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Autore: AmeliaRose    03/12/2019    3 recensioni
È passato un anno esatto dalla sconfitta del branco di Alpha e dalla partenza silenziosa da parte di Derek.
Stiles non si sarebbe mai aspettata un cambiamento così radicale della sua vita, cambiamento fatto di addii amari e amicizie ricucite nel dolore. Ma una visita inaspettata da parte di una vecchia conoscenza travolgerà nuovamente la sua vita e di quella dei suoi amici.
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Tratto dal ventiquattresimo capitolo:
[...] «Possiamo vederla?», domandò John in lacrime. Finalmente, ora che aveva il quadro completo della situazione, poteva fare quella fatidica domanda. Sapeva che se lei lo avesse portato a vederla subito non avrebbe ascoltato una minima parola uscire dalla sua bocca, sarebbe stato troppo occupato a guardare sua figlia, ad abbracciarla e baciarle la fronte. [...] Esme prese la maniglia della porta e guardò John negli occhi. «È pronto?», domandò dolcemente. «Si.», rispose, non stando più nella pelle nel rivedere finalmente, dopo tanto tempo, la sua amata figlia. [...]
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Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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"Teen Wolf e tutti i suoi personaggi non sono di mia proprietà, tutti i diritti sono dei legittimi proprietari a cui ho venduto l'anima, il mio è solo un divertimento"

24. Ventiquattresimo Capitolo

Avviso:
In questo capitolo verranno citate tematiche delicate.
 

Il parcheggio dell'ospedale era stracolmo di giornalisti, tutti profumati nei loro abiti eleganti, che stavano dando in diretta il ritrovamento di Stiles e degli ultimi suoi bollettini medici.
La notizia arrivò così in fretta che lo Sceriffo sospettò che qualcuno dei suoi uomini avesse fatto una soffiata ai giornali e ai telegiornali.
La gente quando venne a sapere, tramite il telegiornale notturno, della notizia del ritrovamento di Stiles, uscirono in fretta dalle loro abitazioni, vestiti con i primi abiti presi in mano e portandosi dietro con loro sedie da campeggio e termos colmi di bevande calde.
Si piazzarono nel cortile dell'ospedale, tutti in un unico grande mucchio, guardando la struttura e la porta d'entrata sperando di vedere la ragazza uscire per parlare con i giornalisti.
Sembravano avvoltoio affamati di novità, peggio dei giornalisti.
Le malelingue, però, non tardarono ad arrivare; «Secondo me è scappata con quel ragazzo e hanno finto il loro omicidio!», in molti si bisbigliavano, anche se non davano una spiegazione del perché Connor non fosse stato al suo fianco nel momento del ritrovamento. «No, secondo me la ragazza ha ucciso il fidanzato in un momento d'ira e poi ha finto la sua morte, è un classico. Probabilmente Connor, quel bravo ragazzo, voleva lasciarla e lei ha fatto quello che ha fatto presa dalla rabbia!».
Queste erano le due teorie più sentite al momento.
Per loro, per gli abitanti di Beacon Hills, la colpa era di Stiles, solo sua, qualsiasi altra persona e teoria non era contemplata nel loro cervello.
Appena l'auto di John Stilinski arrivò, non con poca fatica, in quel parcheggio, i giornalisti si fiondarono su di lui così velocemente da far invidia a qualsiasi corridore premiato alle Olimpiadi.
John non fece neanche il tempo a mettere un piede sul terreno che quei zombie affamati di notizie cominciarono a tempestarlo con le loro domande.
«È davvero sua figlia quella che hanno ritrovato?»
«Come fa ad essere ancora viva se gli esami avevano confermato la sua identità all'epoca dei fatti?»
«Sua figlia ha ucciso Connor per poi fingere la sua morte?»
«Come ha fatto a ritornare qui? Il suo rapitore è ancora a piede libero? Potrebbe ritornare e rapirla di nuovo? Oppure è riuscita a scappare o ad ucciderlo?».
Con l'aiuto dello Sceriffo Anderson, John riuscì a passare tra la folla senza però rispondere.
John era agitato, molto agitato.
Da quando lo Sceriffo lo aveva informato che una ragazza, Lydia Martin, aveva trovato una ragazza molto somigliante a Stiles in mezzo alla strada dopo che un piccolo furgoncino gli aveva tagliato la strada, aveva cominciato a provare una morsa allo stomaco ed un senso imminente di voler vomitare.
Stretta che passò non appena confermò che era davvero lei perché le impronte digitali combaciavano perfettamente con quelle di Stiles e, che per essere sicuri, la conferma del DNA - di cui durante la prima visita ospedaliera avevano prelevato un po' della suo sangue per il suo riconoscimento - sarebbe arrivata entro poche ore.
Arrivato in reparto fu gentilmente accomodato nello studio del primario a cui sua figlia era stata affidata; Avrebbe parlato con lei solo una volta terminati tutti gli esami.
Era solo, lo Sceriffo era già stato informato parzialmente dei fatti e che avrebbe avuto un quadro più completo una volta terminato di parlare con John.
Il piede dell'ex sceriffo batteva nervosamente sul pavimento continuando a passare i palmi delle mani sul tessuto dei suoi pantaloni.
Per distrarsi decise di guardare attentamente la stanza: Non era grande, almeno non per un primario così tanto qualificato come lei. La parete davanti a sè era piena di lauree e certificati, premi e master fatti nelle migliori scuole e strutture di ricerca ed ospedaliere.
Tutto era bianco in quella piccola stanza: Le pareti, la porta, le finestre, il divanetto di fianco alla libreria vicina alla porta, la piccola scrivania davanti a sé, la sua sedia girevole e anche le piccole poltroncine in cui in una lui era seduto.
Tutto bianco fatta eccezione per il suo computer portatile nero che stava esattamente al centro della scrivania, le penne blu, i dorsali dei libri e i fascicoli di carta marrone.
Era asettico e profumava di disinfettante, ma non di uno buono, ma di uno che ti provocava dolore alle narici fino ad arrivare a provocarti un grande mal di testa.
Ad un certo punto la porta dell'ufficio, posta dietro alle sue spalle, si aprì e quando si voltò per vedere chi era vide entrare Alex, l'agente dell'FBI conosciuta poche ore prima, seguita da Derek.
«E voi che ci fate qui?», domandò sorpreso ad entrambi.

