Film > The Avengers
Segui la storia  |       
Autore: T612    22/11/2019    1 recensioni
James vorrebbe solo che Parigi assumesse le sembianze di un punto fermo, un luogo dove gli incubi possono venire dimenticati, lasciando spazio al sole caldo ed ai violini che suonano ad ogni ora del giorno… ma sa che non è possibile, perché i demoni non riposano mai e si annidano nell’ombra, soprattutto se hai insegnato loro come nascondersi.
Natasha vorrebbe solo riuscire a chiamare Parigi “casa”, dimenticando i mostri sepolti sotto la distesa bianca di Mosca per il bene di entrambi, ma ancora esita a voltare completamente pagina e non sa spiegarsi di preciso perchè… forse perchè dai propri demoni non si può scappare troppo a lungo, specialmente se sono l’incarnazione dei misfatti compiuti in Siberia.
Entrambi non possono far altro che procedere per tentativi sperando per il meglio, ma presto o tardi l’inverno arriva anche a Parigi… e la neve è destinata a posarsi inesorabile sui capi di innocenti e vittime, senza discriminazioni e soprattutto senza fare sconti a nessuno.
[WinterWidow! // What if? // >> Yelena Belova]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

SECONDA PARTE - CAPITOLO XVI



 

5 maggio 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

Natasha sente il tintinnio delle chiavi cadere sulla soglia d’entrata, seguito da un verso di frustrazione che le annuncia che James è tornato a casa, ha le mani occupate e sembra stia aspettando di valutare se lei si incazzerà di più se prende a calci la porta per bussare o se si sente ispirato al punto da fare l’equilibrista su un piede solo e pigiare il tasto del campanello con la punta della scarpa.

Evidentemente si sente ispirato, perchè quando Natasha gli apre la porta lo becca ad inciampare all’indietro rischiando di ammazzarsi sui gradini, vedendosi rivolgere un sorriso mozzafiato che pretende di ignorare la gaffe commessa.

-Buon compleanno amore.

-La prossima volta ammazzati. -ringrazia prendendogli di mano la borsa con il cibo take-away e la bottiglia di vino, identificando il mazzo di rose rosso scuro che le sta porgendo, vedendo il suo sorriso vacillare quando incontra i suoi occhi che preannunciano tempesta. -Le rose non erano comprese negli accordi.

-Credo tu possa chiudere un occhio ed accettarle lo stesso… sai, qualunque altra donna in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe felice di vedersi recapitare un mazzo di rose.

-Non le voglio. Io non sono una donna qualunque e noi due non siamo una coppia qualsiasi. -replica lapidaria, rendendosi conto di essere stata un po’ troppo brusca, dipingendosi sul volto un sorriso di scuse per rimediare. -Ti ricordo che la prima volta che mi hai consegnato un mazzo di rose era per sottolineare una vendetta e il nostro primo appuntamento non ufficiale è stata una effrazione con scasso al Palazzo d’inverno.

-Appuntamento non ufficiale? -ironizza rivolgendole un secondo sorriso mozzafiato dallo sguardo luminoso. -Quella notte ti ho baciato per la prima volta, possiamo concordare che finisce tra quelli ufficiali… sono stato anche galante, sono passato a prenderti e ti ho portato a ballare in un posto super esclusivo. È stato molto romantico.

-Ho sempre avuto il dubbio se te lo ricordassi o meno. -ride scostandosi per farlo entrare decretando la sua riuscita all’esame improvvisato, desistendo dal farlo penare ulteriormente tenendolo fuori di casa come uno stoccafisso impalato sui gradini. -Ma non è stato romantico, è stato eccitante… perchè quel “ti sono passato a prendere” si traduce con un “mi hai fatto evadere” e devi convertire il “posto super esclusivo” ammettendo che hai scassinato il portone di un Palazzo dove ci avrebbero giustiziati solo per aver pensato di metterci piede, figurati ballarci.

-La serata più bella della tua vita, no? -ride in risposta sporgendosi pretendendo un bacio, accontentandolo strappandogli le rose di mano nel mentre, tuffandoci il naso inalandone il profumo dolciastro ed inebriante. 

