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Autore: giulsisonfire    26/11/2019    0 recensioni
E allora cos'è? Cosa ti serve ancora? A me è bastata un'ora.
Louis e Harry, tutto il resto è inventato. Il primo è uno studente universitario che vive da solo in Inghilterra, il secondo un aspirante fotografo, costretto a vivere in America con sua madre. Il caso li farà incontrare.
Questa fanfiction immaginatevela come un film.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Erano le undici di sera


Abituato com’era al clima caldo e opprimente dell’Arizona, appena superata la porta automatica dall’aeroporto di Manchester Harry si sentì per un attimo un po’ spaesato. Nella fretta e nella frenesia con cui era partito non aveva minimamente pensato a scegliere i vestiti adatti ed era uscito con quelle tre cose che indossava normalmente quando si trovava in America. Aveva freddo. Si strinse nel felpone mentre controllava nel portafoglio quanti soldi gli rimanevano, e dopo essersi assicurato che ne aveva abbastanza per arrivare a casa, chiamò un taxi con la mano. Come spesso succedeva, non aveva avuto il coraggio di chiamare suo padre per chiedergli un passaggio fino a casa; in realtà non aveva avuto il coraggio di chiamare suo padre e basta. Aveva deciso che sarebbe stata una grande sorpresa, come quando da piccolo, nel giorno della festa del papà, sua mamma lo andava a prendere in anticipo a scuola così che appena tornato a casa avrebbero festeggiato tutti insieme. Non sapeva come mai fosse così importante quel giorno per la sua famiglia, ma era una delle poche occasioni in cui Harry poteva mangiare la torta.

Salito in macchina chiamò sua mamma, che come previsto iniziò ad urlare, riversandogli addosso tutto ciò che Harry si era già immaginato, ovvero che se se ne voleva andare era libero di farlo ma come aveva potuto rubarle dei soldi, che a questo punto avesse a restarci da suo padre visto che Phoenix gli faceva così schifo, che era un grandissimo figlio di troia (non ricordandosi forse, in quel momento, che così dicendo si implicava da sola nel discorso). Dopo che si fu calmata Harry le chiese scusa per non averla avvisata prima, cercando di sembrare il più sincero possibile, e promise che sarebbe tornato presto e che avrebbe iniziato a lavorare, per renderle tutto quello che le aveva preso. Nel frattempo il taxi aveva quasi raggiunto la destinazione.
Il tassista lo lasciò all’inizio di quella strada a senso unico. La casa era esattamente come se la ricordava. Quinta su una serie di dodici cottage praticamente uguali se non per qualche dettaglio sulla facciata, era stata comprata con i pochi soldi che Jeremy, suo padre, era riuscito ad ottenere dal divorzio. Era marrone come tutte le altre case di Manchester, e attraverso la finestra che dà sul salotto si vedevano un divano e una tv. Davanti alla finestra, sulla strada, era parcheggiata la macchina di Jeremy.
Harry suonò il campanello. Dopo qualche secondo un uomo sulla quarantina, capelli castani, bocca sottile, barba corta non particolarmente curata – indossava una polo bianca e dei pantaloni della tuta – apparve sulla soglia. Guardò il ragazzo per un po’ senza dire una parola, le sopracciglia inarcate come se stesse ragionando o cercando di ricordare qualcosa, visibilmente sorpreso. Poi il suo volto si distese, sussurrò “Harry” e lo abbracciò. Dopo poco gli fece segno di entrare. Harry conosceva quella casa, quando tornava in Inghilterra dormiva sempre nella stessa stanza al piano di sopra che scoprì essere destinata, durante l’anno, a studio. Sulla scrivania tutti i documenti relativi all’azienda di tessuti nella quale suo padre lavorava. Per qualche minuto l’uomo cercò di investigare sul motivo per cui Harry fosse venuto da lui senza preavviso; cercò in realtà soprattutto di assicurarsi che sua madre ne fosse al corrente. A lui infatti non cambiava molto avere Harry in casa, spesso si sentiva solo e apprezzava la compagnia.

