovando conferma a tutto, oltre a qualche chicca che avrebbe preferito evitare di sapere.

«Da quel che ho scoperto in queste ore, Mollie e Devon Marshall – che poi sono i suoi genitori – abitano a Crawley, a sud di Londra e, a quanto pare, il caro signor Marshall sta pensando di andarsene dall’Inghilterra per intraprendere una carriera solista niente meno che a Melbourne, in Australia.»

Facendo tanto d’occhi, Joshua esalò: «Come, prego?»

«Ficcanasando nella sua e-mail privata, ho notato un interscambio molto fitto tra lui e la sede centrale della ditta per cui lavora – un data center di qualche genere – che, per l’appunto, gli avrebbe proposto un incarico oltreoceano, molto remunerativo e assai più stimolante di ciò che sta facendo ora. Parole loro, non mie» spiegò Keath, osservando i tecnici mentre sistemavano la nuova batteria per la band successiva.

A quanto pareva, i piatti della batteria non ne volevano sapere di stare al loro posto.

«E Mrs Marshall?»

«Questa è la chicca… e credo farebbe morir dal ridere tutti, se non fosse che è una tragedia per quella ragazza. Si sta vedendo con un convinto pacifista di religione buddista che, credo, non abbia neppure un acchiappamosche in casa» dichiarò Keath, con un ghigno sul volto ombroso. «Questa tizia è addestrata a massacrare lupi… e si mette con un pacifista? Joshua, sono io che sto diventando vecchio, o il mondo va al contrario?»

Joshua si passò una mano sul volto e borbottò: «Preferisco non rispondere. Comunque… hai capito cosa vogliono farne della figlia? Dopotutto, sta terminando l’università e, ben presto, non avrà più impegni fissi qui a Londra.»

«Suo padre sta già istituendo un fondo fiduciario per lei, così che gli studi e le spese vive vengano coperti dal suo nuovo appannaggio. Immagino che questo lo farà sentire meno… spregevole» gli spiegò Keath, sbuffando schifato. «Quanto alla madre, non saprei. Nelle telefonate che ho intercettato, non parlava mai di lei, il che potrebbe già essere di per sé una risposta. Per questo, parlavo di tragedia. Nessuno di quei due mentecatti ha mai una parola per quella ragazza, come se non esistesse nelle loro vite.»

«A riprova del fatto che al peggio non c’è mai fine, quando si parla di genitori.»

«Già… pensavo che il mio fosse stato uno stronzo, a lasciare mia madre ma, alla fine, è stato solo onesto. Questi due, invece, fingono per convenzione e finiscono per ignorarla bellamente» brontolò Keath, chiaramente disturbato dalla cosa.

«Non posso che darti ragione. Comunque, grazie, Keath. In poche ore, hai già fatto moltissimo» dichiarò Joshua, lasciandosi andare a un sospiro. «Con due genitori del genere, fa specie che sia cresciuta sana di mente.»

«Si è adattata alle avversità. E’ una sopravvissuta, e dimostra una resilienza davvero rara» dichiarò Keath, mentre i membri della band salivano sul palco.

«Ti piace, eh?» chiosò Joshua.

«Riconosco a pelle i tipi tosti. Una me la sono sposata» rise Freki, prima di aggiungere: «Ti lascio, prima che cominci il casino. Devo rimettere i tappi per le orecchie.»

«A presto, Keath» disse Jo, chiudendo la chiamata.

Gretchen poggiò la rivista che stava leggendo per sorridere al marito e, nell’avvicinarsi a lui, disse: «Non ha avuto la tua fortuna, quanto a famiglia. O la mia.»

«No. I suoi genitori non vinceranno mai il premio dell’anno per la loro amorevolezza, questo è poco ma sicuro, ma ciò mi fa capire i motivi della sua forza» dichiarò Joshua, prendendola sulle ginocchia per poi affondare il viso nei suoi riccioli castani. «Pensa soltanto a quanti dubbi, a quante paure devono esserle sorti nella mente quando ha scoperto la verità su Tyler? E quanto coraggio deve esserle servito per venire qui, oggi, per affrontarci tutti.»

«Ti piace, eh?» mormorò Gretchen, ripetendo la domanda che lui aveva fatto a Keath.

Sorridendo un poco, lui assentì e disse: «Si ritroverà di fatto senza un appoggio familiare, non appena entrerà a far parte del branco di Cecily, perché dubito che la madre si interesserà a lei, una volta terminata l’università. O forse, anche prima. Quanto al padre, il suo unico interesse sembrano essere i soldi, perciò neppure lui si interesserà a lei sul piano umano, visto che sarà all’altro capo del mondo. Sarà sola, tolta la presenza di Tyler al suo fianco.»