«Questo è anche un mio caso.», le ricordò Alex, «Sono qui per conoscere i dettagli sulla salute di Stiles. E Derek... Beh, è il suo Alpha e compagno, merita di stare qui.», spiegò infine, andandosi a sedere sul piccolo divanetto.

«Ma il primario vi manderà fuori, non ha permesso allo Sceriffo di entrare!», li avvertì John.

«Non devi preoccuparti per questo, è uno dei nostri.», disse Alex con un cenno di ovvietà nella voce.

«Come scusa?», domandò scioccato.
L'agente alzò gli occhi al cielo per un secondo.

«In ogni ospedale, piccolo o grande che sia, ha in ogni reparto qualcuno che lavora per noi. Medici, tecnici di laboratorio, membri della sicurezza, addetti alle pulizie, uno per ogni mansione.», spiegò Alex, «È più una precauzione in realtà, non vogliamo rischiare che qualcuno scopra tramite analisi ed esami simili che noi esistiamo.».

«Incredibile!», mormorò John, ancora incredulo da tutta quella situazione.
John guardò Derek, ancora immobile davanti alla porta, con i pugni serrati e con una cerulea sfumatura in volto.
«Come avete fatto ad entrare?», domandò infine, «Io ho fatto fatica a raggiungere l'ingresso principale ed ero scortato dallo Sceriffo in persona!», aggiunse poi con tono stanco.

«Melissa.», rispose semplicemente Derek, prendendo finalmente parola, «Ci fatto entrare dall'entrata riservata al personale ospedaliero grazie al suo badge.».

«E gli altri?», domandò, «Il tuo branco, intendo.»
John gli fece cenno di sedersi di fianco a lui e Derek obbedì.

«Aiden ed Ethan stanno controllando il perimetro del mio territorio mentre Jackson, Isaac e Scott stanno di guardia fuori dall'ospedale.».

«Scott?», domandò John sorpreso ma allo stesso tempo preoccupato, «Non è pericoloso per lui? Per tutti?».

