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Autore: Miryel    14/12/2019    14 recensioni
Dopo un anno dalla perdita di Tony Stark, la vita passa inesorabilmente, tentando di colmare la sua mancanza. Per Peter Parker la vita è ferma, immobile e Harley Keener vuole solo che Spider-Man esista di nuovo. Ancora una volta. Per lui.
Anche se si tratta solo di un istante.
[ Harley Keener x Peter Parker - Past Tony Stark x Peter Parker - Angst/Malinconico/Introspettivo - Post EndGame ]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harley Keener, Harley Keener, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales About a Spider Kid and an Iron Guy'
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[ Harley Keener X Peter Parker - Post EndGame - Past Tony x Peter -  Angst/Malinconico - word count: 4559 ]

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« Why don't you like me without make me try? »
Mika - Grace Kelly
 



Capitolo III. Good Guys
 

 

 

  Harley si stupisce sempre di come Peter cambi, vicino a Morgan. A volte ha la sensazione che si senta in dovere di starle accanto; di accompagnarla in quella crescita, privata di suo padre. Come se, in qualche modo, potesse colmare quel vuoto che Tony ha lasciato ma, la verità, è che Peter si sente profondamente in colpa, e ha bisogno di espiare le sue colpe e questo, Harley, lo ha capito dal primo momento in cui l’ha visto, quel giorno al funerale. Quelle colpe di cui è convinto di dover pagare un prezzo, quando l'unica cosa che ha fatto è stato amare ed essere amato a sua volta. Non ha rubato niente a nessuno, men che meno a Morgan e Pepper. 

  Lo osserva staccare un pezzo di ghiacciolo con i denti, mentre Morgan è troppo concentrata a guardare i cartoni animati in TV. Ogni tanto indica un personaggio e ride, con la spensieratezza di una bambina che, dopotutto, merita di essere felice, malgrado abbia perso già così tanto. Malgrado porti il peso inconsapevole di aver avuto un padre che ha salvato il mondo, e che lo ha fatto anche per lei. Peter la asseconda, ridendo anche lui, velato sempre, costantemente, di quell'ombra oscura e pesante. Qualcosa che Harley vorrebbe estirpargli, come se fosse una radice morta.

  «Pepper mi ha detto che dormi qui, stanotte», dice Harley, e lo fa per parlare. 

  «Sì, Morgan ha insistito. Siccome domani non ho scuola, ho deciso di restare. Tu torni a casa?»

  «Non lo so. Potrei anche restare, perché no.»

  «Sì, resta! Per favore!», lo implora Morgan, ancora il viso rivolto al televisore, ma sempre così sveglia e attenta da riuscire a fare molte più cose insieme. Come Tony. Esattamente come Tony.

  «Non puoi dire di no a Morgan», dice Peter, e alza le spalle, con un sorrisetto a solcargli il viso. Le guance gonfie che gli risaltano gli zigomi non troppo pronunciati e che lo rendono, in qualche modo, dolce come un bel sogno. Harley è convinto che, quella stramaledetta cotta che si è preso, lo porterà alla rovina, solo perché Peter non ricambierà mai e, di conseguenza, gli spezzerà il cuore. Lo sa. E sa che non è colpa di nessuno. I sentimenti non si gestiscono, così come i lutti. Si chiede solo se, nel fortunato caso in cui Tony non fosse morto, avrebbe avuto qualche possibilità di stare con lui. No, che domande? Se Tony fosse vivo, Peter sarebbe ancora devoto, legato, un tutt'uno con lui. Il destino non li vuole insieme, in nessun caso, e Harley dovrebbe solo cercare di dimenticare cosa sta provando, e sorvolare, cercare di focalizzarsi su altro come, per esempio, tentare anche solo di farselo amico. Sì, perché Peter è troppo prezioso, troppo importante, per non pretendere e sperare di averlo nella sua vita, in qualunque modo. Non riesce più ad immaginarla, una vita senza di lui.

  Sorride; si impone di farlo. Si passa una mano tra i capelli. «E sia. Dopotutto non ho di meglio da fare, domani. Posso approfittarne e restare qui con voi, a bighellonare.»

