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Autore: Lady R Of Rage    10/12/2019    9 recensioni
Non si diventa una famiglia senza amore, e l'amore si presenta in varie forme.
Quattro flashfics, incentrate sulla Famiglia Donquixiote prima di essere tale. Tema di fondo: l'amore.
Agape, amore incondizionato ~ "-Non devi fare a botte con i ricchi. Se ti prendono come schiavo non ci vediamo più.- "
Philia, amore per un amico ~ "-Forse questo disco non mi porta un bel niente, ma mi piace pensarlo. Averlo mi fa star bene. Devo vivere leggero di fatto come di nome-in.-"
Storge, amore per una famiglia ~ "-Ti prego. Non so dove vai, non so che fai. Mi fai paura, che non torni più neanche tu.-"
Eros, amore romantico ~ "-E tra poveracci, ogni tanto, ci si da una mano. Potete restare, se vi va. Mi fate simpatia.-"
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Donquijote Family, Monet, Pica, Sugar, Trébol
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Gli Alti E I Bassi Della Famiglia Donquixiote'
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Ritratti Di Famiglia 

Questa storia partecipa all'advent calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart

 
Agape ~ amore incondizionato.
(Prompt: stringere)

-Didi?-
-Sì, tesoro?-
-Possiamo uscire adesso?-
-Ti ho detto di no. Ci sono ancora tanti cacciatori di schiavi, in giro. Se ci acchiappano è la fine.-
-Ma ho fame!-
-Anch’io. Dobbiamo sopportare. È l’unico modo.-
-Ho fame, voglio mangiare adesso! Ho fame e sete.-
-Se hai sete c’è ancora tanta acqua piovana. Prendi, su. Non fare complimenti, uhahaha.-
-Cos’hai da ridere?-
-È bello ridere. Tu non ridi mai.-
-Non ho voglia di ridere. Mi fa male tutto.-
-Hai fatto di nuovo a botte? Come mai, stavolta?-
-Uno di quei ragazzini ricchi mi ha dato una spinta. Gli ho spaccato la faccia, ma lui aveva un fratello più grande.-
-Non devi fare a botte con i ricchi. Se ti prendono come schiavo non ci vediamo più.-
-Mi dispiace.-
-Ehi, non fare così. Non è successo niente, stiamo ancora vicini.-
-Cos’è questo rumore fortissimo?-
-Sono solo i tuoni, pietruzza mia.-
-Ma le pareti tremano. Didi, ho paura.-
-Shh, non piangere. Hai i tuoi sassolini?-
-Sempre.-
-Tieniteli stretti, allora. Mettiti la mano in tasca.-
-Mh-mh. Guarda come sono belli.-
-Sono bellissimi. Ti sto vicino io, stringimi forte le gambe. Ahia, non così forte.-
-Ti ho fatto tanto male?-
-Ahi, ahi… niente, niente davvero. Vedo che hai messo su altri muscoli.-
-Ho sollevato macigni tutta la mattina. Guarda come sono grandi le mie braccia.-
-Potresti buttarci giù un edificio. Sei sulla buona strada per diventare un potente guerriero.-
-Che bello! Prima, però, tu devi diventare un campione famoso.-
-Un po’ lo sono già. Ho il fan numero uno migliore del mondo.-
-Didi, abbassa la voce. M-Mi gira la testa.-
-Vuoi che ti canti una canzone?-
-Adesso no. Più tardi. Ho la testa che scoppia.-
-Allora resta sdraiato. Forse domani possiamo uscire, e fare qualcosa di divertente.-
-Andiamo in spiaggia a raccogliere i sassi?-
-Quello diverte solo te.-
-Perché te non capisci niente.-
-Non si parla così a tuo padre, giovanotto. Comunque, se vuoi, ti ci porto. A patto che dopo andiamo a sentire il concerto in riva al mare. Stavolta canta anche tu, con me.-
-Non mi piace cantare. Ho la voce troppo alta.-
-Hai sette anni. Devi aspettare di diventare grande. Poi ti diventa bassa.-
-Sette anni e un pezzetto. Però ci vengo, con te. Non canto, ma ti faccio un applauso enorme.-
-Stai battendo i denti, vieni più vicino. Prendi la mia coperta, anzi, ti faccio da coperta io.-
-Ho fame, Didi, ti prego…-
-Non ci pensare. Ricordati, sei un grande guerriero. Sei forte.-
-C-come la pietra?-
-Se ti piace così, va bene. Ti stringo forte. Mi senti, vicino a te?-
-Sei caldo… soffice.-
-Quel frutto schifoso è servito a qualcosa. Non trovi, tesoro?-
-…-
-…pietruzza?-
-…-


