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Autore: PervincaViola    02/12/2019    7 recensioni
Le notti in cui non si trovano cede al sonno con la ferocia di chi è sopravvissuto per anni nel suo dormiveglia.
{Severus/Hermione ♥ What if?}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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Mentre la notte va in frantumi
 






 
Hogwarts indossa le proprie ferite come medaglie d’onore, il lascito di mesi da seppellire nel limbo degli incubi. Severus vede occhi timorosi e un silenzio referenziale il primo giorno di settembre, in una Sala Grande meno gremita degli anni passati – ma è Minerva McGranitt a pronunciare il discorso di benvenuto (niente Carrow, niente maledizioni cruciatus, niente sangue), e questo è quasi un sollievo, una benedizione. Socchiude appena gli occhi e crede di percepire ancora l’odore di morte e rovina che aleggia nel castello, ed è come se sangue e polvere gli fossero rimasti intrisi nella pelle – e allora pensa che il suo posto non può essere altro che questo (con le sue cicatrici e le sue colpe e nessun altro luogo da chiamare casa).
 
L’aula di Pozioni è un rifugio in cui tornare dopo una tempesta; nell’aria densa di vapori è facile dimenticare e fingere che niente sia cambiato – a dispetto delle cicatrici traslucide che si nascondono sotto i vestiti. È di nuovo un pipistrello che si aggira nell’oscurità dei Sotterranei e la sua propensione a terrorizzare gli studenti, esaltare i suoi Serpeverde e sottrarre punti ai Grifondoro che seguiranno le orme di Paciock non stupisce ormai nessuno (non sei cambiato, Severus, gli ha detto Minerva, ma l’ha fatto quasi con commosso affetto, e il suo sguardo di scusa era lo specchio di tutti i suoi colleghi, e lui avrebbe voluto vomitare). Per questo deve ringraziare Potter, che ha riscattato il suo nome tenendo per sé i dettagli più sordidi di un’esistenza in cui ha inanellato troppe scelte sbagliate (eppure, a volte ripensa ad un verde impossibile, alla stretta di mano che si sono scambiati lui e il ragazzo, distanti e alla fine di tutto, e si dice che non è stato invano).
 
Hermione Granger è una figura solitaria che appare il primo giorno di lezione degli studenti del settimo anno, e lui può dirsi tutto meno che sorpreso; Potter e Weasley sono lontani, all’Accademia per Auror – e per un istante vederla sola sembra profondamente sbagliato, quando per anni ha sempre avuto accanto una macchia rossa e una nera. Il fuoco è già acceso sotto il calderone, i ricci senza forma che crepitano elettrici attorno a lei, eppure gli occhi arrossati e le borse viola sotto le ciglia parlano di qualcuno che fatica a stare a galla in un mondo che sta ricominciando (e che lei ha contribuito a salvare). Il tormento che si porta addosso lo spinge a indugiare con lo sguardo su di lei (rivede il buio, le sue mani sulla gola e sangue, sangue, sangue) mentre un gesso incantato scrive indicazioni alla lavagna.
«Quali sono gli ingredienti di un Antidoto per i Veleni Rari?» scandisce nel silenzio della classe e la mano di Hermione Granger scatta in alto prima ancora che abbia finito di formulare la domanda (è ancora un’insopportabile so-tutto-io, e inaspettatamente va bene così).
 
*

La notte annaspa alla ricerca d’aria; ci sono sogni che durano una notte, fino al primo battito di ciglia, e ci sono sogni che durano una vita e sogni che invece la racchiudono – esattamente come gli incubi, esattamente come i mostri. Una volta Severus sognava di Lily (Lily, candida Lily, un sogno bianco, remoto, che sapeva di pulito in un mondo marcio, un fiore che non aveva saputo cogliere) ma quel sogno è sempre più lontano – il suo compito è stato assolto, il ragazzo si è salvato (e la memoria di lei comincia a sfumare).
Ci sono incubi che durano una vita, cuciti tra fronte e cervello, un cancro che infetta i pensieri ogni notte. Una volta Severus sognava di Lily, ma adesso non più – adesso è il passato che si rompe un po’ alla volta, come si rompono i ricordi nascosti, e pian piano tutto torna a presentargli il conto. C’è Charity Burbage nei suoi incubi, il suo cadavere che cade su un tavolo da pranzo di legno lucido, c’è una gamba maciullata di Ted Tonks (tutto ciò che ne resta) e le grida di Ollivander e la risata folle di Bellatrix che tortura, massacra, uccide. Ci sono occhi rossi e una voce sibilante, della stessa materia degli incubi, una voce che senti solo prima di morire, o di piegarti, o di spezzarti (e in fondo è la stessa cosa); ci sono le spire di un serpente e le sue fauci chiuse appena sotto la mandibola, un dolore atroce che cancella ogni cosa – da dietro le palpebre abbassate, Severus vorrebbe solo poter urlare.
 
