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Autore: Scilla Cariddi    12/12/2019    1 recensioni
Oh Albert! Albert lo aveva trovato! Il suo Albert…ma come era cresciuto! Era certo che non fosse stato dimenticato! Quanto si era sentito solo…e quanto aveva pianto, tutto quel tempo su quello scaffale solitario, ricoperto di polvere e senza riuscire neanche a chiedere aiuto. Senza parlare con lui…
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Era nella sua stanza che il piccolo Albert passava la maggior parte del tempo: a gambe incrociate, per terra con i gomiti ben piantati sul pavimento a sorreggere la testa.
Albert guardava quel piccolo globo di vetro e sognava.
Dentro il piccolo mondo sommerso che la madre gli aveva regalato per natale c’era la neve,  palline di polistirolo galleggianti. Tra di esse una minuscola figura dalla coda di sirena si nascondeva insieme a pesciolini e conchiglie.
I genitori avevano trovato quel curioso oggetto in un negozio di seconda mano e avevano deciso che sarebbe stato perfetto come arredamento.
Nonostante avesse una cesta piena di super eroi, mostri, dinosauri e treni quello era diventato il suo gioco preferito.
Appena sveglio, dopo la scuola, prima di andare a dormire.
Con le sue piccole dita teneva saldamente la palla di vetro e la scuoteva, poi in un religioso silenzio, la posava sul pavimento e osservava il mulinare dei fiocchi di neve.
Piccoli vortici candidi in cui il tritone rimaneva intrappolato talvolta e finiva per rotearci all’interno insieme agli altri abitanti del piccolo acquario.
Una tempesta.
Un maremoto.
Un’onda anomala.
Il tritone viveva mille avventure insieme al piccolo Albert.
Sempre insieme.
E poi, in un sussurro appena accennato, il bambino parlava.
Svuotava la sua giovane anima a labbra che mai avrebbero potuto dargli risposta o conforto.
Però quelle stesse orecchie di plastica ascoltavano tutto.
Della maestra che lo sgridava, degli amici, delle vacanze, dei genitori e dei loro “dopo” pronunciati in continuazione.
Albert aveva chiamato il tritone Eloi, perché ormai erano diventati amici inseparabili e soprattutto Albert riteneva Eloi il detentore dei suoi più intimi segreti di bambino.

Ad Eloi il bambino Albert piaceva molto.
Certo, aveva provato un po’ di paura le prime volte quando con la sua irruenza infantile lo scuoteva con forza facendolo sbattere ovunque.
Aveva rischiato di vomitare più volte come se si fosse trovato su una di quelle pericolosissime montagne russe degli umani, per non parlare di quei fiocchi di neve che gli si attaccavano ovunque…
Però doveva ammetterlo, qualcosa era cambiato: il bambino era molto intelligente e forse aveva capito, così aveva iniziato a maneggiarlo con più cura, riponendolo poi una volta finiti i giochi sul comodino da dove poteva osservare tutto senza che il vetro potesse rompersi.
Aveva passato anni su uno scaffale polveroso in un negozio di seconda mano a guardare oggetti e ragni tessere le proprie tane ma ora quella prospettiva era decisamente migliore.
Vedeva Albert tutti i giorni, ascoltava i suoi capricci quando non aveva voglia di andare a scuola, lo osservava fare i compiti e vegliava i suoi sogni.
Poi, con sua grande sorpresa, aveva anche iniziato a parlargli.
Nessuno l’aveva fatto fino a quel momento.
Quella novità lo incuriosì parecchio e di fatto lo ascoltava con molta attenzione, senza perdersi neanche una virgola.
Era decisamente il giocattolo trattato con più cura e persino i genitori ne erano piacevolmente sorpresi, come poteva un bambino aver trovato un amico in un tritone di plastica?
Ma lui era orgoglioso perché di amici non ne aveva mai avuti.
Così passavano quei pomeriggi, notti interminabili e mattinate fredde, poi calde e poi di nuovo fredde.
Eloi osservava il suo Albert crescere, allungarsi e iniziare ad essere più indisciplinato, silenzioso. Anche la camera iniziava a cambiare: niente più giochi, niente più dinosauri alla parete. Ora c’erano libri, un oggetto chiamato televisione e una scatola che Albert chiamava computer… anche Eloi venne spostato, non dimenticato, semplicemente riposto su uno scaffale più in alto, vicino alcuni manuali di geometria.
Da lì riusciva a vedere ancora il suo Albert ed era felice così.
Solo che aveva smesso di parlargli.
Di parlare in generale. Possibile che si fosse dimenticato di lui? Che non avesse più memoria del suo fidato amico? Eloi non se ne capacitava e sperava…sì, sperava che prima o poi il piccolo Albert sarebbe tornato da lui.

