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Autore: Nike90Wyatt    11/12/2019    2 recensioni
Una vendetta non può mai definirsi giustizia, neanche se nasce dal desiderio di onorare la memoria di un amore perduto prematuramente. Un concetto molto comune, vero, antico come antiche sono le leggende che trascinano i personaggi di questa storia in un vortice di segreti, magie, combattimenti, inganni, bugie e travestimenti che lasceranno anche spazio ad intrecci amorosi, ad amicizie divertenti, alleanze sorprendenti sullo sfondo di una sempre magnifica Parigi.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 30

Adrien si risvegliò a seguito di un getto d’acqua sul volto. Scosse la testa per liberare gli occhi dall’acqua e provò a guardarsi intorno, sebbene avesse la vista appannata ed un fortissimo mal di testa.
Era stato legato per i polsi a due catene appese al soffitto, lasciato in piedi e privato della parte superiore del costume, restando a torso nudo. La stanza dove si trovava era buia, illuminata alle sue spalle da una finestra, che dall’ombra lui ritenne essere di forma circolare. Di fronte a sé vi era un bancone su cui erano poggiate delle fialette e, sui lati, alcune teche, zeppe di armi.
L’uomo che lo aveva inzuppato era il gorilla, colui che aveva il ruolo di sua guardia del corpo, un uomo dall’aspetto gorillesco, molto robusto, capelli medi brizzolati.
Adrien non ebbe dubbi: era nel covo di Papillon, suo padre.
La parete all’opposto si aprì e Gabriel Agreste fece il suo ingresso nella stanza, accendendo le potenti luci al neon. Adrien strinse gli occhi, accecato dal bagliore, mentre Gabriel mandò via, con un cenno, il gorilla.
Abituatosi alla luce, Adrien sollevò lo sguardo e vide suo padre. Gli occhi si riempirono di rabbia.
«Eri riuscito a convincermi che non fossi tu, quando vidi te e l’arciere alla sfilata.» esordì Gabriel. «Ora però ho il quadro completo. Era Plagg, vero?»
Adrien non rispose.
«Tua madre gli voleva bene e ho sempre rispettato la sua scelta. Sareste dovuti restare a New York.»
«Perché lo fai?» domandò Adrien a denti stretti.
«Non lo immagini? Tua madre è stata uccisa a sangue freddo e Parigi merita di soffrire almeno quanto ho sofferto io. Privarli di ciò che più adorano sarà il primo passo. Ho trascorso 4 anni ad allenarmi e a sfruttare tutto ciò che potevo per arrivare a questo momento e finalmente ho ottenuto quello che mi serviva.» indicò le fialette sul bancone. «Loro si sentono al sicuro con Ladybug. Ma se gliela strappassi, cosa farebbero? Andrebbero nel panico ed è in quel momento che li colpirò. Senza contare che Ladybug rappresenta un insulto alla memoria di Emilie: Fu le aveva promesso di custodire il Miraculous e lui, invece, l’ha dato via ad una ragazzina appena un anno dopo la morte di tua madre.»
«L’ha fatto perché ha trovato una persona degna di custodire quegli orecchini.» replicò Adrien.
Gabriel lo fisso intensamente negli occhi. Poi annuì. «Ci tieni a lei... Hai ucciso per lei. È Marinette Dupain-Cheng, non è vero?»
Il silenzio di Adrien confermò la sua tesi. «Avevo già dei sospetti su di lei, ma è brava a nascondere la verità dietro quel viso angelico. Sta tranquillo, non saprà mai che la persona che l’ha tradita sei proprio tu.»
«Sta alla larga da lei!» ringhiò Adrien.
Gabriel scosse la testa. «Per quanto possa valere, mi dispiacerà ucciderla. Sarebbe diventata un’ottima stilista.»
Adrien urlò di rabbia, strattonando le catene che lo tenevano legato, senza però ottenere nulla.
L’espressione di Gabriel rimase impassibile. «Patetico. Quando tornerai a New York la dimenticherai.»
«Non tornerò mai a New York! Non prima di aver fermato la tua follia!»
«Sei ancora giovane. Ma un giorno capirai. E comunque, hai già fallito due volte contro di me. Hai quasi mandato tutto all’aria quando hai incendiato il denaro che doveva trasferire Lawrence. Per fortuna la nostra ricerca su questo siero era già a buon punto.» raccolse una delle fialette e ne bevve il contenuto. Le vene del suo corpo si ingrossarono, diventando molto più spesse. Lui emise grugniti cavernosi ed iniziò a tossire. Dopo qualche secondo, la situazione tornò alla normalità. «Mi sento un leone! Con questo, nessuno potrà fermarmi!»
Salutò con un cenno Adrien e lasciò la stanza, mentre il ragazzo continuava a gridare: «Sei un folle! Papà fermati, fermati!» pianse di rabbia, dolore e disperazione.
Gabriel incrociò Nathalie nel suo studio. «Riferisci agli uomini che il momento è giunto.»
Nathalie assentì mentre lui vestì nuovamente i panni di Papillon.
Al segnale della donna, attraverso il suo cellulare, un boato dal suono metallico echeggiò nell’aria e, in un attimo, l’intera Parigi cadde al buio. I primi disagi furono avvertiti dagli automobilisti che, senza le indicazioni dei semafori, non ebbero modo di prevenire incidenti ai numerosi incroci della città.
Il covo di Plagg restò al buio per qualche istante, fin quando non si attivò il generatore di emergenza.
«Cos’è stato?» domandò Angelina.
Plagg digitò rapidamente dei tasti al pc, scoprendo la natura del black-out. «Corto circuito totale alla centrale elettrica. Tutta Parigi è al buio.»
Il volto di lei si incupì. «Pensi sia stato Gabriel?»
«Le centrali elettriche hanno un articolato sistema di sicurezza per prevenire un black-out totale. Sicuramente è stato provocato.»
Plagg compose velocemente un numero telefonico sul suo cellulare satellitare.
Una voce femminile rispose all’altro capo. «Dominus. Perché questa chiamata?»
«Ho bisogno di una scansione a infrarossi su Parigi. Ricordi che mi devi un favore?»
«Con piacere, Dominus. Ma ho qualcos’altro da chiederti.»
«Ti ascolto.»
«Voglio la Rouge & Noir. So che tu e il tuo amico incappucciato ve ne state occupando. Voglio il loro capo.»
«Forse quello che ti ho chiesto è parte del problema. Accetto, comunque.»
«Molto bene. Attendo aggiornamenti.»
La chiamata si interruppe. Sullo schermo di Plagg apparve ciò che lui aveva chiesto. L’immagine scattata dal satellite confermò i suoi sospetti. «Una granata EMP ha fritto i circuiti.»
«Cosa facciamo?» chiese Angelina.
Lui ponderò con cura il da farsi. «Adrien non ha ancora chiamato. E ora questo. Non è andata come pensavamo.» si interruppe scuotendo il capo. «Devo andare a Villa Agreste!» esclamò, raccogliendo la sua balestra.
«Io cosa faccio?»
Plagg le lanciò il cellulare usato poco prima. «Resta qui e rispondi se dovessero chiamarti. Potrebbe essere l’unico aiuto che avremo. Ci terremo in contatto con questo.» indicò dei microfoni ad altissima tecnologia: un nuovo sistema di comunicazione inventato da lui che impedisse le intercettazioni.
«Buona fortuna, fratellone!» esclamò lei.
 