A volte, solo a volte c’è anche Hermione Granger (il freddo che sbrana le ossa, la sua mano calda sulla gola che cerca di intrappolare la vita che sta fuggendo così veloce da non far nemmeno male, tra le sue dita una fiala opalescente nella luce ferruginosa della Stamberga Strillante, i suoi sussurri spezzati – non la lascio morire, professore). Quando si sveglia ha l’impressione che nell’aria illanguidiscano le note di artemisia.
 
*
 
Non dorme a lungo, la notte – il retaggio di anni passati a fare il doppio, triplo gioco, tra i segreti e le bugie di Albus e le retate del Signore Oscuro e il suo stesso senso di colpa che non riusciva a dargli pace. Quando non dorme per sfuggire ai propri mostri si chiude nello studio, chino su compiti di studenti che non padroneggeranno mai la raffinata arte di Pozioni, legge libri fino a consumarsi gli occhi, prepara filtri alla luce della luna. Talvolta cammina fuori dal castello finché non vede l’alba graffiare il cielo.
 
La trova per la prima volta fuori dalla Torre di Grifondoro una sera di ottobre che odora di nubifragio – la pioggia che minaccia di frantumare le finestre, il vento che si schianta contro le mura mentre i lampi illuminano a giorno i corridoi. Severus alza lo sguardo da terra, la bacchetta alla mano, e la scorge diretta verso le scale, immediatamente riconoscibile dalla massa di capelli crespi che le ondeggiano sulle spalle come un trofeo di guerra.
«Granger» la richiama, e la vede irrigidirsi all’istante sui suoi piedi mentre le si avvicina. «Cosa fai fuori dalla tua Sala Comune a quest’ora?».
Nella semioscurità, il pallore di lei è quello di uno spettro (e lui ricorda di averla già vista così, come in un sogno ad occhi aperti, un’estate prima, prima di svegliarsi in un letto del San Mungo con spesse bende attorno al collo). «Ero in biblioteca» dice, serrando le labbra in una linea sottile, stringendo la presa sulla bacchetta.
«Oltre l’orario del coprifuoco?».
«Non riuscivo a prendere sonno» ribatte lei, non senza una punta di sfida, gli occhi di fiele che mandano scintille.
«Non è un buon motivo per infrangere le regole. Dieci punti in meno a Grifondoro perché te ne vai in giro per il castello di notte» sussurra lui, compiaciuto, indicandole la via per la sua torre con la bacchetta. «E altri dieci punti in meno per esserti intrufolata in biblioteca senza autorizzazione» aggiunge, mentre i suoi passi nervosi risuonano già lontani.
 
Quella mattina Hermione entra in classe prima di tutti gli altri, quei pochi degni di venire ammessi alla preparazione per i M.A.G.O., esclude tutto e tutti mentre trancia zanne di serpente e distilla sangue di drago, ma quando raddrizza la schiena dardeggia sguardi furibondi nella sua direzione (non gli occorre neppure l’incanto Legilimens per comprendere il pensiero che come una marea le sommerge la mente – ti ho salvato).
 
