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Autore: MaikoxMilo    25/11/2019    2 recensioni
Ceresole Reale, un paesino situato nell'alta valle dell'Orco in provincia di Torino, sarà da sfondo alle vicende della giovane Sakura, che nel giro di poco tempo verrà a sapere dei "demoni" legati alla sua famiglia e vedrà, letteralmente, crollare il mondo che fin da bambina l'aveva avvolta in un'aura di freddezza e solitudine inconcepibile per lei.
Può un incontro cambiare la vita di una persona fino a tal punto da farle rivedere completamente il proprio passato?!
Lo so, come presentazione non è un granché ma è il meglio che sono riuscita a fare. Questo è il mio primo esperimento di AU e mi auguro con tutto il cuore che possa piacere e, perché no, far strappare anche un sorriso ai lettori (anche se dal prologo non sembra proprio) Eh! Eh! A voi quindi questo piccolo esperimento che vede come ambientazione un luogo caro alla mia infanzia e che ha avuto la capacità di incidersi nel mio cuore come ben pochi altri!
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Aquarius Degel, Aries Mu, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 17: La leggenda della Valle dell'Orco

 

 

Novembre aveva levato le tende, lasciando dietro di sé una pallida fragranza di abete e di pigna rosicchiata da qualche scoiattolo rosso ghiottone. Novembre se ne era andato, aveva ceduto il passo, dopo aver timidamente spogliato le fronde dei larici in una pioggia di aghi scarlatti, con la stessa intensità di un tenero amante con la propria donna. Quegli aghi privi della propria madre, abbandonati a sé stessi e successivamente coperti dalla gentil dama bianca, stavano ancora lì per terra, ogni tanto sbucavano tra la neve, come a ricordare ancora la loro presenza, il loro timido addio. Effettivamente non vi era più alcun angolo o anfratto che non fosse ammantato del colore bianco, tutto era coperto di ghiaccio brillante, totalmente intessuto da quel candore.

A Ceresole Reale, in un anno normale, la neve non si scioglieva mai da inizio novembre ad aprile e le precipitazioni erano sempre nevose. In quel dato periodo non pioveva quindi, le temperature erano sempre rigide, eppure per noi abitanti del posto quella era sempre stata una benedizione, ci preservava dalle valanghe che altrimenti avrebbero messo in pericolo la parte alta del paese. Gli anni meno freddi infatti avevano sempre visto fenomeni di questo tipo e, anche se eravamo corsi ai ripari con sistemi antivalanga, il rischio non era mai del tutto scemato, poiché talvolta capitava un anno più caldo del solito, ed erano grossi guai, per noi, ma anche per la vegetazione del luogo.

Neve e gelo qui erano sempre stati una benedizione e venivano sempre accolti, a buon diritto con gioia e tripudio: neve e gelo portavano il turismo qui, scacciavano via l'orco di queste valli, ristabilendo pace e tranquillità in una civiltà che di destreggiava tra le immense forze della natura.

Sorrisi tra me e me, guardando grata il cielo sopra la mia testa. Quel giorno era la prima domenica del mese di dicembre e finalmente, dopo un periodo di nevicate copiose, il sole aveva fatto nuovamente capolino tra le montagne, rendendo ancora più frizzantina l'aria ma migliorando il mio umore. Senza nulla togliere alla neve e al ghiaccio, che pure adoravo, ero follemente innamorata del sole, del calore che dava, delle belle giornate che ci regalava, e rivederlo dopo così tanto tempo mi permetteva di sprizzare gioia da tutti i pori.

Quel giorno poi era una giornata speciale, dall'inizio della settimana non facevo altro che il conto alla rovescia verso il week-end, non ne potevo davvero più di aspettare! Avevo pregato tutte le divinità conosciute affinché fosse una bella giornata e... e mi avevano dato ascolto, addirittura sopra le mie aspettative, perché non era solo una bella giornata, ma davvero splendida, nel vero senso della parola, poiché tutto brillava intorno a me, facendomi anche luccicare gli occhi da tanta meraviglia. Insomma, uno di quei giorni che ti rendeva grata verso vita e che valeva la pena di essere vissuto.

Quel giorno di dicembre... mi sarei vista con Camus, solo io e lui!

Certo, era tutto fuorché un'uscita romantica. La settimana prima mi aveva chiesto consiglio su dove portare la sua cagnolina Ipazia a sgranchirsi un po' le zampe, io gli avevo detto che conoscevo un posto meraviglioso, ma che era impossibile andarci in questa stagione, e allora mi ero offerta di accompagnarlo in un secondo luogo, più idoneo, visto il periodo, ma ugualmente incantevole, e lui aveva accettato, rendendo me la ragazza più felice del mondo.

Fischiettai allegramente, accelerando il ritmo totalmente assuefatta a quell'idea, tanto che non mi accorsi che il mio cane, Mirtillo, che ovviamente mi ero portata dietro, si era fermato al lato della strada ad urinare, ritrovandosi poi a guaire con enfasi al mio tirare del guinzaglio.

"Oh, scusami, piccolino, la mia testa va per conto suo oggi!" mi scusai, tornando sui miei passi e aspettando che facesse i suoi bisogni, poi tempestivamente pulii.

In quelle settimane mi ero continuata a frequentare con i Delacroix... come amici, ovvio! Naturalmente Camus aveva intuito benissimo che, da parte mia, non era solo amicizia, ma il mio forte desiderio di rimanere al suo fianco aveva infine infranto la sua dura corazza, permettendomi così di avvicinarmi a lui, senza toccarlo, era vero, ma sfiorandolo. Per il momento mi bastava! Ne ero perdutamente innamorata, lo sapevo, lo sapevamo, non mi sarei potuta salvare in alcun modo, sarei rimasta dannata per sempre, ma... tranciare ogni rapporto con lui mi avrebbe causato il doppio della sofferenza, anche di questo ne ero pienamente consapevole. Mi muovevo in un campo minato, un minimo passo e sarei rimasta dilaniata. Totalmente. Camus percepiva tutto questo in me e si preoccupava, per quanto era possibile, negli unici modi che conosceva, giacché ricambiare il sentimento sarebbe stato troppo per lui, cioè chiedendomi di uscire il week-end, come se fossimo due amici. In fondo al cuore non era ciò che volevo, forse con il tempo non mi sarebbe più bastato, ma era comunque molto di più di quanto mi sarei aspettata ad inizio della conoscenza. Stare al suo fianco mi rendeva genuinamente felice, mi faceva battere il cuore, e bastava; bastava il suo sorriso, la sua presenza, il nostro parlare del più e del meno a distanza quasi nulla, senza però poterci toccare.

 

Non è colpa tua, ma mia... è il mio cuore che non è più in grado di amare!

 

Cari studenti, ricordatevi che siete in Quinta, non è l'anno giusto per: innamoramenti, lutti, morti, crisi esistenziali, tradimenti... no, fidatevi di me che sono più vecchia di voi, se potete, evitate! Avrete tutto il tempo dopo per recuperare, per il momento... resistere... resistere... e resistere!

 

Sei un piccolo mostriciattolo che dovrebbe rimanere da solo a vita, lo sai questo, vero? E' stato decretato che tu non possa avere relazioni, ne va del bene degli abitanti del paese e dell'equilibrio di questa valle!

 

Mi appoggiai alla fredda roccia vicina a me per evitare di cadere, improvvisamente colta da un capogiro atroce: le voci di Camus, della mia adorata professoressa di storia e latino e del vecchio del villaggio mi rimbombarono nelle orecchie a cadenza e intensità diverse, ma bastò solo l'ultima per procurami un nodo allo stomaco che quasi mi privò del respiro, trasmettendomi poi una famigliare sensazione di nausea. Con la coda dell'occhio, vidi Mirtillo cominciare a darmi delle musate sul ginocchio, forse percependo il mio stato e il conseguente malessere. Lo provai a tranquillizzare con un sorriso e una carezza, scacciando in fretta quella sensazione spiacevole e dirigendomi così verso la parte alta del paese e la sua piazza: volevo solo essere felice, solo... essere felice! Finalmente avevo trovato delle persone che, oltre a Mu, mi apprezzavano per ciò che ero e malgrado tutto. Camus... Dégel... Cardia, anche se era scomparso da settimane... semplicemente non volevo che tutto quello mi fosse strappato dalle mani, soprattutto in quel momento che avevo visto la luce del sole e percpepito sulla mia pelle il calore di un rapporto autentico e sincero.

Non potevo in alcun modo rinunciarci, non potevo! Non importava se, così facendo, sarei andata contro il volere dei miei compaesani! Quella volta lì... avrei messo il mio bene in cima alla lista, non quello degli altri! O, almeno, ci volevo provare... perché non di rado i sensi di colpa mi tormentavano per le mie scelte, fratturando il mio essere dalle mie intenzioni e portandomi conseguentemente a stare male.

"Eccoti, Sakura, ti stavo asp... che ti succede?!"

Sussultai pesantemente a quella frase, non essendomi resa conto di essere giunta in piazza e, ancora di più, che Camus fosse già lì in attesa, puntualissimo come sempre, con la cagnolina Ipazia.

"Oh... c-ciao, Camus, scusami il leggero ritardo!" gli sussurrai, arrossendo timidamente. L'ansia di prima era del tutto scomparsa, ed era merito suo, lo sapevo. Lui annuì a sua volta a mo' di saluto, prima di passare all'argomento che gli premeva di più.

"Sakura, sei pallida... è forse successo qualcosa?"

"Mmm, no, no, è solo un po' di stanchezza" mugulai, affabile, sorridendogli raggiante.

"Eppure questo non è il tuo colore naturale, fammi sentire un attimo!" insistette, posandomi una mano sulla fronte e facendomi così impietrire seduta stante, nonché avvampare.

Rimasi fissa inebetita a guardarlo, mentre, con espressione seria, controllava la mia temperatura tramite il tocco. Mi sentii improvvisamente la gola secca ad avercelo così vicino, le sue labbra rosee serano tese in una linea quasi perfetta, gli occhi attenti, la fronte un poco corrugata. Dopo quella notte dell'8 novembre, in cui gli avevo chiaramente espresso il mio desiderio di stare al suo fianco, si era un po' più aperto con me. Era diventato protettivo, non nascondendo più il suo interessamento per me e per il mio stato di salute, come invece faceva all'inizio, ma, se poteva, manteneva pur sempre le distanze quanto bastava per un rapporto cordiale e affettivo, null'altro. Quella volta invece, le distanze, le aveva completamente azzerate, cosa insolita e rara, tanto da emozionarmi.

"Ca-Camus... sto... sto bene, d-davvero!" balbettai, allontanandomi di un passo e massaggiandomi la zona toccata da lui. Ero totalmente accaldata e agitata, potevo sentire i miei battiti cardiaci senza alcuno sforzo.

"Effettivamente non sembra che tu abbia la febbre, ma il tuo pallore non mi convince... te la senti comunque di andare?" mi chiese con educazione, fissandomi con interesse.

"Ma certo, te l'ho promesso! - risposi, grata, inginocchiandomi verso la sua cagnolina, tutta intenta a farmi le feste – Ehi, ciao bella, com'è che, ogni giorno che passa, sei sempre più splendida?"

Ipazia, per tutta risposta, si mise su due zampe e cominciò a leccarmi tutta la faccia, festosa, tanto da far ingelosire pure il mio cane, infastidito da tutte quelle attenzioni non riposte in lui. Rimasi quindi un po' a giocherellare con loro, pur avvertendo lo sguardo di Camus rivolto verso di me, almeno finché non lo udii prendere un profondo respiro e apprestarsi a parlare.

"I cani ti adorano... e anche la taccola che hai salvato diverso tempo fa si fidava completamente di te, pur non conoscendoti. Come puoi... come puoi essere così genuinamente buona con tutto e tutti, malgrado i maltrattamenti che hai ricevuto in famiglia? Come puoi, Sakura? Come riesci a fidarti degli altri, ad aprirti con gli altri, malgrado tutte le brutture che avrai certamente subito?"

"E-eh?" biascicai, interdetta, non avendo compreso la sua domanda perché totalmente assorta dai due cani. Una sensazione stranissima mi avvolse, simile alla consapevolezza di aver perso un ingranaggio importante.

"Niente... non ho detto nulla di importante, non darci peso!" tranciò il discorso di netto, allontanandosi a capofitto e obbligando così me a seguirlo di capocollo.

 

 

* * *

 

 

Camus aveva preso una vera e propria rincorsa, costringendo me a corrergli dietro per stare al suo passo. Non sapevo il motivo di un tale comportamento, ma riuscivo ad abbinarlo ad un lato del suo carattere: faceva sempre così quando si imbarazzava per qulcosa e non lo voleva dare a vedere, quello di certo non era cambiato in questo periodo di conoscenza.

Ad un certo punto lo riacciuffai, afferrandogli la mano e annaspando nei miei piedi nel tentativo di recuperare il fiato perso. Ci trovavamo già nella passeggiata sul lago, non la zona boscosa, ma quella sterrata, dal lato sinistro della valle.

"S-si era detto di fare una passeggiata insieme per portare i cani a sgranchirsi le zampe, oppure ognuno per conto suo?!" lo redarguii gentilmente, costringendolo a voltarsi nella mia direzione.