  «Ottima scelta.» Peter glielo dice, ma non sa se lo pensa davvero. Lo osserva tornare a guardare i cartoni con Morgan e staccare un altro pezzo del suo ghiacciolo con i denti, poi qualche minuto dopo la piccola si addormenta e Harley combatte per non addormentarsi anche lui. Peter, accanto a lui, gioca con il cellulare. Ha abbassato il volume della TV, siccome nessuno la sta più guardando ed è tornato a isolarsi nel suo mondo, intriso di taglienti spine che non permettono a nessuno di avvicinarsi.

  «Manca ancora un sacco all'ora di cena. Ti va di fare qualcosa?», azzarda e Peter alza gli occhi sui suoi, confuso. Preso di sorpresa. Fuoriluogo.

  «Tipo?», chiede, e deglutisce.

  «Temo non ci sia molto più da fare che chiacchierare, immagino. In questa casa manca qualche gioco da tavola. La prossima volta ne porterò uno, ne ho una marea.»

  Peter gli lascia ammirare un mezzo sorriso che, nella testa di Harley, sembra quasi di sollievo. Non sa se sia così per davvero, ma spera di aver alleggerito un po' l'atmosfera. Non vuole che Peter lo veda come una minaccia, ma come un'ancora di salvataggio. Quello che, egoisticamente, Harley vorrebbe essere.

  «Non è una cattiva idea. Pepper si presterebbe, ogni tanto, a giocare con noi.»

  «Pepper farebbe qualsiasi cosa, insieme a noi. Ci adora», sorride Harley, ma quello di Peter si spegne. Si sente un completo idiota ad aver detto una cosa del genere. È ovvio che i sensi di colpa di Spider-Man implicano anche la convinzione che, la moglie dell'uomo che ama, non lo adori per niente, anzi. Forse lo odia a morte. «Che c'è?»

  «Nulla.» Alza il solito muro. «Comunque non lo so, che potremmo inventarci. E chiacchierare non è esattamente qualcosa che mi va di fare, ultimamente.»

  «Capito.» Harley sbuffa. Tira fuori il telefono e lo sblocca, cercando di trovare una distrazione che non lo spinga a prenderlo di petto un'altra volta e spronarlo a reagire, come vorrebbe. Peter non vuole, gli ha detto di tenersene fuori e lui così farà, ma è difficile.

  «Però... tu puoi parlare, se ne hai voglia.»

  Harley alza la testa dal telefono e arriccia le labbra. Vorrebbe dirgli che non ha voglia di parlare con qualcuno che, a quanto pare, non gli risponderà nemmeno ma quell'intento si blocca, quando incontra i suoi occhi castani. Profondi e caldi come non li ha mai visti. Quasi una novità. Vorrebbe dirgli che occhi così non li ha mai visti da nessuna parte e che, se non la smette di guardarlo a quel modo, finirà per innamorarsene. Forse è già successo, Harley non lo sa. Sa solo che lo stomaco gli si aggroviglia ogni volta che incontra la sua anima.

  «Mi piace parlare, se qualcuno mi ascolta.»

  «Io ti ascolto. Anche se non ho voglia di parlare di me, non significa che non sia interessato. Sto cercando di... di aprirmi un po'; un minimo. Sono un disastro e non ci riuscirò mai, ma da qualche parte devo pur iniziare.»

  «No, va bene! Insomma... già questo significa tantissimo, Peter. Non voglio romperti le scatole e costringerti a parlare di te, ma se vuoi che parli io, non ho problemi. So chiacchierare, se mi impegno», cerca di ironizzare. Si rizza sul divano, abbandonando quella posa scomoda che aveva adottato e Peter annuisce,  «Non so di cosa, ma parlo volentieri se ti va di sentire quello che ha da dire un ragazzino di campagna».

  «Non credo vi sia molta differenza tra me e te, e io sono in città... Mi trattano spesso come se fossi un alieno. Stesso disagio, ti capisco», ammette Peter.