«Vorresti essere tu, il suo appoggio familiare?» gli domandò a quel punto lei.

«Ti darebbe fastidio? Dopotutto, non la conosciamo per niente, ma…» tentennò Fenrir di Londra.

«Anche tu hai le tue sensazioni a pelle e, di solito, non sbagliano» ironizzò Gretchen, sfiorandosi il ventre piatto.

Pur avendo provato per anni, ed essersi rivolta ai dottori del Santuario, Gretchen non era mai riuscita ad avere un figlio da Joshua così, molto semplicemente, aveva rinunciato a tentare.

Trovare un orfano che facesse anche parte del mondo dei licantropi, poi, era ancora più difficile – e preferibilmente non auspicabile – perciò, alla fine, si erano adeguati a rimanere da soli.

Non che quella solitudine forzata pesasse loro, ma Gretchen aveva tanto desiderato dare un figlio al suo Joshua. Ma forse, laddove la natura aveva fallito, avrebbe giocato il Fato.

«Gliene parlerò più avanti. Ha già sopportato abbastanza, per oggi, e domani riceverà una terapia d’urto che sfiancherebbe chiunque. Non voglio sobbarcarla anche di questo dubbio» dichiarò lui, dandole un bacio nel mezzo della schiena.

«C’è tempo, e non è detto che le serva, avere una presenza genitoriale. Mi sembra già una ragazza molto coraggiosa, matura e assennata» sorrise lei.

«Sicuramente. Come ho detto, c’è tempo per parlarne più avanti.»

Senza dire altro, Joshua la prese a cavalcioni su di sé e la baciò con intensità, fondendo la propria aura a quella di Gretchen fino a smarrirsi in lei.

Eventi come quello non riempivano di dubbi solo gli umani, ma anche lui. Era sempre sgomento di fronte a simili perversità, e non capiva come dei genitori potessero infischiarsene a quel modo della figlia.

A ogni buon conto, Elizabeth aveva trovato in Tyler una spalla a cui aggrapparsi e, se ne avesse avuto la necessità, anche loro si sarebbero coalizzati per aiutarla.
 
***

Il bosco era splendido, ricco di vegetazione antica, che parlava di genti passate e venute, di occhi silenti su un mondo in continuo mutamento, mai uguale a se stesso, impermanente.

I sentieri tracciati dagli animali erano a malapena visibili, ma i licantropi che accompagnavano Elizabeth ne coglievano le variazioni con un semplice sguardo. Lei si sarebbe sicuramente persa, se si fosse trovata da sola in quell’immensità dalle tinte fosche ma, paradossalmente, con loro si sentiva al sicuro.

Un solo anno addietro, avrebbe gridato di rabbia nell’attaccarli senza pietà, ma ora riconosceva soltanto le pecche della sua educazione e le limitazioni del mondo in cui era vissuta fino a poco tempo prima.

Sorridendo quando due uccellini si involarono allegri sopra le loro teste, Beth inspirò con piacere il profumo ambrato del bosco e, nel volgersi a mezzo, sorrise a Tyler. Appariva a suo agio, in quel luogo, e i suoi passi erano sicuri e leggeri, nonostante non stesse affatto guardando il sottobosco.

I suoi occhi erano tutti per lei, e questo confortò ulteriormente Elizabeth. Con lui, si sarebbe avventurata anche all’inferno, se necessario.

«Sei stanca? Siamo quasi arrivati, non temere» mormorò lui, prendendola per mano.

Lei scosse il capo, tornò a guardarsi intorno piena di ammirazione e replicò: «No, sto bene. Qui è tutto splendido, e la frescura del bosco è davvero piacevole.»

«In giornate come queste, è il luogo ideale in cui ripararsi» chiosò Joshua, a poca distanza da loro, prima di aggiungere: «Ecco… se guardi laggiù, puoi già vedere la radura del Vigrond.»

Beth assentì e, acuendo lo sguardo, intravide tra gli alti fusti degli alberi un punto più luminoso, in cui il sole riusciva a vincere la sua battaglia contro le fronde rigogliose del bosco.

Dal momento in cui Joshua le fece notare la presenza della radura, occorse davvero poco per raggiungere il Luogo di Potere dei licantropi e lì, senza parole, Beth si bloccò in quieta ammirazione.

La radura in cui erano infine giunti – dopo aver lasciato i propri mezzi dinanzi a una magnifica villa in stile Regency – aveva come punto focale un’enorme quercia dalle fronde a ombrello.

Il suo tronco nodoso e scuro avrebbe potuto essere abbracciato da non meno di dieci uomini e i suoi rami raggrinziti, ricchi di foglie color smeraldo, danzavano leggeri al passaggio della brezza.

Piena di meraviglia, la giovane mormorò: «Quanti anni ha?»

