Capitolo 2
“Non
siamo? Non sei,” lo corresse con una
punta di fastidio Balder il Buono. Il
terzo figlio di Odino non desiderava rimanere invischiato nelle trame
contorte
dell’ingannatore. Loki, beffardo e insolente come suo solito,
sedeva mollemente
su una poltrona, con i talloni sfacciatamente poggiati sul legno della
scrivania. Non aveva ancora riposto nel fodero i pugnali con cui
giocherellava
– lame lucide, letali, abituate a colpire i punti vitali
degli avversari. Il
gesto, in realtà, tradiva una sorta di fastidio. Non era la
prima volta che la
famiglia di Sigyn gli scriveva, ma lui era rimasto sordo a ogni loro
richiesta
e, per fortuna, anche Padre Tutto.
E
Balder non si capacitava di questo. Avrebbe voluto afferrare il
fratello per il
colletto e scuoterlo, imponendogli – implorandolo
– di fare l’unica
cosa giusta, consapevole, tuttavia, che non sarebbe mai riuscito a
scalfire lo
spirito volitivo dell’altro, incapace di vedere la crepa
nascosta dietro il
ghigno irriverente che Loki sfoggiava.
L’ingannatore
assottigliò gli occhi. “Sei forse superstizioso,
adesso?”
“No.
Lungimirante e responsabile, piuttosto. E non cieco come
Thor,” puntualizzò.
Loki,
divertito dalla frecciata, inclinò leggermente il capo di
lato. “O come nostro
padre.”
Balder
contrasse ogni singolo muscolo di fronte a quell’illazione.
“Non l’ho detto.”
Un
guizzo ferino scintillò negli occhi verdi
dell’ingannatore. Voleva cacciare, e
la sua preda, davanti a lui, aveva appena infilato il piede dentro una
trappola. “L’hai pensato,”
l’incalzò sporgendosi appena e facendo sparire i
lunghi coltelli. Sfidare Lingua d’Argento sul piano retorico
significava
incorrere in una sconfitta, sempre.
“È
un
processo alle intenzioni? È uno dei tuoi soliti trucchi?
Divertiti con qualcun
altro, fratello.” Balder indietreggiò, sebbene
fosse perfettamente consapevole
che aumentare la distanza fisica tra lui e il mago non
l’avrebbe messo al
riparo dalle sue parole sferzanti e, purtroppo, dolorosamente vere.
Odino era
un sovrano lungimirante, severo, capace, ma assegnava puntualmente le
imprese
più ardite a Loki e a Thor, escludendolo. I suoi fratelli
maggiori erano
decisamente troppo orgogliosi e alla perenne ricerca della gloria
personale
uno, di un’occasione per menare le mani l’altro.
Eppure, nonostante i palesi
difetti, tutto lasciava presupporre che la corsa
all’Hliðskjálf fosse una sfida
che riguardava solamente loro. Ne sarebbero stati davvero degni? Una
volta,
Balder si era fatto coraggio e aveva domandato all’austero
genitore per quale
ragione non lo mettesse alla prova, spedendolo in una delle missioni da
cui i
fratelli tornavano spesso leggermente ammaccati, certo, ma senza dubbio
vittoriosi e allegri: non poteva immaginare, ingenuo com’era,
che l’ilarità ostentata
dai due era dovuta, fin troppo spesso, all’idromele bevuto
per dimenticare ferite
e compromessi, dolori e mostruosità.
La
risposta di Odino era stata precisa e netta, inappellabile. Loki e Thor
erano cresciuti
insieme. I lunghi anni trascorsi ad addestrarsi, a combattere e a
giocare assieme
li avevano resi una squadra collaudatissima e affidabile. Litigavano
continuamente
a causa dei loro caratteri fieri, certo, ma di fronte al pericolo
sapevano
guardarsi le spalle a vicenda e fare fronte comune. Con loro Odino era
stato
più severo ed esigente, preso com’era
dall’idea che dovesse forgiare due futuri
re. Li aveva spinti a divenire adulti più in fretta,
caricandoli di
responsabilità forse anche prima del tempo – ma
erano figli della guerra, loro,
nati nel momento in cui il conflitto contro re Laufey era
all’apice della sua
violenza. Inserire un terzo elemento avrebbe rischiato di creare
attriti e
dissonanze. Balder li avrebbe rallentati e, come se non bastasse, era
davvero
troppo giovane: rimanere nella Válaskjálf, la
sala del trono di Asgard, rappresentava
un onore, un privilegio, un compito essenziale di cui essere
orgogliosi. I suoi
impazienti e iracondi fratelli, sempre pronti a contraddire e a sfidare
la
pazienza di Odino, non si erano opposti a tale decisione.