  «Sei un campagnolo della città», lo canzona e Peter fa roteare gli occhi al cielo, fingendosi scocciato.

  «Solo uno sfigato. Nulla più.»

  «Non è quello che sembri. No, decisamente.»

  Cala il silenzio e con lui lo sguardo di Peter. Sembra quasi felice di sentirgli dire quella bugia. Attende che alzi di nuovo lo sguardo e gli regali quegli occhi quasi spensierati che prima gli ha rivolto; invece no. Peter sospira e ricambia di nuovo, spento, schiacciato, triste, solo e privo di qualsiasi altra emozione che non sia un senso di inadeguatezza, troppo forte per non far male all'anima.

  «So che mi pentirò amaramente per questa domanda ma... che ti ha detto, lui, di me?»

  Il tempo si spezza. Il cuore di Harley con lui. Ogni espressione rilassata sul suo viso si contrae insieme ai sui muscoli facciali e indurisce la mascella. Lui, Peter e l'altro. Gli fa così rabbia... vorrebbe alzarsi e andare via ma Peter e i suoi occhi vuoti lo bloccano lì, come se una catena invisibile l'avesse braccato. Non vuole fargli del male ma, sia decidendo di non parlare di Tony, sia decidendo di farlo, sa che non porterà a niente di buono. Eppure lo sapeva, che prima o poi quella domanda, Peter, gliel'avrebbe fatta.

  «Sei proprio sicuro di volerlo sapere?», gli chiede e, dopo qualche secondo passato a guardare altro, Peter annuisce. «Tante cose. Molte cose. Parlava di te, spesso e volentieri, almeno con me. Ogni volta che ci dedicavamo a qualche progetto, non c'era occasione che non ti nominasse.»

  «L'ho deluso.»

  Harley sospira e trattiene un grugnito. «Gli mancavi, Peter. Gli mancavi più di chiunque altro. Parlava di te perché aveva bisogno di mantenere il tuo ricordo vivo. Per se stesso. E aver sentito parlare di te così tanto a volte mi fa sembrare come se... come se ti conoscessi da una vita. Ho cominciato a pensare di rivolerti indietro anche io, pur non conoscendoti, solo per scoprire perché ti nominasse ogni volta», sorride, cercando di alleggerire quell'atmosfera, che rimane satura di Tony – che evita di nominare, solo perché Peter, da quando si conoscono, non l'ha mai fatto.

  «Non sono proprio chi ti aspettavi che fossi, vero?»

  «No, ma sono certo che prima o poi incontrerò quella persona.»

  Peter sospira. «Non accadrà mai, Harley. Sai che è così. Questa cosa mi ha segnato a vita. Non sono più quello di cui lui ti ha parlato. Non più.»

  Il silenzio scende di nuovo e si guardano. Si guardano come se Peter gli stesse dicendo che ha bisogno di lui, ma che non ha il coraggio di ammetterlo. Si guardano come se Harley potesse infilarsi nel suo petto e permettergli di tornare a far battere il cuore, come una volta. Di nuovo. 

  «Voglio aiutarti, Peter. Lasciamelo fare», esordisce, poi si umetta le labbra. «Per favore.»

  «Non esiste che tu ci riesca.»

  «Invece sì! Fammi solo provare, dammi una sola, cazzo di possibilità», insiste, e gli posa una mano sulla guancia, di istinto, solo perché quel viso intriso di dolore sembra chiedere questo: gesti, parole e sguardi che possano rassicurarlo; che possano convincerlo a fargli spazio e non restare più solo. Peter strabuzza gli occhi, di fronte a quel gesto. Per un attimo le sue pupille color autunno si illuminano di qualcosa che Harley non sa comprendere, ma non è tristezza. Poi lo scansa, con un gesto della mano, come se fosse una mosca, un insetto e abbassa le ciglia. Boccheggia qualcosa e, lanciandogli un'ultima, irosa occhiata, si alza e va via. Sfugge di nuovo dai sentimenti, dalle possibilità e dalla vita. 