*

Avverte il fruscio dell’aria che si sposta dietro di sé prima ancora di percepirne la presenza; Severus si volta di scatto nel corridoio vuoto antistante la biblioteca, la punta della bacchetta che disegna un arabesco di luce fioca nell’oscurità.
«Sta diventando un’abitudine la tua, signorina Granger?» abbaia, facendola sussultare. «Dieci punti in meno a Grifondoro».
«Era per un compito della Professoressa McGranitt, professore» sillaba lei, mostrandogli il pesante libro sottobraccio, la pergamena fitta di una calligrafia frettolosa e tutta spigoli, il volto che è come una maschera di vetro – ma Hermione Granger è maledettamente incapace di mentire (e a lui non dovrebbe importare).
Severus tace per un istante – ne studia il viso delicato, bianchissimo, le striature viola sotto gli occhi d’ambra e le fattezze da cosa rotta – e si costringe a parlare. «Esistono alcuni filtri, Granger. Consentono di dormire senza problemi, hanno minimi effetti coll-».
«Sono gli incubi» lo interrompe, la voce che è poco più di un prolungamento del silenzio, e la sua maschera trasparente s’incrina in un attimo in mille crepe, ma quando cola a terra lo fa senza clamore. «Sono gli incubi» ripete, un po’ più forte, e lo guarda come se lui potesse avere una risposta degna di essere ascoltata, come se potesse capirla (nella sua mente turbina l’immagine di Nagini, Hogwarts in fiamme, occhi rossi e fetore di carne bruciata, un teschio verde che s’irradia in cielo, sangue così denso da essere nero catrame, in mezzo a tutto profumo di artemisia, e capisce, capisce, capisce).
Le parole sono come uncini conficcati in gola – la guarda andare via come in un sogno.
 
*
 
La terza volta non è un caso, non può esserlo, non con tutti i gradini che conducono alla Torre di Astronomia che sono una pugnalata ai polmoni e il freddo che mastica la carne. Hermione appare sulla sommità delle scale con il fiato corto che le sconquassa il petto, le ciglia che battono appena quando lo scorge poggiato al parapetto, una statua di marmo in una notte senza stelle; non si volta, non scappa, ma solleva leggermente un angolo della bocca nell’imitazione di un sorriso (perché ha l’impressione che stesse cercando proprio lui?).
Severus stringe il metallo sotto le dita finché le nocche non sbiadiscono, ringhia un avvertimento fra i denti, eppure lei avanza senza remore fino a trovarsi a tre passi da lui; non emette suono ma lo guarda mentre si lascia andare contro la parete più vicina e si siede a terra a gambe incrociate, lo guarda e la sua espressione quieta non vacilla neppure per un istante. L’istinto di cacciarla, rovesciarle addosso veleno e andarsene (scappare finché è in tempo) gli divora fegato e cervello, ma Severus si ritrova incapace di mandarla via, o di muoversi, ed è come se il tempo si fosse cristallizzato e altro li legasse.
Lei nasconde il naso nell’ennesimo libro, lui la ignora come si ignorano i pensieri scomodi (quelli che restano sospesi nella testa e sanno di sconfitta) e davvero non succede niente altro mentre secondi, minuti, ore si rincorrono – c’è solo lo sguardo di lei che si solleva sulla sua schiena a intervalli regolari per sincerarsi che sia ancora lì.
La sente alzarsi solo quando il primo raggio di sole è una ferita che fa sanguinare l’orizzonte. «Grazie, professore» dice, piantandogli lo sguardo in pieno volto, e lui la lascia andare senza alcuna punizione, senza sapersi spiegare il motivo (forse è solo che a dispetto di tutto Hermione Granger ha degli occhi ancora così innocenti da fargli venire la nausea).
 
Comincia così, in sordina (come i segreti).
 
 
È sempre lei a trovarlo, ad arrivare nell’ora in cui gli incubi strisciano nel buio. Non c’è un accordo, un tempo fissato, un luogo prestabilito – eppure lei lo trova sempre. Severus si chiede quale sia il confine tra destino e fortuna quando Hermione Granger gli passa accanto senza parlare nei momenti in cui i suoi fardelli sono troppo pesanti da sopportare.
All’inizio lei non fa mai rumore (come un fantasma), se non quello di pagine sfogliate, di pelle sulla carta, e lui pensa in silenzio e si domanda se valga la pena di passare ore insonni per immergersi in una mancanza di parole che non verrà riempita (lei è una sciocca e lui un relitto, ma quando legge il sollievo negli occhi di lei non riesce più nemmeno ad essere meschino).
 
