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Autore: Teo5Astor    04/12/2019    13 recensioni
Un mistero accomuna alcuni giovani della Prefettura di Kanagawa, anche se non tutti ne sono consapevoli e non tutti si conoscono tra loro. Non ancora, almeno.
Radish Son, diciassettenne di Fujisawa all'inizio del secondo anno del liceo, è uno di quelli che ne è consapevole. Ne porta i segni sulla pelle, sul petto per la precisione, e nell'anima. Considerato come un reietto a scuola a causa di strane voci sul suo conto, ha due amici, Vegeta Princely e Bulma Brief, e un fratello minore di cui si prende cura ormai da due anni, Goku.
La vita di Radish non è facile, divisa tra scuola e lavoro serale, ma lui l'affronta sempre col sorriso.
Tutto cambia in un giorno di maggio, quando, in biblioteca, compare all'improvviso davanti ai suoi occhi una bellissima ragazza bionda che indossa un provocante costume da coniglietta e che si aggira nel locale nell'indifferenza generale.
Lui la riconosce, è Lazuli Eighteen: un’attrice e modella famosa fin da bambina che si è presa una pausa dalle scene due anni prima e che frequenta il terzo anno nel suo stesso liceo.
Perché quel costume? E, soprattutto, perché nessuno, a parte lui, sembra vederla?
Riadattamento di Bunny Girl Senpai.
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: 18, Bulma, Goku, Radish, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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42 – Il passato che torna a bussare
 
 
Rad?! Da quando mi chiama Rad?!
E la voce di Goku… la sua voce è diversa! È… è diventata più matura!
«Aspetta… sei mio fratello, vero?» mi chiede, scrutandomi meglio, mentre lo osservo con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta. Probabilmente sto tremando. «Sei sempre stato così alto? E così grosso?» aggiunge, perplesso.
Anche la luce nei suoi occhi è diversa. Il suo modo di muoversi. Di guardarsi intorno. E di guardare me.
«Sì, sono io…» sussurro.
«Mi fanno male le gambe» si lamenta, stiracchiandosi e alzandosi in piedi.
Anche il suo modo di camminare è diverso. Lo osservo di spalle, mentre si guarda intorno confuso e si gratta la testa.
«È normale, ieri siamo stati tutto al giorno al Parco della Preistoria e abbiamo camminato un casino».
«Io e te dove?! Ma cosa dici?!» sbadiglia di nuovo. «Sicuro di non essertelo sognato, Rad?» mi chiede, prima di soffermarsi per un istante davanti allo specchio. «Ma… sono diventato più grande anch’io, secondo te?!»
«Goku, tu… tu sei…» farfuglio, con la gola sempre più secca e il petto che comincia a farmi male come non succedeva da tempo.
«Ma poi, scusa, la mia camera è sempre stata così?!» mi interrompe, guardandosi intorno stupito.
«S-sei… sei Goku, vero?» balbetto.
«Ma che domande fai?! Stai bene o ti si è fuso il cervello?!» scoppia a ridere. «Comunque, se può consolarti, anch’io non ci capisco niente stamattina!» continua a ridere.
Non parla neanche più di sé stesso in terza persona.
Ormai ne sono certo, ma voglio chiederglielo lo stesso.
«D-dimmelo e basta… sei Goku-kun?»
«Sono Goku, certo!» ride ancora. «Non so perché sono in questa stanza e perché io e te sembriamo più grossi, mi hai fatto uno scherzo?!»
No, non è uno scherzo.
Alla fine è successo davvero. E io lo sapevo, me lo sentivo.
Abbasso la testa e stringo i pugni così forte da farmi male. Trattengo a stento le lacrime, mentre esco dalla camera di mio fratello.
Goku-kun non c’è più. Non esiste più. Forse se ne è andato per sempre.
Gli ultimi due anni e mezzo della nostra vita insieme sono evaporati per sempre, lo so. E anche Lazuli, Chichi e tutti gli altri. Tutti i suoi ricordi.
Tutto.
Tutto, cazzo!
Tutti i ricordi.
Puff, svaniti.
Dovrei essere felice di rivedere Goku-san o dovrei piangere come vorrei fare perché sento che Goku-kun è morto?
Vado in salotto quasi correndo, abbandonando in camera mio fratello che mi segue stranito con lo sguardo.
Mi manca l’aria… mi manca l’aria, cazzo!
Lazuli! Sì, lei saprà di certo cosa fare!
Recupero il telefono e cerco di non farlo cadere dalle mie mani che tremano sempre più forte. La chiamo e resto in attesa.
Rispondi… rispondi, Là! Ti prego…
Ma il cellulare suona a vuoto.
Già, mi aveva detto che oggi iniziava prestissimo le riprese e che sarebbe stata una giornata impegnativa.
Lei mi direbbe di stare tranquillo, giusto?! E di mantenere la lucidità… sì, devo essere lucido. Là è al lavoro e non devo farla preoccupare per una cosa del genere. Posso gestire tutto io, come sempre. Come ho sempre fatto con Goku-kun.
Sì, ma Goku-kun è morto…
Sospiro e sprofondo nel divano, mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Goku-kun è morto, Lazuli è lontana e io non so che cazzo devo fare.
