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Autore: anagogia    01/12/2019    2 recensioni
[Fred Vargas (serie del commissario Adamsberg)]
[Fred Vargas (serie del commissario Adamsberg)]Il capitano Danglard, divorato dal senso di colpa ed incapace di perdonarsi, si trova a rivestire un ruolo che non credeva sarebbe mai stato chiamato a ricoprire.
AU Tempi Glaciali
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Due ore dopo Danglard si trovava all’ospedale Saint Louis. Aveva rassicurato il comandante Brezillon promettendo che l’indomani l’intera squadra avrebbe lavorato per ricostruire l’indagine del commissario e fornire solidi capi d’accusa, ed aveva inviato a tutti un messaggio convocando una riunione per le nove del mattino. Ora, da poco passate le tre di notte, camminava nella sala d’attesa deserta. Presentava tutti i sintomi tipici di chi ha ricevuto uno shock: sudorazione, tremore, brividi di freddo, mancamenti, eppure non riusciva a mettersi seduto. La notizia l’aveva sconvolto al punto da bloccare completamente ogni sentimento diverso dal terrore che lo permeava, terebrante, martellante, senza tregua. Adamsberg poteva morire, forse sarebbe morto quella notte stessa. Non aveva mai riflettuto su come avrebbe potuto essere la vita senza di lui; ispiratore, superiore, avversario metodologico, amico, all’occorrenza oste e cambusiere, baby sitter occasionale, persino talvolta fratello maggiore nonostante l’età; da che si erano incontrati il commissario era stato una presenza costante nella vita di Danglard, e seppur fluido e sfuggente come solo lui sapeva essere, solo ora il capitano si rendeva conto di quanto enorme fosse l’influenza del piccolo commissario nella sua vita, di quanto spazio emotivo occupasse con la sua presenza assente; tanto vacua e mal delimitata era la personalità del commissario quanto era solida e incrollabile la sua capacità di ancorare a sé il prossimo, di dare sicurezza e stabilità. Non che ci fosse nulla di stabile in lui, quello no, ma nondimeno aveva la capacità di supportare, o meglio, di permeare la vita di chi gli gravitava intorno, di distribuire certezza che in qualche modo sarebbe sempre stato lì, sfuggente ma immutabile ed etereo. Non stabile, certo, non come un tronco d’albero a cui appoggiarsi nella difficoltà; come acqua forse, come il mare, che seppur liquido ti salva avvolgendoti per riportarti a galla, impedendoti di affogare.
Per un attimo, la soddisfazione di aver identificato una metafora adeguata a descrivere la stabile inconsistenza della presenza del commissario nella sua vita placò l’angoscia di Danglard, che sedette in una sedia d’angolo, continuando a riflettere su mari e tronchi d’albero. Il sollievo tuttavia ebbe breve durata, giacchè vide una giovane donna, probabilmente un’infermiera, giungere dal fondo del corridoio correndo e reggendo un carico bianco e rosso di sacche di sangue da trasfondere; il suo respiro ansimante, la fretta nel digitare il codice di accesso al blocco operatorio e la rapidità con cui sparì dietro alle porte scorrevoli non lasciarono spazio al dubbio:  c’era urgente bisogno di sangue, quindi un’emorragia ancora non controllata, tessuti vitali non ossigenati a dovere, un cuore che pompava a vuoto; un cuore che avrebbe potuto fermarsi da un momento all’altro.
Danglard non ricordava più come si vivesse in un mondo senza il commissario, a tal punto la sua flemmatica, lenta dolcezza d’animo l’aveva penetrato. Era certo di non ricordare più come si facesse a viverne lontano. 
Questo brusco ritorno alla realtà lo smosse, e ricominciò a camminare, un groppo in gola e gli occhi lucidi. Ottenere informazioni era stato difficile, non poteva vantare un rapporto di parentela e solo sventolando a destra ed a manca il tesserino di riconoscimento aveva ottenuto di parlare con il medico che aveva accolto il commissario in Pronto Soccorso. Duplice ferita di arma da fuoco, questo il responso; il primo colpo l’aveva colpito al petto, evitando il cuore ma provocando gravi lesioni al polmone di destra. In elicottero era stato posizionato un drenaggio toracico che aveva segnalato la presenza di un sanguinamento attivo. Il secondo colpo l’aveva colpito in pieno addome, e solo pochi, misericordiosi millimetri avevano evitato la lacerazione della vena cava con conseguente morte immediata. Aveva colpito il fegato, tuttavia, e probabilmente provocato lesioni da scoppio di uno o più tratti d’intestino; giacchè il paziente (e già a questo termine serico e passivo Danglard aveva creduto di venir meno) era troppo instabile per poter essere sottoposto ad una TC i sanitari avevano dovuto accontentarsi di una rapida ecografia prima di correre, letteralmente, in sala operatoria.
 