All’inizio lei non fa rumore, ma poi le parole le escono dalle labbra come pioggia – una goccia alla volta, un sillaba che scivola nella scia dell’altra, finché lo scroscio dell’acqua copre tutto. Hermione snocciola fatti e supposizioni drappeggiati sui libri che costituiscono la sua essenza, dipinge mondi che riescono a stare in piedi sulle proprie gambe, congetture che non hanno davvero bisogno di una risposta, e ascoltarla senza pregiudizi è strano e fastidioso e incredibilmente facile, persino per qualcuno avvezzo alla solitudine. Hermione parla di rivolte di folletti ed elfi domestici, incantesimi inarrestabili, rune intraducibili – e lui non lo ammetterebbe neppure sotto tortura, ma è sagace, sottile, parla con la consapevolezza di chi soppesa le parole e non ha paura di esprimere le proprie idee. A volte s’azzarda anche a disquisire di Pozioni (le radici di Radigorda potrebbero sostituire l’aconito nella preparazione della pozione Risvegliante) e Severus si ritrova a correggerla, pungente, solo per il piacere di vederla azzittirsi pensosa per qualche istante – quelle volte le legge in viso la voglia di ascoltare la sua voce persino se questo significa sbagliare e fare i conti con i propri errori e la sua costante ruvidezza (ma alla fine lei non se ne cura e lui non sa spiegarselo).
 
Una sera è lui a parlare per primo, e lei ne è così sorpresa da ruotare di scatto la testa verso di lui, i capelli che gli frustano la spalla. «Per quale motivo continui a tornare, Granger?» le chiede, mentre camminano costeggiando il Lago Nero, e in realtà intende molto di più (perché sei qui, perché sprechi il tuo tempo con me, perché non vai a conquistare il futuro che ti sta aspettando).
Hermione sorride come se si fosse aspettata quella domanda, una mano che sale a sfiorare l’avambraccio coperto. «È uno dei pochi che può capirmi» mormora, e lui annuisce senza volerlo, e lascia che gli si affianchi mentre la foresta ulula alla luna.
 
 
(Le notti in cui non si trovano cede al sonno con la ferocia di chi è sopravvissuto per anni nel suo dormiveglia). 
 
*
 
Le vacanze di Natale trascorrono in un fangoso susseguirsi di giorni identici a se stessi. Severus si aggira per il castello come alla ricerca di qualcosa, ma lei è a casa, lontana, forse con Potter e Weasley e tutti quegli zucconi con i capelli troppo rossi, e sicuramente felice. (Si dice che è giusto così, ma gli incubi, oh, gli incubi ritornano e con loro l’aroma di artemisia).
È una notte gravida di stelle, fuochi fatui che brillano distanti, che vede il suo ritorno: Hermione arriva senza essere annunciata, senza bisogno di essere chiamata, resiliente Hermione. Gli appare accanto con un sorriso stanco e le occhiaie più marcate di quanto non fossero prima della sua partenza (se lui si guardasse allo specchio sa che vedrebbe che sono lo specchio delle sue) e in silenzio lo scruta e si lascia scivolare lungo una parete.
Quando Severus si volta a guardarla, quando pure non vorrebbe, vede i lineamenti distesi e la testa a penzoloni su una spalla, la vede sprofondata nell’abbraccio del sonno. Osserva il cielo rischiararsi con gli occhi che bruciano, mentre ascolta il suono pigro del respiro di lei e la notte va in frantumi.
 
Inizia a raccontargli cose diverse, cose che non stanno nei libri, cose inutili e vive: Severus scopre che ama il cioccolato e il tè nero, scuro e forte, che non le piace l’estate perché i capelli le si appiccicano addosso ma che i temporali estivi le lasciano un senso di pace; impara che Grattastinchi è il suo gatto rosso, un mezzo Kneazel recuperato a Diagon Alley anni prima, e che Potter e Weasley le mancano come d’inverno il sole che riscalda e che sono come i fratelli che non ha mai avuto. Hermione gli racconta dei suoi genitori e dell’Australia, di frammenti del viaggio per distruggere gli Horcrux e altre cose che preferirebbe non sapere, e Severus non può che chiedersi perché ne parli a lui, vecchio e stanco e marchiato, con quei vent’anni che li dividono e pendono su di loro come una spada. (Eppure, non gli chiede nulla del suo passato, ma è certo che Potter abbia parlato e che lei sappia già tutto).
 
