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Autore: Cdegel    28/11/2019    10 recensioni
Questa è una raccolta dedicata a Camus di Aquarius, i suoi allievi, Milo di Scorpio e Agasha, soprattutto. In parte i racconti sono collegati alla long "Fino in Fondo", in parte riprendono alcune parti dell'anime, riviste. Buona lettura!
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Agasha, Aquarius Camus, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perdere una parte di sé
I personaggi di Saint Seiya appartengono al loro autore, M. Kurumada, questa ff è scritta senza scopo di lucro. 
In questa ff, Agasha è reincarnazione dell'Agasha di LC, che all'epoca dei fatti di LC aveva 18 anni, coetanea di Shion. Adesso è all'incirca coetanea dei Gold Saint.
Questa one shot è parte della long  “Fino in fondo”, e si può inserire come prologo al capitolo 1.
In attesa del prossimo capitolo della long, che sto ultimando, ecco uno dei quadri mancanti. 
Tra la fine della lotta contro Saga, al tredicesimo tempio, ed il ritorno dei Saint risvegliati da Atena, ecco ciò che accadde all'undicesima casa. 
Quando Milo vi tornò al termine della lotta. 
Alla fine di tutto. Credeva. 
 
Buona lettura!
 
Quelle parole di Milo, pronunciate senza vita, senza emozione, le avevano spezzato il cuore. 
Camus non c'è più. 
Non le aveva detto altro, non che cosa fosse successo, non a causa di chi né perché. 
Milo era lì, all'altro capo del telefono, ormai muto. Perché l'aveva chiamata?
Era lì, lo sentiva. 
Dove siete? Milo? Nessuna risposta. Camus non c'è più. Ripeteva.
Un rumore sordo
E Camus, era certa, era tra le braccia di Milo, Camus o ciò che ne restava, almeno. 
E niente altro. Nessuna risposta. Endien era irreperibile, Umbriel introvabile. Certo avevano ricevuto anche loro quell'assurda notizia. Nessuno parlava.
 
Avrebbe voluto correre al tempio, dove sapeva che lo avrebbe trovato, nell'undicesima casa, in cui, così spesso, avevano parlato, di Siberia, di Isaac, del suo dolore insuperabile, di Hyoga, della sua incapacità di odiarlo e anche di perdonarlo, della sua incapacità di farne un Saint, del fallimento come Maestro, come uomo, come... Come padre, Camus? Io non sono loro padre. Sì, che lo sei. Lo eri, maledetto tu e lo spazio che ti sei preso nel mio cuore. Come farò? Senza te?
E se non fosse vero? Se Milo si fosse sbagliato? Lui tira sempre le conclusioni peggiori. Magari è ferito. Magari è grave. Ma respira, il suo cuore batte ancora. Ti prego. Fa che il suo cuore non si sia fermato.
Una speranza vana la sua, Agasha si sentiva spezzata, come quel giorno lontano: lo stesso senso di impotenza, di abbandono... Albafica.
 
Milo lo raccolse tra le braccia, come in Siberia, come quel giorno.
Aveva sperato che andasse davvero come quel giorno, quando lo aveva trovato mezzo assiderato tra i ghiacci: il corpo freddo, gli abiti gelati, ma il fuoco, il suo calore, avevano riportato Camus indietro. Lo aveva sentito respirare. Lo aveva sentito gemere e, infine, aveva riaperto gli occhi. 
Il blu profondo delle iridi lo aveva di nuovo accolto. Si era specchiato negli occhi stanchi, nello sguardo confuso. 
Ma era vivo, quel giorno.
Stavolta. 
Stavolta non sarebbe bastato il fuoco, non sarebbe bastato il suo calore, non sarebbe bastato tutto il calore del mondo. Milo si sentiva perso e il peso che aveva sul cuore era così grande: non riusciva a credere alla realtà dei fatti, aveva bisogno di ascoltare la sua voce pronunciare quelle parole. Aveva chiamato Agasha ma non aveva avuto il coraggio di parlare. Camus non c'è piu. Le aveva detto. Poi aveva posato quell'aggeggio che avrebbe voluto fare a pezzi. Lei gli chiedeva di aiutarlo, di non lasciarlo solo. Dove siete? Lui è dove il sole non lo potrà più scaldare, Agasha. Quell'immagine richiamò alla sua mente le parole di Camus. "Lei è come il sole" già.. Povero amico mio... Per te era Elessar il sole. Ma a lei non lo hai mai detto... Hai sacrificato tutto ad una Dea che non ti ha nemmeno cobsiderato... Ovunque fosse adesso, il sole di Camus, non avrebbe più potuto scaldarlo. Non lo avrebbe mai più raggiunto. Dove era andato. Il sole.
 