«Ho bisogno di ogni membro disponibile.», cominciò, «Se la situazione non fosse così grave non l'avrei portato di certo con noi, credimi. E credo che questo, per Scott, serva più di ogni altra cosa. So che non è colpa sua. A volte lo odio per quello che ha fatto a Stiles, ovvio, ma sono gesti che il vero Scott non avrebbe mai commesso.», continuò, «Non possiamo tenerlo in gabbia per sempre. Farlo uscire, ora che non ha più quello schifo che gli circola nelle vene, potrebbe aiutarlo più di quanto possiamo immaginare.».
John lo guardò per qualche secondo in silenzio prima di proferire nuovamente la parola.

«Non mi sembravi così propenso a farlo uscire prima dell'interrogatorio di suo padre Rafael.».

«Non lo ero.», affermò l'Alpha, «Ma quando arrivò quella telefonata, quella magnifica telefonata che ci ha informato che Stiles era stata finalmente ritrovata viva qui a Beacon Hills e che si trovava in ospedale, ho sentito chiaramente qualcosa scattare in Scott.».

«Cosa?», domandò John.

«La redenzione.».



Tutta Beacon Hills sembrava essersi riunita davanti all'ospedale, tutti curiosi dell'accaduto e per sentire con le loro orecchie le novità uscire dalla bocca dello Sceriffo Anderson.
Jackson li odiava, ognuno di loro; Alcuni di loro, pochi mesi prima, erano davanti alla sua bara con le guance rigate di lacrime e ora contro di lei riversavano solo parole colme d'odio.
Pochi metri più in là, invece, Isaac e Scott scrutavano la folla in cerca di qualche volto familiare di un cacciatore o di un loro nemico.
Scott osservava minuziosamente ogni persona presente nel parcheggio, ne osservava ogni particolare, dal primo capello fino all'ultimo pelo visibile, nella speranza di ricordarsi qualcuno di loro.
Ma per ora niente, al momento, nessuno assomigliava a qualcuno che faceva parte dell'organizzazione di Chris.
Secondo Derek era molto probabile che chi aveva rapito Stiles, o chi l'aveva comprata, sarebbe ritornato per riprendersela.
E loro, questa volta, sarebbero stati pronti.
Nessuno avrebbe più toccato Stiles, nessuno l'avrebbe portata via da loro.
Il cellulare di Jackson squillò e lui lo prese alla svelta.
Gli era appena arrivato un messaggio.

Da: Ethan
Sono al confine Est, qui con me c'è il branco di McGee con il loro Alpha.
Hanno saputo di Stiles e chiedono se possono passare per parlare con Derek, vogliono sapere se ha intenzione di mantenere la sua parola.
Che rispondo?

Dal momento che Derek era impegnato, aveva relegato a lui, momentaneamente, la scelta di chi fare passare nel suo territorio.
A Jackson quel branco non piaceva moltissimo e ora cominciava a temere che avrebbero dato problemi, soprattutto la figlia dell'Alpha, Rebeccah.
Era palese la cotta che quella ragazza provava nei confronti di Derek.

 
Per: Ethan
No, non farli passare.
Dì loro che ci penserà Derek tra un paio di ore a riceverli.
Jackson tornò a guardare il parcheggio e tutte le persone che ospitava.
Quella sarebbe stata una lunga notte.



L'orologio da polso di John Stilinski segnava le sette e mezzo del mattino.
Non ne poteva più di stare seduto su quella sedia scomoda ad aspettare il primario per ricevere  notizie sulla condizione di salute di sua figlia.
Quello che voleva fare era uscire da quel posto e girare stanza per stanza fino a trovarla.
Anche per Derek era lo stesso, stare seduto a fare niente lo logorava; Voleva Stiles, voleva vederla e sentire il suo cuore battere, sentirlo lo avrebbe rassicurato che stesse bene, che era lì davvero e che presto sarebbe ritornata al sicuro tra le sue braccia.
Chissà con quale forza, però, rimase seduto ad aspettare pazientemente risposte, risposte che sperava positive.
Già un'ora fa lo Sceriffo mandò un messaggio a John dicendo che il DNA confermava l'identità della ragazza, lei era per davvero Stiles.
La porta si aprii di scatto e videro entrare una donna minuta sulla quarantina, occhi di ghiaccio nascosti dietro a degli occhiali spessi, labbra carnose e capelli grigi tenuti in una stretta crocchia alta.
Il camice bianco era chiuso e mostrava una targhetta tirata a lucido con sopra scritto: E. Lambertas.
«Signor Hale e Signor Stilinski, Buongiorno. Sono la Dottoressa Esme Lambertas, sua figlia è sotto le mie cure.», salutò e si presentò la donna subito dopo aver chiuso la porta alle sue spalle, «E Buongiorno anche a te, Alexandra.», aggiunse infine con un sorriso e tono dolce.