So solo che mi viene da vomitare e che mi gira la testa.
Una fitta improvvisa al petto mi fa piegare in avanti.
Vaffanculo!
Lazuli mi direbbe di stare calmo e che a tutto c’è una soluzione. È quello che le direi io in una situazione del genere, tra l’altro. Perché è quello che penso io della vita e dei casini che ci capitano.
Però… però non è facile quando sei tu a sentirti nella merda fino al collo.
Vorrei che fossi qui, Là… vorrei che mi rispondessi al telefono.
Dovrei mandarle un messaggio? No… ora no, se lo leggesse di sfuggita poi si preoccuperebbe e io non voglio essere un peso per lei. Questo film deve girarlo al massimo delle sue possibilità.
Devo reagire. Tirare fuori le palle.
Non c’è nemmeno Chichi, tra l’altro. Ieri l’ho informata velocemente di quello che abbiamo fatto io e Goku, senza scendere troppo nei dettagli e lei mi ha spiegato che dovrà stare via un paio di giorni con le Sweet Bullet perché sono state invitate all’ultimo secondo a un live show televisivo che non avevano in programma.
E poi sono già nel panico io, figuriamoci se ci fosse qui anche lei.
Bulma e Vegeta? No, meglio lasciarli tranquilli. Idem Lunch, che non conosce nemmeno Goku.
No, tocca a me prendere in mano le redini, adesso.
Sono il fratello maggiore e devo comportarmi come tale, quindi adesso porterò Goku in ospedale e sentiremo cosa diranno i medici.
Sì, magari ci spiegheranno che riacquisterà subito tutti i suoi ricordi!
Provo ad autoconvincermi, sapendo di mentire a me stesso… non ci credo nemmeno io, ma questo mi dà la forza di comporre un nuovo numero di telefono.
«È successo qualcosa, Radish?!» mi domanda mio padre, allarmato, rispondendo istantaneamente alla mia chiamata. Mi sento meglio a sentire la sua voce, non so perché. Ma mi dà forza. Magari non sarà stato un papà sempre perfetto, ma capisco forse solo ora quanto gli voglio bene. E quanto è bello avere un papà, sapere che c’è quando hai bisogno.
«Sembra… sembra che a Goku sia tornata la memoria» rispondo, deglutendo e cercando di mantenermi freddo.
«Davvero?!»
«Sì… non credo di essermi sbagliato…».
«Hai ragione. Ma sta bene?! E tu… tu stai bene?!»
«Sì, sì, stiamo bene. Ma pensavo di portarlo in ospedale per farlo visitare. Tu puoi venire?»
«Certo! Parto subito, ci vediamo lì!»
 
«Pare non ricordi nulla del periodo in cui era affetto da amnesia» ci spiega un medico parlando di Goku, parecchie ore dopo, dopo averlo sottoposto a diversi esami e visite specialistiche.
Le sue parole mi arrivano al cuore come una coltellata. Sento una fitta al petto, ancora una volta, ma così forte da farmi sobbalzare sulla sedia in cui mi trovo. Il dottore si interrompe, osservandomi preoccupato.
«Radish, tutto bene?» mi domanda mio padre, seduto al mio fianco, con la cravatta allentata e le maniche della camicia ripiegate all’altezza dei gomiti. Non si è mai mosso di qui, come me del resto.
«S-sì…» sbiascico, abbassando la testa e appoggiando entrambe le mani sulle ginocchia. Mi sento uno schifo, altro che “tutto bene”.
Ho spento il telefono, come da regolamento in quest’area dell’ospedale, e non mi sono mai mosso da qui nemmeno io. Lazuli avrà provato a richiamarmi? Dovrei chiamarla io? No… meglio di no. Devo lasciarla tranquilla. Magari stasera quando avrà finito le riprese. Ora devo farcela da solo. Devo essere forte. Provarci, almeno.
«Anche se ora è probabile che non abbia compreso appieno la situazione, i vuoti nella sua memoria presto o tardi lo destabilizzeranno» riprende il dottore, mentre io comincio a vedere sfocata l’immagine dei miei piedi. Sento la sua voce lontana, ovattata. «Fino a quel momento il mio consiglio è di tenerlo qui, sotto osservazione».
«Glielo affidiamo, dottore» si alza in piedi mio padre, inchinandosi. «Possiamo vederlo adesso?»
«Certo, vi accompagno in camera sua» risponde lui, facendoci strada.
Io li seguo come fossi un androide programmato per farlo. Anzi, mi trascino tra i corridoi fluttuando come un fantasma.
Non sento nulla, non mi sembra di percepire nulla.
Nulla, a parte un dolore atroce che sta divorando la mia anima.
 
«Uffa, non mi pare di avere qualcosa che non va…» sbuffa Goku, contrariato, seduto sul letto della sua stanza con le ginocchia raccolte sul petto. Si dondola avanti e indietro, insofferente.
Mio padre è seduto accanto al letto, io mi sono messo su uno sgabello a pochi metri di distanza, leggermente in disparte.
Mi sento male. Ho la nausea, vorrei piangere. Vorrei gridare. Scappare via. Urlare il mio dolore.