Gretchen, al suo fianco, disse: «All’incirca quattrocento. Anno più, anno meno.»

Elizabeth annuì impressionata e, scrutando i pali di sostegno sistemati sotto i rami più grossi, domandò: «Chi se ne prende cura, visto che è nel bel mezzo di un bosco?»

«Questo parco è interamente privato. Appartiene alla mia famiglia da molte generazioni, perciò ce ne siamo sempre fatti carico noi» le spiegò Colton Andrews, che si era presentato a lei come il sesto duca di Walford, oltre che proprietario della splendida villa in cui, da lì a qualche ora, avrebbero cenato.

Non aveva ben chiaro per quale motivo, ma sapere che un Pari del Regno era anche un licantropo, l’aveva fatta sbellicare dalle risate. In gran segreto, ovviamente, ma era successo.

Trovava assurdo che un lupo potesse pranzare con la regina, o bazzicare tra i meandri di Buckingham Palace come se fosse casa sua.

Cancellando quei pensieri ridicoli quando i licantropi presenti si azzittirono di colpo e, timorosi, si volsero in direzione di un punto preciso del bosco, Elizabeth corse a sua volta con lo sguardo verso quella direzione.

Dubbiosa, poi, sussurrò a Tyler: «Che succede?»

«A quanto pare, Fenrir ha espresso il desiderio di conoscerti di persona» gracchiò lui, un tantino pallido.

«Fenrir? Quale? Cecily e Joshua sono qui» sottolineò la giovane, assai confusa.

«Non quei Fenrir. L’unico, vero Fenrir, quello da cui tutti gli altri prendono il titolo onorifico» precisò Tyler, crollando in ginocchio l’attimo successivo. «Merda… sta arrivando in forma animale

Uno dopo l’altro, i licantropi si inginocchiarono pieni di rispetto ed Elizabeth, non sapendo che altro fare, si unì a loro, domandandosi il perché di tanto ossequio.

In fondo, il vero Fenrir non poteva essere lì, no? Doveva essere anche quello un titolo onorifico di qualche genere. Magari era un capoclan più importante degli altri. Inoltre, le avevano detto che lady Fenrir era una donna, perciò perché parlare al maschile?

Quando, però, iniziò a scorgere le fronde degli alberi muoversi in modo innaturale, quasi una mano gigantesca le spostasse con delicatezza per farsi spazio, iniziò a tremare.

La pelle le si informicolò e i capelli le si rizzarono sulla nuca, come in presenza di una corrente a bassa frequenza, o dell’arrivo di un fulmine a ciel sereno.

Fu a quel punto che un muso enorme spuntò lattiginoso dal fondo della boscaglia, corredato da un corpo niveo fuori misura e del tutto innaturale.

Elizabeth si lasciò andare a un ansito ben poco coraggioso e le mani le affondarono nell’erba, preda di un panico più che genuino. Già sul punto di fuggire a gambe levate, si bloccò solo quando notò la totale calma dei lupi al suo fianco che, pur rispettosi, non temevano il nuovo arrivato.

Questi, nel frattempo, uscì completamente allo scoperto, mostrandosi in tutti i suoi tre metri abbondanti al garrese. Mentre, alle spalle del gigantesco lupo niveo, gli alberi tornavano alla loro posizione originale, la creatura mitologica si accomodò sulle zampe posteriori e disse stentorea: «Questa sì che è davvero una novità, in tanti secoli!»

«Ma parla?!» si lasciò sfuggire Elizabeth, attirando così l’attenzione del lupo enorme e bellissimo che era giunto nella radura.

Perché, per quanto fosse terrorizzata dalla sua presenza, non poteva che trovarlo magnifico, nella sua selvaggia bellezza. Il suo manto risplendeva come cristalli di neve ghiacciata baciata dal sole e, a ogni suo movimento anche minimo, questo riluceva al pari di un prisma.

Tyler si arrischiò ad alzarsi e, ossequioso, disse: «E’ un onore per me incontrarti, Padre della Razza. Lascia che ti presenti Elizabeth Marshall, colei di cui ti hanno sicuramente parlato.»

Il lupo tossicchiò una risata e replicò: «Brianna dice che non ti ha mai visto così impacciato come oggi, e io sono concorde con lei. Lascia che parli da sola, cucciolo. Voglio sentire la sua voce.»

Tyler assentì rapido imbarazzato ed Elizabeth, non potendo che obbedire, avanzò di qualche passo e mormorò: «Beh, ecco… salve.»

«Tu sai chi sono?» domandò l’enorme lupo con la sua voce tonante.