"Scusami... ero pensieroso!"

"Me ne ero accorta, visto che quando lo sei acceleri come una lippa!" esclamai, sorridendogli con calore.

Camus ovviamente non rispose ma finalmente si fermò, attendendo istruzioni da me su dove andare. Avevo i guanti addosso, lui no, non li indossava mai, ma quella breve stretta delle nostre mani, seppur breve, era in grado da sola di farmi emozionare ancora una volta, in balia dei sentimenti. Mi ritrovai a pensare a quanto bello sarebbe stato se avessimo potuto rimanere così durante la passeggiata, come le giovani coppie di ragazzi che trovavo sempre molto tenere, ma, ahimé, era un sentiero a me precluso, mi sarei dovuta accontentare di rimanere semplicemente al suo fianco ma a distanza, cosa che comunque mi rendeva felice e orgogliosa.

Camminammo vicini, al punto di sfiorarci, senza però farlo. Eravamo entrambi silenziosi, soprattutto io, non era mai facile incanalare un dialogo con Camus, così chiuso nella sua intimità da risutare etereo; avevo imparato che se non avessi fatto io il primo passo, lui non si sarebbe mai sciolto, ma quel giorno mi era più difficile del previsto. No riuscivo a far altro che guardarlo -e ammirarlo!- perché tutto in lui mi spingeva verso quel sentimento intenso che era l'amore. Non era stato un abbaglio, e nemmeno una momentanea dipartita, come invece mi era capitato soventemente con i bei ragazzi, no, era stato invece come un tornado di categoria nove, impossibile resistergli e impossibile tornare come prima, dopo un'esperienza simile: il mio cervello era andato semplicemente in pappa. Totalmente. Senza possibilità di appello.

"Come va la scuola, Sakura?"

Quasi alla fine del lago ormai ghiacchiato, Camus si era deciso ad intavolare un discorso, ne fui stupita alquanto, tanto che ci misi non poco a rispondere.

"B-bene, direi... non c'è male!" balbettai, tesa.

In verità la scuola non era più una mia priorità, mi sembrava un nulla, se paragonato a quell'immenso sentimento che mi legava emozionalmente a lui. Non andavo male, no, ad eccezione di chimica, dove raggiungevo a stento la sufficienza, ma ormai studiare mi era diventato doppiamente difficile, così preda di pulsioni che mi sbatacchiavano qua e là. Anni e anni di studi con il massimo dellì'impegno per poi finire così, a pensare di aver sprecato la mia vita. Se lo avessi conosciuto prima; prima di quella Pandora, se ci fossimo innamorati... avremmo di sicuro avuto ben più tempo a dispozione, delle intere estati, dove potevamo fare quello che volevamo, andare dove ci portava il vento, da giugno a settembre, invece eccomi lì con una Maturità da fare, il tempo ridotto al lumincino e zero voglia di impegnarmi, poiché tutti i miei pensieri erano per lui, mi portavano a lui, a briglie sciolte.

"E chimica come va?"

Eccola la domanda indiscreta, uff...

"S-sono migliorata, ma raggiungo appena la sufficienza..."

A quel punto Camus si accigliò, inarcando un sopracciglio, quasi come se lo avessi offeso a morte. Mi sentii giudicata.

"La sufficienza... appena?"

"Ehm, sì..."

"E' un po' pochino... richia di abbassarti la media e, in seduta di Esame di Stato, anche il voto..."

"Che ci vuoi fare... non sono brava come te..."

Forse... forse, piuttosto che parlare di quel dato argomento preferivo rimanesse zitto...

Camus fece ancora qualche passo, così raggiungemmo il ponte sul torrente Orco, ai minimi termini in quella stagione, prima di apprestarsi a fare un 'mea culpa' nel suo stile.

"Forse avrei dovuto seguirti di più su quella materia, mi dispiace! Ormai manca poco alla fine del primo quadrimestre, tra vacanze di Natale e tutto, non so se, con le ripetizioni, posso farti migliorare, ma, se vorrai, nella seconda parte dell'anno ti seguirò di più. Non voglio che ti si abbassi la media per un'unica materia!" mi propose lui, facendomi avvampare seduta stante.

Lo fissai sbigottita, lui, la sua espressione seria, gli occhi brillanti, la nuvoletta che usciva dalla sua bocca ogni volta che respirava e, non in ultimo, i movimenti eleganti della sciarpa che si portava al collo, sbatacchiata qua e là dal vento gelido che movimentava quella giornata limpida tra il bianco e l'azzurro terso.

"Ci mancherebbe! Anche tu avrai gli esami da fare, non perdere tempo con me, io e la chimica ci picchiamo da anni, ma alla fine ho sempre vinto io! - lo provai a tranquillizzare – E poi... e poi non è nelle mie priorità, la scuola, non più, quindi sarà quel che sarà, vorrei fosse già finita!" mi lasciai sfuggire, abbassando lo sguardo, forse sentendomi colpevole. La cosa, neanche starlo a dire, non sfuggì a Camus, il quale assotigliò subito lo sguardo, desideroso di carpire il reale significato di quella confessione.

"Non è... una tua priorità? Sakura, hai appena diciotto anni, quali altre priorità puoi avere? Non gettare tutto nel fuoco ora! Da quel che so, hai un'ottima media, se è solo chimica il problema io posso darti una mano!" provò a motivarmi, consegnandomi invece solo una pallida sensazione di fastidio.

"Lo studio è sempre stata una mia priorità, d'accordo?! Ci ho dato l'anima, e oltre! Ma... ma ora non è più così, in tutta frachezza mi sto rendendo conto che ci indottrinano per tutta la vita ad andare bene a scuola, ma ci sono cose immensamente più importanti, ed io queste cose, le ho perse; le ho perse proprio nei migliori anni della mia vita!" gli rivelai, giradomi dall'altro lato, colta in fallo. Avevo dimenticato che la sua indole era quella del professore paterno che stimolava sempre gli studenti, ma non era quello ciò di cui ho bisogno, non in quel momento, non da lui!

Cadde il silenzio tra noi, quella volta lì ero io ad aver aumentato le distanze, me ne resi conto e me ne dolsi, ma ormai era troppo tardi per rimediare.

"Sakura... - il tono di Camus giunse a me incerto, pieno di remore, ma andò fino in fondo – E' per colpa mia questo tuo stato? E'... per via di quello che provi per me?"

Mi ero incastrata... di nuovo! Come i piccioni che, non contenti di finire una volta nella trappola, ci ricadecvano scioccamente, mettendosi poi a tubare, non comprendendo nemmeno la motivazione di quell'errore.

"Ma... ma no, figurati! Tendi a darti troppa importanza, a volte, Camus... - gli mentii, desiderosa di riparare al più presto la mia situazione, che fragile com'ero ci mancava davvero poco per massacrarmi – Guardandomi indietro, mi sono solo resa conto di aver sprecato occasioni nella mia vita e ora me ne pento, null'altro!"

Non lo avevo convinto, sarebbe stato troppo facile così, ma per lo meno ero riuscita nell'intento di concludere il discorso, recuperando così la lancia per aprirne un altro.

"D'accordo, meglio così... - sospirò, un poco affranto, preoccupandosi comunque di dispensarmi un ultimo consiglio – Però tu pensaci seriamente, Sakura: davvero vuoi gettare tutto ora che sei quasi al traguardo? Ponderala bene questa scelta e, se puoi, stringi i denti fino alla Maturità, quando ce l'avrai fatta, allora potrai decidere del tuo futuro e del tuo presente, ma solo allora!"

Non risposi, tornando a soffermarmi invece sul torrente Orco che, inframezzato da rocce montonate ricoperte da diversi centimentri di neve, scorreva placido fino ad entrare nel Lago di Ceresole. Quello stesso torrente, così in apparenza tranquillo, in tarda primavera, nella fase di disgelo, dava invece spettacolo, spruzzando goccioloni d'acqua da tutte le parti e penetrando in quello stesso lago, rifocillandolo così del sacro liquido, fino a produrre un frastuono assordante.

"Per raggiungere il luogo che ti ho detto, bisogna seguire la riva sinistra del torrente ancora per un bel pezzo, ti va?"

"Certamente! Adoro camminare, inoltre un po' di moto non può che far bene sia a noi che ai nostri cani!" rispose, determinato, affiancandomi nuovamente e lasciandosi indirizzare da me.

Proseguimmo quindi per un bel tratto, sempre sfiorandoci, con i nostri cani dietro di noi e un sonoro e continuo CIAFF CIAFF dei nostri stivali che affondavano nella neve compattata. Mano a mano che la strada si faceva in salita, l'accumulo al suolo continuava ad aumentare ed era ben visibile a lati della strada, nonostante i mezzi spargisale chr arrivavano sempre fino alla località di Chiapili di sotto, proprio il posto in cui stavo conducendo il mio accompagnatore.

Mi ritrovai ben presto a fare il guru di questi luoghi da me così conosciuti e amati, partendo dalla leggenda sulla fondazione del paese di Ceresole Reale, proprio ad opera dell'Orco di cui la valle prendeva il nome.

"Scusami... questo 'orco' ha dato i natali al paese di Ceresole Reale, ma i suoi abitanti lo rifuggono e lo ripugnano, fino a fare riti propiziatori per allontanarlo, come è possibile?" mi chiese attentamente Camus ad un certo punto, percependo forte e chiaro il pauroso anacronismo nei rituali dei compaesani.

Ero sempre colpita dalla sua intelligenza e dalle sue domande argute, ed ero onorata che le rivolgesse a me, reputandondomi così all'altezza. Sorrisi mestamente e gli raccontai.

La leggenda voleva che dopo l'ultima Era Glaciale, ben prima del cosidetto 'optimum medievale', nelle località immediatamente sotto a dove poi sarebbe sorto, diverso tempo dopo, il lago di Ceresole, sorgessero piccoli rifugi e capannette, dove le comunità vivevano specialmente di caccia e raccolta. Ai tempi era impossibile salire più di così, il ghiacciaio, sempre minaccioso, serrava la valle, impedendo la vita, cosicché, soprattutto nella brutta stagione, venivano indetti balli sciamanici e riti dello stesso tipo per impedire che il suddetto si svilupasse ulteriormente. Finalmente, dopo una serie di età buie, nel periodo medievale, il ghiacciaio cominciò a ritirarsi, proprio grazie a questo Orco che era uno spirito della natura e che si adoperò in prima persona per far ritirare il permafrost e permettere così agli esseri umani di salire di altitudine e fondare così il paese di Ceresole Reale. Tuttavia, come tutti i demoni, l'Orco era un essere volubile, spietato e iracondo, quando gli essere umani pretendevano troppo, o non gli mostravano il giusto rispetto, e anzi lo seviziavano, decidendo arbitrariamente di non prendersi cura del territorio e quindi danneggiarlo indirettamente, questo Orco faceva espandere ancora di più i ghiacciai, arrivando a minacciare il paese e portando gli uomini alla fuga. Così accadde nella cosidetta 'piccola era glaciale', che cominciò circa nel XV secolo d. C. Le perdite furono altissime, morirono bambini,vennero distrutte case, alcuni anziani rimasero imprigionati nelle proprie case, spirando poi per stenti. Da quel momento in avanti fu deciso di eleggere una famiglia a capo del paese, intermediaria tra l'Orco e gli esseri umani... a tale discendenza, che si era contraddistita per riportare la pace, furono dati connotati sovranaturali. Essi parlavano al dio e per bocca del dio, il quale rinnovò quindi un contratto con il genere umano: se avessero fatto quanto chiesto e pattuito avrebbe garantito loro l'equilibrio e la salvaguardia dei suoi abitanti, permettendone il pieno sviluppo.

"E tale onore fu dato ai Megres..." arrivò alla conclusione Camus, serrando la mascella furente nel tentativo di controllarsi.

"Già, è la famiglia più vecchia del paese... i suo antenati hanno trovato un accordo con l'Orco e parlano in sua vece..." confermai, distogliendo lo sguardo, omettendo il resto.

Vi era tutta un'altra parte che non mi sentii di raccontargli in quel momento; quella parte narrava di come, ogni centocinquanta anni circa, veniva estratto a sorte, tra i bambini nati in quell'anno, colui o colei che avrebbe dovuto costituire il tributo da sacrificare per mantenere l'equilibrio tra gli esseri umani e i demoni, in sostanza un feticcio. Con questo sistema era andato tutto bene fino al giorno della mia nascita, quando fui designata io ad assolvere a questo sacro incarico, procedimento che tuttavia fallì, in quanto l'Orco, sempre volubile e nocivo, scelse me per incarnarsi, interrompendo così il processo. Non ero quindi più sacrificabile, poiché io stessa ero demone, ma l'accordo era stato annullato dall'Orco medesimo, quella era una ragione più che sufficiente per seviziarmi, isolarmi e, per quanto possibile, incatenare i miei poteri per rendermi inoffensiva.

"... a me sembrano una marea di cazzate!"

Sussultai a quella frase proferita da Camus, più o meno come un gatto quando, attirato da qualcosa, viene spaventato da una terza forza. Gli scoccai una occhiata indecifrabile, sorpresa e un po' spevantata dalla rabbia che presagivo dal suo sguardo.