«Come sta mia figlia?», domandò John, alzandosi svelto dal suo posto mentre Esme si sedeva nel suo.

«Per ora è stabile. Le analisi mostrano che al momento del ritrovamento era sotto a una sostanza allucinogena che non siamo ancora riusciti a capire di quale tipo.», iniziò, «Dalle lastre fatte abbiamo scoperto che tutte le ossa riportano dei calli ossei, calli che si formano nelle fratture che servono per portare allo stato originario l'osso colpito.».
John si lasciò cadere a peso morto sulla sua sedia e si prese la testa tra le mani.

«Cosa vuol dire che ha quasi tutte le ossa in quello stato? L'hanno picchiata?», domandò John agitato, alzando lo sguardo verso la Dottoressa Lambertas.

«Non sono dovute a delle percosse.», precisò sicura, «C'è un motivo se non bisogna risvegliare prima queste creature. Il suo corpo non era ancora pronto per sostenere questo drastico cambiamento.», spiegò con tono cristallino.

«Quindi è causato dal mutamento del suo corpo durante la sua prima notte di luna piena?», chiese Derek.
Esme si voltò verso Derek e lo guardò per qualche secondo prima di rispondere alla sua domanda.

«Si.», rispose prontamente, «Il corpo dovrebbe essere guarito quasi subito. Non sappiamo però le sue condizioni durante le successive lune piene.», precisò ulteriormente.

«Pensate che le sue ossa si frattureranno ogni volta?», domandò John preoccupato.

«Forse.», rispose pensosa, «O forse proverà solo dolore psicologico causato dal trauma della prima volta. Non appena sarà lucida, sveglia e pronta per rispondere sapremo sicuramente molto di più. C'è una piccola possibilità che si sia trasformata un'unica volta.»

«Può succedere?», chiese Alexandra, «Trasformarsi una sola volta?».
La Dottoressa annuì convinta.

«C'è qualche possibilità. Casi come questi ci sono già stati in passato, rari ma ci sono stati. Per alcuni ci sono voluti anni prima che potessero trasformarsi di nuovo.», rispose.
Per un secondo nella stanza regnò il silenzio più assoluto.
Derek ed Alexandra guardavano John, sapevano che voleva fare una domanda ad Esme ma, per qualche ragione, non ci riusciva o non voleva farla.
Teneva lo sguardo verso il basso, le mani tenute in stretti pugni sopra le cosce.

«È stata... Violentata?», domandò infine John, rompendo quel doloroso silenzio.
Derek poteva sentire chiaramente il suo cuore pronto a distruggersi a risposta, purtroppo, positiva.

«L'imene risulta intatto e non ci sono segni di violenza, né recenti o vecchi.», comunicò Esme.

«Se lei ha questa capacità di guarire velocemente... Potrebbe aver riparato l'imene, no?», domandò, negava a sé stesso di guardarla negli occhi.

«No. È vero, lei ora ha la capacità di velocizzare la guarigione delle ferite ma non la membrana mucosa che si estende da un lato all'altro della vagina. Sarebbe controproducente dal momento che durante i suoi rapporti sessuali sentirebbe solo dolore e potrebbe vivere il sesso come un qualcosa di spiacevole e non come piacevole. Una volta rotto l'imene rimane così, non torna come prima.», l'assicurò Esme.

«Ma questo non esclude che possa averlo subito in un altro modo. Potrebbe averla costretta ad aver rapporti orali.», disse duramente Derek.