Alzo la testa solo perché mi rendo conto che sta diluviando. Osservo per un istante il cielo grigio fuori dalla finestra, prima di tornare a fissare le mie scarpe e il pavimento di questo posto.
Prima di tornare a fare i conti con me stesso e col mio lutto che non posso elaborare.
Goku-kun è morto… io non potevo salvarlo?! Non ho salvato Goku-kun, proprio come non ero stato in grado di salvare Goku-san due anni e mezzo fa.
Faccio schifo.
Tante belle parole e tanti sorrisi, ma la realtà è stata diversa anche stavolta.
Chi sorride è più forte, vero, Videl?! E perché adesso mi sento una merda?! Perché Goku-kun è morto?! Ho salvato tutti in questi mesi, perché non ho salvato mio fratello?! Perché?!
Mi tremano le mani, mi sento vuoto. A pezzi. Stravolto.
Non ho idea di che ore possano essere. Non ho mangiato nulla, né a colazione e nemmeno a pranzo. Ma è già passata l’ora di pranzo?! Che cazzo di ore sono?! Il cielo è davvero scuro… non penso sia solo dovuto alla pioggia. Ma non ho fame, tanto. Non sento nulla, non merito di sentire nulla.
Vorrei ci fosse qui Lazuli, quello sì… ma la merito davvero?! Lei merita davvero di soffrire per uno come me?! Per uno stronzo che non è nemmeno in grado di salvare suo fratello minore?! No… devo lasciarla tranquilla. Deve lavorare tranquilla. Non deve affogare con me nella merda.
«Goku… sei davvero tu?» farfuglia mio padre. Mi sembra emozionato. La sua voce trema leggermente. Forse è commosso. Magari non ci crede nemmeno lui.
Sento che scoppia a piangere. Sì, mio padre sta piangendo di gioia perché a Goku è tornata la memoria. Non piange certo perché è morto Goku-kun. A lui e alla mamma è sempre stato sul cazzo Goku-kun, io lo so. Loro volevano Goku-san, è normale che ora lui sia felice.
«Papà, che cos’hai?!» domanda mio fratello, stranito.
Già, lui non può ricordare nulla di quello che è successo. Non sa nemmeno che nostra madre è andata fuori di testa e vive da anni in una clinica psichiatrica.
«Ah, no… è che…» balbetta lui.
«Dai, così mi metti in imbarazzo!» esclama mio fratello, scoppiando a ridere.
«Hai ragione, Goku…».
«Non hai motivo di piangere, papà! Davvero!»
Io ne ho abbastanza. Non ce la faccio più.
Mi manca l’aria.
Mi sento morire qui.
Sto male. Troppo male.
Troppo.
Non so nemmeno io dove dovrei andare o cosa dovrei fare. Se essere felice che mio fratello abbia riacquistato la memoria. Se credere che possano tornargli anche i ricordi di Goku-kun. Se sperarci.
So solo che mi alzo in piedi e comincio a camminare lentamente trascinando i piedi, a testa bassa.
È colpa mia. Tutta colpa mia.
Non sento nulla, a parte un senso di spossatezza diffuso che mi fa sembrare di non avere la forza per andare avanti.
È solo il dolore lancinante che mi lacera il petto a permettermi di non crollare. Di non perdere i sensi, probabilmente.
Vorrei svenire, almeno smetterei di soffrire.
E invece, no… nemmeno questo! Cicatrici del cazzo, realtà di merda!
«Dove vai, Rad?»
La voce di mio fratello mi arriva lontanissima, come fossi in un sogno. Anzi, in un cazzo di incubo.
Vorrei rispondergli che vado a fare in culo e di lasciarmi stare. Di lasciarmi perdere. Vorrei gridarlo al mondo, alla realtà che sembra perseguitarmi.
Ma non dico niente.
Mi limito a stringere i pugni e digrignare i denti, prima di correre via.
Fuori dalla stanza di Goku. Lontano da lui, da mio padre.
Fuori dal reparto. Dall’ospedale.
Corro sotto la pioggia battente. Corro senza una meta. Corro senza senso.
Corro fino a farmi bruciare i polmoni. Fino a sentirmi le gambe esplodere.
Piango. Corro e piango.
Urlo. Sbraito contro il cielo la mia rabbia, la mia frustrazione. Il mio senso di colpa.
 
«Non dovevi tornare a vedere i dinosauri?!» urlo, mentre un tuono copre parzialmente le mie parole e una macchina mi sfreccia accanto sollevando acqua e fango al suo passaggio.
Guardo il cielo nero in tempesta e poi il mare alla mia sinistra, illuminato per un istante da un lampo. Lui se ne starà fregando, come sempre. Della pioggia, della merda che gli piove addosso all’improvviso. Di tutto.
Ma io non ce la faccio a fregarmene come fa il mare. Non posso.
Mi sento solo. Ho paura. Piango e urlo.
Corro sul marciapiede che costeggia la strada che dà sul mare, ma non so nemmeno perché lo faccio o dove cazzo sto andando.
Mi fa male il petto e sono solo.