 
Philia ~ amore per un amico.
(Prompt: portafortuna)

Il giovane uomo stringe la borsa attorno alla vita e leva gli occhi al cielo.
-Dimentico nulla?-
La donna fa un passo verso di lui. -Nossignore. Ti ho imballato i panini, una torta salata, e naturalmente le pizze.-
-Sei un angelo.-
-Per così poco-zamazu?-
L’uomo scioglie la lunga coda di cavallo bionda e la lega di nuovo. Chiude attorno al collo la giacca da aviatore, rassetta gli occhialini da sole e il cappello con la visiera.
-Il tuo peso è pronto.-
La donna lo raccoglie da terra: un disco tondo, d’ottone, grande come un copertone di camion. Lo passa al suo interlocutore, che lo stringe a sé come un amico ritrovato.
-È così lucido…-
La donna sorride. -L’ho messo in lavastoviglie mentre riposavi. Le cortesie di casa sono il minimo-zamazu.-
La guancia paffuta dell’uomo preme contro il bordo del peso, la mano squadrata lo carezza.
-Tu e questo peso avete una storia?- domanda la donna. L’altro la guarda con sufficienza al di sotto degli occhialini.
-È il mio portafortuna. Lo porto con me da quando…-
Si blocca, e le dita lo stringono più forte. Persino le sue ginocchia tremano, mentre si lascia cadere in ginocchio facendo tintinnare il peso contro le piastrelle. La donna si fa avanti, appoggia sulla sua spalla una mano laccata di viola.
-Shh, lo so. Me l’hai detto. Non pensarci, se ti fa male.-
Porta una mano alla testa, massaggiandosi il cranio. Ha due crocchie giallo limone, che sfumano sulle punte di un arancione acceso e plastico.
-Stai bene? Ti va di rientrare-zamazu?-
L’uomo scuote la testa, mormora un “no” nel pugno serrato. -Sto bene. Non voglio fare così. Se fosse così che vivo, mi sarei buttato in mare a dieci tonnellate e addio a tutti.-
La donna scuote di nuovo la testa, porge all’altro una mano perché si alzi. Regge il peso sotto l’ascella, come fosse una tela.
-Forse questo disco non mi porta un bel niente, ma mi piace pensarlo. Averlo mi fa star bene. Devo vivere leggero di fatto come di nome-in.-
Ci sono delle corde di canapa, legate alle estremità dell’aggeggio. L’uomo se lo carica sulle spalle come uno zaino e stringe il nodo sul suo sterno. -Quasi mi dispiace, trascinarti nei miei casini.-
La donna ride, coprendosi la bocca cremisi con le lunghe unghie laccate di verde.
-Sei rimasto senza disturbare, hai cucinato una cenetta deliziosa e mi hai tritato abbastanza pigmento per un mese. Quasi mi dispiace, che tu te ne vada.-
-Quelli come me non rimangono mai nello stesso posto a lungo-in.-
-Anche se non ti va?-
L’uomo abbassa le spalle, e per un attimo il suo sorriso scompare sotto i ricci della barba. -Anche se non mi va. Se mi acchiappano è la fine. Sarei uno schiavo delizioso.-
-E la libertà è tutto, in questo mondo. Non fartela portare via.-
L’uomo sbatte gli occhi, distoglie lo sguardo dalla donna per volgersi al pavimento. Ha i pugni serrati, e i muscoli tesi gli gonfiano le braccia villose.
-Grazie.- sussurra. -Sarà stato un anno che non mi ospitava nessuno.-
-Io non ho paura, dei pirati.- la donna ammicca. -So difendermi. E se chiederanno di te farò qualcosa di banale e dirò che non ti conosco.-
-Solo perché so diventare pesante. Che due scatole-in.-
L’uomo allarga le braccia, piega le dita in un gesto di saluto.
La donna sorride, appoggiata allo stipite della porta. -Se tornerai da queste parti, mi raccomando, chiedi pure di Jora.-
-Jora.- ripete l’uomo. Si solleva da terra, leggero come l’aria, e svanisce oltre le nuvole in un battito di ciglia.