  Vorrebbe fermarlo, ma non ce la fa. Non ne ha né la forza né il diritto. Eppure, in quella breve occhiata che Peter gli ha lanciato – pregna d'odio e di rancore – Harley ci ha visto altro e, buon dio, se è davvero quello che pensa allora forse ha qualche speranza. Se non sarà così, gli si spezzerà il cuore ma... ma per Peter, forse, ne vale di certo la pena.

 


 

  Peter non gli vuole parlare. Harley lo ha capito dal momento esatto in cui gli ha infilato gli occhi nei suoi e ci ha visto un mondo – per un attimo, che Peter non avrebbe mai voluto lasciargli varcare. Non lo ha fatto, difatti. Gli ha subito chiuso le porte della sua anima, abbassando la folta corolla di ciglia, verso il basso. Poi è scappato. Prima con la mente, poi con il corpo e poi... e poi lo ha evitato tutto il giorno, restando comunque in quella casa, solo per Morgan. Sempre e solo per lei. Ora la casa è silenziosa. Le padrone di casa dormono. Pepper si è addormentata in salotto, leggendo un vecchio libro di cucina. Harley l'ha svegliata per invitarla a raggiungere la sua stanza. Un po' perché l'ha vista in quella posizione scomoda, un po' perché vuole che, al piano di sotto, ci siano solo lui e Peter. Nessun altro. Le cose si sono decisamente incrinate, tra di loro e, malgrado non sia così stupito della cosa, Harley non riesce a capacitarsi del perché. Vuole solo delle risposte, da lui. Vuole solo sapere cosa ne è del loro rapporto. Vuole solo sincerarsi che, dopotutto, Peter non lo vuole. Né come amante, né come amico, né come semplice compagnia, quando sono in quella casa che a volte è troppo vuota, e a volte troppo piena. Harley vuole solo capire cosa farne, di quei sentimenti che si porta dietro. Non è un tipo che si strugge, piuttosto preferisce chiarire le questioni che lo lasciano in sospeso – a metà, e che lo fanno andare letteralmente nel pallone. E ora Peter è lì, a lavare i piatti con aria assorta. Tiene gli occhi bassi sulle stoviglie di cui si sta occupando, ogni tanto butta via un sospiro dalle labbra, troppo convinto che nessuno lo stia guardando dalla porta della cucina.

  «Peter?», lo chiama, e lui sussulta. Si volta e chiude gli occhi, spazientito.

  «Dio, mi hai fatto prendere un colpo.» Harley si avvicina. Poggia la schiena contro il piano della cucina e incrocia le braccia al petto. Si sente uno stronzo infame, ad averlo braccato lì. Peter ha le mani infilate nel lavandino colmo d'acqua, e non può scappare più. Non finché non avrà finito con quella mansione che sì, stasera è di sua competenza, secondo i turni di Pepper. Lo ha messo spalle al muro, non ne va fiero, ma è l'unico modo per affrontarlo. Per affrontarsi.

  «Eri tutto assorto», cerca di sdrammatizzare, sorridendo appena. Peter non lo guarda nemmeno e continua, impacciato, a lavare i piatti. Sta visibilmente cercando di velocizzare la cosa, sperando che Harley non se ne accorga. Stolto. Come se non lo osservasse abbastanza, da accorgersi di certi dettagli.

  «Non che possa fare niente di meglio che pensare, in certe situazioni», sospira Peter, e Harley sbuffa.

  «Come se non facessi altro, durante la giornata, che questo. Ti riempi la testa di pensieri e non stacchi mai. Come accidenti fai a non impazzire?» 

  Peter fissa l'acqua che gli nasconde metà avambracci. Ha indurito la mascella e ha il desiderio di restare solo e porre fine a quella conversazione, durata già troppo. Harley lo sa, che è così. Lo sapeva anche prima di presentarsi in quella maledetta cucina.

  «Harley, che cosa vuoi?»  

  «Solo sapere cosa ti frulla in quella testa.» 