“Quanto
rancore, ragazzino,” sibilò Loki tenendolo
d’occhio con fare sornione. Si alzò
in piedi con un gesto fluido e prese con sé la pergamena
arrotolata. Non gli
interessava quella conversazione: dal suo altero punto di vista, le
pretese di
Balder erano quelle di un bambino furioso che voleva giocare a fare
l’adulto.
Dimenticava, o non gli interessava ricordare, che alla sua
età lui e Thor erano
già considerati eroi degni di essere cantati dai bardi.
Stirò le labbra in un
sorriso sghembo, amaro. Molte delle sue imprese, le più
temerarie e spaventose,
quelle che gli avevano ghiacciato l’anima e il sangue e
portato via il cuore,
non sarebbero mai state rievocate a un banchetto. Le avrebbe ricoperte
l’oblio,
perché la grandezza di Asgard aveva un costo altissimo.
Odino gliel’aveva
spiegato stringendogli la spalla e sussurrandogli complimenti scarni
che non
avrebbe mai pronunciato ad alta voce. Thor andava a uccidere a est i
Troll e i
Giganti e, al suo ritorno, tutti lo acclamavano per il coraggio e
l’audacia
dimostrati. A Loki sarebbe rimasto il resto – il regno oscuro
e dai contorni
indefiniti della politica, del non detto, del seiðr mormorato a
fior di labbra.
Un ruolo che a volte gli andava stretto e tirava e stringeva, che
sempre più
spesso lo lasciava insoddisfatto – la gloria non splende su
chi lavora
nell’ombra e agisce d’astuzia. Tutto questo il
giusto Balder, l’abile
spadaccino, il figlio nato in un periodo di pace dall’animo
tranquillo e solare,
che obbediva sempre ai suoi genitori e rispettava ogni legge, non
poteva
capirlo. La sua unica ribellione era stata chiedere di andare a farsi
ammazzare
prima del tempo, ponendosi sullo stesso piano degli altri fratelli
più scaltri
ed esperti. Per lui, il mondo non aveva le mille sfumature che il dio
dell’inganno
aveva visto con i suoi occhi: si divideva in giusto e sbagliato, noi e
loro.
Una visione miope che faceva arricciare le labbra di Loki e lo aveva
convinto
una volta di più a non mettersi in mezzo, evitando
così di perorare la causa
del ragazzo. E Thor, tronfio com’era, aveva finito per fare
un ragionamento non
troppo dissimile.
La
voce di Balder gracchiò fin oltre la porta già
oltrepassata.
“Perché
non fai mai la scelta giusta, Loki? Liberala,
lasciala vivere in pace.”
L’ingannatore
si fermò, ma scelse di non voltarsi.
“Altrimenti?” sorrise.
♥
Loki
aveva l’età di Balder quando si era preso Sigyn.
Era
una notte d’estate e lei indossava un abito rosso. Di quella
sera ricordava fin
troppi dettagli. Il sapore del vino che gli scivolava in gola, per
esempio:
dolce, inebriante, fresco, versato in coppe d’oro intarsiate
con pietre
preziose e perle. Thor gli disse che preferiva bere nei corni, li
trovava più
comodi. Lui rispose che quella bevanda stordente andava portata con
loro ad
Asgard a ogni costo. Risero complici e lei, seduta
accanto a sua madre,
li sentì e rivolse a entrambi un’occhiata di
fuoco, carica di curiosità,
rancore, e dispetto insieme. Loki l’aveva osservata a lungo,
durante il
banchetto: si guardava attorno nervosa e spesso giocherellava col cibo,
rispondendo
a monosillabi ed evitando di guardare chicchessia, ma quando, come in
quel
momento, alzava lo sguardo dal piatto, i suoi occhi scintillavano,
rivelando un
animo appassionato e vibrante. E, soprattutto, al contrario delle sue
sorelle non
si credeva al sicuro. L’ingannatore le regalò il
suo miglior ghigno sbieco
alzando il calice nella sua direzione – brindando a lei e
alla recente vittoria
degli Æsir. Sigyn strinse le labbra e raddrizzò le
spalle appena lambite dalla
stoffa cremisi: lo detestava e la sua sola presenza le incuteva un
terrore sordo.