Le stagioni passavano e Albert cresceva: da bambino taciturno si trasformò in adolescente taciturno. Non aveva molti amici, non amava uscire e non passava il tempo come gli altri suoi coetanei. Gli piaceva la matematica e la geometria. Di libri di fisica ne era piena la stanza, insieme a poster raffiguranti galassie lontani e pianeti inesplorati.
I genitori erano felici: dai professori Albert veniva elogiato come un genio, un futuro campione. Sarebbe diventato sicuramente uno scienziato o qualcosa di simile. Ne erano tutti certi. Persino i suoi compagni di classe lo trattavano con rispetto.
Ma a lui non importava.
Voleva soltanto seppellirsi nei libri.
Anche quando tornava a casa correva a nascondersi nel suo rifugio sicuro: i genitori, inizialmente preoccupati, avevano sentito uno specialista che però li aveva rassicurati. Era solo una fase, dovevano assecondarlo. E loro erano stati ben felici di ridurre al minimo i contatti. Tutto sarebbe stato più facile. Per loro.
Arrivò così di nuovo Natale.
Albert aveva 18 anni e la tristezza che si portava dietro non l’aveva abbandonato. Dei tratti acerbi di un ragazzino rimaneva ormai solo una piccola traccia. Da lì a poco infatti sarebbe partito per il college, lontano da quella piccola città e dal suo porto sicuro. Le novità lo spaventavano ma allo stesso tempo si sentiva elettrizzato. Una nuova vita. Una strada in salita, tutto sarebbe stato diverso da quel momento. Chi non avrebbe avuto paura? Per questo Albert occupava il suo tempo smistando oggetti e libri, inscatolando il necessario e mettendo da parte ciò che avrebbe dovuto donare in beneficenza. Lo aiutava a non pensare.
C’erano giochi, libri, vecchi vestiti che ormai non utilizzava più… magari avrebbero reso felici altre persone? Era natale, sicuramente quegli oggetti sarebbero andati alle persone giuste.
Ed era proprio mentre stava svuotando uno scaffale impolverato che trovò qualcosa di inaspettato…Eloi!
Sì! Era proprio lui…ancora ricordava il nome che gli aveva dato. Ma come ci era finito lì sopra? L’aveva completamente dimenticato, rimosso… quanti anni erano passati? Ricordava ancora perfettamente il giorno in cui l’aveva ricevuto, le chiacchierate…e le mille avventure che aveva vissuto nella sua mente… però doveva essersi stancato presto, se era finito lì sopra… decise che se lo sarebbe portato dietro come portafortuna, così lo ripose sul comodino.