Milo era solo con quel fardello pesante e gelido tra le braccia.
E il volto di Hyoga negli occhi. Ancora e ancora.
"Io l'ho fatto passare... Ti ho ucciso... Camus... Perché..."
Una parte di sé era perduta, una parte così preziosa da essere insostituibile.
 
Quel corpo gelido lo aveva liberato dell'armatura. Aquarius era a pezzi, sparsa con rabbia nell'Undicesima Casa. Scagliata contro i muri ghiacciati, le colonne, il pavimento. Al diavolo. Maledizione.
Quel corpo gelido, pallido oltre l'inverosimile. 
Lo zero assoluto paralizza tutto, aveva detto un giorno.
Lo zero assoluto ti ha ammazzato. Coglione. Non ti ha paralizzato. Ti ha ucciso. Testardo. 
Milo sapeva che cosa aveva fatto o, almeno, credeva di avere capito che cosa era accaduto a Camus. Sapeva che cosa aveva nel cuore da quel giorno, sapeva che Hyoga era tutto ciò che gli rimaneva e riteneva di avere fallito con lui. Camus doveva aver spinto il cigno ben oltre il suo limite, oltre sé stesso, fino a restare schiacciato dal suo fallimento, dal senso di colpa.
Perché.
Cullava ciò che restava di CAMUS, stringendolo a sé. Aveva scagliato lontano anche la sua di armatura, insieme con quella di Aquarius. Scagliato contro i muri ghiacciati, le colonne, il pavimento: Scorpio e Aquarius erano confuse tra loro, i due diademi incastrati, per caso, come le loro vite, incastrate una nell'altra. Loro due, incastrati (malamente) l'uno nell'altro, che, a dividerli, si sarebbero spezzati. Il ghiaccio. Il calore. Camus così freddo, lui così vitale. Un equilibrio così perfetto.
Camus.
 
Il corpo gelido contro la sua pelle calda. Respira ti prego. Carezzava delicatamente il suo viso. Respira ancora, coraggio.
Non andartene. Se ne è già andato. Povero idiota. Non ascolterai più la sua voce. Le sue lezioni di vita. Che lezioni vuoi darmi, tu.
Il suo viso era gelido, aveva un'espressione così affaticata, le ciglia lunghe coperte di minuscoli cristalli di ghiaccio. Lacrime. Un Saint non può piangere. Un Saint che piange che razza di Saint è?
Lacrime cadevano sul viso pallido. Calore su quel volto, freddo di morte.
Un Saint non può piangere. Ti sbagli. Un Saint che perde ciò che ama piange. Come hai pianto tu, per Isaac, per Hyoga. Io piango. Piango per te, gran testa di cazzo.
 