E di questo, Loki era più che soddisfatto.
Il
piano da proporre a Padre Tutto cominciò a delinearsi nella
sua mente in quel
preciso istante. Dapprima fu un abbozzo che gli gironzolava nella
testa, ma poi
prese forma, sostanza, peso, divenendo reale, fattibile. Intrigante,
persino.
Ne ripercorse i passaggi più e più volte,
immaginando le obiezioni che gli
sarebbero state mosse e prevedendo le risposte, e più si
cimentava nel
dialettico intrico, più si esaltava. Si leccò le
labbra ritrovandovi il gusto
del vino speziato, chiedendosi distrattamente come sarebbe stato
baciarla,
valutando una dopo l’altra le numerose alternative che gli si
ponevano davanti.
I genitori di Sigyn non avevano accolto Odino e la sua corte col
sorriso sulle
labbra, affatto. Si erano limitati a tenere lo sguardo basso,
consapevoli di
aver mancato a uno degli accordi stipulati con Asgard, spaventati
all’idea di
quello che Padre Tutto avrebbe chiesto o fatto loro. Gli Æsir
si ergevano a
protettori dei Nove Regni, contrastando qualsiasi avversario o
invasione, sacrificando
le loro vite e versando il proprio sangue per garantire una pace e una
prosperità universali. In cambio, com’era naturale
e giusto che fosse,
pretendevano annualmente tributi sottoforma di raccolti, omaggi e
soldati da spedire
al fronte, all’occorrenza. Nulla di tutto ciò era
stato inviato da Sigurdr, nel
corso degli ultimi due anni. Anzi, durante l’ultima campagna
militare l’assenza
di una parte degli alleati aveva messo in seria difficoltà
l’esercito di Odino.
Ecco perché Padre Tutto era lì. Per ristabilire
l’ordine, per ricordare agli amici
e ai nemici che i patti andavano rispettati sempre, fino in fondo, a
qualunque
disperato costo. Alcuni l’avrebbero chiamata vendetta.
Thor
non sollevò il capo mentre Loki si sporgeva verso Odino per
metterlo a parte
della brillante idea che aveva avuto. Era abituato ai suoi guizzi
crudeli e
geniali, del resto. Spesso non condivideva i modi del fratello, vero,
ma questi
ultimi erano sempre finalizzati a ingigantire la potenza di Asgard e il
prestigio
della loro famiglia: a volte il dio del tuono aveva la sensazione che
l’altro ballasse
troppo vicino al baratro che separava il bene dal male, che i suoi bei
discorsi
pendessero sempre più verso un pragmatismo fin troppo
spietato, ma finiva per
mettere puntualmente a tacere quel pensiero insistente.
Finché Padre Tutto appoggiava
i suoi modi andava tutto alla perfezione – un giorno lontano,
Thor avrebbe scoperto
sulla propria pelle che l’animo feroce di Loki poteva
arricchire o distruggere
gli Æsir, ma non era quello il momento né il
giorno.
Il
banchetto si stava concludendo. Odino, come avveniva sempre
più spesso, ascoltò
con grande attenzione le parole sagaci mormorate dal figlio. Tra le
mani
stringeva un calice mezzo colmo. Lo vuotò con un paio di
sorsi generosi senza
palesare alcuna emozione, ma il dio dell’inganno colse con
soddisfazione il
brillio fugace che attraversò l’unico occhio del
genitore.
“Quale
delle quattro?” s’interessò il sovrano.