Oh Albert! Albert lo aveva trovato! Il suo Albert…ma come era cresciuto! Era certo che non fosse stato dimenticato! Quanto si era sentito solo…e quanto aveva pianto, tutto quel tempo su quello scaffale solitario, ricoperto di polvere e senza riuscire neanche a chiedere aiuto. Senza parlare con lui… com’era possibile? Perché gli aveva fatto una cosa simile? Però… sentiva che le sue preghiere erano state ascoltate e che era tornato al posto che gli spettava.
Il suo Albert lo aveva sistemato di nuovo sul comodino…

Mancavano un paio di giorni alla sua partenza.
Tutto era pronto.
I preparativi erano stati portati a termine e quella era una delle ultime notti in cui avrebbe dormito nel suo vecchio letto. Forse per questo non riusciva a prendere sonno, sentiva come un peso sul petto…qualcosa che lo opprimeva. Nell’oscurità della camera si rigirava nelle coperte frustrato, tirando il lenzuolo e sprimacciando il cuscino più volte.
Nulla.
Si rigirò verso il comodino, notando solo in quel momento che aveva lasciato la palla di vetro lì, vicino la lampada.
Si allungò per prenderla e, come faceva un tempo, la scosse piano lasciando che i piccoli fiocchi si diffondessero nell’acqua. Uhm, c’era qualcosa di strano…com’era possibile che l’acqua non fosse evaporata in tutto quel tempo? La boccia sembrava nuova, ma aveva almeno una decina d’anni… si alzò, la cosa lo stava incuriosendo a tal punto che andò vicino la finestra per poter guardare meglio al suo interno. La luna era piena e i suoi raggi illuminavano un piccolo quadrato con una tenue luce, giusto per permettergli di guardare al suo interno.

Era felice Eloi.
Felice di rivedere il volto del piccolo Albert ormai cresciuto, felice di essere di nuovo fra le sue mani. Anche quando lo scosse un moto di gioia riempì il suo cuore e non gli importava più della nausea o dei fiocchi di neve che gli finivano addosso. La sua attenzione era catturata interamente dal suo giovane amico e dallo sguardo attento che lo studiava.
Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, chiamarlo… ma come poteva una bambolina di plastica fare una cosa del genere? No, non era possibile, il suo destino era quello di essere spettatore delle vite altrui e nient’altro. Ma Eloi voleva comunque essere al fianco di Albert, di poter almeno pronunciare il suo nome…

 

«Strano.»
Mormorò Albert tenendo la palla di vetro al contrario, per controllare come scendeva giù il liquido. Tutte le lezioni di fisica gli avevano insegnato che prima o poi l’acqua sarebbe dovuta evaporare da lì dentro…e allora perché non era accaduto? Forse perché si trovava lontano dalla luce? Era possibile.

«Albert.»
Mormorò di rimando Eloi, un sussurro appena accennato, impercettibile da udire ma che per lui rimbombava con l’intensità di un tamburo. Poteva sentirlo? No, non poteva…

«Devo riuscire a capire com’è possibile…»
Proseguì il ragazzo, mordicchiandosi il labbro inferiore, tutt’intento com’era a capire come fosse possibile, sembrava quasi una magia… no, al mondo non esistevano magie. Tutto era scandito da leggi precise…

«Albert!»
Stavolta, spinto da chissà quale invisibile forza, il tritone Eloi pronunciò il nome di Albert distintamente tanto che l’umano si scosse alzando lo sguardo… chi lo aveva chiamato? No, doveva esserselo immaginato, non era possibile…eppure…

«Albert!»
Sorpreso dalla reazione del ragazzo, Eloi ci provò di nuovo, con quanto fiato aveva in gola… dallo spavento Albert lasciò andare la palla di vetro che finì per schiantarsi sul pavimento riducendosi in mille pezzi.

 

Quello che accadde poi non fu chiaro a nessuno dei due. Si ritrovarono uno di fronte all’altro. Albert ed Eloi, entrambi umani, entrambi della stessa altezza. Eloi non aveva la coda ma i suoi occhi erano dello stesso colore delle scaglie: piccoli sprazzi viola e lilla, mentre i capelli dello stesso biondo stampato sulla figura di plastica. Albert non poteva non riconoscerlo: era proprio lui.
«Eloi!»
Lo chiamò meravigliato il ragazzo
«Albert»
Rispose con un sorriso la creatura che una volta viveva nella palla di vetro.
Calde e copiose lacrime scivolarono lungo il volto di entrambi mentre si abbracciavano calorosamente.
 

   
 
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