Evita di dirgli che in realtà la serata più bella della sua vita si era verificata poco più di un anno prima, quando se l’era trascinato a letto ed avevano fatto l’amore per la prima volta senza l’ombra delle torri del Cremlino a rovinare tutto… quando gli era caduta tra le braccia ansimante e si era resa conto di essere libera, che non ci sarebbero state conseguenze di nessun genere se si fosse messa ad urlare fuori in terrazzo quanto lo amasse. 

Non glielo dice perchè sarebbe melenso, lasciando cadere il mazzo di rose nel cestino.

-Cerco un cavatappi, tu togliti le scarpe.

Aveva stappato la bottiglia, mentre dal corridoio d'entrata era giunto il suono inconfondibile delle suole che sbattono contro il parquet e lo scatto leggero della chiusura di un cassetto, ma non si era curata del secondo rumore perché subito dopo James era entrato in cucina afferrando prontamente il calice, imitandola nei gesti quando aveva proclamato un brindisi. 

-Alla nostra vita incasinata, che possa essere spericolatamente lunga al punto da godercela per recuperare tutti gli anni persi. 

Natasha non aveva capito a cosa fosse dovuta l’ombra che aveva scurito lievemente lo sguardo di James quando aveva sollevato il bicchiere, ma ci sarebbe potuta arrivare se solo lei si fosse soffermata a contare i boccioli delle rose, perchè non si regalano mai in numero pari a meno che non siano dodici.

-Alla nostra vita incasinata e agli anni persi. 

Cin.

 

***

 

6 ottobre 2018, Ala medica - Complesso degli Avengers, Upstate New York

 

Quando Natasha riapre gli occhi e riconosce le vetrate dell’ala medica del Complesso, appura che sia pomeriggio inoltrato e che c’è un mazzo di quindici rose bianche sopra il comodino.

-Giuro che lo ammazzo… -biascica le sue prime parole dopo ore di incoscienza, vagliando tutte le opzioni conosciute per portare a termine il suo piano appena stabilito, decretando che restituirgli il favore negandogli l'ossigeno a forza di baci sia una giusta vendetta.

-Dovrei dedurre che ti è tornata la memoria? -interviene la voce di Steve da un punto imprecisato al di fuori del suo campo visivo, interrompendo la sua veglia avvicinandosi.

-Steve, ciao… felice di vederti. -sorride perché è davvero felice di vederlo, allungando una mano in un cenno che lo invitava ad aiutarla a rialzarsi.

-Sono felice di vederti anch’io, Nat. -esegue assecondando la sua richiesta, senza staccarle le mani dalla schiena fin quando non smette di girarle la testa. -Potresti illuminarmi su chi vorresti giustiziare così, da appena sveglia?

-L’idiota di tuo fratello. -replica candidamente scatenandogli una rotazione d’occhi al cielo talmente fulminea ed energica che per un momento si preoccupa se Steve si sia strappato i nervi ottici nel movimento.

-Lo sospettavo. -si limita a commentare finendo di sistemare il cuscino dietro la sua testa, tornando a sedersi sul bordo del letto liberando un sospiro contenuto. -Avanti, parla, che ha combinato stavolta?

-Hai intenzione di farmi da terapista di coppia? -ribatte scettica reprimendo una risata.

-Credo che io e Clint adempiamo egregiamente a questa funzione da un anno e mezzo ormai. -scherza di rimando senza battere ciglio. -Comunque il gatto è stato sfamato a dovere mentre non c’eri, è ancora vivo, sono andato a controllare di persona stamattina.

-Grazie. -soffia in risposta, per poi indicare il mazzo di fiori posato sopra il comodino. -Quindici fottute rose bianche

-Già. -annuisce ostentando il gesto, fingendo di capire un qualcosa che evidentemente gli sfugge. -Perché sono bianche? Sul numero ci arrivo, quindici sono per chiedere scusa, ma non mi spiego il colore.

-Purezza… significa che le sue erano buone intenzioni, che si arrende e che se lo rivoglio lui mi aspetta a Parigi. -sciorina in fretta una spiegazione, reprimendo il sorriso da ebete che le sta riaffiorando sulle labbra perché non può davvero sciogliersi per dei fiori, sollevando lo sguardo su Steve alla ricerca di una conferma. 