Là… dove sei, Lazuli?! Io… io ho paura, cazzo! Io sto male… io… non so cosa devo fare!
«Non avevi detto che avresti fatto valere tutti quei soldi spesi per gli abbonamenti?!» grido fino a farmi raschiare la gola. Mi sposto con stizza una ciocca di capelli bagnati dagl’occhi, senza smettere di correre. Senza smettere di piangere.
Senza smettere di chiedere spiegazioni a Goku-kun.
Perché te ne sei andato, Goku-kun?! Io… io ti volevo bene! Ho fatto di tutto per te!
«Avevi detto… avevi detto che oggi saresti andato sicuramente… sicuramente a scuola…» urlo a fatica, prima di crollare in ginocchio sul marciapiede, incapace di fermare le mie lacrime. «L’avevi detto tu, Gokuuu!» ululo follemente, sgranando gli occhi e battendo entrambi i pugni contro l’asfalto bagnato.
«Aaahhh!» urlo di dolore, quando una fitta atroce al petto mi fa piegare in avanti fino a toccare il marciapiede con la fronte.
Risollevo a fatica il busto e mi porto una mano tremante all’altezza dello sterno, fino a toccarmi. La ritraggo e me la porto davanti agli occhi.
La pioggia battente lava via in pochi secondi dalla mia mano tremante tutto il sangue di cui è ricoperta.
Sangue. Il mio sangue.
Sangue dal mio cazzo di petto.
Di nuovo.
«Non scherziamo…» farfuglio, portandomi entrambe le mani al petto e ritraendole coperte del sangue che sta imbrattando la mia camicia bianca. Sangue e pioggia. Il passato che torna nel presente. Un dolore immane, sia fisico che nell’anima. «Non scherziamooo!» sbraito, colpendo di nuovo il marciapiede coi miei pugni insanguinati.
Osservo il mio sangue che bagna l’asfalto, per poi finire insieme alla pioggia nel canale di scolo.
Lo guardo e riprendo a piangere disperatamente, incapace di fermare l’emorragia.
Le mie cicatrici si sono riaperte… è questo ciò che merito?!
«Ho detto di non scherzare! Ti ho detto di non provarci! Che cazzo significa questo!» urlo all’improvviso contro il cielo nero, sollevando di scatto il busto e premendo entrambe le mani aperte contro le mie profonde cicatrici sanguinanti. «Io… io non vogliooo!» sbraito, crollando di nuovo in avanti senza togliere le mani dal petto.
Piango, non riesco a smettere di piangere.
 
In mezzo al rumore della pioggia mi sembra di sentire dei passi leggeri che si avvicinano, davanti a me.
Vicini, sempre più vicini.
Finché quel suono si interrompe.
Resto immobile, piegato in avanti sull’asfalto bagnato di pioggia, lacrime e sangue.
A pezzi, fisicamente e mentalmente.
Allucinato. Stravolto nell’anima.
«Andrà tutto bene, Rad!»
Una voce allegra e rassicurante mi attraversa come una scossa elettrica e mi fa spalancare gli occhi. Mi fa smettere di piangere all’improvviso. Mi fa seccare la bocca.
Sento di nuovo il mio cuore battere sotto le profonde cicatrici che grondano sangue. Non lo percepivo più da un po’. Mi sembra anche di provare meno dolore fisico.
«Non devi piangere, Rad. Adesso ci sono qui io. Puoi stare tranquillo».
Di nuovo quella voce. Dolce e rassicurante.
Una voce che avevo sentito e risentito solo nella mia testa negli ultimi due anni e mezzo.
Sollevo la testa leggermente e vedo a non più di mezzo metro di distanza dei sandali neri e due caviglie nude, coperte appena da un vestitino lungo bianco che non mi sembra nemmeno così tanto bagnato, considerato quanto sta piovendo forte.
Risalgo lentamente con lo sguardo lungo quell’abito fino alle spalle, su cui si posano due codini neri fissati con lacci dorati.
Un sorriso, due occhioni blu.
Un’aura di serenità e positività che sembra avvolgermi.
Il suo volto è proteso verso di me.
Allunga una mano, coperta dalla manica bianca di un vestito che non mi sembra molto adatto al clima e alla giornata odierna, mentre l’altra sorregge un grande ombrello giallo che la ripara.
Chiudo gli occhi e li riapro, per guardarla meglio. Per essere sicuro di non essere pazzo.
Vedo ancora gli stessi occhi blu, gli stessi codini neri. Lo stesso sorriso. Quella mano protesa verso di me. La mano di una ragazza di diciotto anni.
Deglutisco il nulla, mentre gli occhi mi si riempiono di nuovo di lacrime.
«Videl…» sussurro, incapace di dire altro.
«Ora che ci sono qui io, non devi più preoccuparti di nulla!» mi sorride dolcemente, abbassandosi ancora di più verso di me e coprendomi col suo ombrello. «Andiamo a casa, rischi di ammalarti con questa pioggia. E poi dobbiamo curare le tue ferite» sorride ancora, spostandomi una ciocca di capelli bagnati appiccicati alla fronte per appoggiarci sopra la mano. «Per fortuna non scotti, e a quanto pare hai anche smesso di sanguinare. Però hai bisogno di scaldarti un po’ e disinfettare le ferite, Rad» aggiunge, allungando la mano verso di me, invitandomi a stringergliela.