"Non fraintendermi, Sakura! Il racconto è molto affascinante ed emozionante, mi piacciono le leggende, ma è aberrante che una tale recrudescenza del paganesimo, o di qualsiasi religione, sia il motore invisibile di un paese! Siamo nel XXI secolo, parbleu, dovremmo essere nel periodo per eccellenza del fiorire della ragione e del sapere scientifico!" spiegò, convinto delle sue parole.

"Ognuno vede i propri demoni in qualcosa, ognuno ha le proprie convinzioni... la piccola mente umana non è in grado di pensare all'immenso senza trovare una spiegazione, per cui vengono proposte soluzioni per fatti inspiegabili, magari false, magari vere, non importa... ciò che conta è che non scoppi il panico generale, ciò ch conta è raccontare i fatti in maniera umanamente capibile, per poi asservire le menti ai propri fini, e in questo, i Megres, ci riescono benissimo!" affermai, più democratica. Credevo nel sapere scientifico e nel pieno sviluppo delle facoltà umane, ma mi era altresì difficile non pensare anche all'Orco in questione, sebbene fosse una leggenda costruita ad arte per rabbonire i villici.

Forse era tutt falso ciò che mi avevano portato a credere di me stessa, eppure io ne subivo comunque le conseguenze. Fatti nella mia vita, sinistri presagi, sogni premonitori, mi avevano fatto pensare che un fondo di verità c'era, e che ero io... il mostro!

"La leggenda dell'Orco, è affascinante e tu me l'hai narrata con maestria, ma non si tratta altro che di una parafrasi, una metafora per definire e spiegare un gran cambiamento che è avvenuto in diversi secoli!"

Lo fissai inebetita, in attesa che proseguisse, totalmente carpita dalle sue parole. Non gli avevo rivelato che l'orco ero io, ma era come se in qualche modo lo avesse capito da solo, non oggi, non ieri, ma fin dal nostro primo incontro, il mio racconto emozionante, proferito con enfasi e una crescente immedesimazione, doveva avergli dato la conferma definitiva. I particolari gli sfuggivano ancora, come acqua che scorreva, ma aveva intuito la mia implicazione in quella faccenda per lui fuori da ogni logica.

"Guarda là, Sakura..." mi indicò un punto, sospingndomi con tenerezza burbera in direzione di una cascata situata in una forra, sotto la strada carrabile. La riconobbi, ed ebbi la certezza che eravamo quasi giunti all'ultima frazione della valle, esattamente dove lo stavo conducendo.

"Vedi? L'acqua, nel suo imperituro moto, erode la roccia sottostante, lentamente ma inesorabilmente, in questa maniera vengono creati i canyon, le forre, persino le valli. I ghiacciai si comportano in maniera non dissimile, perché anche loro si muovono, non percettibilmente, è vero, ma lo fanno!"

"Questo lo so... lo abbiamo studiato a Scienze della Terra, ma cosa c'entra con...?"

"E' perché l'Orco di cui parla la leggenda è solo un espediente fantasioso per trattare l'argomento da una prospettiva più semplice. Questa valle e, conseguentemente il paese di Ceresole, che poi ha assunto l'appellativo di reale, sono nate grazie all'azione di erosione del ghiacciaio e poi dell'acqua, in un certo senso la vita e la morte sono dipesi da questi due fattori, non è infatti un caso che il torrente prenda il nome di Orco e che i ghiacciai che circondano questo luoghi vengano chiamati 'ghiacciai della Valle dell'Orco'! Non esiste alcun demone maligno ordunque, nè la tanto decantata famiglia che comunica con lui e che si permette di tenere sotto scacco un paese intero! Esistono solo favole raccontate ad hoc a gente che, pavida della sua stessa ombra, non sa spiegarsi cosa sta accadendo attorno a sé senza avere degli intermediari fra il loro e il tutto. Provo perna per loro; una pena mista a rabbia!" continuò a ribadire, sempre più furente.

Io non aggiunsi altro, rimanendo invece sulle mie e prosegundo il mio cammino. Era tutto vero ciò che sosteneva Camus e sacrosanto... ma io ero cresciuta con la convinzione di essere un mostro per ragioni a me mai del tutto spiegate, se non con brevi frasi e per mezzo della violenza. Non era quindi per niente facile avere una qualche possibilitò di riscatto, non con il clima che si respirava in quel luogo da sogno abitato da persone da incubo.

Camus rispettò il mio silenzio finché non mi sentii io di parlare, ovvero quando ci trovammo finalmente dall'abitato di Chiapili di Sotto, in quella stagione praticamente disabitato. Fu la mia occasione di cambiare totalmente discorso per la seconda volta nell'arco di un paio di ore.

"Questa è Chiapili di Sotto... - presentai il paese, indicandondolo con un misto di orgoglio – c'è anche la frazione di sopra, ma è troppo alta e la strada, da un certo punto in poi, è chiusa in questa stagione, che te ne pare? C'è spazio a sufficienza per lasciar scorrazzare i nostri cani!"

Camus si guardò intorno, interessato. Il suo sguardo spaziava dall'agglomerato di abitazioni in legno, più in là, al torrente addobbato di neve, fino ai presunti prati che però erano totalmente coperti di bianco. Non si lasciò sfuggire nemmeno le cime accuminate che creavano, con la propria geomorfologia, un paesaggio di una bellezza senza pari.

"C'è... c'è qualcosa che non ti torna?" chiesi, titubante, vedendolo assorto nei suoi pensieri. Forse non vedeva la bellezza di quel luogo come me, forse per lui non era niente di speciale. Mi preoccupai di averlo deluso, almeno finché non fu lui stesso a tranquillizzarmi.

"No, affatto, è bellissimo, Sakura! Grazie per avermici portato... - mi disse, regalandomi uno di quei rari sorrisi – Mi ricorda un luogo vicino a dove abitavamo prima..."

Mi accorsi, tutto ad un un tratto, che non avevo la più pallida idea di dove abitasse prima. Effettivamente sapevo così poco di lui... lo avevao accettato nella mia vita, innamorandomene senza porre domande, accontendandomi di averlo con me da quel momento in avanti, ma il suo passato, persino il suo presente mi sfuggivano. Totalmente.

"E dove... dove abitavi prima?"

"Saint-Véran..."

Ci rimuginai un po' su, chiedendomi dove avessi già sentito quel nome affascinante in una lingua che non mi era propria, poi mi rammentai delle parole di Camus il primo giorno di conoscenza, quando mi disse che veniva da un luogo molto più alto di Ceresole e che pertanto era abituato a quel genere di clima. Feci due più due.

"Non è forse uno dei luoghi più alti d'Europa abitato durante tutto l'anno?" chiesi, affascinata.

"Sì, attualmente è il quarto, si trova ad un'altitudine di 2042 m.s.l.m. Ed è abitato da più di 250 persone. Si trova nel Parco Naturale Regionale del Queyras, ed è il luogo che ha visto i natali miei e di Dégel. I miei genitori sono entrambi di Annecy, ma dopo il matrimonio hanno scelto di andare a vivere in alta quota, curando gli animali delle zone limitrofe. Erano consci delle immense difficoltà che ci sarebbero state, erano consci che avrebbero scelto uno stile di vita frenetico, perché avrebbe dovuto muoversi con le intemperie per portare sollievo agli altri, ma lo hanno fatto comunque, facendo crescere me e Dègel con la stessa passione!" mi spiegò, più chiacchierone del solito, forse desiderioso di farmi conoscere una parentesi della sua vita che ancora non aveva trattato.

Gli sorrisi di rimando, nello stesso momeno in cui sia io che lui liberammo finalmente i cani, che subito presero una rincorsa per andarsi a fiondare nella neve, uggiolando felici. Fatto questo, Camus andò verso una roccia, gli tolse gentilmente la neve e si sedette lì, nuovamente irraggiungibile. C'era qualcosa di dolente in lui, che non andava, preferii non indagare, continuando a rimuginare su quel nome che continuava a ricordarmi qualcosa, ma non sapevo bene che cosa. D'accordo, uno dei Comuni più alti d'Europa, se non il primo, d'accordo la mia passione per la montagna, ma questo Saint-Véran mi diceva qualcosa.

"Eppure il nome mi ricorda qualcosa..."

"Ti starai di certo confondendo con Verrès, il Comune italiano situato in Valle d'Aosta..."

"No, sono sicura che... - poi mi illuminai, riportando alla luce una informazione che non rammentavo minimamente, e che pure, ai tempi, mi aveva impressionato e scosso – Ma certo, Saint-Véran!!! E' il luogo in cui cinque anni fa, in piena estate, c'era stato quel pauroso incendio in un albergo! Terrible, davvero terribile! Mi pare che ci sia morta anche una ragazza che... AHIA, Camus! Cosa... cosa sta succedendo?!"

"Tu... tu come lo sai?!?"

Mi spaventati nel vedere l'urlo silente che si percepiva dai suoi occhi in quel momento sgomenti e terrorizzati, così assurdamente terrorizzati. La sua mano si era mossa velocemente a stringermi il polso con impeto, quasi nell'impulso di farmi tacere, di non continuare in una frase troppo dolorosa per lui. Ero confusa e sofferente, ma non seppi dire se per l'espressione rivoltami o per l'intensità del suo sguardo carico di pena. Non ebbi comunque il tempo per chiederglielo che una sua nuova reazione non si fece attendere.

"TI HO CHIESTO DI DIRMI COME LO SAI!" mi urlò, facendomi spaventare non poco e incurvare la schiena per istinto di protezione.

"Lo... lo avevano raccontato ai telegiornali e... e mi era rimasta impresso, non... non so altro, solo che mi dispiaceva enormemente per quella ragazza! Passarono le foto al tg, aveva... aveva un sorriso così ampio e sincero, da scaldare il cuore..."

A quel punto Camus si alzò bruscamente in piedi, dandomi le spalle e allontanandosi di qualche passo. Non parlò più, rimase solo in piedi, lo sguardo lontano, le mani serrate in due pugni chiusi. Impossibile raggiungerlo. Il polso mi doleva alquanto, me lo massaggiai, sentendolo intorpidito, ma era nulla se paragonato alla prostrazione che percepivo per la sua reazione. Secca. Spietata. Ne ero ammutolita. Con Camus a volte sembrava di essere sulle montagne russe, così gentile ed educato, aggrazziato, tranquillo... eppure non era la prima volta che il suo umore cambiava così drasticamente, traboccando in un'ira spessa e impossibile da trattenere. E quando quell'ira sgorgava fuori dagli argini della sua mente, schiantandosi su di me, io non potevo far altro che venirme colpita in pieno, annaspando e soffrendo a dismisura, ben consapevole del suo dolore, che a quel punto diventava anche il mio.

"Sakura... - mi chiamò dopo un po', attirando la mia attenzione – Vai a soccorrere Mirtillo, è finito in una buca!"

Mi girai, era vero! Il mio baldo Spinone era finito sotto la neve, gli sbucava solo la coda mentre, imbranato com'era, provava ad uscirne, riuscendo solo a infossarsi ancora di più. Mi precipitai a soccorrerlo, seguita da Ipazia che, molto più sveglia e scaltra, si era tenuta ben distante da quell'affaraccio. Puntellai le gambe e lo presi praticamente di peso, mentre la cagnolina di Camus, per darci manforte abbaiava a intermittenza. Finalmente il mio Mirtillo fu fuori e dopo una bella ma poderosa scrollata per togliere la neve, mi saltò letteralmente addosso contento, seguito da Ipazia che fece altrettanto. Ero attorniata da code scodinzolate e da linguate insistenti. Risi tra me e me, felice e distesa nello spirito, malgrado lo screzio di prima. Rimasi ancora un po' a divertirmi e ad arruffarmi con i cani, finché lanciandogli un bastone racimolato dal terreno, non glielo scagliai più in là, lasciandoli a giocare tra loro e tornando dal mio amico. Camus si era di nuovo seduto sulla roccia, una mano a nascondere il volto, l'altra ancora stretta a pugno. Mi morsi le labbra nel vederlo così fragile e, ancora di più, a sapere che a renderlo così ci avevo pensato io, anche se non sapevo minimamente perché.

"Mi dispiace... ho parlato troppo... di nuovo!" mi scusai, affranta, sedendomi vicino a lui.

"Ora p-passa, non preoccuparti..."

Aveva gli occhi lucidi e il respiro corto, come di singhiozzo trattenuto nel petto. Il suo torace infatti fremeva insistentemente, ma nessun suono veniva prodotto dalla sua bocca, serrata e contratta in una smorfia di sofferenza.

"La... la conoscevi?"

Camus non rispose niente, ma annuì quasi meccanicamente. Sapevo che mi sarei dovuta fermare, perché quella era un chiaro segnale di rifiuto, di non stappare il vaso di Pandora, che non ci si sarebbe salvati dai demoni, giammai, eppure per qualche ragione provai l'impulso di continuare, troppo dispiaciuta per lui.

"A-avevi 15 anni all'epoca, e ce li aveva anche Dégel, perché immagino che la conoscevate entrambi..."

"..."

"Deve essere così, in un paesino si conosco tutti... è per questo motivo che, una volta finite le Superiori, avete voluto cambiare aria, immagino...Vi siete iscritti all'università di Torino e poi avete scelto un luogo idoneo per ricominciare, finendo qui, a Ceresole..."

"..."