-Pagherei oro per capire al volo come diavolo ragionate voi due dementi. -ammette affascinato, regalandole una risposta implicita.

-Voleva chiedermi di sposarlo, non é vero? 

La domanda giunge a bruciapelo al pari di un fulmine a ciel sereno, perché Natasha ha bisogno di concretizzare quel sospetto fondato nell’immediato e Steve non era evidentemente preparato nel dover mentire spudoratamente così su due piedi su una domanda del genere, tradendosi nel giro di uno sguardo… e la conferma lascia la donna spiazzata, sorpresa di conoscere la risposta affermativa alla fatidica domanda senza ricamarci sopra alcun tipo di remora o ripensamento.

-Ha sistemato gli ultimi problemi ed è tornato a casa Nat, dovresti tornarci anche tu. -la legge nel suo mutismo, imprimendosi un sorriso incoraggiante sulle labbra.

-Devo recuperare un gatto ed affilare qualche coltello prima… -replica per automatismo, vagamente risentita che James non ci sia in carne ed ossa a vegliarla, anche se intuisce le motivazioni dietro a quella scelta che le impediscono di fargliene una colpa, sorprendendosi delle mancate obiezioni da parte del Capitano in merito ad un uso non convenzionale delle lame. -Non commenti i coltelli? Non provi nemmeno a dissuadermi?

-Hai le tue ragioni e Bucky ha dei buoni riflessi, non dovrebbero esserci problemi. -replica noncurante, consapevole che a prescindere dal consiglio faranno entrambi di testa propria.

-Tu non dovresti essere dalla sua parte sempre e comunque? -chiede allora dubbiosa, cercando una nuova interpretazione in quel gioco delle parti che apparentemente veniva stravolto ogni cinque minuti.

-Non quando dall’altra ci sei tu e lui si è comportato da idiota.

-Non da idiota completo, aveva le sue buone ragioni. -ammette reprimendo l’ennesimo sorriso nel sapere che lei ora vantava una tacca microscopica in più di James nella graduatoria che stabiliva i parametri d’affetto di Steve, indicandogli le rose bianche in un gesto esplicativo. -Subisci una ricalibrazione cognitiva da lucido e poi ne riparliamo, Rogers. A parti inverse avrei fatto esattamente la stessa cosa… anche se questo evita di dirglielo, mi rovinerebbe la performance quando fingerò di incazzarmi come una iena per non aver fatto esattamente il contrario.

-Sei diabolica.

-Perché tu non pensi che lui abbia già pronto un piano di contrattacco? Voglio sposarmi uno stratega, Capitano… ed attualmente è in corso una guerra sul predominio, ora che si è sfasato l’equilibrio.

-Quindi te lo sposi, lo stratega? -indaga con uno sguardo malizioso che mai avrebbe immaginato di veder apparire negli occhi azzurro cielo di Steve, fulminandolo in risposta perchè non vuole concedergli la soddisfazione di ripetere una risposta che aveva appena proferito.

-Se si decide a farmi la proposta può darsi che gli risponda di sì. -concede infine alzando gli occhi al cielo. -Steve, me lo fai un favore?

-Qualunque cosa.

-Prenotami il primo volo per Parigi, ma non dirgli che sto arrivando… ho nostalgia di casa, voglio rimetterci piede il prima possibile.

 

***

 

7 ottobre 2018, Resistenza sicura Barnes-Romanoff, Montmartre, Parigi

 

-Come te la stai cavando? -chiede Steve dall’altro capo del telefono. -Ti sei preparato qualcosa per cena?

-Ho appena spento il forno, la cucina è un disastro e la TV di sottofondo mi sta facendo compagnia. -concede ipotizzando che se il forno l’avesse acceso sul serio probabilmente la cucina sarebbe davvero un disastro considerate le sue discutibili doti culinarie, invece l’unica nota di disordine è il cartone della pizza vuoto abbandonato sul tappeto a portata di braccio, mentre se ne sta spaparanzato sul divano con il televisore che illumina il salotto ad intermittenza, coprendo appena il ticchettio della pioggia contro le tegole del tetto.