«Perché?» bisbiglio, ancora inginocchiato sul marciapiede. «Perché sei qui?! Perché sei sparita dopo quel giorno?!» aggiungo, sgranando gli occhi e alzando leggermente la voce.
«Quella che conta è che io ci sia quando hai bisogno di me, no?» mi spiega, trasudando spontaneità e dolcezza. «Per fortuna passavo di qui, prima che la pioggia mi sorprendesse!» ride, inginocchiandosi alla mia altezza. I suoi occhi blu sembrano brillare. «Dai, prendi la mia mano. Andiamo a casa» mi esorta, rialzandosi e tendendo la mano che non stringe l’ombrello verso di me.
«Perché non risulti registrata da nessuna parte nella mia scuola?» le chiedo a bruciapelo, attratto e allo stesso tempo confuso dalla sua presenza. Dalla mia bocca esce in realtà un suono indistinto, almeno alle mie orecchie. Non so nemmeno se possa aver capito.
«Perché ho frequentato un’altra scuola, no?! Vogliamo andare a casa o vuoi continuare a giocare a fare il Detective Conan, Rad?» scoppia a ridere. «Non è carino da parte tua ignorare i magnifici consigli della tua senpai di vita, o sbaglio?!»
Guardo la sua mano e osservo i suoi occhi che non smettono di fissarmi, curiosi, rassicuranti e indagatori allo stesso tempo.
Guardo ancora la sua mano e, senza quasi rendermene conto, la stringo e mi rialzo.
 
«Sto per entrare!» annuncia Videl, aprendo la porta della mia stanza.
Sono seduto sul letto, ancora bagnato fradicio, ma con un asciugamano appoggiato sulla testa. Mi copre gli occhi, mi permette di fissare a malapena una porzione del pavimento.
Ho i pantaloni e la camicia appiccicati addosso, sento gocce grondare una dopo l’altra dai miei capelli sulle piastrelle del pavimento e sulle lenzuola. Videl mi ha aiutato a togliere le scarpe e la giacca quando siamo arrivati, prima di farmi sedere qui e dirmi di iniziare ad asciugarmi. Ma la sentivo appena. La vedevo a malapena.
Il mio sguardo è vacuo, il mio cuore è a pezzi. Mi sento confuso, disorientato. E ho paura.
Perché sono in camera mia? E perché c’è qui Videl? Dov’è finita Lazuli?
Perché Goku-kun è morto? Io… io potevo salvarlo. Dovevo salvarlo!
«Se ti stai cambiando o sei nudo non prendertela con me, io ti ho avvisato che stavo per entrare!» ride Videl.
Sento la porta di camera mia aprirsi e dei passi che si avvicinano.
Abbiamo camminato in silenzio sotto la pioggia fino a casa mia, non so per quanto. Non so nemmeno che ore siano, che giorno sia. Se è già passata la notte.
Ricordo che l’ho seguita, che non capivo nemmeno dove mi trovassi nonostante fossimo a Fujisawa in strade che avrò percorso centinaia di volte.
Ogni tanto mi parlava, ma io quasi non la sentivo. Avrei voluto chiederle mille cose, avrei voluto raccontargliene altrettante. Metterla al corrente della mia vita, di quante cose sono cambiate dall’ultima volta. Avrei voluto chiederle spiegazioni su tante, troppe cose. Avrei voluto, ma dalla mia bocca non riuscivo ad emettere nessun suono.
Avrei voluto salvare Goku-kun, del resto, ma ho fallito miseramente. È questo quello che conta. È questa la realtà.
Non riesco a pensare ad altro. Non ce la faccio.
Non ci riesco, cazzo.
Vorrei chiedere tante cose a Videl. Sul perché mi ha spezzato il cuore subito dopo averne rimesso assieme i pezzi. Sul perché è uscita dalla mia vita subito dopo avermi indicato una via per affrontarla al meglio. Sul perché è qui, ora. Per quale cazzo di motivo si trova in camera mia adesso.
Ma non posso. Mio fratello… lui non c’è più per colpa mia.
«Peccato che sei ancora vestito. Speravo di trovarti nudo o almeno in mutande, lo sai?» ridacchia Videl, piazzandosi davanti a me. Credo che abbia le mani appoggiate ai fianchi, anche se la intravedo appena, semicoperto come sono dall’asciugamano sulla mia testa. Vedo bene i suoi piedi nudi, quelli sì. «Però potevi asciugarti almeno un po’, sei fradicio come un anatroccolo» sospira, muovendo un passo in avanti. «Dai, lascia fare alla tua senpai. Tanto ci vuole ancora un po’ prima che l’acqua della vasca sia bella calda. Un bel bagno è quello che ti ci vuole adesso» aggiunge, prendendo tra le mani l’asciugamano e cominciando a strofinarlo energicamente sulla mia testa e tra i miei lunghi e folti capelli appiccicati alla schiena. «Devi asciugarti o ti prenderai un bel raffreddore, stupido. Dopo ti metto anche delle lenzuola pulite, hai fatto proprio un disastro qui».