"Ca-Camus, io posso solo immaginare quello che hai passato, anzi che avete passato, ma... ma lei è, e rimarrà, sempre nel vostro..."

"Per favore, Sakura, piantala! Conosco la scenetta patetica di quando uno rivela qualcosa di brutto ad un altro: espressioni di circostanza, frasi accorate, tentativi di avvicinamento... io preferirei solo il silenzio, pensavo lo avessi capito, dopo più di un mese di conoscenza!"

"Lo avevo capito, ma... ma non potevo lasciarti lì, da solo, chiuso nella tua sofferenza. Non voglio che tu..."

"E' ciò che voglio io, per cui lasciami stare e basta!"

"C-Camus... io non posso lasciarti solo ora, non... non me la sento, capisci? Ti porti dietro il lutto da cinque anni, è per questo che sei cambiato, vero? E' per questo che..."

"HO DETTO DI PIANTARLA, SAKURA!!! - esclamò, totalmente snervato, alzandosi in piedi di scatto e squadrandomi con astio – Cosa ne vuoi sapere tu, di quello che abbiamo passato io e mio fratello, cosa ne vuoi sapere, eh?! Dimmelo!"

"I-io non ne so... nulla..."

"ESATTO! Non ne sai nulla, per cui taci, sei l'ultima che può parlare di una simile situazione!"

"S-sarei l'ultima a poterti parlare? Per-perché, te lo posso chiedere, almeno questo?" biascicai, incurvandomi su di me, sulla difensiva. La sua esclamazione mi aveva ferito, anche se aveva tutti i diritti per potermela fare, ma l'effetto su di me era atroce.

"Tu... tu sei sempre così allegra e solare! Sembri il sole sceso in terra, da quanto risplendi! Nessuna cosa ti tocca nel profondo al punto da farti cambiare drasticamente carattere, non c'è nulla che ti faccia male, regali a tutti quel sorriso sincero e affettuoso, persino a chi non lo merita, ed è perché sei naturalmente propensa agli altri... una persona come te, che ne sa della sofferenza più intima?!? Che ne sa di sconvolgimenti tali da farti perdere il te stesso di un tempo?!"

Accusai il colpo, guardandolo incredula... davvero mi stava ponendo uan simile domanda? E con quali diritti poi?!

"Tu... tu l'hai vista la mia famiglia, no? Nonostante questo, hai comunque il coraggio i dire ciò?!" gli chiesi, gelida, e lo vidi mordersi il labbro inferiore, colpito e affondato.

La famiglia... fosse stato solo quello poi...

"A-appunto per questo che ti ho detto ciò, perché tu, malgrado la tua situazione insopportabile, non sei mai cambiata... abbiamo due modi diametralmente opposti di reagire alle cose, per questo dico che sei l'ultima persona a poter parlare del mio dolore, sei... troppo diversa da me, e quindi..."

"E quindi inferiore, vero?"

"Non ho detto questo..."

"Ma lo hai pensato, anche se solo per un istante..."

"N-no, io..."

Crollai a terra, sfinita, stavolta ero io a singhiozzare inconsolabile, non sforzandomi nemmeno di celare quell'ingrato spettacolo agli occhi di Camus, che pure in quel momento mi fissava con un rimorso ben tangibile.

"Sakura e Camus reagiscono in maniera diversa alla sofferenza... il secondo è in apparenza più intimo, serba in sé tutto il suo mondo, le sue emozioni, quindi è logico che soffra di più, no? - parafrasai il suo pensiero, respirando affannosamente – La seconda invece è stupidina, sorride a destra e a manca, è allegra e solare, quindi è altrettando logico che non soffra, o che non ci patisca come Camus, giusto? Poco importa se sta patendo le pene dell'inferno e non le mostra... ipse dixit, non si fugge di qui!"

"S-Sakura, i-io non volevo insinuare che..."

Ma non riuscii più a reggere il suo sguardo, desiderando solo di scappare via... già, secondo gli occhi di Camus che ne sapevo io, della sofferenza, che ne sapevo?!?

"Scusami, ho bisogno di stare da sola, non... non sono in me in questo momento e non vorrei dirti cose che potrebbero ferirti ulteriormente!" spiegai, corrrendo via, verso il torrente, perché quando ero particolarmente agitata avevo bisogno di essere vicina all'acqua. Lo raggiunsi, scoppiando in un vero e proprio pianto liberatorio: non volevo che finisse così, non volevo attaccarlo, avrei dovuto davvero sostenerlo, ma, ancora una volta, avevo fallito nei miei propositi. Camus era irraggiungibile, qualsivoglia strada provassi non facevo altro che allontanarmi da lui ancora e ancora, in un eterno ritorno che si ripeteva secondo gli stessi schemi. Era... era devastante! In fondo anche lui aveva ragione: eravamo troppo agli antipodi anche solo per sfiorarci, figurarsi camminare insieme!

 

Cosa ne vuoi sapere tu... della sofferenza?

 

Già, che ne sapevo, per lui, della sofferenza?! Cosa ne potevo sapere?! Io, così allegra e vivace, sempre contenta e di ottimo umore, io... che perdevo le bave con gli altri maschietti, che perdevo le bave per lui, come non potevo essere considerata... una stupida?! Molto probabilmente per Camus ero una stupida, una ragazza frivola, né più, né meno... con quali diritti mi ero avvicinata al suo mondo intimo? Era già tanto che lui mi avesse concesso la sua amicizia e questa qui, cioè io, ci era entrata così a cuor leggero, razzolando e calpestando un ricordo che lui, con ogni probabilità, voleva solo seppellire dentro di sé e dimenticare per sempre.

Cosa ne volevo sapere io... cosa ne voleva sapere lui, del fatto che la mia era solo una maschera?! Un patetico tentativo finito male di resistere, invano. Resistere... resistere... resistere... per non finire in pezzi, resistere... e dimenticare... ma non mi era concesso!

Non ero che una bambina, in fondo, quando mani spietate mi buttarono a terra e mi toccarono, più e più volte... non ero che una bambina, cosa ne poteva sapere una bambina di quello che le facevano?! Di cosa fosse giusto... di cosa fosse sbagliato...

 

Una bambina non sa, non capisce, non fino in fondo, almeno. Per una bambina l'estate è la stagione più bella, senza ombra di dubbio.

Sole.

Giochi.

Acqua.

Calore.

Bruciore.

Forza.

Violenza.

Impotenza.

Di nuovo il calore. Che diventa dolore. Duro. Penetrante.

Non respiro. Per una serie di secondi, non respiro... mi sento di morire, effettivamente forse è così. In estate, del resto, il caldo può diventare rovente, fino a bruciarti...

...E a dilatarti, come i grattacieli, finché non ti spezzi... e ti spezzi in mille frammenti!

C'è un vecchio sopra di me, potrebbe essere mio nonno, ma nessuna sensazione piacevole lo accompagna, nessun sollievo, ma almeno il dolore si sta attenuando. Non sento più nulla. Sono... vuota!

Il vecchio mi sorride forzatamente gentile, falsamente comprensivo, dicendomi che sono stata brava, che non è da tutti. Nel farlo mi accarezza una guancia e mi solletica il mento, in quello che avrebbe potuto essere un bufetto di tenerezza... avrebbe potuto...

Mi ripugna... ma non quanto me stessa: il mio corpo non è più mio, mi è estraneo, provo solo disgusto nel trovarmici dentro, vorrei sparire. Vorrei essere morta!

"Brava così, piccola Sakura! Ora sai quello che devi fare, eh, lo sai... mio orchetto... - sento ancora sussurrarmi alle orecchie, vicino, troppo vicino – Sei nata per soffrire, perché hai il sacro compito di mantenere l'equilibrio tra la nostra civiltà e la natura... non trovi che sia meraviglioso?! Continua così, bambina mia, e non accadrà nulla alla nostra amata Ceresole Reale!" mi sibila, toccandomi l'orecchio di destra con la punta della lingua.

Non avverto più nulla...

 

"S-Sakura?"

Qualcuno mi stava richiamando alla realtà... era una pallida voce, lontana dal mio essere, quasi inudibile, comunque non aveva la benché minima importanza...

Niente aveva importanza!

"Ehi, Sakura!!!"

La voce si faceva sempre più vicina, ma ancora non era abbastanza per scrollarmi dal torpore.

Continuava a non avere importanza.

"Per l'amor del cielo, Sakura, cosa ti sta succedendo?!"

Qualcuno mi aveva appena sfiorato, e continuava a farlo... no, non era così... qualcuno mi stava proprio scuotendo, qualcuno si era avvicinato a me senza il mio permesso, ancora ua volta, violandomi, senza che io potessi decidere alcunché, proprio come allora.

"SAKUR...!!!"

"Allontanati da me, maledetto!!!" gridai, ricolma d'ira, spingendo via l'intruso, rifilandogli anche un calcio nello stinco. Via!!! Ben distante da me! VIA!!!

Mi rannicchiai lì dov'ero, cingendomi le spalle con le braccia, in un estremo tentativo di difendermi. Singhiozzai, prima di scoppiare a piangere. Ero così sola... così... abbandonata!

Non seppi quanto rimasi in quella posizione, assolutamente chiusa nella mia corporeità, persi il filo conduttore che legava un essere umano al tempo, lo persi totalmente, almeno finché non avvertii con chiarezza un tartufo bagnato solleticarmi la guancia sinistra.

Sgranai gli occhi, riconoscendo Mirtillo in quello sfacelo. Il mio cagnolino aveva preso ad uggiolare, terrorizzato dal mio stato emotivo, riportandomi così alla realtà con i suoi latrati prolungati.

Ero lì da sola, abbandonata... eppure lui era riuscito a raggiungermi anche lì, perseverando fino a quando una cruna si era aperta, spirarglio di luce tra i miei tormenti.

Spalancai gli occhi, incredula, grata... e lo abbracciai, scoppiando in un lungo e prolungato pianto. Mirtillo rimase composto lì, improvvisamente fermo nel percepire il mio stato. Gli cinsi il collo e affondai il mio viso nei suoi peli un poco ispidi, raccogliendo quella stretta come una salvezza. Percepivo solo il freddo pungente, la neve sotto di me e lui, caro, semplice, e dolce Mirtillo, ci misi non poco a razionalizzare dove mi trovavo, mentre i ricordi recenti tornavano a galla, sopperendo quelli antecedenti. Di colpo ripiombai nel presente.

"Sa-Sakura!"

Mi riscossi nel vedere Camus a poca distanza da me, lo sguardo contrito, le mani strette a pugno nella neve, i capelli svolazzanti al vento. Era per terra come me, la gamba destra innaturalmente piegata in avanti Aveva l'aria di dolere. E capii. Capii che gli avevo dato un calcio con tutte le mie forze e che ero stata io a spingerlo, totalmente preda degli incubi. Sopraggiunse il rimorso. Istantaneo.

"Ca-Camus, scusami, non volevo..."

"Va tutto bene, sono io ad aver sbagliato ad approcciarmi così a te, non pensarci più!"

Annuii, chiudendo gli occhi e abbracciando il mio cucciolo, mentre Ipazia, più titubante, mi venne a sua volta vicino, dandomi delle musate per incoraggiarmi. La domanda era nell'aria, ma Camus era intelligente, non avrebbe indagato, se non avessi voluto io per prima. Infatti non lo fece, si limitò ad alzarsi con cautela e, sempre lentamente, avvicinarsi a me. Rabbrividì dalla paura.

"NO, FERMO! NON TI AVVICINARE!" gli urlai, e lui si fermò seduta stante, rigido. Vedeva che qualcosa non andava nei miei occhi, lo vedeva chiaramente, e provava l'impulso di rompere il guscio che mi ero creata per raggiungermi lì dov'ero finita. Ma non poteva e... e non glielo avrei concesso!

"Per favore... non ti avvicinare e... e non mi toccare, ti scongiuro!"

"Se non vuoi non lo farò... riesci comunque ad alzarti?"

Annuii, coagulando tutte le mie forze nelle gambe per rimettermi in piedi. Il mio respiro era corto, il corpo tremante... la mia postura era ricurva, come se avessi dovuto difendermi da qualcosa, o meglio da qualcuno. Ero nuovamente lì, patetico oggetto vuoto buttato nell'immondizia.

"Sakura, permettimi di fare tre passi, solo tre passi, nella tua direzione. Mi terrò a debita distanza, te lo assicuro!"

Bramavo il suo tocco dal primo istante che lo avevo visto, lo bramavo, eppure... in un certo qual modo mi ripugnava, inspiegabilmente, o, chissà forse perfettamente spiegabile, non ero mai stata adatta agli incontri ravvicinati, li volevo, ma anche li aborrivo, solo Dégel aveva costituito una eccezione, solo lui, oltre ovviamente a mio fratello e, a volte, il mio amico Mu... Persino il tocco di Camus, quel bellissimo e magnifico tocco che mi faceva battere il cuore all'impazzata, in quei momenti non era altro che un nuovo, e più cruento, trauma. La mia reazione agli abbracci era sempre stata quella di bloccarmi, come se in quegli attimi la mia coscienza scivolasse via da me e non appartenesse più alla ragazza chiamata Sakura. A volte riuscivo a defluire da quella spiacevole sensazione, tornando a galla e comportandomi come qualsiasi altra persona, altre volte no, ne ero invischiata e più mi dibattevo più ne ero vittima, annaspando per la mancanza d'aria.