Il corpo gelido contro il suo corpo che tremava, che il freddo, ancora, lo avvertiva. Ma non si voleva arrendere, Milo. Non voglio perderti. Lo hai già perduto. Tempo fa e non te ne sei reso conto. Idiota. Lo hai perso quando è tornato distrutto dalla Siberia e non hai fatto niente per sostenerlo
Restò a cullarlo, nel silenzio dello zero assoluto. Fermo, fermi, in una pace di cristallo. 
Un silenzio tetro, gelido, che metteva i brividi. Davvero, la sua potenza era terribile. Vista ora che, a causa di quella stessa potenza, aveva perso tutto, in un lampo di ghiaccio.
Lo sollevò da terra stringendolo tra le sue braccia. Stringendo contro il suo petto nudo il corpo di Camus, così gelido da fargli sentire l'anima congelarsi. 
Poi cadde in ginocchio, con lui, ancora stretto, e restò lì, immobile, per un tempo che sembrò abbandonare ogni vincolo terreno. 
Camus così gelido, il suo cuore fermo, il cuore di Scorpio, invece, cosi vuoto. 
Il silenzio li avvolgeva. Era tutto così irreale. 
Ma la realtà era lì, tra le sue braccia: un corpo gelido, immobile, il soffio della vita ormai inesistente. Pianse Milo. Senza più trattenersi, senza tentare di riordinare i suoi pensieri.
Camus non lo avrebbe mai rimproverato per quella debolezza. Non lo avrebbe rimproverato più per nulla. Né gli avrebbe più parlato di vini, di filosofia, di Ofiuco, di leggende e di eroi.
Avrebbe ricordato la voce di Camus tra un mese, tra due, tra cento?
Nessun altro era rientrato nell'undicesimo tempio dopo che Atena lo aveva lasciato senza degnare il suo custode caduto di uno sguardo. Ha salvato lui e non te. Non sei più utile allo scopo, povero amico mio. 
Avrebbe finito con l'odiare Atena? Hyoga? Sè stesso? Forse in ordine inverso, forse solo sé stesso, forse anche Camus, dopotutto. 
Il corpo gelido abbandonato, la mano senza vita di Camus abbandonata sul pavimento in un gesto, quasi di stizza. Era un caso?
Raccolse il suo braccio. Hai bisogno di calore. Lo avvolse nel suo cosmo. 
Non c'era sollievo a quel gelo assoluto, nemmeno il cosmo di fuoco di Scorpio poteva battere quel freddo senza limiti.
Il tempo trascorse. Minuti. Ore. 
Ore.
Sembrava di scivolare verso il fondo, lentamente, come una goccia che colava lenta lungo un vetro appannato. Freddo. Oscuro. Insieme. Da soli. Un corpo pesante. Freddo. L'altro pulsante. Infreddolito. 
Un colpo di tosse. 
Si era già raffreddato così tanto da non rendersi conto che stava tossendo? Stava morendo anche lui? Forse. Lo zero assoluto lo stava accogliendo con Camus, per non avere impedito a Camus di affrontare da solo Hyoga.
Stava sprofondando in un sonno profondo, pesante, pieno di angoscia.
Il corpo freddo che rabbrividiva.
Un colpo di tosse. 
Un respiro affannato. 
Il ricordo di avere già vissuto quella sensazione. 
Aprire di nuovo gli occhi sembrava ormai inutile, faticoso. Non li aprì.
Un colpo di tosse.
"...Bi...lo''
L'illusione era qualcosa di terribile, di intollerabile. L'illusione di sentire una voce così lontana così simile alla sua. Un colpo di tosse.
"Bi..lo"
Maledizione, maledizione taci!
Strinse ancora più forte il corpo freddo. Aveva iniziato a tremare violentemente. 
Freddo. Così freddo. Gli occhi serrati come le braccia intorno a Camus.
Strinse ancora di più. 
Uno starnuto. La pelle bagnata. La sua pelle bagnata. 
Fu richiamato indietro in un istante. Uno starnuto e la pelle del suo collo bagnata. Aprì gli occhi. Incredulo. Era l'alba.