-E che ti sei messo a cucinare? -indaga il fratello, che probabilmente se lo figura benissimo a dormicchiare sul divano con un’aria da depresso, mentre James si distrae un solo secondo indugiando con lo sguardo sulle cinque mezzelune cicatrizzate di fresco che gli attraversano il polso.

-Pizza fatta in casa. -replica a tono sicuro portando avanti la farsa, iniziando a contare i secondi prima di venire smascherato, nascondendo i polsi dietro la testa chiudendo gli occhi, il cellulare abbandonato sopra lo stomaco in vivavoce. 

-Dosi dell’impasto? -lo interroga e James tentenna, perchè ha solo una vaga idea di cosa ci vada dentro l’impasto per la pizza, a differenza di Steve che di teoria ne sa molta ma la pratica lascia sempre molto a desiderare… chiedendosi il come diavolo fossero riusciti a sopravvivere in guerra se nessuno dei due sapeva propriamente cucinare qualcosa che non finisse bruciato. -Quante uova ci vanno?

-Due. -spara a caso testando il bluff, sentendo il fratello ridere dall’altra parte dell’oceano.

-Non ci vanno le uova nell’impasto della pizza, cretino.

-Vai a farti fottere. -brontola appena passandosi una mano sul volto, celando un sorriso che gli affiora sulle labbra. 

-Beh, i programmi per la serata sono quelli.

James scoppia a ridere spudoratamente, annotando mentalmente che Sharon deve essersi presa le ferie dall’agenzia e che evidentemente se le stanno godendo a pieno, smorzando la risata di colpo quando avverte il rumore di qualcosa infilato nello scrocco della porta d’entrata, allungando la mano di metallo sotto il divano staccando il coltello da lancio che nascondevano lì sotto.

-Steve, ti richiamo. -afferma con tono teso, alzandosi dai cuscini con l’intero corpo in tensione, puntando lo sguardo fisso sull’uscio di casa.

-Divertiti. 

-Aspetta, cosa? -chiede fissando lo schermo che segnala la chiamata terminata, lampeggiando prima di lasciare spazio allo sfondo del cellulare, che ritrae Natasha nell’intento di strappargli il cellulare dalle mani con un sorriso divertito ad incorniciarle le labbra… ma non ha il tempo di curarsene che sente le chiavi girare nella toppa, il rumore di un borsone che viene lasciato cadere incontro al pavimento, le fibbie di un giubbotto che si scontrano sull’appendiabiti, le suole che scalciano contro il parquet e un miagolio indistinto.

Osserva confuso il gatto nero avanzare in soggiorno, sollevando istintivamente lo sguardo sulla sua padrona che si arresta sulla soglia del salotto incazzata nera e lo fulmina, mentre James ha tutto il tempo per rendersi conto che ha un coltello da lancio in mano e che ci sono alte probabilità che in un modo o nell’altro quella lama finisca impiantata in una parte qualsiasi del suo corpo, eliminando il problema alla fonte lanciandolo contro il muro e conficcandolo nella parete fino all’elsa.

-Natalia. -la saluta sollevando le mani sopra la testa, dipingendosi sul volto il più smagliante dei sorrisi, nonostante gli occhi della donna continuino a lanciargli lampi.

-Hai meno di trenta parole per giustificarti, ora come ora sono indecisa se picchiarti o baciarti. Vedi di essere convincente.

Trenta parole… più di quelle che pensava gli fossero concesse.

-Non volevo che ti fondessero di nuovo il cervello solamente perchè non ti ricordavi di me… da quando ti conosco ti ho procurato solo guai… stavi meglio senza di me. -elenca velocemente contando con le dita nel mentre, congratulandosi con se stesso per le parole scelte. -Sono trenta parole precise, sono stato convincente?

-Non è il genere di decisione che puoi prendere per entrambi, idiota. -afferma con tono vagamente risentito raggiungendolo, mentre la mente di James viene attraversata dal pensiero fugace di quante armi siano nascoste nel raggio di un paio di metri dal punto in cui si trovano, osservandola avvicinarsi pericolosamente a lui con uno sguardo luccicante negli occhi che nasconde un messaggio di cessate al fuoco. -Ma a titolo di cronaca, a te non ci rinuncio più, nemmeno sotto tortura.