Sabine entrò nella camera della figlia, reggendo in mano una torcia accesa ed una spenta. «Tesoro, ti ho portato questa nel caso ne avessi bisogno.»
Marinette era stesa sul divanetto, utilizzando la torcia del cellulare per illuminare la stanza. «Grazie mamma. Poggiala lì.» indicò la scrivania.
Sabine si avvicinò a lei e le accarezzò una guancia. «Come ti senti?»
«Molto meglio. Credo che domani sarò già in grado di andare a scuola.»
Sabine sorrise. «Ottimo. Riposati allora.»
Una volta che la donna ebbe lasciato la stanza, Tikki sbucò dal cuscino dietro al quale si era nascosta. «Angelina ha fatto davvero un ottimo lavoro. Ti vedo già molto ripresa.»
Marinette annuì col capo. «Anche il siero che mi ha dato il partner di Chat fa il suo. Mi sento molto meglio.»
Il trillo del cercapersone la fece sobbalzare: era quello donatole dal commissario Raincomprix. La luce emessa dal piccolo led era rossa, la vibrazione ed il suono erano all’intensità massima. Significava solo una cosa: allerta assoluta.
Marinette guardò Tikki, la quale, immediatamente scosse la testa. «No, Marinette!»
«Tikki, ti prego. Non possiamo abbandonare i cittadini di Parigi.»
«Chiama Chat Noir e lascia che se ne occupi lui. Tu devi ancora riprenderti.»
«Lui ha già detto che non si interessa di ordine pubblico. Questo black-out può aver causato danni enormi e messo in pericolo tante persone. Non possiamo far finta di niente.»
«Ne va della tua salute.»
Marinette strinse i pugni. «Sono pronta a rischiare. Il potere del Miraculous unito all’antidolorifico farà in modo che sia come sempre. Non sentirò nulla.»
Tikki roteò gli occhi al cielo. Conosceva bene la testardaggine della sua amica, ma stavolta stava mettendo troppo in gioco. Alla fine, però, si arrese alle sue suppliche. «Promettimi che non farai mosse avventate. Anzi, giuramelo.»
Marinette si portò una mano al cuore ed alzò l’altra all’altezza della spalla. «Lo giuro.»
 