Resto immobile, a testa bassa. Le mani appoggiate mollemente sulle cosce, come fossi un pupazzo o una cazzo di marionetta. Non dico una parola, la lascio fare. Mi sento inerme, svuotato di ogni briciola di energia. Privo di volontà o quasi.
«Vedrai che domani tornerai a sorriderai, Rad» mi dice dolcemente Videl. Avvolge la mia testa nell’asciugamano ormai umido e la stringe al suo petto. Resto come paralizzato, con la fronte avvolta dall’asciugamano appoggiata al suo seno. Con le sue mani che mi accarezzano la nuca. Sento il suo cuore battere. E mi sembra anche battere forte, a differenza del mio. Io mi sento confuso, estraniato dalla realtà che sto vivendo come se stessi guardando in lontananza la vita di altre persone che non conosco, ma almeno un minimo di rassicurante calore sembra avvolgermi lentamente. «E vedrai che un giorno ne riderai. Di quello che è successo oggi. Di questa situazione. Di noi due, di questo asciugamano».
In quel momento mi sfila il panno dalla testa e si accuccia, con la faccia all’altezza della mia. La fisso con occhi stralunati. Mi sembra quasi sfocata a tratti. Lei mi sorride.
Le nostre bocche non sono lontane. Anzi, riesco a sentire il suo respiro sulle labbra se mi concentro. Ma non mi fa lo stesso effetto di una volta. Non sento nulla.
Forse si aspetta di essere baciata, o forse vuole baciarmi. O magari non ci sto capendo davvero niente. Sono troppo a pezzi per riuscire a capire fino in fondo quello che sta succedendo. So solo che per Videl non provo nulla di quello che provavo un tempo. Il mio cuore a pezzi è altrove, la mia testa anche.
«Me lo fai un sorriso? Eh, non fai un bel sorriso alla tua senpai?» mi domanda, appoggiando le dita sugli angoli della mia bocca e provando a dipingere un sorriso sul mio volto. Io giro la faccia dall’altra parte di scatto, liberandomi dal suo contatto.
«Uhm… deduco che non ti va. Sei diventato un kohai irrispettoso» ride Videl, rialzandosi. «Non me lo fai nemmeno un “hurrà”?! Dai, al mio tre, in coro: hip, hip, hurrà!» grida, alzando entrambe le braccia, divertita. Mi volto a guardarla perplesso, come si guarderebbe un pazzo. Però in passato mi era capitato di sentire qualcuno dire che ci vuole un pazzo per restare sani di mente. Forse era una canzone, in questo momento in cui non so più nemmeno io se sono pazzo o sano di mente non me lo ricordo nemmeno.
«Ok, mi sembra di capire che il tuo gatto ti abbia mangiato la lingua. Quello grasso, intendo. L’altro è rimasto magrino, ma mi piace di più. Non mi dispiacerebbe portarmelo a casa, lo sai?» sorride allegramente Videl, facendo una giravolta improvvisa che le fa gonfiare la gonna del suo lungo abito bianco e la fa allo stesso tempo avvicinare a me.
«Ti do una mano a spogliarti, ormai il bagno sarà pronto» mi dice, sbottonandomi velocemente la camicia e sfilandomela. La lascio fare, senza alzarmi dal letto. Guardo la camicia imbrattata di sangue stretta tra le sue mani, mentre lei si concentra sulle cicatrici che ho sul petto e accenna un sorriso. «Va tutto bene, non sanguinano più. Però non tenerle troppo sott’acqua mentre fai il bagno. Dopo ti faccio una medicazione come si deve. Lascia fare alla tua senpai!» aggiunge dolcemente, scompigliandomi i capelli con una mano.
«Vuoi che ti tolga io anche i pantaloni e le mutande?» mi chiede, con un tono a metà tra il serio e il faceto, mentre lascia scivolare delicatamente una mano dal mio torace fino al bottone dei pantaloni della mia divisa scolastica. Lo slaccia, senza smettere di puntare i suoi occhi blu nei miei. Sento il suo profumo avvolgermi, il suo respiro accarezzarmi di nuovo le labbra. Nei suoi occhi blu intravedo un bagliore simile a una scintilla, o forse me lo immagino e basta.
«Faccio io» le dico lapidario, aprendo finalmente bocca e afferrandole il polso per fermarla.
Lei sorride allegramente e si alza, con la mia camicia imbrattata di sangue tra le mani.
«Quando ti sarai spogliato, lascia pure i vestiti lì per terra e vai a fare il bagno. Ci penso io a fare il bucato, intanto. Non preoccuparti» mi spiega in tono rassicurante, sorridendomi, prima di voltarsi e incamminarsi verso l’uscita della mia stanza.
«Perché non ti sei fatta vedere in spiaggia il mese scorso?» trovo la forza di chiederle all’improvviso. «L’hai lasciata tu quella lettera, vero?»
Lei si ferma sul ciglio della porta, ma non si volta.