Quel giorno aveva risvegliato anche in me ricordi, demoni, che preferivo sotterrare...

Camus, non ottenendo risposta da me, ancora ingarbugliata nella rete delle mie paure, accennò prima un passo nella mia direzione, poi un secondo, e un terzo.

"Sono qui, non ti farò niente, te lo prometto..." ripeteva a cadenza regolare, vincendo la resistenza del mio mutismo. Non rispondevo nulla infatti, ma il mio sguardo era perrennemente distante, verso il basso. Ancora una volta non avevo il coraggio di oppormi. Capitolavo.

Camus si fermò. Si fermò a breve distanza da me, pur senza sfiorarmi. Mi scrutava a fondo, intensamente, non capivo le sue intenzioni. Sapevo che era un bravo ragazzo, ma in quel momento avevo paura. Ancora una volta. E tremavo.

Non mi toccò, come promesso, ma ad un certo punto venni amorevolmente avvolta dalla sua sciarpa, che mi coprì il collo fino a cingermi le spalle, come un abbraccio.

Non dissi niente, ma mi ci affondai dentro, ingoiando a vuoto. L'odore di Camus... era così distinguibile dal resto, appiglio sicuro dal marasma che mi circondava e, ancora di più, da quello interno, che mi stava uccidendo. Lentamente. O forse lo aveva già fatto?

"Sakura... ho capito che non posso raggiungerti lì dove sei, con il mio corpo... - mi sussurrò, con voce di miele, non voleva in alcun modo ferirmi ulteriormente e percepiva nitidamente la mia fragilità, ma io ero chiusa ad ogni sua possibilità di agire, e anche quello aveva compreso – Permettimi quindi, almeno, di darti la mia sciarpa, stai tremando come un pulcino, e ho la sensazione che la colpa sia mia..." biascicò, mortificato, non sapendo comunque neanche lui cosa dire in una simile circostanza.

"Tu... tu non c'entri..." professai, in tono tremante, discostando lo sguardo.

Annuì, cupo, inditreggiando di qualche passo per farmi sentire più a mio agio. Eppure bramavo quel

tocco, dannazione, perché... perché?!?

"Non ha importanza comunque ora! Andiamo... andiamo a casa, ti accompagno io!

 

 

* * *

 

 

PIF! PAF!

Due feroci colpi alle guance mi fanno quasi girare su me stessa di 180 gradi... li accuso, rimanendo comunque in piedi e massaggiandomi le zone lese.

"Ma... mamma!!!" urlo, con quanto fiato ho in gola, del tutto incredula. Non ho nemmeno avuto il tempo di salutare, né di andare in camera mia, che sono stata accolta da due schiaffi, senza tanti rigiri di parole. Milo non è presente, passa la settimana con gli amici della facoltà. Zeus e Mirtillo sono fuori con lui, nella grande casa di Kanon. Sono sola, di nuovo, in un ambiente che dovrebbe essere caldo, accogliente e famigliare e che invece sta diventando sempre più un incubo. Un eterno incubo.

"Zitta, ragazzina, e non chiamarmi con quell'appellattivo, mi fai inorridire!"

Ingoio a vuoto, abbassando lo sguardo, la gola mi brucia, la pelle pure, sono sull'orlo delle lacrime ma non gliela darà vinta, neanche qusta volta.

Quell'essere che dovrei chiamare madre si avvicina nuovamente a me, incombente. Fa per colpirmi per l'ennesima volta, ma questa volta mi ribello, parandomi. Pessima idea, perché lei, furente, passa ad un vero e proprio pestaggio, centrandomi l'occhio destro e facendomi tonfare a terra, secca.

"Non vuoi proprio capire, stupida ragazzina, stai mettendo in pericolo tutti noi con il tuo modo di fare, te ne rendi conto?!?"

No, non me ne rendo conto. Non capisco. Cosa mi proibisce di farmi degli amici? Di conoscere altra gente? Camus... Dégel... mi sono entrati nel cuore, non voglio perderli!

"No, non capisco... non capisco!!! Perché mi dici questo? Perché mi picchi?!? Io... io non ho fatto niente, sono solo uscita con Camus, io..."

"E' proprio questo il problema, sciocca ottusa! Ti hanno visto con quel Camus! Di frequente ti vedono a casa dei Delacroix! Tu sei una bestia malefica che deve rimanere isolata, non puoi stringere rapporti di amicizia con nessuno! Già con Mu abbiamo e hanno chiuso un occhio, e tu, invece di sorridere grata e fare quanto chiesto, vuoi sempre di più, come gli ingordi! In questa maniera spezzerai l'equilibrio, ci ucciderai tutti, e la colpa sarà tua! SOLO TUA!"

"N-NO, IO NON VOGLIO... NON VOGLIO FARE MALE A NESSUNO!"

"Lo farai, se continuerai su questa strada! Le persone che hanno in qualche modo a che fare con te finiscono male, molto male, ma tu sei un'egoista, pensi solo a te stessa!"

"Non voglio che succeda qualcosa agli altri... NON VOGLIO!"

"E allora smetti di frequentare i Delacroix, o Camus morirà e la colpa sarà tua!" mi intima, andandosene via e lasciandomi lì, svuotata.

E singhiozzo. Sola. Impietrita e terrorizzata da quella eventaualità.

"Sei tu l'orco della valle, tu hai rotto il patto, Sakura, puoi solo accettarne le conseguenze!"

 

"Sakura!!!"

Mi rizzai istantaneamente a sedere, svegliata dalla voce impetuosa della mia professoressa di chimica. Un brivido mi colse nel vedere la sua espressione infastidita puntare su di me, pronta a incastrarmi, rea di essermi addormentata nelle sue lezioni.

"Sakura, posso capire che la chimica non ti si confaccia, ma non ti sembra, anzi una buona ragione per seguire attentamente le mie lezioni, invece di ronfare della grossa?"

Arrossii vergognosa, desiderando nascondermi sotto il banco. I miei compagni risero più volte, in particolare Megres sembrava particolarmente divertito da quello che mi stava succedendo.

"Non... non è così, professoressa, io... io ero solo molto stanca, mi perdoni!"

"Ho notato, e probabilmente quegli occhiali da sole non ti aiutano di certo a rimanere sveglia, ma hai detto che li devi tenere anche a lezione..."

"S-sì... ho sofferto di congiuntivite allergica in questi giorni, per questo che li devo indossare, altrimenti la luce solare, quella artificiale e il chiarore della neve mi danno fastidio!" mi inventai sul momento, pur con un fondo di verità perché davvero i miei occhi azzurri, con il cristallino chiarissimo, soffrivano saltuariamente di quel fastidio, soprattutto in primavera.

"D'accordo, non ti preoccupare... dimmi la definizione di mole che stiamo trattando e siamo apposto!"

"L-la mole è la quantità di sostanza che contiene unità elementari quanti sono gli atomi dell'isotopo carbonio 12" gli sciolinai, rammentandomi delle lezioni di Camus. La professoressa sorrise e annuì soddisfatta: me l'ero cavata!

"La tua ottima memoria non si smentisce mai, Sakura! Comunque la prossima volta segui la lezione, e vedrai che non dovrai più picchiarti con la mia materia per raggiungere la sufficienza!" mi consigliò comunque, tornando a scrivere sulla lavagna.

Altre risatine divertite che mi fecero arrossire nuovamente e rannicchiare, del tutto a disagio in quell'ambiente estraneo. Poco dopo venni colpita da una palla di carta, girandomi scorsi Megres, particolarmente rompicoglioni in quell'ultimo periodo, probabilmente perché Mu si assentava spesso, del tutto impegnato a prendere la patente il prima possibile.

"Sai sempre come cavartela, eh, Sakurina... ma presto la tua buona stella ti abbandonerà e... ZAC!" produsse un verso rauco, mentre con l'indice destro segnò, con una linea retta, il suo collo, facendomi intendere che presto me l'avrebbe fatta pagare, in un modo o nell'altro.

Non lo degnai di uno sguardo e mi rigirai, concentrandomi sulle spiegazioni della docente senza pensare al resto.

Buona stella, certo... ma dove?!?

Al termine delle lezioni, chiusi lo zaino e velocemente me ne andai, del tutto intenzionata a prendere la prima corriera che passava: prima mi defilavo da lì meglio sarebbe stato. Così feci, permettendomi un sospiro di sollievo quando vidi che Megres e i suoi compagnoni invece si dirigevano da un'altra parte, forse avendo delle commissioni da fare. Finlmente mi rilassai, sprofondando nel sedile. Erano passati quattro giorni dall'incidente con Camus, era giovedì, mancava poco alla fine della settimana e all'8 di dicembre. Dovevo resistere ancora per poco, davvero per poco. Naturalmente, neanche starlo a dire, non avevo avuto più il coraggio di sentirlo o di parlargli, troppa la vergogna per la mia scenata quasi isterica di domenica. Di certo ero una tipa problematica, più si andava avanti con la conoscenza più se ne sarebbe reso conto, inoltre... inoltre le parole spietate di mia madre mi risuonavano nelle orecchie, facendomi credere che forse sarebbe stato meglio, ancora una volta, chiudere i ponti, per la loro incolumità. Eppure non volevo... non volevo, dannazione!

Compii tutto il viaggio in religioso silenzio, talmente tanto da sembrare una perfetta statua greca eterea. Non mi accorsi neanche di essere arrivata, ma fortunatamente il conducente mi avvertì. Mi rianimai, ringraziandolo gentilmente, quindi scesi...

... e mi trovai davanti proprio il soggetto delle mie riflessioni!

Mi pietrificai seduta stante, irrigidendomi di botto, mentre lui si avvicinava a me, pur mantenendo le distanze. Non ci voleva. Non ci voleva proprio!

"Ciao, Sakura!"

"Ciao..." dissi solo, amorfa, rimanendo sulle mie a capo chino.

"Ti disturbo?"

"No..."

"Ecco... non ti fai sentire da domenica, mi chiedevo se... se avessi avuto dei problemi, io..."

"Tutto okei!" gli mentii, tanto ero abituata a farlo.

"... devi perdonarmi, Sakura, per quello che ti ho detto domenica, non avevo alcun diritto di parlare, sono stato un presuntuoso e..."

"E' tutto okei!" gli ripetei, accentuando un poco il mio tono, prima di svicolare via, o meglio, tentare di farlo, perché Camus non demordeva.

"Sicuro... che vada tutto bene?" mi chiese, affatto convinto.

Come potevo dirgli la verità? Come potevo assecondare il mio desiderio di stringerlo a me se, nello stesso momento avevo paura di farlo? Tutto ciò che volevo era lì, a due passi da me, eppure dare retta al mio egoismo gli avrebbe fatto solo del male.

Volevo solo camminare al suo fianco, null'altro, per farlo avrei rinunciato persino al mio sentimento per lui, eppure... eppure... a detta di mia madre, nemmeno quello mi era concesso. Rabbrividii, incassando la testa fra le spalle.

"S-Sakura..."

Camus provò un nuovo approccio, avvicinando dolcemente la mano al mio braccio, vedendo che non mi opponevo, fece lo stesso con l'altra, circondandomi così le spalle.

"Guardami, per favore..."

Non potevo farlo, anche se avrei voluto tanto, compiere quell'azione sarebbe equivalso ad attirare la sua attenzione nella zona che cercavo di nascondere a tutti i costi, pertanto mantenni lo sguardo basso.

"Guardami..." non era un ordine, ma un desiderio; un desiderio di instaurare un qualche tipo di rapporto tra noi dopo i fatti accaduti la domenica prima. Fui tentata di assecondarlo, condividendo quell'impulso, ma resistetti stoicamente.

"Sakura... perché indossi un paio di occhiali da sole in questa stagione? Inoltre oggi è nuvolo, non dovresti avere di questi problemi..."

"Ho il cristallino chiarissimo e soffro di congiuntivite allergica, in questi giorni si è accentuata..." gli spiegai, mentendo ancora una volta.

"Congiuntivite allergica? In questa stagione? Posso capire il riverbero del sole che ferisce i tuoi occhi, ma oggi, stante le condizioni atmosferiche, non dovrebbe essere così insostenibile..."

Non me lo sarei levato di torno tanto facilmente, lo sapevo, pertanto mi allontanai e decisi di cambiare discorso, sperando di distrarlo.

"Effettivamente dovrei comprare un po' di alimenti nel negozio di Shura, ti va di accompagnarmi?" gli chiesi, voltandogli le spalle.

"D-d'accordo..."

Gli feci strada, stando ben attenta a non incrociare il suo sguardo, sebbene tanto caro. Raggiungemmo così in un battibaleno la piazza centrale del paese e il negozio di Shura, lì gli chiesi se per favore poteva andare a comprare un po' di pane dalla commessa, io avrei pensato al resto. Fu un sollievo togliermelo di torno in quei minuti, mi permise di elaborare un piano affinché lui non mi potesse più chiedere spiegazioni a proposito dei miei occhiali da sole: una volta uscita di lì lo avrei salutato, adducendo come scusa che mio padre mi aveva chiamato chiedendomi di andare a casa il prima possibile. Era tutto perfetto, anche se non tanto elaborato, l'importante era che funzionasse, ma purtroppo la mia 'buona stella', come sosteneva Megres, fece cilecca un'altra volta, l'ennesima. Alzandomi sulle punte dei piedi per prendere la frutta di stagione più in alto, persi infatti l'equilibrio, andando così a sbattere contro un signore del paese, che si era sapientemente mantenuto alla larga da me. Purtroppo la perdita dell'equilibrio, mi era costato un avvicinamento a lui, il quale, sentendosi sfiorato da me, fece un balzo indietro per evitarmi, facendomi così sbattere sullo scaffare e capitombolare per terra.