"lo... Do... Dod..."
Inizio a tremare come lui che tremava.
Chi tremava di più tra di loro? 
"fr... do" farfugliò confuso. Milo lo fissava incredulo, le lacrime scorrevano sulle sue guance. Non riusciva a muovere un muscolo. Camus si nuove a in modo quasi impercettibile. Sembrava cercare aria. "Sei vivo..." Poi si scosse. Faticava a respirare. Lo scostò da sé, rovesciandogli indietro la testa
"Respira Camus... Respira.
Non lo credeva più possibile. Quanto tempo era passato? Era buio quando la disperazione lo aveva assalito, ora la luce dell'alba filtrava tra le colonne, portando con sé un alito di speranza. Quanto tempo era trascorso? Restava lì, incredulo e immobile con gli occhi fissi, bagnati di lacrime, in quegli occhi semiaperti, affaticati.
 Il viso di Camus era arrossato ora, lo ricordava bianco come un cencio, poco prima. Quanto tempo prima? Il tempo si era fermato, oppure era tornato indietro?
Confusione.
"Bi...lo"
Si scosse
"Camus" finalmente pronunciò il suo nome, ancora. Non riusciva a credere di poterlo chiamare ancora per nome, di ottenere una risposta a quel Nome.
"Fr... fre... do"
Lo strinse a sé. Lo avvolse nel suo cosmo. Camus. Sei vivo. Incredibile.
Poco dopo lo sentì scostarsi da lui.
"Bilo... Isaac...Mh...mmh ca.. sa" sussurrò spalancano improvvisamente gli occhi, cercando di muoversi, sebbene in modo del tutto scoordinato. Era quasi lucido, avrebbe giurato. Almeno, sembrava quasi lucido
"Cosa stai dicendo?" Chiese con circospezione. Che avesse avuto danni cerebrali?
"I... Isa.. C... K.. KO... KOBO.. tech"
,"Camus... Isaac è" come dirglielo?
scosse la testa, si aggrappò malamente a lui"Ca... sa"
Si arrese, sperò che non avesse accusato dei danni permanenti, probabilmente poteva essere solo sconvolto, sotto shock. Avrò cura di te, Camus. Magari era davvero, solo sconvolto, come se lui non lo fosse, ma andava bene così. Lo strinse di nuovo a sé. Scaldarlo lo avrebbe aiutato.
"Bilo... Isa... ac Dod... Do.. può... sta.. re là... Solo...". Uno starnuto. Camus aveva iniziato a tremare, batteva i denti come mai lo aveva sentito fare.
"Si verrà... Sta tranquillo, riposati" gli disse appoggiando la guancia alla sua fronte "Stai tranquillo... Lo andiamo a prendere apoena starai meglio" . Assecondarlo gli sembrava la cosa migliore da fare.
"Dod hai... Bi... lo... DOD... Dod.. Det.. To... diedte... Agasha... Mh... Ve.. ro?"
"Ehm .. no tranquillo. Sta tranquillo. Va tutto bene"
"Hyo... ga?"
Già. Hyoga. Lui sta meglio di te. Avrebbe voluto dirgli, ma non lo fece. Coglione. Sei un coglione. Avrebbe voluto dirgli. Ma non lo fece. No. Si limitò a stringerlo a sé. Il ghiaccio. Il fuoco. Lo strinse a sé e lui si lasciò stringere. Stavolta lo aveva perso davvero e solo un miracolo lo aveva riportato indietro. Anche se non sapeva quale miracolo o perché fosse avvenuto. Né quanto tempo fosse trascorso tra la disperazione e la speranza. Tra la morte e la vita. Quel prodigio.
E a quanto pareva non era il solo. 
Vide entrare nell'undicesima casa Shura. E Shion, il Gran sacerdote. Con Mu. Si avvicinarono a loro. Camus, a fatica riuscì a scostarsi da lui ed era seduto a terra, adesso, tremante e visibilmente provato. Sollevò improvvisamente il viso, con lo sguardo sconvolto. "A.. Te... Na" disse.
   
 
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