«O il parto della mia mente andata ormai a ramengo, oppure… Fenrir… quel Fenrir della leggenda che, tra le altre cose, dovrebbe avere il pelo nero, non bianco» sottolineò Elizabeth, mordendosi il labbro inferiore.

Come diavolo si doveva parlare a una divinità?! Perché non l’avevano avvertita in qualche modo riguardo al bon ton da tenere con quella sottospecie di mito in forma animale?!

«Augurati di non vedermi mai, con il pelo nero» le raccomandò il lupo, squadrandola con i suoi occhi bicolori. «Quindi, cucciola, sei una Cacciatrice. I miei figli mi hanno detto che hai risparmiato il mio cucciolo, pur sapendo chi era.»

«Vi spiace se lo considero mio? Sì, Tyler, intendo» sottolineò lei, deglutendo a fatica.

«Sei suo, mio cucciolo?» domandò allora Fenrir, con tono vagamente ironico.

«Se così la vogliamo vedere… sì» scrollò le spalle Tyler, trovando quella situazione davvero paradossale.

«Allora ti è concesso, cucciola» acconsentì con tono ampolloso Fenrir, quasi trovasse tutta quella faccenda assai divertente.

Ciò detto, venne avvolto da uno scintillio dorato e, sotto gli occhi sgomenti di Elizabeth, prese forma umana dinanzi ai presenti.

Caracollando all’indietro, la giovane venne afferrata gentilmente a un braccio da un uomo alto, corvino e dai profondi occhi di pece che aveva ora innanzi.

Egli indossava una tunica bianca, dalla fattura indefinibile e fuori dal tempo, ed era dotato di una bellezza che travalicava la natura stessa. Era chiaro; quell’uomo non era come gli altri. Poteva soltanto essere un dio.

«Faccio sempre questo effetto, la prima volta che mi vedono» sorrise bonario Fenrir. «Solo mia moglie cercò di ammazzarmi… con scarsi risultati, ovviamente.»

«Brianna si sta divertendo, là dentro?» domandò Cecily, rialzandosi al pari degli altri e scrutando la divinità con un misto tra rispetto e divertimento.

«Adeguatamente. Le piace, quando faccio un po’ lo spaccone» ammise Fenrir, lasciando andare Elizabeth quando fu certo che non sarebbe svenuta.

Ciò detto, si rivolse alla giovane e le disse: «Immagino che tu non abbia compreso la frase della nostra Cecily perciò, se mi vorrai onorare, ti spiegherò ciò che avvenne agli albori della razza dei miei figli, così che il mistero venga sciolto.»

«Come saprò che non mi stai mentendo?» gli domandò lei, turbata dalla sua presenza.

«Mio padre è dio d’inganno. A lui solo va questo dubbio potere. Ma, giustamente, questo potrebbe non bastarti, lo immagino.»

Elizabeth strinse le mani a pugno, se le portò al petto e mormorò: «Ce la sto mettendo tutta, ma è difficile

Cauto, Fenrir assentì e, nel rivolgersi alla quercia, domandò: «Madre… puoi fare qualcosa per lei?»

La quercia, allora, prese a risplendere leggermente e, sorpresa, la giovane esalò: «Ma… sta brillando!»

Sorridendole comprensivo, Fenrir le disse: «Prova a dire una palese bugia.»

«Sono tranquilla come un bambino che dorme» ironizzò lei.

Subito, la quercia brillò di un rosso cupo e inquietante e Cecily, divertita, celiò: «Beh, pare ti abbia dato semaforo rosso!»

«Vorrei anche vedere…» esalò la giovane, facendosi vento con una mano. Quella situazione stava diventando sempre più assurda a ogni attimo che passava.

«Ora lo farò io. Dimmi come si comporta» le spiegò lui, rimanendo incatenato con lo sguardo a quello di Elizabeth. «Ho i capelli neri.»

La quercia rimase impassibile, e questo gli riferì la giovane così Fenrir, con un mezzo sorriso, aggiunse: «Ho un bellissimo carattere.»

La pianta si colorò di un allegro color arancione e Beth, confusa, esalò: «Perché adesso è diventata arancione?»

Fenrir sbirciò divertito e chiosò: «Madre… da te non me l’aspettavo… sii onesta.»

Il colore rimase tale e Fenrir, facendo spallucce, asserì: «Beh, a quanto pare, mi reputa un po’ difficile. Proviamo con un’altra. Il mio manto è rosso.»

La quercia, a quel punto, si fece purpurea ed Elizabeth, sorridendo un poco più tranquilla, dichiarò: «Ora non è d’accordo.»

«Bene. Più equilibrata e paritaria di Madre, non esiste nessuna entità. E’ Lei che governa ogni cosa, perciò…» dichiarò lui, invitandola ad accomodarsi sull’erba. «Ne avremo per un po’. Da dove vuoi che cominci?»
 