Adrien cercò di scacciare tutta la rabbia, di svuotare la mente. Aveva bisogno di essere lucido e freddo, se voleva avere una possibilità di sconfiggere il padre, ora che si era anche potenziato.
Respirò profondamente e si concentrò.
Un’idea gli balenò in testa: alzò lo sguardo e strinse la presa sulle catene. Si sollevò da terra ed inarcò il corpo, incrociando le gambe in alto. Lentamente, iniziò a scalare le catene con la sola forza delle braccia. Quando ritenne di aver raggiunto un’altezza sufficiente si lasciò cadere. Lo strattone fu tale da sradicare le catene dal gancio sul soffitto. Grazie alla sua agilità, Adrien atterrò sui piedi piegandosi sulle ginocchia.
Non avendo ancora i polsi liberi, raccolse le catene e si avvicinò alla parete scorrevole. Tastò il muro che aveva visto precedentemente premere dal padre e trovò un bottone. Premendolo, la parete si aprì.
Procedette con cautela e i sensi ben all’erta attraverso lo studio, illuminato solo dalle luci di emergenza rosse. Avvicinandosi alla porta, udì un pesante tonfo; la porta si aprì e vide una balestra puntata contro di lui. Rilassò il volto quando riconobbe l’uomo che la reggeva.
«È sempre un piacere vederti, Plagg.»
«Il piacere è reciproco, fratello.» indicò le catene con la testa. «Non è andata come pensavi.»
«L’ha aiutato Nathalie. L’hai vista?»
Plagg scosse la testa. «C’era solo lui.» si spostò di lato, mostrando il corpo del gorilla a terra, trafitto da un dardo tranquillante.
Adrien si chinò sul corpo del gorilla, perquisendone le tasche. Trovò, infine, le chiavi per aprire le catene.
«Cos’è successo?» chiese Plagg.
Adrien sospirò, mentre entrambi si avviarono verso la camera del ragazzo. «Lo sta facendo per la mamma. La sua morte l’ha condotto alla follia. Vuole uccidere Ladybug e vuole vedere Parigi bruciare. Ha bevuto una sostanza che lo ha sicuramente potenziato.»
«Credo che sia lui il responsabile di questo casino.»
«Il black-out?»
Plagg confermò col capo. «Ha usato una granata EMP sulla centrale elettrica. Ci vorrà un po’ prima di rimettere le cose a posto. Ho chiesto ai miei dipendenti di portare i generatori del mio laboratorio alla polizia.»
Adrien entrò nella sua camera ed infilò una camicia scura. «Hai un altro costume? Suppongo che mio padre abbia tolto di mezzo quello che avevo.»
Plagg annuì. «Glielo metterò sul conto.»
Adrien aprì un cassetto e ne estrasse un braccialetto, quello regalatogli da Marinette, il suo Lucky Charm.
 