"Iiiiiiiiiiik! Sakura, sempre tu, stai attenta una buona volta!" esclamò, franco, allontanandosi ancora un po', circospetto. Era uno dei più gentili del paese, non mi insultava vai, si limitava ad evitarmi, e anche quella volta non rincarò la dose con minacce o parolacce. Mi sentii in colpa.

"Mi scusi, la prossima volta presterò più attenzione a non importurnarla..." biascicai da terra, le mani sul pavimento e gli occhi chiusi, in un'espressioen densa di rammarico.

"Fa' niente, visto che non lo hai fatto di certo apposta! Ma stai attenta!" non mi aiutò, se ne andò semplicemente in silenzio, gliene fui grata.

In quel momento sarebbe bastato rialzarmi, prendere le ultime cose, pagare e filare via, ma impiegai più tempo del previsto a rimettermi in piedi, il tempo necessario a Camus per raggiungermi, raccogliere qualcosa vicino a me e porgemelo con gesto gentile.

"Uno più simpatico dell'altro in questo paese, non c'è che dire! - commentò aspro, come sempre combattivo – Tieni, Sakura, i tuoi..."

Ma si bloccò.

Io mi bloccai, accorgendomi dell'errore. Fatale.

Mi celai in fretta, voltadomi, ma era troppo tardi. Lui... aveva visto, tutti i miei favolosi piani andati completamente in fumo per colpa dell'incognita del signore.

"S-Sakura..."

"N-non... non è niente, ho solo picchiato contro uno spigolo!" farfugliai, in fretta e furia, strigendo i pugni frustrata. Che me ne fosse andata bene una, UNA! No, continuavo ad apparire come una ragazzetta fragile, sempre di più, davanti a lui... NO!

Non era una arancia quella che Camus si era fermato a raccogliere, ma i miei occhiali da sole, caduti durante l'urto.

"Non può essere uno spigolo... girati, Sakura, perché non può essere quello che vai dicendo!" mi disse, afferrandomi per il polso, che ritrassi subito.

"No... lasciami stare, Camus, lasciami, o... Urk!"

"Stai attenta!!!"

Mi afferrò per la vita prima che potessi cadere, infatti nell'atto di discostarmi da lui ero di nuovo andata a sbattere contro lo scaffare, rischiando di farmi male. Ebbene Camus, per impedirmi ciò, mi aveva preso e mi aveva trattenuto contro di sé, mentre io, scalpitante, gli urlavo di non preoccuparsi e di lasciarmi andare per la mia strada. Anche Shura fu attirato dai miei schiamazzi e sopraggiunse.

"Non posso... non posso abbandonarti! - mi disse Camus, con decisione, prima di accarezzarmi dolcemente la testa – Non posso, Sakura, lo capisci? Non posso continuare a far finta di niente!"

A quelle parole mi arresi, rimanendo contro di lui, umiliata e stremata. Il coronamento di una settimana di merda, altro che la mia 'buona stella'. Fanculo, Megres!

"Provi... provi così tanta pena per me?" gli chiesi amaramente, sentendomi nuovamente impotente. Per quanto mi arrabattavo, ero, e sarei sempre stata, una stupida, pavida, debole ragazzetta.

"Non è pena, la mia... e ora guardarmi..." mi chiese gentilmente, sollevandomi il mento e incrociando il mio sguardo con il suo. Me ne vergognai, ma mantenni i miei occhi su di lui, sebbene mi sentissi orribile, come un vero e proprio mostro, ancora di più con quel segno nell'occhio destro, coronato da un rigonfiamento ben visibile. Quella volta mi lasciai maneggiare, un po' come un cucciolo ferito che confidava nella mano umana che veniva protratta verso di lui. Non avevo ancora capito perché, ma le mie crisi non si manifestavano sempre. A dirla tutta, quella di domenica era capitata dopo un lungo periodo in cui io mi ero crogiolata nella pallida speranza che fossi finalmente riuscita a superare i miei traumi.

Il pollice gentile di Camus mi accarezzò delicatamente la guancia, fino a giungere al rigonfiamento sottocutaneo di color viola acceso che mi circondava l'occhio. Vidi la rabbia accendersi nei suoi occhi, ancora saldamente imbrigliata dalle redini della ragione, tuttavia fomentava sempre di più, irriducibile.

"Chi... chi ti ha fatto questo?"

La domanda era nell'aria già da un po', lo sapevo, aveva ronzato tra noi, prima di fuoriuscire da quelle labbra rosee e semplicemente perfette. Non risposi, abbassando lo sguardo e nascondendomi contro il suo petto.

"Rispondimi, Sakura... perché non mi permetti di aiutarti? Non sei più sola, te lo ha detto anche mio fratello, no? Perché allora ci escludi arbitrariamente dalla tua vita?"

"Lascia stare..."

Ma Camus non era tipo da lasciare stare, mai!

"E' stato quel bastardo di Megres? Oppure tua madre?!"

Continuai a non rispondere, gelosa del mio segreto. Volevo camminare al loro fianco, sostenerli, non avrei mai rinunciato a quel privilegio, ma non avrei altresì permesso a loro di rimanere invischiati nella mia esistenza maledetta. In questo modo li avrei preservati da morire per colpa mia, non sacrificando nemmeno il mio tempo con loro. Fore ero davvero egoista, ma non mi sembrava di chiedere chissà cosa. Delle relazioni normali, null'altro, perché solo io non potevo?!

Erano quelle le mie intenzioni, nessuno me le avrebbe strappate, ma proprio Shura, il negoziante che sapeva gli altarini della mia famiglia, mi tradì in quell'esatto momento.

"E' stata sua madre..."

"Co-cosa?!?"

"SHURA!!!" lo sgridai, agitata.

"Perdonami, Sakura, qualcuno lo doveva dire... sono l'unico dei compaesani, qui, a non credere alla leggenda della Valle dell'Orco, l'unico! Da solo non posso fare niente, non ho MAI potuto fare niente! Ma ora che qualcuno si sta interessando a te, qualcuno che ti può strappare dal tuo ingrato destino, non intendo continuare a tacere su questo fatto così turpe. E' una vergogna!"

"E' la verità, Sakura? E' stata tua madre a farti questo? Ti ha... picchiato?"

Continuai ottusamente a non rispondere, mordendomi le labbra con forza, ma stavo cedendo, lo si vedeva, il mio egoismo ancora una volta stava prendendo la meglio, portandomi a condifarmi con lui, anche se non potevo e non volevo. Ancora una volta fu Shura a parlare.

"Non è la prima volta... che accade!"

"MALEDETTA..."

A quel punto la rabbia di Camus traboccò. Ringraziò cordialmente il commerciante, pagò quanto doveva, poi mi trascinò letteralmente fuori, furente. A nulla valevano i miei tentativi di ribellione, sembrava completamente fuori controllo e mi spaventò: sapevo che odiava le ingiustizie ma non lo avevo mai visto così alterato.

"Adesso basta, Camus, stai esagerando!" tentai di fermarlo, opponendomi. Pessima idea.

"STO ESAGERANDO?!? - esclamò, livido di rabbia – Ti rendi conto della situazione, vero?!"

A quel punto anche io me la presi, staccandomi tempestivamente da lui. Ero stufa, stufa marcia di passare sempre per una nanerottola stupida che non si rendeva conto delle cose, la verità era che mi rendevo conto benissimo di tutto, non avevo certo bisogno di lui, l'ultimo arrivato, per accorgermi della mia situazione disperata.

"Camus, sono stanca di passare per stupida! Sono arcistufa di essere considerata tale da te! Sono consapevole benissimo delle mie condizioni, il fatto è che sono cazzi miei, non tuoi! Se non sai cosa fare della tua vita non venire a sconbussolare la mia, non mi sembra di chiedere la luna!" gli inveii contro, rincarando la dose con parolacce, che pure non ero solita dire, prima di pentirmente amaramente più o meno un secondo esatto dopo. La sua espressione infatti era nuovamente mutata, passando dalla rabbia al più atroce dispiacere... che avesse accusato il colpo? Desiderai ardentemente chiedergli subito scusa, del resto si era preoccupato solo per me e ciò dimostrava che ci tenesse alla mia salute, ma io mi ero lasciata andare, spaventata a morte dalla sola eventualità che Camus si legasse ancora di più alla mia nefasta esistenza, rimanendone così ancora più invischiato. E se ne fosse rimasto invischiato... sarebbe morto!

"C-Camus, io..."

"D'accordo... - prese un proofondo respiro, prima di tornare alla calma – Non ti aiuto di certo a comportarmi così..."

"Camus, lascia stare, davvero, o..."

"Non posso lasciare stare, te l'ho già detto... - mi fermò, stringendo i pugni fino a farsi imbiancare le nocche – Come ti posso far capire che non ti voglio più lasciare sola?! Sakura, hai detto di essere stanca, ebbene, pure io lo sono! Sono stanco... stanco di chiudere un occhio sull'argomento: stai subendo violenza domestica da molto prima rispetto alla mia venuta qui, non è forse vero? E' un reato perseguibile penalmente, penso tu lo sappia..."

"Non qui... qui non troverai neache una persona disposta a schierarsi al mio fianco..."

"Ci sarei io, Dégel, quel tuo amico Mu, e..."

"Valete tutti come il due di picche qui..."

Camus non era tipo da arrendersi, ormai si era capito, era un testardo, nonché in posssesso di un carattere forte e amante della libertà, odiava le ingiustizie, adoperandosi in prima battuta per combatterle.

"Tuo fratello Milo, invece?! E' mai possibile che sia talmente ingenuo, per non dire altro, da non rendersi conto delle violenze cui sei costretta a sottostare?!"

"Mio fratello Milo non è in casa... è ad un seminario con altri compagni di corso, dorme a casa di Kanon, il suo amico straricco, non lo vedrò prima della prossima settimana..."

"D'accordo, ma non deve essere la prima volta che accade, come può non..."

"Mia madre è abile a nascondere le tracce e a picchiarmi quando lui non è presente..."

"E tu... e tu non gli parli mai di quello che devi subire?! Lasci che continui a vivere nel suo mondo fantastico e magnifico, incurante che la presunta madre stia rovinando la vita alla figlia?!"

"Non voglio che abbia dissidi con i miei!"

"Che stronzata! - il tono di voce di Camus si era fatto più alto, fino a quasi strozzarsi – Quando imparerai a metterti davanti agli altri?! A pensare al tuo bene, PRIMA di pensare a quello degli altri!"

Non risposi, abbassando lo sguardo. Perché non potevo, tutto qui, dovevo accettare il mio destino da Orco e andare avanti così, non mettendo in mezzo gli altri. Dovevo combattere da sola, come avevo sempre fatto dall'età della ragione in poi, eppure proprio in quell'ultimo periodo avevo conosciuto i Delacroix, un mondo diverso dai miei schemi era apparso dalla mia mente, frastornandomi. Sentivo di non essere più in grado di combattere da sola, come avevo fatto prima, eppure non potevo, perché ricercare il loro aiuto gli avrebbe fatto rischiare la vita. Avevo bisogno di loro per andare avanti, per non arrendermi, eppure non potevo, mi sentivo dilaniata.

In quel momento Camus mi prese nuovamente la mano, ricominciando a muoversi con me al seguito, non avevo di nuovo le forze per ribellarmi, forse non volevo neppure. Tutto ciò di cui avevo bisogno era essere aiutata, non sentirmi sola, una carezza, una parola di conforto, ma sapevo di non potere, sapevo di stare per commettere una violazione al regolamento. Lo sapevo, ma mi lasciai condurre, sollevata del suo interessamto, dal suo volere testardamente stringermi la mano, senza mollarla mai più. Mi veniva quasi da piangere.

"Non mi importa cosa dicono le leggi di questo paese di malati di mente, solo un pazzo non si applicherebbe per cambiare questa assurda situazione! Potrai darmi i calci, ribellarti, gridarmi di tutto, ma per nessuna ragione ti abbandonerò a te stessa! Non sarai più sola, ragazzina, cerca di ficcartelo bene in testa, perché dovrai farci l'abitudine!" mi parlò, in tono aspro ma sincero, trasmettendomi la speranza che tanto andavo cercando. Gli strinsi goffamente la mano, ricambiando la stretta e balbettando dei ringraziamenti, Camus non si girò, non mi sorrise, ma con il pollice mi accarezzò il palmo, facendomi percepire la sua vicinanza.

Aspettavo solo qualcuno che mi venisse a prendere dal baratro in cui ero caduta, null'altro... quel qualcuno era arrivato ed ero sollevata, ma provavo anche una angosciante sensazione di paura e smarrimento crescente.