 
Storge ~ amore per la famiglia.
(Prompt: per averti accanto)

-Zuccherino?-
La bambina solleva la testa dalla stuoia e sorride verso la porta. Le gambe della ragazza tremano, e ancor più i bordi delle sue labbra sorridenti. Sbatte le palpebre, coprendosi la bocca con la mano.
-Come stai, amore?-
-Sorellona!-
La bambina gattona sul pavimento impolverato e abbraccia le gambe della sorella. La mano della maggiore affonda tra i suoi sudici capelli verde acqua.
-Sono tornata. Lasciami, ho bisogno di sedermi.-
La piccola le porge la mano, e si rannicchia al suo fianco. La casacca logora che copre la ragazza ricade storta sulle sue spalle, e un lungo e nero livido sporge da sotto la stoffa. La bambina lo squadra, stringendo il braccio dell’altra.
-Hanno usato il bastone?-
-Una volta sola.- La maggiore sorride, e la sua pelle diafana si piega rigida come gomma. -Non mi fa male, ma non voglio che tocchi.-
La bambina mormora un “mi dispiace” e reclina la testa sulle ginocchia della sorella. Le sue mani scarne le carezzano le piccole guance, rassettano su di lei lo scialle stracciato che la avvolge.
-Su, non fare quella faccia triste.- sussurra la ragazza. -Ti ho portato un bel grappolo d’uva, ti va?-
Annuisce, e apre la bocca. La ragazza prende un acino e lo infila tra le piccole mascelle. I denti sono marroni, e ne mancano un paio a sinistra. Le labbra si dispiegano in un sorriso mentre deglutisce.
-Buono?-
-Buonissima. Mi piace l’uva scura. Più della chiara.-
-Te ne porterò altra, se vorrai. Domani dobbiamo occuparci della vigna. Ti raccoglierò tanti acini.-
Sorride di nuovo, ansimando di fatica. Raccoglie un altro scialle dal pavimento e vi si avvolge, stringendo a sé la bambina come se il suo piccolo corpo emanasse il calore per sopravvivere alla notte.
-Voglio venire anche io.- esclama la bambina.
La ragazza sobbalza. -No, zuccherino.-
Un microscopico pugno colpisce il legno. -Voglio venire anche io alla vigna.-
Anche la maggiore serra i pugni, e le sue labbra tremano. Le guance già pallide si fanno diafane, tese. -Non è posto per te. Sai che non vogliono che ci vai.-
-Non mi faccio vedere. Ti prego, onee-chan!-
La sorella maggiore preme il pugno contro le piastrelle. -Lo so che l’uva ti piace, ma non ne vale la pena.-
-Non m’importa. Voglio venire anch’io, per averti accanto.-
La ragazza si blocca, e il grappolo trema tra le sue mani. Il viso della bambina è pallido come un teschio, le guance scavate e gli occhi stravolti. Come se in quel corpo non albergasse una bimba, ma una donna fatta. Singhiozza, e si asciuga gli occhi con un pugno ossuto e squadrato.
-Ti prego. Non so dove vai, non so che fai. Mi fai paura, che non torni più neanche tu.-
Le lacrime si frantumano sul pavimento e sulle mani pallide della maggiore. La piccola schiena trema, sottili singhiozzi interrompono il silenzio della stanza polverosa. La maggiore circonda le spalle della sorellina con le braccia e se la stringe al petto, tremando come se avesse appena preso uno schiaffo.
-Ma io non…-
Non scappo, non ti lascio… difficile da dire, non in uno spazio così ristretto, non con lo spettro dei loro genitori che aleggia sulle teste di entrambe. Così lascia che la bambina pianga, pettinandole i capelli sporchi e tagliati corti, sussurrandole che le dispiace, che le vuole bene, che sarebbe così bello tornare com’erano prima e mangiare tutta l’uva del mondo. Che per starle accanto, almeno un giorno in più, prenderebbe altre mille bastonate.
-Ti prego,- sussurra. -Mangia l’uva, zuccherino. Te l’ho portata apposta.-
La bambina singhiozza. -Non mi va più.-