***

Sbadigliando sonoramente, Cecily borbottò: «Giuro che, se gli fa ancora una domanda, me la mangio. Scusa, mio cucciolo, ma ormai sono stanca morta.»

Tyler sorrise nervosamente alla sua Fenrir, ma comprese perfettamente il perché del suo nervosismo. Erano bloccati nella radura del Vigrond da ormai sei ore e, durante tutto quel tempo, Fenrir ed Elizabeth avevano parlato tra loro a bassa voce, intervallando domande e risposte con alcuni esempi pratici.

Pur se interessato a sua volta alla storia – nessuno di loro la conosceva per intero e, di sicuro, non con l’accuratezza di Fenrir – persino Tyler aveva iniziato a sbadigliare, dopo la terza ora di colloquio.

Elizabeth, al contrario, era al tempo stesso affascinata e inorridita dai vari aspetti della vita dei licantropi e, in non poche occasioni, aveva chiesto spiegazioni in merito a talune scelte logistiche.

Sdraiato sull’erba al pari degli altri – un paio di licantropi avevano preso forma animale e ora stavano crogiolandosi all’ombra della quercia – Joshua lanciò un’occhiata divertita a Tyler e dichiarò: «E’ questo che succede quando ti metti insieme a una giornalista.»

«Grazie, Fenrir… sei di conforto» brontolò Tyler, prima di vedere Elizabeth rialzarsi da terra, stiracchiarsi dolente e ringraziare Fenrir con un sorriso.

La divinità si levò in piedi a sua volta, per nulla disturbato dall’essere stato seduto a gambe intrecciate per ore e ore e, nello stringere entrambe le mani di Beth, scintillò e lasciò che Brianna riprendesse il controllo del proprio corpo.

La giovane sobbalzò solo leggermente – ormai messa al corrente della rarità della condizione di Fenrir e Brianna – e, nell’incrociare gli occhi ambrati di lady Fenrir per la prima volta, mormorò: «Scusa se ti abbiamo costretto a rimanere là dentro per così tanto tempo.»

«Non importa. Avevi necessità di conoscere molte cose, soprattutto in considerazione di quanto ti hanno detto i tuoi maestri, perciò era giusto che chiedessi al diretto interessato» replicò Brianna, scostandosi poi da Elizabeth per raggiungere la quercia.

Sorridendo, le si poggiò contro e mormorò: «Grazie per il tuo supporto, Madre. Ci sei stata di immenso aiuto.»

Ho fatto ben poco, e sentire Fenrir chiedere un favore fa sempre piacere.

Brianna sorrise piena di ironia nello scostarsi dalla pianta e, dentro di sé, chiosò: “A quanto pare, anche Madre si è divertita.”

Quando hai a che fare con una donna, cosa puoi aspettarti di diverso?

“Beh ma… Madre non è esattamente una donna.”

E’ un’entità di natura femminile, anche se non ha una natura fisica specifica e può assumere varie forme in base alla necessità.

“Uhm… quindi non è il mitico frassino della leggenda?” domandò Brianna.

Vuoi veramente disquisire di questo, Brie? L’hai vista, a Niflhemir. Erano radici, quelle che trattenevano i detenuti, no?

“Sì, ma può parlare attraverso le rocce, come ben sappiamo grazie ai nostri amici americani, perciò…”

Perciò, a seconda delle necessità, muta forma ma, primariamente, Yggdrasil è una pianta. Non nel genere puro del termine, ma ha radici, rami e chioma, per intenderci.

Brianna ci pensò sopra un attimo, ma preferì non indagare oltre.

Non solo a Elizabeth potevano venire mal di testa feroci a causa della verità, e Brie non conosceva ancora molti dei misteri legati a Madre, pur avendo a che fare con Lei quasi giornalmente.

Meglio soprassedere ancora per un po’.

Sgranchendosi a sua volta, Cecily dichiarò: «Molto bene… non ne potevo davvero più, cucciolotta, del tuo alter ego e, se fosse passata ancora mezz’ora, avrei morso il sedere anche a lui.»

Brianna scoppiò in un’allegra risata di gola e replicò: «Fenrir ti ringrazia per non avergli rovinato la tunica. Dice che ci tiene molto perché gliel’aveva cucita Avya.»

«Dio! Spero che ogni tanto la cambi, visto che ha migliaia di anni» ironizzò Cecily, fissando piena di ironia Brianna.

«Ceel… è nella mia testa la maggior parte del tempo. Dove vuoi che la insudici?» replicò Brie, piena di sussiego.

«Non saprei, ma...» cominciò col dire la Fenrir, prima di lanciare un’occhiata subdola in direzione di Joshua. «… direi che glielo chiederò dopo. Ora, devo pensare ad altro.»