«Sono passata due volte, ma ho visto solo una ragazza bionda di spalle. Poi sono tornata ancora nel tardo pomeriggio e ho trovato un tuo messaggio scritto sulla sabbia» mi spiega tranquillamente. «L’avevo già riconosciuta la tua ragazza, è piuttosto famosa. In più giravano già vostre foto insieme su alcuni siti e riviste. E ho anche immaginato che dovevi aver avuto qualcosa di urgente da sbrigare per aver mandato lei all’appuntamento».
«Avevo… avevo dovuto risolvere una questione relativa a mio fratello…» sospiro con un filo di voce, deglutendo a fatica. Già, Goku-kun…
«Allora hai fatto bene a mandare lei! Sa di noi?»
«Sì».
«E cosa pensa di me? Voleva uccidermi?» ride, divertita della sua battuta.
«È… è gelosa, ma ti è anche grata» farfuglio. «Forse avrebbe ucciso me… o forse lo farà, non lo so…» provo a scherzare, accennando per la prima volta un flebile sorriso in questa giornata di merda. Ed è il pensiero di Là a farmi sorridere, seppur a malapena. Seppur con la testa che sembra esplodermi e l’anima ormai in cancrena.
«Tu la ami, vero?»
«Sì».
«E lei? Lei ti ama? È una brava senpai?» mi incalza.
«Sì».
«Lo sapevo che eri in buone mani!» esclama, voltandosi con le mani incrociate dietro la schiena, sorridendomi.
«Cosa… cosa volevi dirmi quel giorno?»
«Volevo sapere se eri riuscito a diventare una persona gentile».
«Io… io non lo so…» farfuglio, mentre gli occhi mi si riempiono improvvisamente di lacrime.
«Lo so io, invece: certo che ce l’hai fatta! So che hai una ragazza che ti ama, un fratello che ti vuole bene e degli amici per cui sei pronto a tutto. Sei diventato davvero un sostegno per chi aveva bisogno di aiuto» ribatte Videl, felice.
«Come… come puoi sapere certe cose?!»
«Le so e basta, Rad. Te lo leggo negl’occhi» risponde, serena e rassicurante, voltandosi di nuovo e facendo per uscire. «Dai, vai a fare il bagno adesso. Rischi di ammalarti».
«Videl» la fermo di nuovo. Ho ancora una domanda che mi assilla. Almeno una, tra le troppe che vorrei farle. «Perché… perché sei sparita dopo… dopo che, ecco…» farfuglio a fatica, con un filo di voce.
«Dopo che ci siamo baciati quella volta, intendi?» interviene lei, voltandosi solo parzialmente. Sta sorridendo. «Perché sapevo che non avevi più bisogno di me. E perché dovevi trovare da solo il tuo posto nel mondo!» mi spiega dolcemente, come se fosse una cosa ovvia. «Oggi so per certo che l’hai trovato, sei stato bravo!» aggiunge, prima di andarsene dalla mia stanza.
 
Entro nella vasca piena di acqua calda e rabbrividisco un attimo per il dolore, quando immergo leggermente le mie cicatrici. Cerco di non bagnare troppo il petto, di lasciarmi avvolgere da un calore rassicurante. Ma sento freddo anche immerso nell’acqua calda. Sento freddo perché non riesco a togliermi dalla testa l’immagine di Goku-kun.
Appoggio la tempia contro le piastrelle poste sopra il bordo della vasca e socchiudo gli occhi. Riprendo a piangere.
Piango senza fare rumore.
Mi sento improvvisamente vuoto. A pezzi. Un’ondata di improvvisa stanchezza e debolezza diffusa sembra travolgermi.
Mi gira la testa, mi sento confuso.
Se chiudo gli occhi vedo solo l’immagine di mio fratello sorridente, con in testa il cappuccio della sua felpa del tirannosauro.
Mi sembra di sentire il telefono di casa squillare. Ma il suono arriva ovattato, lontano. Ammorbidito anche dalla porta del bagno chiusa, non solo dalla mia mente stravolta e stremata.
Sento il “beep” della segreteria telefonica che entra in funzione.
«Stai bene, Rad?! È tutto il giorno che provo a chiamarti e mandarti messaggi, e Bulma mi ha detto che non ti ha visto a scuola. Ecco… richiamami appena puoi. Io… io ho pensato che potrebbe essere successo qualcosa a Goku-kun, o magari ti si è rotto il telefono. Non lo so, fatti sentire, per favore…».
La voce di Lazuli. Sì, era lei. In tutto questo casino non l’ho messa al corrente di nulla. Non… non le ho detto quanto sono stato inutile con mio fratello. Che sono… che sono solo un inetto. Una merda.
Stringo il bordo della vasca con una mano e provo ad uscire, ma mi sembra di non avere le forze per farlo. Mi sento a pezzi. Non mangio nulla credo da più di ventiquattr’ore ormai. Ma devo… devo andare a chiamare Là. Lei non deve preoccuparsi per me.
«Vuoi che richiami io la tua ragazza e le spieghi che stai bene?» mi domanda Videl, dall’altra parte della porta chiusa.
«No» le rispondo seccamente. «F-faccio io…» aggiungo a fatica.