La ginocchiata contro il cavallo dei suoi pantaloni è scontata quanto prevedibile, giocando d’anticipo bloccandola nel gesto con la mano di metallo, aggirando la manovra portandole la destra sul retro della schiena spingendola a piegarsi in un casquette, terminando il movimento con l’impulso naturale di raggiungere le sue labbra e baciarla fino a consumarle la riserva di ossigeno.

-Ti odio… e questo non significa che abbiamo fatto pace. -afferma Natasha quando la lascia libera, puntandogli i pugni al petto perchè sembra lui quello ad essere in vantaggio sulla battaglia in corso, sorridendo maliziosa al pensiero di rivendicare il terreno perso ed accaparrarsi definitivamente il predominio tra le lenzuola, impresa temeraria sulla quale desidera cimentarsi al più presto… se non fosse per la palla di pelo che si intrufola in mezzo alle loro gambe iniziando a miagolare.

-Il gatto è compreso nel pacchetto? -si distrae James abbassando lo sguardo sul felino, che si sta strusciando contro le gambe di Natasha pretendendo la sua dose di coccole per non essere da meno.

-Si chiama Liho. -replica fulminando il gatto, che risponde all’occhiataccia con uno sguardo d’ambra di profondo scetticismo, quasi a chiederle se le fosse andato di volta il cervello nel preferire l’umano a lui.

-Lo prendo per un sì… l’hai chiamato Liho da Likho? Davvero? -soffoca una risata sulla soglia delle labbra.

-Perchè no? È già un gatto nero, tanto vale dargli un nome adeguato… non dirmi che sei superstizioso. -indaga ironica, vedendosi rivolgere un sorriso mozzafiato in risposta.

-Ma figurati. -replica abbassandosi per acciuffarlo, prendendolo in braccio solo per vedersi graffiare la mano e schizzare via. -L’ho sempre voluto un gatto.

-Diresti qualunque cosa pur di non vedermi andare via.

-Probabile. -afferma mentre si discosta da lei scomparendo in cucina, venendo presto seguito a ruota dalla donna che lo sorprende a riempire una ciotola di croccantini che abbandona di fianco al piano cottura. -Steve potrebbe essersi lasciato sfuggire l’informazione che hai adottato un gatto.

-Per questo ne avevo parlato con Clint.

-Il quale l’ha casualmente detto a mio fratello. -solleva il capo soppesandola con lo sguardo.

-Casualmente. -ribatte piccata fulminandolo, ragionando sul come vendicarsi degli altri due per averlo aiutato a guadagnare punti per vincere.

Liho sembra sentirsi escluso dalla conversazione in corso, miagolando un’entrata in scena che pretendeva attenzione avvicinandosi diffidente alla ciotola annusandola realizzando che si tratta di cibo, regalando a lui una strusciata con contorno di fusa come ringraziamento e scoccando a lei uno sguardo che sembrava suggerirle che l’umano per cui l’aveva tradito sotto sotto era anche accettabile.

-Tu proprio non vuoi vedermi andare via. -gli concede standosene addossata allo stipite della porta valutando il da farsi, accusandolo. -Mi hai corrotto il gatto. 

-Strategia. -replica con una scrollata di spalle perchè in guerra tutto è lecito, sollevando cautamente la mano sana a sfiorarle la guancia, venendo bloccato nel movimento tempestivamente.

-Sono stata io? -chiede sfiorandogli delicatamente con il pollice le cinque mezzelune che gli segnano il polso, mentre un velo liquido le adombra lo sguardo sfuggevole.

-Me la sono cercata. -ribatte con calma scrollando le spalle in segno di noncuranza. -E poi così siamo ufficialmente pari. 

-Pari? -ribatte ironica, anche se dal suo sguardo malizioso intuisce il dove James voglia andare a parare, ovvero verso l’unico fattore decisivo per mettere un punto definitivo alla disputa, posandogli le labbra sul polso baciando ogni singola cicatrice incendiandogli lo sguardo in risposta. -In che modo?

-Se mi segui in camera da letto te lo illustro. -sorride speranzoso in un consenso definitivo, chiedendoglielo più per galanteria che per mera conferma, consapevole di guadagnare punti nel comportarsi in un certo modo.