Ciò detto, mutò in un’esplosione di abiti sotto gli occhi allibiti di tutti mentre Joshua, imprecando a gran voce, la imitava per scappare a gambe – ops, zampe – levate da lei.

Mentre Gretchen rideva a crepapelle e Michael scuoteva il capo con aria disgustata, Tyler borbottò imbarazzato: «Ma perché non prende mai niente sul serio?»

Elizabeth fissò stralunata i due giganteschi lupi bianchi correre velocemente nella radura per poi gettarsi come razzi in mezzo alla boscaglia, bianchi fantasmi dalle sembianze animali che nulla lasciavano dietro di sé.

Avvedendosene, e ricollegando ciò che aveva visto quando Fenrir era giunto nella radura, Beth squadrò curiosa Brianna e le domandò: «Non lasciate tracce in forma animale perché… perché anche Fenrir non lo faceva, giusto?»

«Esatto. E’ un retaggio che si è protratto fino a noi» assentì la donna, sorridendo indulgente quando dovette scostarsi per non essere investita da Joshua durante la sua fuga disperata.

«Ma… due capiclan non dovrebbero essere più seriosi e composti di così?» domandò dubbiosa Elizabeth, guardandoli con espressione confusa.

«Se fosse una riunione tra clan in veste ufficiale, assolutamente sì… anche se non sono mancati scontri anche in quel caso» ammise Brianna, tutta sorridente. «Ma questa è stata una riunione informale, anche perché Fenrir voleva che tu ti sentissi a tuo agio. Sapeva già che incontrarlo sarebbe stato difficile, per te, e non voleva che anche il resto ti apparisse serioso e impostato.»

La giovane assentì, non trovando nulla di strano nelle parole di Brianna. Fin da quando aveva iniziato ad ascoltare la storia di Fenrir attraverso la sua fluente parlata, che suonava misteriosa e affascinante a causa del suo timbro vocale roco e profondo, aveva compreso molto del dio.

Se all’inizio si era prefigurata una figura cupa, brutale e fredda, aveva dovuto ricredersi alla svelta. In Fenrir non vi era nulla di tutto ciò, quanto piuttosto un dio provato da immensi dolori ma appagato da un unico, grandissimo amore, che aveva fatto la differenza sostanziale tra la vita di tutti, e la morte del Creato.

Avya, la coraggiosa umana che gli aveva aperto il cuore, era stata per lui fonte di salvezza e di redenzione, e i due figli avuti da lei, la speranza di un futuro segnato dall’amore, e non dall’odio.

Pur se molteplici forze avevano congiurato contro di lui – primo tra tutti, il padre – Fenrir non aveva perso le speranze e, per salvare Avya e i figli, si era sacrificato per loro, annullando il Ragnarök.

Il fatto di sapere che quella forza primigenia era ancora dentro Brianna, e che spettava a lei controllarla, metteva Elizabeth nella familiare condizione di sentirsi piccola e insignificante. Peccato che, fino a quel momento, tali sensazioni fossero state generate dai suoi genitori, e non dalla consapevolezza di conoscere l’unica creatura al mondo capace di distruggere ogni cosa.

All’improvviso, tutti i suoi turbamenti e le sue delusioni nella vita, le apparivano delle autentiche sciocchezze.

Cosa poteva significare, portare sulle spalle un simile peso?

Quasi avesse posto ad alta voce quella domanda, Brianna le sorrise e disse: «Posso portare questo peso perché non sono sola. La forza del branco, è anche questo, e…»

Brianna non terminò mai la frase.

All’improvviso, nel campo visivo di Beth apparve un’enorme massa informe e bianca che, letteralmente, travolse la povera Brianna, che finì a terra un attimo dopo assieme ai corpi avvinti dei due Fenrir ancora in lotta.

«Oh, ma santo cielo!» esalò Gretchen, passandosi una mano sul viso.

Vagamente preoccupata all’idea che, un urto del genere, potesse irritare Brianna e, per diretta conseguenza, anche Fenrir, Beth squadrò ansiosa quell’ammasso informe di corpi steso a terra, ma nulla esplose. Nulla avvenne, se non che i due lupi tornarono in forma umana, completamente nudi e asserviti al suo sguardo.

Avvampando per diretta conseguenza, Beth fu lesta a distogliere lo sguardo e, rossa in volto, fissò spiacente Tyler che, però, non si premurò di fare altrettanto… come nessuno dei presenti, tra l’altro.

La vista di un uomo e una donna completamente nudi e intenti a rinfacciarsi reciproche accuse, sembrò non destare la minima sorpresa in nessuno di loro. Possibile che anche quella fosse la normalità, per i licantropi?