«Allora resta ancora un po’ immerso nell’acqua calda, eri congelato prima e sei senza forze. Se ti alzi adesso rischi di farti male o di collassare» mi spiega. «Hai i nervi a pezzi, la chiamerai tra poco, dopo esserti scaldato e riposato almeno qualche minuto. Ascolta la tua senpai, per favore» aggiunge dolcemente. «Ti ho portato i vestiti di ricambio. Adesso mi siedo qui fuori con la schiena appoggiata alla porta e ti faccio un po’ di compagnia. So che hai bisogno di parlare di tuo fratello».
Già, Goku-kun…
È colpa mia, solo colpa mia.
Mi sento improvvisamente svuotato, inerme.
Appoggio di nuovo la tempia contro le piastrelle della parete del bagno inumidite dal vapore. Socchiudo gli occhi. Piango ancora.
Goku-kun… io… io… scusami.
Ti prego, perdonami tu, perché io credo che non potrò mai perdonare me stesso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note: eccoci arrivati al capitolo che non avrei mai voluto scrivere, perché mi fa sinceramente male vedere uno come Rad così a pezzi. Ci siamo abituati a vederlo un po’ come un supereroe che risolve i problemi di tutti in questa storia, ad avere sempre la battuta pronta e il sorriso, ma in realtà è un ragazzo che ha paure e debolezze, come gli altri, e che è estremamente sensibile. Le sue cicatrici si riaprono perché la vita ha deciso di metterlo di nuovo alla prova. Io credo che ognuno di noi possa rivedere sé stesso nel Rad che piange e corre sotto la pioggia, che urla e che chiede al cielo “perché”. Perché non c’è un perché, ci sono situazioni in cui non possiamo fare altro che rialzarci dopo essere stati sbattuti a terra con violenza. Rad si è già rialzato una volta e ha aiutato altri a rialzarsi, bisogna vedere se saprà reagire anche in questo caso.
Mi fa anche male che non ci sia Là proprio in questo momento (ammetto che mi è mancata terribilmente in questo capitolo, non so a voi), mentre dovete dirmi voi se sia una cosa positiva o no il fatto che sia ricomparsa all’improvviso Videl. Ecco, a proposito, vi aspettavate il ritorno di Videl?! La vediamo in scena per la prima volta nel presente e non in un flashback, vi è piaciuta? Vi ha convinto?
In tutto questo, come ormai vi aspettavate tutti, Goku-kun ha lasciato il posto a Goku-san, e questo ha fatto crollare definitivamente Radish, che sprofonda in un vortice di negatività e sensi di colpa. Rivedremo ancora Goku-kun? Come reagiranno Lazuli e Chichi dopo quello che è successo?
Spero che la narrazione non sia stata troppo caotica, essendo una storia in prima persona ho voluto riportare la confusione, il dolore e la disperazione dentro Rad con un flusso di pensieri a volte sconnesso, a volte ripetitivo, a volte estraniato dalla realtà, soprattutto caotico.
 
Ringrazio come sempre con tutto me stesso che è arrivato fino a qui nella lettura, chi continua a lasciarmi la sua opinione e a trasmettermi entusiasmo, chi preferisce leggere in silenzio ma vuole ugualmente bene a questi personaggi.
Un grazie va poi a Yohann Le Scoul per questa bellissima fan art che mette in scena il confronto a distanza tra le senpai per eccellenza di questa storia, cioè Lazuli contro Videl. Chi vincerà?
 
Tra l’altro è cominciato dicembre e per arrivare col giusto mood al Natale potrei proporvi la mia mini long che avevo pubblicato un anno fa durante le feste come fosse una sorta di Calendario dell’Avvento dal titolo “Beauty and the Beast: Un Magico Natale”. Molti di voi la conosceranno già, ma ve lo dico lo stesso: è un po’ un sequel e un po’ un midquel della long che avevo pubblicato durante il 2018 dal titolo “Beauty and the Beast”, che tuttavia non è fondamentale aver letto per capire la trama di “Un Magico Natale”. Tra l’altro, curiosamente, questa storiella natalizia, pur essendo una VegeBul, ci presenta anche un Radish (in versione Lumiere) “conteso” tra Lazuli e Videl, così ci ricolleghiamo a “Remember me”, visto che siamo qui per questo e io mi dilungo sempre troppo. ;-)
Niente, il prossimo capitolo riparte da qui, con uno stravolto Rad a mollo nella vasca, Videl seduta fuori dalla porta del bagno e Là che lascia messaggi in segreteria telefonica a 400 km di distanza. Il titolo è “La senpai di vita” e credo che qualche fazzoletto potrà fare comodo anche lì, nonostante faccia soffrire troppo anche me descrivere certe sofferenze.
Succederanno un po’ di cose, leggeremo anche qualche estratto del famoso diario di Goku-kun e lotteremo al fianco di Rad per fagli ritrovare il sorriso e la voglia di combattere. Cosa dite, Videl nasconde qualcosa? Farà qualcosa di particolare? E Là in tutto questo come reagirà? Rad combinerà qualche guaio nello stato in cui è?
Ci vediamo mercoledì prossimo, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate perché questo penso sia un capitolo bomba, non solo un capitolo tremendamente triste!
Teo
 
 

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