«È una possibilità, certo, ma sono esperta di questo tipo di rapimenti. Non è il mio primo caso. Chi fa rapire creature rare non lo fa con lo scopo di abusare sessualmente del loro corpo. Ne lo fa fare ad altri. Per loro sono oggetti da collezione, non persone. Oggetti al pari di un trofeo da tirare fuori dalla teca in cui l'ha rinchiusa ogni luna piena per guardarla trasformarsi.», disse Alexandra.

«Ma non esclude nulla, può averlo fatto comunque.», disse Derek.

«Di questo lo sapremo solo quando lei si sarà risvegliata e sarà pronta e lucida di raccontarci quello che le è successo. Può essere successo, anche se le probabilità sono veramente basse, come non essere accaduto.», rispose Esme..

«Ha riportato altri danni?», domandò Alexandra, dopo un minuto di silenzio.

«Si.», rispose Esme, «Delle scottature appena visibili sul collo dovute probabilmente da un collare che da la scossa. La sua pelle è molto fragile in quella zona, se non lo fosse stata non lo avremmo notato.».

«Un collare? Hanno legato mia figlia come se fosse un cane?», urlò John, con il voltò paonazzo.

«Il collare serve per tenere a bada sua figlia, per non permetterle di scappare. Si, sotto questo punto di vista è come se l'avessero trattata come un cane, e il collare era l'unico modo, per loro, di controllarla e di farla obbedire alle loro richieste.», disse Alexandra.

«Quel figlio di puttana lo ammazzo, non sarò soddisfatto appieno fino a quando non lo avrò visto morire con i miei occhi e sentito il suo caldo sangue bagnarmi le mani.», disse con tono cupo Derek.
Le sue iridi erano diventate di un rosso molto acceso, molto diverse dal solito di quando mostrava agli altri il suo status di Alpha, di capobranco.

«Io posso capire il vostro stato, alla fine anche per me Stiles fa parte della mia famiglia. Ma non possiamo permettere in nessun modo che il nostro istinto vendicativo abbia la meglio.», disse cauta Alexandra.

«Sei sicura che faccia parte della tua famiglia?», sputò con rabbia Derek, «Se lo fosse veramente vorresti la testa di quella merda su un piatto d'argento!».

«Lo voglio, non fraintendermi, ma quella persona può essere la chiave per trovare altri come lui che hanno comprato persone come Stiles. C'è la possibilità, una grandissima probabilità, che Stiles non sia il suo primo trofeo.», rispose alzandosi dal suo posto e mettendosi davanti a Derek, «La fuori ci potrebbero essere altre famiglie, altri Derek, che stanno aspettando risposte. Che stanno cercando i corpi dei loro figli, delle loro amate, dei loro amati, solo per dargli un posto in cui piangerli in pace.», continuò, «Lo dobbiamo anche a loro, non solo a noi. Se lo uccidiamo prima che ci possa dare qualsiasi informazione allora avremo perso in partenza.»
Derek ed Alexandra si guardarono negli occhi, le iridi dell'agente cambiarono e diventarono di un acceso viola. Rosso che guardava il viola e viola che guardava il rosso.
Le cose potevano precipitare da un momento all'altro.

«Alexandra ha ragione.», disse John.
Allungo un braccio verso Derek e gli mise una mano sulla spalla e gliela strinse forte.
«So bene che tu puoi sentire quello che provo, sai che anch'io a quell'animale ne farei di ogni cosa, qualsiasi tortura.», continuò, «Ma Alexandra ha ragione, non possiamo permettere al nostro lato oscuro di uscire e vendicarci. Se è vero che lui ha avuto altre persone prima di Stiles lo dobbiamo scoprire. E poi trovare i corpi e avvisare le famiglie. E sappiamo entrambi che se fossimo stati nei loro panni anche noi avremmo chiesto questo.», mormorò con voce spezzata.
Derek abbassò lo sguardo interrompendo il contatto visivo con Alexandra.
John tirò su con il naso e guardò Esme.
«C'è altro che dobbiamo sapere su mia figlia?».

«Ha delle escoriazioni su entrambe le ginocchia. Probabilmente è rimasta seduta con le ginocchia a terra per un lungo tempo prolungato.», rispose, «Il suo corpo non le ha fatte guarire come dovrebbe.».

«In che senso?», domandò un preoccupato John.
«Non aveva detto, poco fa, che lei è capace di guarire velocemente?», aggiunse.