Mentre Brianna si rialzava con aria un tantino frastornata, aiutata da uno spiacente Michael, Cecily sbottò dicendo: «Sei stato un vedo idiota, a centrarla, Jo! Ma davvero non l’hai vista?»

«Adesso è colpa mia, se tu hai deciso di metterti a correre in mezzo alla radura, invece di aspettare di raggiungere il torrente e correre lungo le sue rive, come abbiamo sempre fatto?!» le replicò furioso lui, puntando i pugni sui fianchi.

«Non accampare scuse. Il culo te l’ho morso, perciò hai perso… rettilinei o curve, puoi inventare le pacchianerie che vuoi. Non vincerai mai, Jo» ironizzò Cecily, intrecciando le braccia sotto i seni con fare spavaldo.

Brianna li fissò autenticamente divertita, ammirò il segno rosso sul didietro di Joshua e infine commentò: «Ora, di sicuro, Beth avrà capito che non siete poi così spaventosi come vi hanno sempre dipinto. Vi siete resi abbastanza ridicoli per due vite.»

Le sentinelle presenti risero sommessamente – se era Brianna a prendere per i fondelli un Fenrir, allora la risata era mediamente concessa – e Gretchen, nell’estrarre dallo zaino una maglietta e un paio di short, li allungò a Jo prima di dire: «Chissà perché mi immaginavo che sarebbe finita così…»

«Con me che vincevo?» ghignò beffarda Cecily.

Gretch scosse il capo, replicando: «Con i vostri vestiti a brandelli, voi due nudi come vermi, e la povera Elizabeth messa di fronte nel modo peggiore a uno dei nostri vizi più duri da far digerire.»

«Oooh… per due tette al vento e un…» cominciò col dire Ceel, subito bloccata dalla mano di Gretchen, che scoppiò a ridere di fronte alla sua sincerità fin troppo schietta.

Tyler rise a sua volta, si tolse la maglietta e, oltrepassando una Elizabeth ancora paonazza, allungò il proprio indumento alla sua Fenrir e disse: «Si copra, prof, altrimenti Beth non si volterà mai più.»

«Avrà tempo di abituarsi...» chiosò la donna, accettando comunque la maglia.

Arrischiandosi a volgersi a mezzo, Beth fissò dubbiosa Gretchen e domandò: «Vi mostrate… nudi? Qui al Vigrond, intendo.»

«Non necessariamente ma, come avrai notato, se non ci prendiamo la briga di spogliarci, gli abiti esplodono durante la mutazione, perciò conviene sempre portarti dietro un cambio. In ogni caso, non abbiamo il tabù della nudità, anche se tra noi vi sono coppie sposate.»

«Oh… va… va bene» gracchiò lei, sbattendo furiosamente le palpebre. Chissà perché, di tutto ciò che aveva saputo, proprio quello era così difficile da digerire?

Brianna sorrise benevola, la prese sottobraccio e chiosò: «Credimi, ho faticato anch’io, all’inizio, ma ho imparato a gestire la cosa. Imparerai anche tu.»

Elizabeth assentì, sperando con tutta se stessa che Brianna avesse ragione.
 
***

Walford House era davvero bellissima, e cenare a lume di candela, con maggiordomi in livrea e piatti di finissima porcellana cinese non le sembrava tanto strano, dopo tutto quello che aveva visto quel pomeriggio.

Il mondo dei licantropi era davvero molto più strano e variegato di quanto non pensassero i Cacciatori ma, sopra a ogni altra cosa, era un mondo in cui avrebbe potuto vivere senza sentirsi un pesce fuor d’acqua.

Certo, sapere che diverse divinità norrene camminavano tra loro – Brianna non era l’unica, da quel che le avevano detto – e che esistevano mondi paralleli al loro, non erano cose facili da digerire. Ma aveva toccato con mano la loro veridicità, e nulla le era stato taciuto per reticenza, quanto piuttosto per darle il tempo di accettare ogni cosa per gradi.

Le parole di William e Brianna avevano rasserenato tutti con una facilità tale da far comprendere a Beth quanto, le loro posizioni sociali, fossero tenute in grandissima considerazione da tutti.

In quanto wicca – o saggia, come le avevano spiegato – Brianna godeva di un rispetto automatico da parte di ogni licantropo. Come depositaria dell’anima di Fenrir, era altresì vista come una sorta di divinità ella stessa e, da quel poco che aveva potuto vedere, aveva al suo fianco giovani fieri che la proteggevano a ogni suo passo.

Per quel che riguardava William, aveva scoperto trattarsi di un’autentica unicità nel suo genere in quanto, i poteri che deteneva, appartenevano alle donne nate in famiglie che avevano ereditato il dono delle wiccan.