Natasha in tutta risposta lo afferra per le dita e lo trascina a passo sicuro, voltandosi fulminea spingendolo contro la porta chiudendola alle sue spalle in un unico movimento, sollevando gli occhi su lui con lo sguardo che lampeggia in un monito di avviso… sono arrivati al fine partita, ma da quel momento in poi si inizia a giocare pulito.

-Illustra. -ordina sfiorandogli il polso di carne con il pollice, rallentando la carezza per toccare tutti e cinque i punti sensibili, sorridendo provocatoria facendolo deglutire a vuoto.

-Mi hai ripagato per tutti e cinque i tuoi marchi indelebili… uno. -inizia a contare con la voce che trema appena afferrandole il polso a sua volta, sollevando la manica del maglione rivelando la cicatrice circolare che denuncia la morsa di metallo di una manetta indossata ogni notte dall’età di dieci anni, posandoci sopra le labbra. -Questa c’era già prima di me, ma ultimamente non ho fatto granché per disintossicarti.

Lo ammette in un sussurro, perché sembra quasi un segreto di stato conosciuto solo a loro il fatto che lui dormisse stringendole il polso incriminato con la mano di metallo, evitando che si laceri la carne se viene colta di sorpresa da un incubo mentre dorme… e la guarda mentre sfiora con le dita il bordo del maglione chiedendole il permesso, perché sa che se non è lei a fare la prima mossa deve sempre dichiarare le sue azioni, ottenendo un cenno di assenso che fa sparire tutti gli strati di tessuto lasciandola in reggiseno in un unico gesto deciso.

La spinge delicatamente verso il letto, afferrandole una mano scattando con il polso avvitandosela addosso in un mezzo passo di danza, mentre la schiena di Natasha collide contro il suo petto strappandole una risata sorpresa e le sue labbra calano sulla sua giugulare smorzandole il respiro.

-Due. -mormora contro la sua pelle scendendo a baciarle la cicatrice frastagliata che le attraversa la scapola, come se prima di allora in quel punto ci fosse stata un ala d’angelo, andata recisa dal boia che si era ritrovata come padre. -Quando abbiamo scoperto che costringerci a farci giocare con i coltelli fa male, quasi quanto una scossa ad alto voltaggio sventata.

James fa scattare nuovamente il polso sciogliendo l’abbraccio strappandole un secondo sorriso estatico al suono di risata, mentre le gambe di Natasha inciampano contro il bordo del letto a metà piroetta facendola cadere di schiena sul materasso, arrampicandocisi sopra liberandosi dall’impiccio del reggiseno nel mentre che gli sorride languida e James si arresta per la momentanea mancanza di sangue al cervello dato che è palesemente defluito in altre zone del suo corpo, liberandosi degli strati di vestiti superiori avvertendo un improvviso innalzamento della temperatura tra quelle quattro mura… e Natasha ride nel vederlo impigliarsi sulla catenina delle piastrine militari perché troppo preso dalla foga del momento, sollevandosi sulle ginocchia per dargli una mano e finendo con le mani dietro la sua nuca trascinandoselo contro quando impatta nuovamente con la schiena contro il materasso.

-Non stiamo giocando a strip poker, che ti denudi per solidarietà perché mi stai stracciando alla grande. -ride e James la mette a tacere con bacio famelico lasciandosi andare per un paio di secondi all’istinto.

-Siamo ancora in guerra, si gioca ad armi pari su questo fronte. -afferma consapevole di autosabotarsi, perché più centimetri di pelle le concede e più armi le fornisce per distruggerlo, procedendo ad occhi chiusi con fiducia cieca nonostante lo sappia che le lenzuola sono il regno di Natasha, dove si trova sempre sprovvisto di protezione strategica in territorio ostile… la vincerà sicuramente lei la guerra, ma in tutta sincerità non gli sembra una gran perdita.

-Non hai finito di contare, non lasciare i lavori a metà. -lo provoca mordicchiandogli l’orecchio, abbandonandosi contro i cuscini godendosi le coccole, fregandosene se così facendo gli regala deliberatamente un bel po’ di punti.