Loki
lasciò scorrere lo sguardo su Sigyn, rigidamente seduta a
poca distanza da
loro. Si compiacque della tensione che individuava nella schiena
rigida, ammirò
sfacciatamente la scollatura generosa che evidenziava il seno piccolo e
ben
fatto, il viso dai lineamenti piacevolmente delicati, le folte trecce
d’oro che
le arrivavano fin sotto ai seni. Lei dovette sentire gli occhi
dell’Ase su di sé,
perché sollevò le ciglia scure e, rossa in volto,
lo fissò a sua volta. Li legava
una tensione sospetta, bassa, viscerale, di cui nessuno dei due era
pienamente
consapevole, nemmeno il principe. Un legame vibrante e sconosciuto che
li
avrebbe distrutti, un giorno, rendendo vera una storia antica. Quella
sera l’aveva
scelta perché lo detestava e per lo sguardo infuocato che
gli aveva rivolto, bruciante
come quello che le stava regalando lui in quel momento.
Deglutì. “La più giovane,”
mormorò facendo attenzione che nessuno gli leggesse le
labbra. “Sigyn.”
Odino
si volse appena verso di lui. “Perché?”
“Non
dispone di una dote congrua per tutte. Non
la farà mai sposare. La vuole sacrificare agli
antenati,” ragionò rapidamente.
Fece una pausa, perché ciò che gli era parso di
cogliere era poco più di un sospetto
suggeritogli dal suo intuito – dal seiðr.
“Ha la scintilla,”
sibilò, “o
è l’unica che potrebbe averla.”
Il
sovrano fece scorrere il pollice su uno
degli intarsi della coppa, sovrappensiero. Avvertiva anche lui la
presenza di qualcosa,
nella ragazza. Riconobbe la validità del piano proposto,
rifletté su quanto
Loki, a forza di imitarlo, studiarlo e stargli accanto, avesse finito
per
assomigliargli tanto da parlare e pensare come lui. Valutò
rischi su cui forse il
suo giovane e arrogante figlio non aveva riflettuto abbastanza o che,
forse,
non reputava così pericolosi come in realtà erano
– la ragazza era carina,
dopotutto – e annuì solenne.
“È
un
buon piano, Loki. Se anche non l’avesse, noi ci garantiremo
l’assoluta fedeltà
del suo clan.”
Il
giovane dio dell’inganno non perse tempo. Si fece riempire
nuovamente la coppa
con il buon vino speziato dei Vanir e si avvicinò con un
sorriso sornione a Sigurdr,
incurante del ritmo sempre più lento e ipnotico dei canti,
degli sguardi
curiosi che lo seguivano con manifesto interesse Parlare di affari e
strategie a
quell’ora della notte sarebbe stato un vantaggio solo per
lui, ancora lucido
nonostante l’alcool. Il suo ospite, preso totalmente alla
sprovvista, stanco
per la lunga giornata e desideroso di compiacere gli Æsir,
sarebbe capitolato
dopo qualche obiezione, cui lui avrebbe risposto in maniera sferzante e
arguta.
Inappellabile. Loki, grazie alle sue trame argute e alla sua
capacità
dialettica, avrebbe trionfato pubblicamente.
Sigurdr
aggrottò la fronte, sorpreso dall’elegante
familiarità con cui l’Ase gli si
sedette accanto, intimorito dal suo mezzo sorriso appena accennato,
sbieco e
sornione.
“Esulta,
nostro buon amico: Padre Tutto ha deciso che ti perdonerà
per la tua codardia,”
esordì Loki poggiandogli una mano sulla spalla.
L’uomo
impallidì e scosse la testa: fino ad allora nessuno aveva
fatto menzione del mancato
invio dei soldati, ma in cuor suo sapeva che, presto,
l’argomento sarebbe emerso.
Il fatto che a tirarlo fuori senza alcun preambolo fosse proprio lo
scaltro
Loki, però, aveva in sé qualcosa di oscuro e
inquietante a un tempo – merito anche
della scintilla folle che gli brillava negli occhi, decise.
“Non
è stata codardia, principe,” si difese Sigurdr.
“C’è stata una carestia. Sono anni
difficili – voi lo sapete. Non ho più figli maschi
che mi aiutino,” spiegò. Era
teso e a disagio, eppure si sforzava di mantenere il controllo della
situazione
e comportarsi come il capo che era.
“Siamo
a conoscenza di tutto, sì.” Loki
giocherellò con la coppa. “Ma non hai inviato
neanche un uomo. Avresti potuto dimostrare la tua lealtà in
modo simbolico. Noi
ne abbiamo persi molti, di soldati.”
Tutti
sapevano che il dio dell’inganno aveva rischiato di morire,
nell’ultima
battaglia. Si raccontava che era stato suo fratello Thor, a salvargli
la vita.