Il fatto di possedere sangue elfico, però, gli consentiva di avere il medesimo stretto rapporto con l’entità che loro identificavano come Madre, e che gli permetteva di leggere la verità nelle parole delle persone. Questo, aveva fatto con lei, consentendole di essere accettata da coloro che, un tempo, l’avrebbero odiata in quanto Cacciatrice.

«Va tutto bene?» mormorò una voce al suo fianco e, subito, Beth ritornò al presente e alle persone sedute attorno al lungo tavolo della sala da pranzo.

Sorridendo a Duncan, marito di Brianna, la giovane assentì e disse: «Sì. Un po’ frastornata, ma penso che passerà tutto con una buona notte di sonno. O cento. In qualche modo farò.»

L’uomo sorrise divertito, asserendo: «Brianna ebbe grandissimi problemi ad accettare ogni cosa, perciò può capirti molto bene. Non farti scrupoli a chiamare, se avrai dei dubbi.»

Poi, ammiccando all’indirizzo di Joshua, che stava disquisendo con Cecily riguardo ai suoi discutibili modi di partecipare a una gara, aggiunse malizioso: «Inoltre, credo che anche Fenrir di Londra si presterebbe volentieri alle tue domande, se tu gliele ponessi.»

«Come?» esalò lei, sorpresa.

«Non te lo dirà mai, probabilmente, perché pensa che tu sia già adulta e autonoma per non averne bisogno, ma si sente responsabile nei tuoi confronti, visto che tu hai posto nelle sue mani la tua vita» le fece notare lui, portandola a sorridere. «Chi entra a far parte di un branco, diventa parte di una famiglia molto allargata e, anche se un domani voi andrete a Falmouth, o vi trasferirete altrove per il vostro lavoro, Joshua rimarrà comunque il primo licantropo alfa a cui tu hai dichiarato fiducia. Non è una cosa che noi dimentichiamo.»

Ritrovandosi a sorridere con calore, Elizabeth mormorò: «Anche se non mi conosce?»

«Sa quello che conta veramente, per noi. Ami un nostro lupo, e hai messo nelle nostre mani la tua vita perché ti giudicassimo, anche con il rischio che il risultato fosse negativo. Gesto più coraggioso non esiste, per noi. Inoltre, hai il benestare del nostro capostipite. Meglio di così, non potrebbe essere» le sorrise lui, dandole una pacca sulla spalla.

Beth tornò con lo sguardo a Joshua e Gretchen, ripensò alla loro ospitalità, alla serietà con cui Joshua aveva garantito per la sua sicurezza, e al modo in cui aveva gestito l’intera faccenda.

Annuendo, mormorò: «Mi farò sentire. Anche con lui.»

«Bene» assentì Duncan, prima di ridere sommessamente quando vide avvicinarsi di corsa il piccolo Nathan. «Ehi, terremoto! Perché sei sporco di pappetta?»

«Davo da mangiare a Hannah, ma lei ha fatto casino, e così…» brontolò il bambino, passandosi schifato un dito sulla guancia.

Scoppiando a ridere, Duncan si levò in piedi ma Beth, bloccandolo sul nascere, disse: «Posso dare una mano io. Mi piace stare coi bambini.»

Duncan assentì senza problemi e Nathan, presa per mano Beth, la accompagnò al tavolino dove si trovava anche Brianna e, brontolando, disse: «Mia sorella è pestifera. Ti avverto.»

Sorridendo alla bambina di sette mesi dai corti e ricci capelli neri, Beth annuì e disse: «Non c’è problema. Affronterò tua sorella con coraggio.»

Nathan, allora, passò cucchiaino e piatto a Elizabeth come se le stesse porgendo spada e scudo per sconfiggere un potente drago e, sotto gli occhi divertiti di Brianna, Beth fissò i chiari occhi ambrati della bimba, dicendo: «Ciao, Hannah. Io sono Beth. Facciamo amicizia?»

La bimba la squadrò con aria assai più intelligente di una bimba così piccola e, dentro di sé, Elizabeth si chiese se per caso, dentro quel corpicino delizioso, non vi fosse un inquilino speciale.

Lanciata un’occhiata a Brianna, la vide sorridere maliziosa in risposta e, con un’unica parola, ‘Frigga’, le confermò ogni dubbio.

Sospirando, Beth affondò a quel punto il cucchiaio nel vasetto di omogeneizzato alla frutta e lo allungò verso la bimba, sperando che la dea dentro di lei non fosse in vena di scherzi.

Con tutto quello che aveva visto e sentito in quegli ultimi due giorni, ormai poteva succedere di tutto, nella sua vita, ma sperava che almeno per quella sera lei potesse stare più o meno tranquilla.

 
 




N.d.A.: allora, piaciute le sorprese? 
  
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