Harry si era sempre trovato molto bene con suo padre, anche se non era proprio suo padre padre. A dir la verità Harry non lo sapeva chi era il suo vero padre, ma Jeremy c’era stato fin dall’inizio e l’aveva cresciuto insieme ad Anne, sua mamma, dandogli tutto l’amore possibile e quindi Harry non si era mai fatto troppe seghe mentali sull’argomento. L’unica cosa che sapeva è che sua mamma stava già con lui da qualche tempo quando aveva scoperto di essere incinta e che aveva sempre pensato che il padre non potesse essere che Jeremy, fino a quando il dottore non le aveva detto il contrario. Questa era l’unica cosa che ogni tanto sua madre gli ripeteva, quando Harry chiedeva qualcosa a cui lei non aveva voglia di rispondere. E infatti Harry dopo poco si era arreso non ottenendo nessun’altra informazione sulle sue origini né da lei, né tanto meno da suo padre. Si immaginava però che non fosse stato facile per Jeremy scoprire che la ragazza con cui era fidanzato ufficialmente era incinta di qualcun altro e non sapeva nemmeno lei di chi. I casi erano due: o Anne era stata con così tanti uomini che non poteva riuscire a indovinare di chi fosse il figlio, o il corno era stato soltanto uno, ma lei non voleva rivelarlo. In ogni caso aveva dovuto perdonarla perché i due avevano deciso di tenere il bambino, di compare una casa e di andare a vivere insieme, e dopo pochi mesi dalla nascita di Harry si erano sposati, all’età di 22 e 23 anni. Fino a qualche anno fa, quando le cose avevano iniziato ad andare malino, Harry aveva sempre pensato che alla fine l’amore vero poteva davvero esistere. Poi niente, boom, la separazione, che Harry ovviamente non aveva vissuto bene ma nemmeno troppo tragicamente (a parte per quanto riguardava la decisione di sua mamma di trasferirsi dall’altra parte del mondo). Anche dopo questa rottura, però, i rapporti col padre erano continuati invariati, seppure con minor frequenza; entrambi avevano mantenuto l’affetto che provavano nei confronti dell’altro e quando erano insieme si sentivano a proprio agio.
Dopo aver aiutato a sistemare lo studio in modo che potesse dare almeno la parvenza di essere una camera da letto, e dopo aver disfatto la sua borsa, Harry si sedette una mezz’oretta con suo padre in salotto per aggiornarlo su quello che era successo nel tempo in cui non si erano visti e/o sentiti. Poi il ragazzo si congedò, dicendo che avrebbe fatto una doccia e sarebbe andato a riposarsi subito dopo, perché anche se erano le una di venerdì il jet lag lo aveva abbastanza rincoglionito.

Quando si svegliò erano le undici di sera e suo padre dormiva. Improvvisamente si ricordò del motivo per cui era tornato in Inghilterra e si stupì di non aver pensato a Louis per tutta la giornata. Decise di scrivergli.

Aprì la chat di instagram e scrisse qualcosa in fretta: Hey, sono appena arrivato a Manchester, ti va di beccarci domani? Porto la macchina fotografica. No, non andava bene.

Riprovò: Buonasera, scusa l’orario. Volevo dirti che sono arrivato a Manchester e che quindi se ti va potremmo vederci. Ma non andava bene nemmeno così, sembrava l’inizio di una lettera per un professore.

Optò per un mix delle due opzioni: hey, sono da poco arrivato a Manchester, se ti va potremmo vederci nei prossimi giorni, porto anche la macchina fotografica ;)

Harry non era convinto ma si decise ad inviare il messaggio. Tremava un po’. Inaspettatamente la risposta arrivò dopo pochissimo tempo, ed era affermativa: okay! Ora sto uscendo ma domani ci sentiamo e fissiamo per bene. Top; forse a vederlo da fuori non si sarebbe detto ma era molto felice. Sorrise, si ridistese sul letto e chiuse gli occhi.

Spazio autrice.
Buoonasera a tutt*, sto pubblicando alle 22:37 di un martedì perché è uno dei pochi momenti liberi che mi riesco a ritagliare. Mi scuso. In ogni caso spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia fatto venir voglia di leggere il prossimo, in cui finalmente Louis ed Harry si incontreranno. Come sempre se avete qualcosa da dire vi invito a lasciare una recensione e, siccome non so quando riuscirò a pubblicare, a aggiungere la storia tra le seguite. 
Un bacione.

 
   
 
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