  «Vuoi sapere a cosa penso?»  Peter sbuffa divertito, sebbene non lo sia per niente. Un piccolo sorriso amaro gli si spalanca sul lato sinistro del viso – l'unico che Harley può vedere, da quella angolazione – che fa quasi paura. «Come se non lo sapessi, a chi è rivolto il mio pensiero. Costantemente, incessantemente, da un anno a questa parte. Lo sai.» 

  Harley è quasi stufo, di sentirlo vittimizzarsi a quel modo, con una rabbia addosso che taglia l'aria e si autoinfligge dolore, consapevole forse di meritarlo, di doverlo provare.

  «Costantemente?», chiede, e non è stato gentile ma anche avesse voluto esserlo, non ci sarebbe mai riuscito. Peter lo guarda di sguincio, e gli riserva un'occhiata che, per qualche secondo brilla di qualcosa. Qualcosa di vivo. Poi muore di nuovo sotto le sue ciglia abbassate.

  «Quasi ogni istante.» E quel quasi, ha troppi sapori diversi, sotto la lingua di Harley. Suoni scompagnati che non hanno nulla a che vedere l'uno con l'altro. Quel quasi è una mera speranza, in un oceano di paure; dopotutto, sta solo travisando cose che non esisteranno mai. Come un interesse reciproco. Come se fosse lui, l'altro pensiero, al di fuori di Tony Stark.

  «Non pensi solo a Tony, quindi», dice, e Peter sussulta. Chiude gli occhi. Il dolore gli attraversa le guance, che serra tra i denti.

  «Harley...», lo ammonisce, e lui stacca la schiena dal piano della cucina e si avvicina. Peter è inerme, con le mani ancora infilate nell'acqua, che continua a non guardarlo.

  «Cosa? Peter, da quando ti conosco non ho mai sentito uscire il suo nome della tua bocca. Continuo a pensare che sia un modo tutto tuo di esorcizzare la cosa, e lo accetto, ma non puoi pretendere che anche io smetta di usarlo solo perché a te non va di ascoltarlo!», lo redarguisce e Peter, infine, tira via le mani dal lavandino. Sono fradice e raggrinzite. Le stringe tremanti contro il piano della cucina. Eppure, continua a non guardarlo ed è questo a fare più rabbia.

  «Non ho detto che tu non deb-»  

  «E allora cosa vuoi? Ogni volta che sentirai il suo nome dovrai reagire in questo modo? Tony Stark non è la tua maledizione, non è il tuo maleficio. È stata una persona importante nella tua vita, e cercare di non parlare di lui ma tenertelo solo nella testa, non farà altro che logorarti. Vuoi davvero questo? Vuoi un'esistenza basata su questo?»

  «Non ne voglio parlare. Lo sai. Sai che è così!», quasi urla, cercando di mantenere un tono basso, solo perché al piano di sopra ci sono due persone innocenti e ignare, che dormono e non sanno niente. Perché, malgrado tutto, Peter il rispetto per il prossimo lo mantiene vivo, anche se il resto di sé è appassito. Lo guarda. Finalmente lo guarda. Aggrotta le sopracciglia e crolla. «Per favore... ti prego... non farmi parlare di lui. Non con te...»  

  «Non con me?», chiede Harley, e resta appeso da qualche parte in quella conversazione, dove non sa più che sta  succedendo e cosa Peter voglia da lui. «Cosa c'è di sbagliato, nel parlarne con me?» 

  «C'è che non voglio e basta! Non... non voglio che tu...» Peter si blocca. Arriccia le labbra. Sospira contro il vuoto, chiude gli occhi  e trema. Non piange, non ci riesce, non sa farlo più e Harley ha zero potere sulla sua anima, che si strugge e si dispera, sotto strati troppo spessi di un'apatia insopportabile. Peter si volta. Torna a fronteggiare il lavandino, ormai colmo di acqua gelida e posate abbandonate nel fondo. 

  «Peter?», lo chiama Harley, e Peter non lo asseconda. «Peter?», ripete.