La nebbia ammanta le sponde del Lago Nero, i confini della Foresta Proibita – guardare quell’oceano di nubi dalla torre più alta è come pensare di non esistere.
«Sono stata io, quella notte» dice improvvisamente Hermione, gli occhi limpidi fissi sull’orizzonte, e lo sguardo di Severus saetta all’istante verso di lei e semplicemente sa che si riferisce alle mani tremanti sul suo collo la notte della battaglia, all’antidoto che combatteva il fuoco del veleno nel suo corpo, alla voce rotta prima dell’oblio.
Severus avverte il sangue ronzare nelle orecchie, un sapore acre sul palato, e risponde «Lo so»; lo so, dice, nient’altro. Non la ringrazia, non ne è capace, perché ringraziarla significherebbe riconoscere che esiste un debito da pagare che profuma di artemisia – e lui ne ha pagati troppi, e sempre ad un prezzo troppo alto – ma Hermione sorride comunque e il mondo si capovolge per un attimo. «Ho usato l’Antidoto per i Veleni Rari» aggiunge, ma è meno convinta e lui fa una smorfia senza volerlo (troppo trasparente, incapace di mentire).
Severus sfoglia gli ingredienti nella sua testa (petali di dittamo, semi di fuoco freddo, corno di Graforno, carapaci di Banfello e artemisia, artemisia) e assottiglia gli occhi. «Non c’è antidoto che possa contrastare un così potente anticoagulante come quello contenuto nel veleno di Nagini» constata, ma lei sicuramente lo sapeva già.
«Avevo un bezoar» dichiara infatti, dopo un momento di silenzio, schiarendosi la voce, e davanti al suo sguardo inquisitorio lei abbassa gli occhi sulle mani macchiate d’inchiostro che stringono il parapetto, e quantomeno ha la decenza di arrossire. «Rubato dalle sue scorte personali prima che iniziasse la battaglia» confessa poi, e lui sbuffa per interrompere sul nascere quello che minaccia di essere un sorriso – ricorda un calderone esploso, corna di Bicorno e pelle di Girilacco scomparsi dal suo laboratorio.
«E non è stata neppure la prima volta, vero, signorina Granger?» commenta acidamente (ma meno di quanto vorrebbe) e quando lei gli sfiora le dita con i polpastrelli freddi e ride sommessa può quasi ignorare il peso che non gli opprime più il cuore (e ignorare che lei è stata la sua salvezza).
 
*
 
Una volta traccia la rotta dei suoi incubi: sogna di lei, dice Hermione, trattenendo il fiato, di Bellatrix e Villa Malfoy, Tom Riddle e i suoi spettri, sogna di Fred Weasley, Lavanda Brown e Greyback, di Nagini e sangue ovunque.
«Lo sogno anche io» ammette Severus con voce roca, le cicatrici sul collo che pulsano come risvegliate, e lei torna a respirare.
Quando pensa che non lui l’ascolti più sussurra anche Sogno di non riuscire a salvarti – ma potrebbe essere solo nella sua mente, solo il mormorio del vento.
 
La sua pelle pare d’alabastro, ferita dalla luce della luna; Hermione solleva lentamente la manica della camicia, il tessuto che scorre lieve sul polso e sulle vene azzurre, su avambraccio e gomito, e poi tutto finisce lì, inciso a fuoco nella pelle, marchiato con il sangue. C’è Sanguesporco sull’avambraccio di lei, un assoluto, una condanna, una singola parola che racchiude tutti i suoi sbagli raggrumati – e questo, questo era il marciume che una volta faceva parte di lui.
«Era un pugnale maledetto. Non c’è modo di cancellarla» soffia Hermione, e lui sente le viscere che gli si torcono e dovunque sia spera che Bellatrix Lestrange stia bruciando nel più orrendo degli inferi. Senza pensare afferra il braccio di lei, passa delicatamente i pollici sulla parola vergata nella carne, come a voler lenire un dolore che viene dal passato (da lei, da se stesso), e si accorge che Hermione trema impercettibilmente e che allunga una mano verso di lui. Avverte le sue dita sulla pelle prima di rendersi conto di cosa stia facendo, prima che capisca che ha scostato il colletto alto del suo mantello nero e che sta accarezzando le cicatrici lattescenti che gli sfregiano il collo. Il respiro gli si mozza fra gola e polmoni, ed è di nuovo nella Stamberga Strillante, e sta morendo, e c’è Hermione Granger che lo tiene attaccato alla vita con le sue mani e non lo lascia andare (e adesso gli fissa le labbra con nostalgia, ha solo diciannove anni e lui non la merita, non con quel senso di colpa tra le costole e il teschio sbiadito che gli squarcia il braccio).
Si ritrae, scottato, e l’espressione di lei tradisce un cuore sanguinante – Severus la abbandona nell’oscurità senza guardarsi indietro.