«Beh, probabilmente il suo corpo, o meglio la sua volpe, non ha fatto guarire le ferite per qualche ragione.», rispose.

«Forse perché una volta libera il suo corpo non aveva ritenuto necessario usare dell'energia per curare quelle determinate ferite?», domandò Alexandra.

«Qualsiasi opzione è possibile. Resta il fatto che sono ferite non gravi e forse dipende anche dal tipo di gravità che il corpo decide con quale tempistica far guarire le ferite che le vengono fatte.», rispose, «Oltre a questo non ho più nulla da riportare.», aggiunse infine.

«Possiamo vederla?», domandò John in lacrime.
Finalmente, ora che aveva il quadro completo della situazione, poteva fare quella fatidica domanda.
Sapeva che se lei lo avesse portato a vederla subito non avrebbe ascoltato una minima parola uscire dalla sua bocca, sarebbe stato troppo occupato a guardare sua figlia, ad abbracciarla e baciarle la fronte.

«Certo che si.», rispose prontamente la Dottoressa, «Ma l'avverto: Non è cosciente al momento. E non lo sarà ancora per parecchie ore.», l'avvertì.
John scosse la testa.

«Non ci importa.», rispose, «Vogliamo solo vederla.».
A Derek si scaldò il cuore quando lo sentì parlare per entrambi.
Esme annuì e si alzò dalla sua poltrona girevole.

«Seguitemi.».
I tre obbedirono e seguirono la Lambertas fuori dalla stanza.
Percorsero in silenzio il lungo e freddo corridoio vuoto dai muri dipinti di bianco, forse era ancora troppo presto per vedere qualche infermiere, medico o paziente in giro per i corridoi.
Svoltarono a sinistra e poi, dopo un altro lungo corridoio, svoltarono a destra in un corridoio più breve con in fondo un ascensore dalle porte scorrevoli di colore grigio metallizzato.
Il corridoio era vuoto, sulla parete a sinistra si trovavano tre grandi finestre mentre nella parete a destra tre porte chiuse di un bel colore blu.
John guardò fuori da una di quelle finestre e vide, in lontananza, il parcheggio ghermito di persone.
Sospirò, domandandosi quando se ne sarebbero andati.
Il gruppo di fermò davanti all'ascensore, Esme spinse il pulsante per chiamarlo e lo aspettarono salire fino al loro piano.
Le porte si aprirono dopo pochi secondi ed entrarono alla svelta.
La Lambertas guardò brevemente il quadrante dei pulsanti e prese dalla tasca sinistra una piccola chiave grigia e la infilò in una piccola serratura sopra al quadrante.
Nessuno dei tre l'aveva notata da quanto era piccola.
Esme girò la chiave e premette il pulsante -1 che automaticamente si illuminò di rosso.
«Stiamo andando nei sotterranei. Io e altre quindici persone abbiamo questa chiave che porta in un reparto dedicato unicamente ai pazienti del mondo comunemente chiamato soprannaturale.», spiegò velocemente guardando uno ad uno, «Non vogliamo rischiare spiacevoli incidenti. È più sicuro per Lei e per Noi.», aggiunse infine.
Le porte si riaprirono mostrando un lungo e ancora più freddo corridoio dai muri dipinti di grigio, il tutto illuminato da delle luci al neon bianco.
Seguirono Esme in silenzio, svelti, sorpassando porte su porte aperte di stanze che ospitavano pazienti che ancora dormivano.
Arrivati davanti alla porta con sopra attaccato uno sticker arancione dalle forme che ricordavano vagamente quello di un volto di volpe si fermarono.
Esme prese la maniglia della porta e guardò John negli occhi.
«È pronto?», domandò dolcemente.

«Si.», rispose, non stando più nella pelle nel rivedere finalmente, dopo tanto tempo, la sua amata figlia.
Esme aprii la porta ed invitò tutti ad entrare.

Angolo Autrice:
Eccoci di nuovi qui con il nuovo capitolo.
Come vi è sembrato?
E secondo voi cosa capiterà ora?
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, tutte le persone che hanno letto e recensito i capitoli di questa storia e, ovviamente, tutti i lettori silenziosi.
A presto, spero.
 
   
 
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