 
Eros ~ amore romantico.
(Prompt: guarire)

C’è un ragazzo che non ha mai visto, sul suo letto. Da sotto un cappello a tricorno sporgono capelli castani, così sporchi e appiccicosi da sembrare intinti nell’olio. Si stringe nelle braccia sotto uno straccio a forma di camicia, con più buchi di una groviera.
Il giovane stringe le dita sul bastone, storcendo le labbra.
-E tu chi sei?-
Non avrà più di dodici anni, e le labbra sottili sono piene di screpolature. Le serra per un attimo, prima di rispondere.
-Cercavo un posto dove stare. Fa freddo, piove, e il mio bambino sta male.-
-Il tuo cosa?-
Un affarino tozzo, con delle spalle e dei bicipiti che farebbero invidia a un lottatore di fama mondiale, batte i denti rannicchiato contro il muro. Un logoro mantello gli copre in parte la schiena.
-Ne, hai dato una festa a casa mia senza il mio permesso? È il tuo fratellino, quello?-
-Quello è mio figlio. Non farlo alzare, ti prego. Ci ho messo due ore a farlo dormire.-
Ma il bambino – almeno crede, non ha mai visto un bambino con i muscoli – sta già sbattendo gli occhi, guardando prima l’uno poi l’altro. Solleva i pugni di fronte al viso.
-Didi, c-chi è?- Ha una vocetta deliziosa, kawaii. Il ragazzo appoggia le mani sui suoi pugni tremanti. -Shh, amore. Torna a dormire.-
-Tuo figlio, ne? Non sei un po’ piccolo per procreare?-
Il ragazzo allarga il braccio di fronte al bambino. -L’ho trovato. E comunque non sono affari tuoi. Ce ne andiamo, se ti va. Non fargli del male, è molto malato.-
-Non ho niente.- mugugna il bambino. -Fammi a-alzare. Lo picchio.-
-Ne, ne. Non c’è bisogno di picchiarmi. Sono ragionevole, ne?-
Apre la mano, teatralmente, lasciando cadere il bastone a terra. Fa un passo avanti, un altro ancora. Il ragazzo solleva il palmo di fronte a sé.
-Per favore…-
-Uno così disperato da infilarsi in casa mia…-
Stringe il polso dell’altro, conficcandogli le unghie nella pelle diafana. Il ragazzo si irrigidisce, serrando il pugno. Il bambino alle sue spalle sobbalza.
-…non è poi tanto disperato. Tu vuoi vivere, non è vero? Ne?-
-Noi lo vogliamo.-
Il braccio del ragazzo si piega come un drappo di stoffa e scivola via dalla sua presa. Ritorna un braccio di carne contro il petto del proprietario, che si lascia cadere sul letto di fianco al compagno di viaggio. -Non è colpa nostra se siamo dei poveracci.-
-E tra poveracci, ogni tanto, ci si da una mano. Potete restare, se vi va. Mi fate simpatia.-
Il ragazzo porta le mani al petto, fa un’altra carezza sulla fronte del più piccolo. Ha gli occhi lucidi.
-Grazie.- mormora. -Sei un pazzo, ma grazie.-
Il giovane uomo si siede di fianco a lui, stretto nel suo cappotto rattoppato, e gliene offre un lembo.
-Behehe, per così poco?-
-Non è poco. E comunque ti cola il naso.-
Appoggia la mano su una bottiglia di plastica, e questa si affloscia su sé stessa. Nella mano del ragazzo rimane una pezza azzurrina, simile a un panno per occhiali.
-Tiè. Soffia.- gliela porge, tenendola con pollice e indice. -Datti un contegno. Hai ospiti in casa.-
Il giovane scuote la testa. -Lascia stare, sto bene così. Pensiamo alla tua guardia del corpo, non è meglio?-
-Non è la mia guardia, è mio figlio.- Il ragazzo fa una carezza sulla sua fronte. -Shh, pietruzza mia. Tutto bene. Ci sta aiutando, non vedi?-
Che razza di soprannome è “pietruzza mia”? Anche se quell’affare ci somiglia, a un macigno, con tutti quei muscoli grossi e gonfi. Accenna un sorriso, per poi piombare di nuovo contro il cuscino.
-Ti scaldiamo qualcosa di caldo.- sussurra il giovane padre. -Guarirai, tesoro mio.-
Il padrone di casa si fa avanti. -Ne, cosa ti piace? Salsicce? Riso?-
“Riso”, modulano le labbra livide del bambino.
-Bravo, tesoruccio. Le salsicce sono mie, behehehe.-
Il ragazzo più grande sorride. Ha le guance rosse: deve aver preso tanto freddo.