 
*
 
Per due mesi non si fa più trovare; trascorre le notti nei Sotterranei come una falena intrappolata, senza vie di fuga (dopotutto, se lei l’avesse voluto l’avrebbe cercato); si chiude nello studio, legge libri fino a consumarsi gli occhi, prepara filtri senza sosta, eppure niente è più lo stesso
 quando al corso del sesto anno preparano l’Amortentia, l’aroma di artemisia che lo prende alla gola è così forte da dargli le vertigini.
A lezione lei lo guarda con le labbra cucite e gli occhi che riverberano tormento, lei che ha sempre danzato ai margini della sua vita, la risposta sempre pronta sulla lingua.
Per due mesi non si fa trovare, il tempo necessario perché Hermione possa diplomarsi con Eccezionale in ogni M.A.G.O. e sparire con le sue certezze fatte a misura, persa dentro un mondo da rifare (con i suoi conflitti interni mentre prova a costruire).
 
È l’ultimo giorno di scuola e fuori il cielo è così terso da sembrare trasparente; c’è un bussare leggero alla sua porta, giù nei Sotterranei, giù dove la luce è un pallido ricordo, e Severus non fa in tempo a proferire parola che questa si apre e lei è lì, con la sua pelle bianchissima e l’espressione determinata e gli occhi limpidi.
«Gli esami sono finiti» esordisce con semplicità, inclinando la testa, le ampie volute dei ricci che fluttuano carezzandole le spalle mentre incede verso di lui, resiliente Hermione.
Severus mastica maledizioni tra i denti alzandosi dalla scrivania per fronteggiarla, la scruta torvo dall’alto.
«Vuoi le mie congratulazioni, signorina Granger?» le domanda, la voce che gronda affettato sarcasmo – ma c’è il desiderio che non smette di vibrargli a fior di pelle.
Lei sorride, scuote la testa. Si avvicina di un ulteriore passo, spingendosi sotto il suo mento, e lui (lui che ha fatto il doppio gioco con il Signore Oscuro per anni e torturato, ferito, ucciso) ha l’assurdo istinto di indietreggiare davanti a questa strega che ha visto così fragile mentre il mondo dormiva, così giovane e implacabile.
«Perché non ti dai una possibilità?» la ode mormorare, e d’improvviso ci sono le sue mani che tracciano le linee contorte delle sue cicatrici e il profilo di mandibola e zigomi, delle sue labbra atteggiate in una piega severa – leggere come le dita di un fantasma, fresche come un temporale d’estate.
Hermione inspira lentamente, cercando il proprio fiato quasi avesse corso per ore, lo strattona con delicatezza verso il basso, verso di sé, e dice «Severus
». Severus, dice, nient’altro, eppure è abbastanza per mangiare il buco nero che ha dentro e rimettere a posto ogni cosa, eppure è tutto (è tutto perché i rimpianti possono uccidere, l'ha imparato a proprie spese, e lei non vuole fermarsi e lui non prova nemmeno a farlo). Alla fine Severus cede, cede con tutte le proprie riserve, e la sua resa combacia con il respiro di Hermione che sorride contro l’angolo della sua bocca quando lui si china ad annullare la distanza tra loro, con i suoi capelli indomabili che gli sfiorano il volto, con le dita che gli s’incastrano sulle spalle alla ricerca di una presa sicura.

(Su tutto illanguidisce e muore quel suo profumo di artemisia).


 















Angolino della Vì:
Non scrivevo qualcosa da tipo secoli causa Erasmus/università/esami, ma ultimamente sono entrata in fissa con questa coppia, rivedere video con Alan Rickman mi ha fatto male perché non mi ero mai resa conto di quanto fosse sexy e il fascino dell’uomo tormentato ha fatto il resto (e pure la mia avversione per la Romione non scherza). E quindi niente, ho voluto dare un finale alternativo al nostro caro Piton, con un post-battaglia che non è rose e fiori per nessuno ♥ As usual, un parere su questa storia mi farebbe piacere perché ugh, su qualche punto sono abbastanza dubbiosa. Ultima piccola nota tecnica: nell'antidoto l'artemisia non è ufficialmente contemplata, prendetela come una mia licenza poetica.
“Persa dentro un mondo da rifare, con i tuoi conflitti interni mentre provi a costruire” è tratta da Come te, Fabrizio Moro ♥.

   
 
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