Mi condusse fino a casa sua, apri la porta, prima di chiamare a gran voce suo fratello, l'urgenza nella voce. Dégel, probabilmente al piano di sopra a studiare, corse giù, agitato da quel trambusto. Scoccando una veloce occhiata su di me, non ci impiegò molto a capire cosa era accaduto.

"Sa-Sakura, cosa ti è successo?! Ti hanno di nuovo percosso?!"

"Sua madre... - tagliò corto Camus, lasciandomi lì nell'atrio prima di dirigersi su – Tu dalle un'occhiata, per favore, forse con te riesce ad aprirsi di più. Io intanto vado a cercare le chiavi della macchina!" disse così, prima di sparire dal mio campo visivo per essere sostituito velocemente da Dégel.

Entrambi i fratelli Delacroix avevano avuto dei sospetti su mia madre da quella volta che avevano assistito a quella scena fuori da casa mia. Dopo gli ultimi fatti accaduti, i loro dubbi erano diventati realtà.

"Oddei, Sakura, hai un occhio nero... fammi dare un'occhiata!"

Come con Camus, mi lasciai maneggiare dalla mano esperta di Dégel che, proprio come il fratello, sapeva mettere una dolcezza inaudita nei gesti. Le sue dita mi accarezzarono delicatamente la zona lesa, applicando solo una leggerissima pressione per tastare meglio l'entità del danno. Non ero abituata ad essere trattata con quei riguardi, ad eccezione di mio fratello Milo e Mu, le mani che si erano mosse verso di me mi avevano procurato soltanto un gran dolore, tanto da farmi disdegnare il contatto fisico con tutte le persone, ad eccezione della mia stretta cerchia.

"Quando è successo, Sakura?"

"Domenica sera..."

"Domenica sera? - mi chiese conferma Camus, nuovamente sopraggiunto con il mazzo di chiavi in mano – Dopo la nostra uscita?"

Annuii, un poco tremante.

"Potevi avvertirmi, Sakura..."

Dégel invece continuò con la sua visita, ponendomi nuovi quesiti atti a rendere più chiara la mia situazione.

"Avverti formicolio, se lo schiaccio, o perdita di sensibilità?"

"No, solo un leggero dolore..."

"Ci hai messo del ghiaccio? O anche creme per ridurre il gonfiore?"

"Ghiaccio, sì, creme no... come sapete non abbiamo medicinali in casa!" risposi, un poco imbarazzata.

"Lo sappiamo anche fin troppo bene, è la ragione per cui ora andremo, in macchina, alla farmacia di Noasca per prendere i medicinali! - rivelò le sue intenzioni Camus, avendoci visto lungo già in partenza, poi si rivolse al fratello – Che ne pensi?"

"E' un livido sottocutaneo, per fortuna, malgrado la colorazione ancora violacea penso che con le giuste creme possa riassorbirsi in fretta nel prossimi giorni!"

"Hai qualche idea a riguardo?"

"Qualocosa come il Momendol Gel, o anche il Voltatrauma, coadiuvato da impacchi di argilla, o essenze vegetali come l'arnica, per lenire il fastidio mentre il medicinale svolge il suo effetto" propose Dégel, guardando intensamente il fratello.

"Ottimo! - Camus prese appunti sul foglio per ricordarsi il nome delle creme – Io Sakura andremo in farmacia giù a Noasca, mentre tu nell'erboristeria a Locana, va bene? In questa maniera acceleremo il processo di guarigione e faremo passare questo brutto livido!"

"Conta pure su di me, Camus, vado a mettermi la giacca!" disse risoluto Dégel, sempre il primo a muoversi per aiutare gli altri, precipitandosi verso l'attaccapanni.

"Vi preoccupate davvero troppo per me..." biascicai, prostrata, nel vederli così trafelati. Avranno avuto il loro bel da fare, eppure erano già lì, pronti a darmi un nuovo aiuto che non avevo chiesto, ma di cui avevo disperatamente bisogno.

"Sakura... - il tono di Dègel era grave nel chiamarmi per nome, scambiandomi un'occhiata profonda – Se ci preoccupiamo, è perché ti vogliamo bene!"

'Volere bene', che parole strane da accostare, eppure sembravano essere così naturali, semplici, essenziali... mi venne subito il magone a quella rivelazione, abbassando lo sguardo e fremendo visibilmente. Gli occhi lucidi non sfuggirono a Camus, in piedi vicino a me, mi passò delicatamente una mano tra i capelli, scompigliandomeli.

"Non ci vuole niente per raggiungere Noasca e Locana con una macchina, e ora in marcia, birba!" mi provò a rassicurare, alla sua maniera, regalandomi un raro sorriso che mi rasserenò il cuore.

 

 

* * *

 

 

Essendo scesi a Noasca in piena ora di pausa pranzo, dovemmo attendere una buona mezz'oretta, prima di poterci incamminare verso la farmacia. Dégel, invece, come pattuito dal fratello, si era recano in macchina a Locana, altro paese non molto distante da Ceresole, se ovviamente si possedeva un mezzo proprio, perché con gli orari della corriera era invece impresa titanica.

Si era messo a piovere, poiché le temperature erano nuovamente salite, complice un'alta pressione innaturale per quella stagione, infatti la neve si era sciolta, resisteva solo a Ceresole, ben più alto degli altri Comuni limitrofi.

Camus aveva aspettato con pazienza, accompagnandomi a fare un giro per il paese, incuriosito dai suoi scorci e dal paesaggio intorno. Non avrei mai smesso di meravigliarmi sui suoi interessi variegati, che spaziavano dagli animali, al trekking, alla storia, alle leggende, alla botanica..., non c'era una cosa che non destasse il suo interesse, facendomi ancora più innamorare di quel ragazzo straordinario che avevo davanti. Pandora mi aveva accennato al fatto che fosse una maschera, lo stesso Camus mi aveva messo in guardia sul fatto che ciò che pensavo di lui non fosse altro che sogno, eppure io più lo conoscevo più ero attratta da lui; più lo conoscevo più desideravo camminare al suo fianco; lo desideravo ardentemente.

Quel giorno scoprii anche che era un inguaribile romantico.

"Sai, dove vivevo io era pieno di baite abbandonate e alpeggi che un tempo fornivano il nutrimento alle greggi, ma non ho mai visto un paese abbandonato, mi piacerebbe poterlo fare un giorno..."

"Sei affascinato dal passato?" gli chiesi, un poco emozionata.

"Moltissimo! Quando vedo qualche reperto storico, un seccatoio, una baita, un vecchio mulino, mi sembra quasi di vederle, sai? Intendo... le persone che un tempo frequentavano quei luoghi. Sono ombre, ma sono ben nitide davanti a me, mi sembra quasi di poterle toccare... - poi si schiarì la voce, essendosi accorto di aver rivelato troppo – So che sembra strano da dire..."

Ma io avevo diniegato con la testa, carpita dalla passione che traboccava dai suoi occhi brillanti. Non avevo mai visto delle iridi così, mai...

"Tutt'altro! Camus, quando sarà stagione ti porterò a fare l'anello delle borgate, se vorrai, e anche il Vallone del Roc! Lì ci sono una marea di vecchie frazioni ormai abbandonate, in una c'è persino una vecchia scuola e si può godere di un panorama stupendo sulla valle e sulle cascate! Ti piacerà!" gli avevo detto, entusiasta. A lui ovviamente si erano illuminati gli occhi.

"Davvero?"

"Certo! E... e ti porterò anche sul colle dl Nivolet, visto che ti piace così tanto camminare!"

"Ne ho sentito parlare... pare sia un posto paradisiaco, pieno di pascoli, laghetti e di cime innevate! Davvero mi porteresti lì, quest'estate?!"

La sua passione era difficile da contenersi, persino per un tipo come lui che tentava, per quanto possibile, di celare le sue emozioni.

Glielo giurai sollennemente, sorridendo raggiante, e il tempo di attesa per far aprire la farmacia volò in un lampo.

Il mio umore si era girano magnificamente dopo quel pomeriggio, stare al suo fianco e passare del tempo con lui mi faceva bene, permettendomi di ricacciare indietro i brutti pensieri e la sofferenza. Pensai che la mia buona stella fosse girata nuovamente bene, prima di ricredermi nell'esatto momento in cui, avviandoci verso la farmacia, scorsi una figura conosciuta ma poco gradita proprio lì davanti, in attesa. Mi pietrificai immediatamente, rabbrividendo. Camus non se ne accorse subito, ma vide la mia espressione ancora prima del mio terrore.

"S-Sakura, cosa....?"

Non risposi, ci pensò l'altro, scorgendoci e avviciandosi a noi con sorriso canzonatorio.

"Ma guarda chi si vede, Sakurina e lo sceriffo della città, ma che piacere!" ci irrise Megres, arrestandosi a pochi passi da noi. Ecco dove erano andati all'uscita della scuola, ecco perché non avevano preso la mia stessa corriera... tutto quel rigiro e quella pallida sensazione di scampato periodo per ritrovarmelo nuovamente lì, subdolo.

Istantaneamente mi coprì il seno, indietreggiando notevolmente. Volevo darmi alla fuga, non ero in condizioni di poterlo affrontare, ma Camus era dietro di me, una mano sulla mia spalla per farmi sentire la sua presenza, lo sguardo fiero rivolto a lui, con tutte le intenzioni di affrontarlo.

N-no, Camus... non metterti di nuovo contro di lui, finirà male, ed io...

"Fatti indietro, Megres! Mi pare di averti già detto che questa ragazza non ha piacere ad avere a che fare con te, o vuoi incorrere nella mia ira?!" esclamò, temerario.

Gli occhi di Megres si fecero ancora più furenti di quello che già non fossero dopo il gesto portettivo di Camus nei miei confronti, saettarono come una vipera nella sua direzione.

"Camus... non mi ricordo se ti ho già detto che io sono nipote del vecchio del paese di Ceresole e che ciò che voglio lo ottengo... SEMPRE! Oppure vuoi incorrere in un altro pugno nell'addome?! - lo canzonò, iracondo, sbeffeggiandolo – Te lo ricordi bene quel pugno, vero? Deve averti fatto male per una serie di giorni, eh?!"

A quel punto mi feci coraggio, rigettando indietro la paura per fronteggiarlo nuovamente, deviando prepotentemente il discorso su altre rotte. Non mi impotava se minacciava me, ma non gli avrei categoricamente permesso di fare nuovamente del male a Camus.

"Megres, sciacquati la bocca e vai a razzolare da qualche altra parte, questo non è tuo territorio, tu e la tua famiglia non potete permettervi di spadroneggiare anche qua, Noasca non è Ceresole, la vostra giurisdizione non ha effetto in questa località, e adesso fuori dalle balle che abbiamo di meglio da fare che perdere tempo con te!"

"Ma presto lo sarà, mia cara Sakura! Del resto, Noasca e Ceresole, lo sai bene, sono contraddistinte da una origine comune, perché gli attuali abitanti del posto che ci ha dato i natali erano noaschini, c'è quindi un legame di sangue fra noi, come per tutte le comunità della valle dell'Orco!"

Un brivido mi passò lungo la spina dorsale ed esitai nei miei intenti. Era vero quanto diceva, Noasca e i Comuni limitrofi potevano vantare il beneficio di non avere la famiglia di origine più antica nei loro alloggi, ma la verità era che, se solo avessero voluto, i discendenti di quella stessa famiglia avrebbero potuti tenere sotto scacco tutta la Valle dell'Orco intera, e anche quelle di Lanzo e Soana... Questo non poteva significare altro che il totale monopolio sui negozi, nonché l'impossibilità di chiedere aiuto ai suoi abitanti.

Effettivamente... cosa ci faceva Megres lì? Istantaneamente mi ricordai el farmacista di Ceresole che si era rifiutato di darci i medicinali per Camus, a detta sua perché non ce li aveva, in quanto la famiglia di Megres li aveva presi. Se solo avessero voluto...

"Megres! Non vorrete possedere anche questa... questa farmacia?!" gli domandai, un nodo in gola e una paura atroce.

"Per il momento no, non occorre, ma tanto sanno bene anche qui che, sotto richiesta di mio nonno o di mio padre, la loro ubbidienza è assoluta, non c'è certo bisogno di ricordarglielo, tranquilla! - ridacchiò, ben contento di assaporare il tremore della mia voce – Ma non è questo il giorno... oggi sono qui in veste non ufficiale, ho solo accompagnato un amico a comprare dei medicinali!" si affrettò a spiegarmi, beffardo.

"Che magra vita dovete avere per provare gaudio a tenere sotto scacco degli ignoranti con storielle e favolette che non andrebbero neanche raccontate ai bambini!" commentò invece Camus, prendendo posizione. Lo guardai con terrore, turbata, si stava mettendo in grossi guai nel volersi mettere contro la famiglia di quel bastardo di Megres, non sapeva a cosa andava incontro, non lo sapeva, si stava buttando volontariamente nella forca, ed io glielo stavo permettendo, totalmente impotente.

"C-Camus, non..." ma mi bloccò, scambiandomi uno sguardo d'intesa.

"Sorcio... hai idea del confine che stai valicando? Hai idea di chi ti stai mettendo contro?!?" sibilò invece Megres, livido dalla rabbia. Camus non era come gli altri, Camus contrastava il suo volere, totalmente, era un ribelle e un bastian contrario per le cose in cui non credeva, forse era proprio questa ragione per cui quello stronzo di Alberich non poteva sopportarlo.