Come avrebbe voluto, in questo momento, non essere solo. Si era chiesto se fosse suo dovere avvertire qualcuno, e in tal caso, chi; Adamsberg era stato, solo ora se ne rendeva conto, straordinariamente riservato circa la sua vita privata, soprattutto quella precedente a Parigi; Danglard non aveva mai incontrato sua madre né nessuna delle sue numerose sorelle; aveva incontrato, brevemente, il fratello, ma non avrebbe saputo come rintracciarlo. E poi, lui l’avrebbe voluto? Chi avrebbe voluto accanto, in quel momento? Il capitano, dopo quasi dieci anni gomito a gomito, non sapeva rispondere a questa domanda. Il solo pensiero che Adamsberg, così evanescente ed impalpabile, tutto anima e sensazioni, possedesse organi e tessuti come tutti i comuni mortali, sangue e viscere e un cuore che poteva fermarsi lo lasciava sbalordito. Ecco, poteva ammetterlo a sé stesso: aveva cullato sino ad ora l’infantile convinzione che il commissario fosse, in fondo, immortale, come un bimbo potrebbe crederlo dei propri genitori; l’idea che potesse spezzarsi, crollare, essere definito “paziente”, passivo ed incapacitato a provvedere a sé stesso gli pareva oltraggiosa, dolorosamente offensiva; l’idea che potesse aver bisogno di qualcuno, lui che pareva non aver mai bisogno di nulla, era totalmente aliena.
 
Aveva pensato di chiamare Camille, l’eterna non fidanzata del commissario e madre di suo figlio, ma aveva immediatamente scartato l’idea; viveva al Nord con Tom, e senz’altro avrebbe insistito per mettersi in auto immediatamente, in piena notte, mettendo a rischio sé stessa ed il bambino. Stesso discorso valeva per Zerk, il figlio maggiore, nato da una breve relazione giovanile; si trovava in Islanda dove aveva incontrato una donna; non avrebbe avuto modo di partire per Parigi prima del mattino, poteva risparmiargli almeno qualche ora di angoscia impotente.
 
Altri passi risuonarono nel silenzio della notte. La stessa giovane infermiera, la stessa corsa, lo stesso grottesco carico tra le braccia. Altro sangue, ancora non erano riusciti ad interrompere l’emorragia. Danglard sentì un conato di nausea risalire la gola e si arrese al fatto che non sarebbe riuscito a sopportare quell’angoscia da solo. Estrasse il cellulare dalla tasca e con gesti incerti compose uno dei molti numeri che ricordava a memoria.
 
“Capitano” rispose la donna all’altro capo del telefono, perfettamente sveglia e coerente nonostrante l’ora tarda “che succede?”
 
“Il commissario ha identificato e fatto arrestare il killer della società di Robespierre, che è anche il killer dell’Islanda: Charles Rolben, il magistrato. E’ successo al Creux. Rolben ha tentato di uccidere il commissario ed i fratelli Masfaurè.”
 
“Come stanno?” domandò lei, e per la prima volta Danglard percepì la voce di Retancourt tremare leggermente.
 