Mentre i poliziotti si occuparono di disporre i generatori dell’azienda di Plagg in punti strategici, Ladybug pensò all’ondata criminale esplosa in seguito al black-out, oltre ad aiutare i cittadini in difficoltà. La polizia non era in grado di coprire l’intera superficie della città, oltre all’evidente difficoltà negli spostamenti a causa degli enormi ingorghi per le strade.
Ladybug atterrò accanto al commissario Raincomprix che l’aveva chiamata poco prima attraverso la radio di cui l’aveva equipaggiata per le comunicazioni. Iniziava ad avere il fiato corto, le sue energie si stavano lentamente esaurendo e la ferita le dava, di tanto in tanto, una fitta.
«Abbiamo una segnalazione, Ladybug.» le disse il commissario. «Notre Dame. Sembra che un pazzo abbia acceso delle fiaccole e minacci di bruciare Parigi.»
«Mi occuperò di questo squilibrato.»
Spiccò il volo e si diresse verso la monumentale cattedrale. Già da lontano scorse le fiaccole accese disposte a cerchio nello spiazzale davanti alla facciata. Al centro del cerchio, vi era un uomo voltato di spalle; indossava una maschera integrale ed un abbigliamento che la ragazza trovò tremendamente familiare.
Ladybug sbatté fortemente le ali e planò a terra. «Devo chiederle di seguirmi.»
L’uomo non si voltò. Alzò una mano in alto; stringeva una croce. «Tenete la croce in alto, cosicché io possa vederla anche attraverso le fiamme.»
«Giovanna D’Arco.» replicò Ladybug.
«È magnifico il fuoco: illumina, riscalda e purifica. Proprio quello che accadrà a questa città. Il fuoco la purificherà.»
Ladybug strinse lo yo-yo nella mano, alquanto perplessa di fronte a quello squilibrato. «La prego, mi segua e potrò aiutarla.»
L’uomo rise. «Io non ho bisogno del tuo aiuto, Ladybug. Io ho bisogno che tu muoia.»
Si voltò e Ladybug saltò alcuni battiti del cuore: quell’uomo era vestito come Papillon.
«Se te lo stessi chiedendo, non sono un emulatore. Sono il Papillon originale.»
Ladybug corrucciò il volto ed iniziò a far roteare lo yo-yo; lo lanciò violentemente verso il volto di Papillon, ma lui lo afferrò e lo bloccò. Tirò a sé l’eroina e la colpì con una ginocchiata al fianco ferito. Lei vacillò, prima di essere afferrata per la gola, mentre, con l’altra mano, Papillon le premeva la ferita. «So tutto di te, Ladybug. Le tue passioni, le tue paure, le tue debolezze.» si interruppe, aumentando la stretta alla gola e sollevandola da terra. «Anche la tua identità, Marinette Dupain-Cheng.»
Ladybug sentì l’ossigeno venirle meno, la vista le si offuscò e lacrime di dolore le bagnarono le guance.
Un urlo di dolore risuonò nella piazza e Papillon lasciò la presa. Ladybug cadde carponi a terra; tossendo, iniziò a massaggiarsi il collo. Riacquistata la normale respirazione alzò lo sguardo e vide Papillon estrarre una freccia dal suo fianco. Girò la testa e scorse Chat Noir, a diversi metri da lei, con l’arco teso verso Papillon.
«Come sei arrivato qui?» ringhiò Papillon.
Chat Noir estrasse un’altra freccia. «Ho i miei metodi.»
«Vattene o sarà peggio per te.»
In tutta risposta Chat tirò la freccia. Stavolta Papillon la afferrò a mezz’aria. «Non hai ancora imparato nulla.»
Chat sorrise beffardo. «Potrei stupirti.»
Papillon abbassò gli occhi e vide una lucina rossa sulla punta della freccia, che esplose poco dopo, catapultandolo lontano da lì.
Chat si avvicinò lestamente a Ladybug, ancora dolorante. La ferita si era riaperta.
«Ti avevo detto di restare a casa.» le disse.
Lei alzò le spalle e si asciugò le lacrime. «Sono lenta a capire. Ricordi?»