"Tu es un rien qui vit avec l'illusion d'etre tout! - gli rispose lestamente in francese, fronteggiandolo. Era più esile di Megres, ma decisamente più alto – Avete fatto il bello e il cattivo tempo fino ad ora, ma non vi permetterò di continuare con i vostri porci comodi! Proteggerò Sakura dalla nomea che le avete erroneamente affibiato! Svelerò il vostro giochetto, in modo che tutti si rendano conto dell'errore commesso! Non siete una nobile famiglia, non avete alcun tipo di onore, siete solo minutaglia priva di qualsiasi importanza!" esclamò, sempre più temerario, esemplificando le sue intenzioni nello stringermi il polso della mano sinistra con le sue dita eleganti.

Ero sempre più terrorizzata per le sue sorti, ma mi sentii istantaneamente avvampare, arrossendo a dismisura, cosa che non passò inosservata agli occhi rapaci di Megres, il quale, imprecando, mi scoccò un'occhiata indecifrabile, prima di parlare.

"Fai poco la finta santarellina che arrossisce, Sakura, e smetti di recitare la parte della brava ragazza, io meglio di chiunque altro so quanto sia turpe la tua vera essenza! - mi insultò, facendomi tremare, poi si rivolse direttamente a lui – Per quanto concerne te, Camus... mi stavi già sul cazzo prima, ma oggi sei riuscito a superarti, bravo!" gli disse, approcciandosi ulteriormente.

Erano ad un palmo dal muso, ma Camus non indietreggò, continuando a sfidare il suo sguardo, Megres lo squadrò ancora di più, truce negli occhi, vicinissimo talmente tanto da fiatargli sul collo, minaccioso.

"Ti stai avvicinando un po' troppo a Sakura, dovresti stare più attento! - gli sibilò, sinistro, prima di aggiungere – Gli insetti che si avvicinano troppo alla luce poi muoiono folgorati..."

Sgranai gli occhi, temendo il peggio. Megres lo aveva minacciato senza troppi rigiri di parole, ero spaventata per lui più ancora che per me e mi sentivo la gola secca, il respiro corto e il cuore in gola, ma Camus no; Camus non aveva esitato neanche un istante, non si era tirato indietro neanche di un millimetro, perseverando nel guardarlo dritto negli occhi, privo di paura, strenuo difensore della giustizia. Lo ammiravo, mi sentivo protetta... nondimento una paura viscerale mi aveva colto, sinonimo di un presagio ben nitido.

"...Anche gli uomini che non riconoscono i loro limiti e che abusano del loro potere prima o poi finiscono male, perché ci sarà sempre qualcuno più forte di loro!" affermò una terza voce, aggiungendosi a noi. Mi girai nel riconoscerlo, e vidi Dégel, ritto a poca distanza da noi, lo sguardo determinato e una insolita scintilla combattiva negli occhi.

Lo sguardo che invece gli regalò Megres era quanto di più allibito potesse manifestare. Squadrò prima Camus, ancora intento a reggere il suo sgurdo, poi Dégel, poi di nuovo Camus, rivolgendosi infine a me.

"Ma che brava, Sakura, due al prezzo di uno! Sapevo che, in fondo, non fossi altro che una sgualdrina, ma mi sorprendi... due gemelli?! MINCHIA!"

Abbassai il capo, provando l'istinto di nascondermi e coprirmi il seno con le braccia, mentre Camus prese ancora una volta la parola, nuovamente furibondo.

"Non osare... vigliacco!"

"Massì, massì, tenetevi la vostra bella sgualdrina, chissà i servizi sessuali che vi ha dato per far sì che voi vi uniste alla sua causa!"

Stavolta toccò a Dégel controrbattere, affiancandomi.

"Mi sembra quanto meno puerile, nonché subdolo, definire così una ragazza solo perché, con ogni probabilità, la vorresti possedere e lei non si è dimostrata collaborativa, opponendo invece una strenua resistenza! Questo è indicativo di quanto tu sia una persona meschina, proprio come avevo intuito in precedenza dalla descrizione che Sakura mi aveva fatto di te!" lo riprese Dégel, in apparenza più democratico, ma soppesando bene le parole per un affondo con i contro fiocchi. Dégel ci vedeva lungo, sempre!

"Attento, quattr'occhi, potresti starmi sulle palle più del tuo caro fratellino, sei sulla buona strada!" ribatté Megres, nervoso. L'intuito di Dégel aveva fatto centro. Di nuovo.

"Per quanto mi riguarda... stare in antipatia ad una persona come te è un privilegio, non di certo una maledizione!" risposte prontamente quest'ultimo, sistemandosi meglio gli occhiali che aveva precedentemente indossato con la mano libera. Con l'altra reggeva il sacchetto preso in erboristeria.

Megres fece per ribattere, per nulla vinto, ma l'arrivo di una quarta forza lo sbogliò dalla situazione, non proprio a suo favore.

"Eccomi, Alberich, scusa se ci ho messo..."

Prima ancora di potermi girare udì un sonoro frastuono, come di vetro che si rompeva in mille pezzi, voltadomi, scorsi Unity, pallido in volto, tremante, sgomento. Era terrorizzato, forse più di me. Indietreggiò, di uno, due, cinque passi, poco prima di mormorare un "n-no... no!"

Non riuscivo a capire, ero confusa e non sapevo cosa dire, per un solo istante condivisi la stessa sorte e la stessa espressività di Megres. Sui nostri volti lo stesso, pallido, stupore.

Poi la situazione si sbloccò, per mano di Camus.

"T-TU! Maledetto vigliacco, cosa fai TU qui?!?" ululò, fuori di sé dalla rabbia, come mai lo avevo visto prima. E scattò, probabilmente con intenzioni poco pacifiche, visto i pugni tirati su. Non seppi nè come nè perché, ma mi ritrovai a frappormi tra lui e il mio compagno di classe, abbracciandolo di getto nel tentativo di impedirgli di perpetrare azioni efferate.

"FERMATI, CAMUS!"

"Sakura, togliti dalla mia strada, non sai cosa ha fatto quel maledetto, non lo sai, altrimenti non ti saresti messa in mezzo!!!"

Era completamente fuori di sé, quasi non lo riconoscevo. Per la prima volta compresi le parole di Pandora, sfiorai il lato più tetro di Camus, ma non volli approfondirlo, non in quel momento.

"No, non lo so, non lo posso sapere, ma è un mio compagno di classe, fermati, ti prego!"

"COSA?!?"

Volevo dargli uan spiegazione, ma nello stesso momento Unity si sbloccò dallo stato di pietrificazione, sgattaiolando via a gambe levate per poi imboccare la pima stradina e svanire nel nulla, lasciando i medicinali rotti per terra. Continuavon trattenere Camus, ormai in preda ad un delirio crescente, non vedeva altro che lui e solo lui, e voleva fargliela pagare per qualcosa, a tutti i costi.

"Che storia interessante... pare che vi conosciate, voi tre! - commento Megres, ghignando – Il nostro incontro si conclude qui per oggi, ci si becca in giro!" fece eco, prendendo poi la stessa direzione dell'amico.

Non mollai la presa su Camus fino a quando non sparirono dalla nostra vista. Camus aveva smesso di lottare con me per evitare di farmi male, ma era ancora furioso, tanto che si allontanò di colpo, dandomi una occhiata di fuoco.

"Sarai contenta, ora, Sakura! Ottima presa di posizione, brava! Non fosse stato per te a quest'ora lo avrei già raggiunto, quel verme, facendogliela pagare cara, e invece!"

"E invece non rischi la prigione, non sei condannabile per omicidio volontario, che peccato, eh! Santo cielo, Camus, non ti ho mai visto così assatanato! Aveva ragione Pandora a..."

"TU PANDORA NON LA DEVI NEANCHE NOMINARE, CHIARO?!?"

Istintivamente mi rizzai, spaurita da quel tono di voce così spietato. Camus mi mostrava ancora una volta la sua faccia più tetra e pericolosa e, per la seconda volta, accadeva quando una parte del suo passato veniva a galla, facendogli assumere un atteggiamento scostante e spietato. Quella volta lì non mi ritrassi, avvicinandomi anzi a lui per toccarli il braccio, giacché vedevo distintamente che oltre alla rabbia traboccante, in lui c'era una spietata tristezza, che cresceva incommensurabilmente. Chiunque fosse stato Camus prima di conoscerci, era cambiato drasticamente a seguito di un evento nefasto, ormai era chiaro.

"Non otterrai nulla... così..." gli sussurrai, soave, riacciuffando il suo sguardo che era nuovamente perso nel vuoto.

"Hai... hai ragione... non otterrò più... - si trattenne, ingoiando a vuoto come a volersi disbrogliare di un immenso nodo alla gola, come se avesse inghiottito a forza uno singhiozzo troppo rumoroso e ora, quello stesso singhiozzo, gli sconquassasse il petto – L-la mia Seraphine..."

Seraphine... quel nome era uscito dalle sue corde vocali ricco di rimpianti e parole taciute. Era uscito, e lo sforzo era stato troppo elevato per lui, tanto da farlo ricadere amorfo per terra, vinto.

Seraphine... era lei la ragazza morta in quel nefasto incendio di cinque anni prima?! I nodi cominciaavano lentamente a venire al pettine, rabbrividii, ma non ebbi il tempo di pensarci ulteriormente, perché Dégel, rimasto scioccato immobile fino a quel momento, cadde a sua volta a terra, respirando a scatti, in preda a qualcosa di molto simile alle convulsioni.

"Dégel!!!" lo chiamammo allarmati sia io che Camus, raggiungendolo immediatamente per soccorrerlo. Era cosciente, ma fuori di sé, tremava veementemente ed era pallido, come privato di tutto il sangue che gli circolava nelle vene.

Cominciò ad urlare, divincolandosi come un forsennato, sgaurdi indiscreti e trafelati ci circondarono, taluni a chiedere timidamente se avevamo bisogno di una mano, altri a prendere il telefonino per fare una chiamata. Persi il contatto con la gente intorno a me da quanto ero nel panico per il mio amico, Dègel copriva tutto il mio campo visivo, e suo fratello con lui. Non so bene cosa fece Camus per calmarlo, ma ci riuscì, in qualche modo ci riuscì, scrollandolo poi per permettergli di tornare tra noi.

"D-Dègel, calmati... calmati ora, se ne è andato e non tornerà più, è tutto finito! Per gli dei, calmati, ne va della tua salute!"

Lo sguardo spento di Dégel navigò fino al fratello, totalmente in pena, gli strinse la mano, con impeto e un nocciolo di disperazione

"Cosa fa lui qua? P-perché l-lui... UNITY!"

Non riuscì ad aggiungere altro, perché diede di stomaco subito dopo.

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Perdonatemi... perdonatemi e perdonatemi! E' da più di un anno che non aggiorno questa storia, essendomi concentrata sulla mia serie originale, non so neanche se ve la ricordiate, eppure rieccomi qui, con un capitolo parecchio lungo e denso di avvenimenti, uno di quei capitoli che si possono definire "bomba"!

Ma andiamo con ordine:

Allora intanto la sto correggendo, anche se le linee guida e la trama rimarranno sempre le stesse, purtoppo ci sono molti errori nella stesura, quindi non si finisce mai di farci delle modifiche, e poi, come avrete certamente visto, il mio stile di scrittura è molto cambiato in questi anni, tanto da mostrare una ben visibile spaccatura tra i primi capitoli, corti, scritti in certi punti male, e gli ultimi, decisamente più lunghi e più complicati.

Non so chi avrà voglia di riprendere a leggere questa storia, non so se tra voi qualcuno l'ha letta o al segue, ma in ogni caso la pubblico, sperando che possa piacere.

Gli argomenti trattati non sono affatto facili, sto anche pensando di farla diventare a rating rosso, ma ciò precluderebbe i non iscritti a non poterla leggere, verdrò!

Intanto vi dico che dal capitolo precedente a questo, nella storia, è passato quasi un mesetto, Sakura ha accettato di essere amica di Dégel e Camus, sebbene la scelta le pesi ancora e la faccia brancolare nell'incertezza, come se non bastasse, in questo capitolo vengono accennati alcuni fatti passati che hanno segnato i protagonisti, traumi di non facile superamento. Quello di Sakura, che si intuisce, sarà rivelato totalmente molto più un là, mentre quello di Camus e Dégel già nel prossimo capitolo. Sì, Camus e Dégel conoscevano molto da vicino Unity e la sorella Seraphine (ho usato il nome in francese perché originali della Francia) forse i più scaltri di voi avranno accostato il binomio "incendio" alla cicatrice, marchiata dal fuoco di Dégel, ma non possono sapere ovviamente il racconto nello specifico, che appunto sarà svelato nel prossimo.

Che dire, nonostante il tempo passato io ci riprovo a pubblicare, la storia mi piace molto e mi emoziona, spero che possa essere di gradimento anche a chi di voi non la conoscesse, se sarà interessato a proseguirla, e a chi, stoicamente, si ricorda di questa fanfiction e sarà ben contento di continuare a leggerla!

Al prossimo aggiornamento, sperando che non passi un altro anno (spero proprio di no!!!)

 

  
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