“I fratelli stanno bene. Adamsberg è stato colpito al torace ed all’addome. Sono nella sala d’attesa del blocco operatorio dell’ospedale Saint Louis, e tutto quello che sono riuscito a sapere fino ad ora è che la situazione è molto grave.”
 
“Capitano” sussurrò il tenente “mi ripeta quello che ha detto.”
 
“Il commissario è stato colpito da due colpi di arma da fuoco ed è al momento in sala operatoria in gravi condizioni”
 
Seguì un silenzio gelido. Danglard attese senza proferire parola che la cruda realtà penetrasse l’enorme mole del tenente Retancourt.
 
“Avverto Veyrenc. Saremo lì in trenta minuti.”
 
Come sempre Violette Retancourt fu di parola. Esattamente trenta minuti dopo aver interrotto la chiamata il capitano Danglard vide la sua considerevole mole varcare l’ingresso della sala di attesa, tallonata dalla sagoma assai più esile dell’ispettore Veyrenc. Andò loro incontro, poi si fermò, le braccia scomodamente tese lungo il corpo come se in quel momento non sapesse che farne. Protese una mano verso il tenente, poi la ritrasse; tutta la prostrazione di quel momento fu chiaramente visibile in quel gesto che si arrestava.
 
“Nessuna novità?” domandò lei.
 
Il capitano si limitò a scuotere il capo, come se rispondere ad alta voce rendesse più reali gli eventi di quelle ore.
 
“Ho visto passare un’infermiera carica di sacche di sangue. E’ successo quattro volte ormai. “
 
“Vuol dire che continua a perderne” commentò Violette.
 
“Vuol dire che là dentro c’è una persona viva che può essere trasfusa e salvata, e non un cadavere” si inserì allora il tenente Veyrenc. 
 
Il capitano lo osservò, come se solo ora si fosse reso conto della sua presenza. Sentì un barlume dell’antica gelosia riaffiorare: per anni era stato la persona più vicina al commissario, e poi era spuntato lui, con i capelli maculati, proveniente dai Pirenei, dallo stesso pezzo di montagna, e lo aveva spodestato poco a poco.
 
Ma in fondo che importava ora?
 
“Ispettore, lei conosce la famiglia del commissario immagino.”
 
Veyrenc alzò lo sguardo, strinse i pugni in atteggiamento di difesa.
 
“La conosce anche lei, capitano.”
 
Perplesso, Danglard proseguì: “Sarà necessario contattare sua madre, le sue sorelle, suo fratello. Lei possiede dei recapiti, o conoscenze in comune che possano metterci in contatto?”
 
“Raphael è irrintracciabile, capitano. Sparito dai radar dopo la faccenda di Tritone, a godersi la ritrovata libertà. E la famiglia del commissario la conosce anche lei perchè, per lo più, si trova in questa stanza. Quella gente la lasci stare sulla montagna, dove ha meno occasioni di nuocere.”
 
Danglard lo osservò stupefatto. Come poteva, quell’ispettore dai capelli leopardati, parlare con tanta sicurezza? 
 
“Ispettore, la situazione è critica. La sua famiglia deve essere informata. Nella speranza che non si verifichi l’irreparabile, vorranno essergli vicino, poter prestare la propria assistenza. ”
 
Veyrenc si avvicinò, lo sguardo affilato, il tono di voce permeato di insolita durezza.
 
“Capitano, la prego di darmi ascolto. Quelle persone possono solo fargli del male, e non sarà in condizioni di difendersi. Sarà abbastanza dura già così com’è, per lui e per noi. Le persone di cui accetterà l’aiuto, sempre se saremo abbastanza persuasivi, sono già qui o a breve distanza. Jean-Baptiste” e qui il capitano trasalì, profondamente turbato da quella inaspettata confidenza “è affare nostro, e tocca a noi averne cura adesso.” 
 
“Sempre se se la sente, capitano” concluse.
  
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