A.A.:
Da un po’ volevo dedicare ai passati della Famiglia dei riquadri tutti loro. Mancava però l’ispirazione, il guizzo giusto per farlo bene. E finalmente, quel guizzo è arrivato nella forma dell’Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction E Fanart. Appena ho sceltole quattro parole che più mi coinvolgevano, il resto si è fatto praticamente da solo. Il tema dei quattro amori mi è venuto spontaneamente. In realtà la terminologia dell’antica Grecia ammette otto diversi tipi di amore. Oltre ai quattro che abbiamo visto ci sono anche il ludus, l’amore giocoso, il mania, l’amore ossessionato, il pragma, l’amore che dura, e la philautia, l’amore per il sé, ma non sapevo in che modo applicarli. Naturalmente non si può non menzionare questa bellissima fanart come ispirazione.
Agape, amore incondizionato: era abbastanza chiaro di chi avrei scritto, perché scrivere dell’amore immenso che ha Diamante per suo “figlio” Pica è una delle cose che amo di più. Per dare un po’ di varietà alla storia ho tentato un formato diverso, scrivendo solo un insieme di dialoghi. La storia è ambientata due anni prima dell’incontro con Doflamingo. Diamante ha dodici anni, Pica sette “e un pezzetto” e i due vivono in una bidonville del Mare Settentrionale. Diamante ha già ingerito il Flap Flap, e pertanto sa trasformare sé stesso in stoffa, facendo da coperta a Pica quando sente tanto freddo.
Philia, amore per un amico: ho scelto di parlare del passato di Machvise, come ci è stato presentato dalle Vivre Card di Oda. L’uomo dalle dieci tonnellate ha infatti un passato molto difficile: dopo aver mangiato il frutto Ton Ton, egli venne inseguito da numerose persone (pirati? Schiavisti? Altro ancora) interessate alla sua abilità, costringendolo a passare l’infanzia e l’adolescenza in fuga. Uno dei pochi conforti ricevuti in questa fuga è l’incontro con una buona pittrice che si offre di accoglierlo e offrirgli asilo. La seconda ragione per cui ho scelto di parlare di Machvise è il prompt “portafortuna”: Vise è infatti l’unico a possedere un oggetto cui sembra particolarmente affezionato. Diamante e Pica hanno le loro spade, Trebol il suo bastone, Sugar la coroncina e via dicendo, ma mi sembra che il peso di Vise fosse per lui più speciale. In questa storia Machvise ha ventun’anni e Jora trenta. Non sono ancora entrati nella Famiglia Donquixiote, ma… presto.
Storge, amore di famiglia: onestamente avrei potuto scegliere chiunque, visto che sono tutti una famiglia. Ho deciso di scegliere la famiglia di sangue, aprendo uno squarcio sulla vita passata delle piccole Monet e Sugar. Qui Sugar ha otto anni e Monet sedici. Come accennato in Dovunque Lei Sarà, le due ragazze sono prigioniere nella casa di una famiglia di proprietari campagnoli. Monet è costretta a servire, e Sugar tenuta rinchiusa per costringerla ad obbedire e non ribellarsi. Che Monet sia presbite è stato affermato nelle Vivre Card, spiegando anche gli enormi occhiali che porta per leggere.
Eros, amore romantico: di nuovo Diamante e Pica, con accanto Trebol. Parlare di “eros” in relazione a due ragazzini mi sembra sbagliato, ma il termine è quello, e penso si adatti anche a una cottarella giovanile poi destinata a diventare qualcosa di più. Trebol ha già mangiato il frutto Colla Colla e vive da solo, ancora non conosce Vergo e men che meno Doflamingo.
Spero di tornare presto.
Lady R
  
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