Se lo era issato in spalla sebbene tutti gli avessero detto che aveva
perso troppo
sangue ed era inutile soccorrerlo. Sigurdr si era ben guardato
dall’indagare quanta
verità ci fosse in quella storia. Loki era lì,
davanti a lui, pericoloso e
beffardo più di quanto si diceva fosse, a pochi passi dal
possente fratello e
dal furbo genitore.
“Cosa
posso fare per Asgard e per Padre Tutto?”
“E per
i Nove Regni,” lo corresse Lingua d’Argento.
“Abbiamo scelto qualcosa di tuo,
che ti appartiene, ma sono certo che cederai senza troppe
storie,” spiegò
lentamente, leccandosi le labbra che sapevano di vino. Pareva una fiera
pronta
a scattare di fronte alla sua preda. “Lei,” disse,
rivolgendole un ghigno lupesco.
“Sigyn.”
Così
fu dato il via a una serie di eventi che avrebbero scosso la casa di
Asgard e Lingua
d’Argento più di quanto non avesse fatto il
terribile colpo che gli aveva
squarciato il fianco durante l’ultimo scontro. Si era
ritrovato steso sul
tavolaccio dei guaritori a farsi ricucire un fianco squarciato,
imprecando tra
i dolori, tremando per gli effetti devastanti di un fendente infettato
con una
magia scura e corrosiva. Era sopravvissuto a stento e la cicatrice gli
tirava
ancora.
Sì,
Loki
aveva l’età di Balder quando si prese Sigyn
scoprendo che non avrebbe mai
potuto averla davvero.
L’angolo
di Shilyss
Cari
Lettori,
Qualche
precisazione: il fatto che il padre di Sigyn sia Sigurdr è
un mio headcanon. Non
sono riuscita a capire di chi sia figlia ‘sta benedetta
ragazza e non voglio
utilizzare nomi che non compaiono nell’Edda o che non siano
ufficiali, quindi
se tanto devo inventare, almeno invento di mio. Che Loki abbia una
cicatrice
deturpante al fianco è un mio headcanon presente anche in
“Ossessioni, whisky e
oro/Tesori.” Per il personaggio di Balder, consideratelo un
po’ come un OC con
qualche commistione tra il fumetto e il mito.
Come
avrete capito, essendo una pre-Thor alcune
interazioni tra i personaggi
sono DIFFERENTI: esempio? Loki che, per ora, va
d’accordo con Odino. Ciò
significa che ci saranno alcuni momenti iconici, più avanti
e che questa è
anche un po’ una mezza sfida per me, che li racconto sempre
almeno da Avengers
in poi. Qui abbiamo avuto un lungo flashback e qualche piccolo,
piccolissimo
indizio sul perché Sigyn stia diventando cieca.
Colgo
l’occasione per ringraziarvi
dell’affetto, del sostegno e della
presenza. Il sostegno, per chi scrive, è
importante – mettere
su carta una storia è condividere un pezzo di cuore, di
anima, di noi. E quando,
come in questo caso, si abbandona la “comfort
zone”, la questione si fa ancora
più spinosa!
Per
chi lo volesse, ci sono le liste in alto a destra,
oppure lasciate una
recensione ♥!
Parafrasando
l’infinita Melania G. Mazzucco, posso dire che
“solo chi crea conosce la gioia
di sapere che la freccia scoccata verso il cielo non è
caduta ai nostri piedi,
ma ha colpito il cuore di qualcuno” Per ulteriori info, tante
foto di Loki, di
Sigyn e di Tom e un po’ di divertimento…
c’è la mia pagina facebook ♥ https://www.facebook.com/Shilyss/.
Vi
ricordo anche la mia ULTIMA SHOT postata su The Avengers ♥
Un'altra volta ancora:
leggetela, se vi va ♥ ^^
Ricordo
che Vanheim con questo ordinamento sociale, politico e culturale
è una mia
idea: vi pregherei di non utilizzarla ♥. Anche il
personaggio di Sigyn, tolto
quello che trovate alla voce “Sigyn” su Wikipedia,
è una mia personale
interpretazione/reinterpretazione/riscrittura.
A
presto e grazie per tutto l’affetto/sostegno/cose,
Vostra,
Shilyss