-Tre. -annuncia con voce roca, posando le labbra contro la sua spalla premendole sui resti di un foro d’entrata, mentre una mano è impegnata a sbottonarle i jeans per velocizzare il raggiungimento degli ultimi due punti. -Washington DC, il primo punto di contatto con tutta la mia famiglia, la seconda volta che ti ho rivista dopo Mosca.

James scende ancora segnando il passaggio tortuoso verso l’incavo dei seni a piccoli morsi, costellando la pelle candida con ferite di guerra al pari dei marchi, sfiorandole con le labbra la ferita slabbrata che le attraversa il ventre in una gentile concessione dell’ultimo mostro che si sono lasciati alle spalle, baciando la linea biancastra quasi invisibile collocata appena più sotto… perché quel rimasuglio negava ad entrambi un futuro che forse James avrebbe voluto avere, addolcendo quei ricordi spiacevoli che Natasha non aveva mai espresso ad alta voce e lui non le aveva mai chiesto nulla in merito. Ad essere sincero con se stesso non le aveva mai chiesto molte cose, forse perché la possibile risposta generava un connubio letale tra l’incazzatura e la paura ed in quei casi era meglio se la lingua se la mordeva, nell’ennesimo segno indelebile che negli anni aveva imparato a conoscere fin troppo bene.

-Quattro. -proclama scacciando i pensieri morbosi concentrandosi in un compito decisamente più appagante, finendo di sfilarle i pantaloni premendo le labbra contro il bozzolo in rilievo che le deturpava il fianco. -Odessa. La prima volta che ti ho rivista ed abbiamo capito definitivamente cosa mi avevano fatto dopo Mosca, perché sapevamo benissimo che se ci avessero scoperti saremmo finiti in Siberia o peggio, ma la nostra immaginazione non si era mai spinta così oltre.

Le dita di Natasha si attorcigliano tra i suoi capelli in una coccola rassicurante, ancorandolo al presente prima che la sua mente si cristallizzi e finisca a vagare in mezzo alla steppa, fremendo strappandole un gemito quando le sue labbra scavalcano la duna della cresta iliaca e sconfinano sulla gamba, raggiungendo l’ultimo punto della sua lista che in un certo senso dava origine al tutto.

-Cinque. -sussurra infine, posando le labbra sull'unico foro di proiettile che non ha il suo marchio di fabbrica nel grilletto, ma si nasconde ancora più subdolo nell’intenzione del grilletto di qualcun’altro. -Il giorno in cui ci hanno scoperti e separati, quando mi hanno torturato senza privarmi della memoria, solo per farmi rivedere all’infinito il fotogramma di quando ti hanno separata da me per tutta la durata della mia permanenza nel ghiaccio… quando tu hai urlato in faccia a tuo padre che mi amavi fregandotene delle conseguenze, prima che il proiettile ti azzoppasse e ti convincessero che Alexei era l’uomo della tua vita.

Solleva la testa contemplando quelle cinque cicatrici che le segnano il lato sinistro del corpo, speculare al proprio per la gravità dei crimini commessi dalla sua parte di metallo, in un incastro perfetto che distribuiva le colpe gravando sempre dalla parte del cuore… perché non ci può essere guerra sanguinaria che tenga se non c’è amore.

Alla fine la battaglia la vince comunque Natasha, perché ad essere la dea del sesso se ne guadagna sempre, nonostante lui detenga il vanto di guardiano del suo cuore.

-Resti, vero? -chiede a metà tra il titubante e l’ansimante, stringendosela tra le braccia depositandole un bacio sulla fronte.

-Idiota. -lo zittisce in una conferma inequivocabile, sorridendo indugiando sulle sue labbra, pronta a silenziarlo di nuovo qualora fosse davvero così stupido da spezzare la religiosità di quel momento.

-Ti amo anch’io. -gli concede di replicare prima di esaurirgli l'ossigeno, salvaguardando la sacralità della pace.

James ha sempre amato litigare esattamente per quel momento di silenziosa estasi, a differenza di Natasha che il pretesto lo aspettava solamente per poi fare la pace come si deve. Forse sono entrambi idioti per motivi un po’ diversi, ma ciò non toglie che restano due dementi che si amano incondizionatamente.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: T612