Chat indugiò a guardare i suoi splendidi occhi azzurri. Poi, scosse la testa: non era il momento di distrarsi. La aiutò a rialzarsi ed entrambi assunsero una posa da combattimento.
Papillon camminava lentamente nella loro direzione, impugnando una delle fiaccole: il suo costume era quasi completamente ridotto in brandelli dall’esplosione, la maschera impolverata e un rivolo di sangue scorreva dal suo fianco. Lui parve non importarsene.
«Affrontarlo direttamente ci condurrà a sconfitta certa.» asserì Chat.
«Ad ogni modo, lo faremo insieme.» ribatté Ladybug.
Papillon ringhiò con uno sguardo iniettato di sangue: «Ora scoprirete quanto può essere pericoloso un uomo disperato.»
Lanciò la fiaccola come un giavellotto. Ladybug la respinse utilizzando lo yo-yo come scudo ma Papillon si accanì su di lei provando a sferrarle un colpo a piedi uniti. Chat le si parò davanti ed insieme rotolarono per terra.
Ladybug, nella caduta, batté la testa e perse i sensi. Chat esitò, cingendole la testa con le mani.
Quell’attimo di incertezza gli costò caro: Papillon afferrò con entrambe le mani un’altra fiaccola e con essa colpì Chat che fu sbalzato via. Le scintille provocate dall’impatto provocarono un corto circuito al visore e dovette liberarsene. Furioso, impugnò con foga il suo arco e si rialzò, assistendo ad una scena sconvolgente: Papillon puntava una pistola dritta al centro della fronte di Ladybug.
L’uomo si tolse la maschera e dichiarò: «Oggi, per te, Emilie.»
«Getta quella pistola, papà!»
Gabriel si voltò. Suo figlio Adrien, privo di maschera e cappuccio, gli puntava contro l’arco.
«Ti ho detto di gettarla, o giuro che scoccherò la freccia.» insistette Adrien.
«Uccideresti tuo padre?»
«Per salvare la ragazza che amo... Sì! L’hai detto tu stesso: ho già ucciso per lei. Lo rifarei.»
Gabriel ridacchiò amaramente. «Cosa ne sai tu dell’amore. Sei solo un ragazzino che gioca a fare il giustiziere con arco e frecce.»
«Non conoscevo l’amore. Finché non ho conosciuto Marinette. È la cosa migliore che potesse capitarmi nella vita e tu non me la porterai via!»
«E non pensi a tua madre? Io lo faccio per lei. Per il grande amore che provo per lei.» per la prima volta Gabriel Agreste pianse.
Adrien scosse la testa ed inclinò l’arco in avanti. «Tu non lo fai per amore, ma per vendetta. Ma ti ascolti? Sei pronto a togliere la vita in nome della mamma. La sua morte ti ha condotto alla follia. Ti sei mai chiesto cosa avrebbe pensato vedendoti in questo stato?»
Gabriel sembrò scosso dalle parole del figlio: la risposta era no, non ci aveva mai pensato. Ma voleva concludere ciò che aveva iniziato. Puntò di nuovo la pistola su Ladybug, pronto a premere il grilletto.
Adrien era allibito. Non poteva permettere che suo padre uccidesse Marinette; non l’avrebbe privato anche della seconda persona in grado di scaldargli il cuore, dopo sua madre.
Scoccò la freccia.
 
 
 
Angolo Autore:
Giuro che è l’ultima volta che vi tengo così col fiato sospeso alla fine di un capitolo. So che mi odiate già abbastanza per questo ;)
Siamo quasi al capolinea di questa storia, ma ancora abbiamo delle faccende in sospeso da risolvere. Per questo, vi annuncio che i prossimi due capitoli saranno leggermente più lunghi del previsto, specialmente l’Epilogo.
Nell’attesa di leggere i vostri commenti, vi do appuntamento eccezionalmente per Domenica per la successiva parte.
Alla prossima.
Nike90Wyatt

 
 
   
 
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