  «Lasciami in pace...», mormora Spider-Man, e arriccia il naso. Fugge ancora dal suo sguardo. Harley, per ripicca, si avvicina e lo guarda ancora più intensamente. Peter è un vigliacco. Non fa altro che fuggire. Scappa dalla possibilità di convivere con quel dolore e non perché gli sta bene così, ma perché ha paura di andare avanti e affrontare una vita diversa. Una vita senza Tony, che forse non è mai riuscito a concepire. Nemmeno per assurdo. «Per favore.» 

  Harley gli poggia una mano sul braccio. Stringe. Sa che non può fargli male; che Peter è un vigliacco ma è anche Spider-Man e ha il potere di liberarsi di lui in almeno dieci modi diversi. Eppure non lo fa. Gli lancia un'occhiata spinosa, intensa, che sa di paura, rabbia e tristezza. Sa di qualcosa, che non è quell'apatia che Harley è stato costretto a vedere perenne sul suo viso fino a ieri. 

  «Sono preoccupato per te.» Inclina la testa di lato. Continua a stringere il suo braccio tra le dita. Peter persegue a lanciargli sguardi taglienti, senza reagire. 

  «Non... non voglio che tu lo faccia. Te l'ho detto. Non mi serve il tuo aiuto. Non ho bisogno di aiuto.»

  «E di cosa hai bisogno, allora? Cosa vuoi, Peter? Una volta per tutte.»

  Peter sprofonda nei suoi occhi per un lungo e doloroso istante. Boccheggia un paio di frasi sconnesse, prima di sospirare e raccattare alla cieca un canovaccio per asciugarsi le mani. Le sfrega contro il tessuto e scuote la testa. 

  «Peter?», lo incalza. 

  «Lo sai, cosa voglio», risponde, lapidario. 

  Harley si appoggia di nuovo al piano della cucina. Incrocia le braccia al petto e alza gli occhi al cielo. «No, se lo sapessi davvero non sarei qui a chiedertelo.»

  «No, tu lo sai! Vuoi solo che sia io a dirtelo. E io non voglio farlo. Per favore... non ci riesco.» Peter aggrotta le sopracciglia. La sua infelicità e confusione è plasmata come un quadro impressionista sul suo viso. Corre via con lo sguardo ma non ci riesce davvero, quando poi gli riserva un'occhiata che Harley non sa definire. Allora muove un piede verso di lui. Gli prende le spalle e lo costringe a girarsi. Lo costringe a fare tutto ciò che lui non vorrebbe. Esternare sentimenti che Peter non vuole travasare, come acqua in un vaso, in un cuore diverso da quello di Tony. Forse. Non ne è certo. Non lo sa ancora. Allora gli affonda gli occhi nei suoi e tenta — ci prova, a dargli qualcosa in cui provare almeno a credere. Un futuro. Una possibilità.

  «Non ho intenzione di farti dire quello che non vuoi. Non adesso. Però, Peter, so che le cose stanno iniziando a cambiare. Tu non vuoi, ma è così. Dovresti solo iniziare a provare ad assecondare quello che vuoi.»

  «Io so solo cosa non voglio. E quello che voglio, invece, non posso riaverlo indietro.» Lo dice con una tristezza infinita. Lo dice come se non ci fosse un futuro. Lo dice come se gli stesse chiedendo di darglielo lui, qualcosa in cui credere. Allora Harley esita, e gli posa prima una mano sulla guancia e poi l'altra. Aspetta un segnale che non arriva, ma Peter non lo scansa nemmeno. Non sa se è d'accordo o solo terrorizzato. Ma non ha più importanza. Hanno fatto un passo troppo lungo, con quegli sguardi, e ora non si torna indietro. 

  Gli sfiora le labbra. Le pizzica. Le assapora, aspetta e poi lo guarda. Gli carezza la pelle, e gli pianta le dita in mezzo ai capelli, quando è Peter a chiedergli, in silenzio, di non scansarsi. E quel bacio, allora, diventa reale. Diventa palpabile, non più un sogno o un mero desiderio nascosto e bramato da lontano. Peter si appoggia con la schiena al piano della cucina, ma gli stringe le dita intorno ai fianchi. Lo asseconda, con una disperata urgenza di succhiargli via un po' di felicità. Qualche pensiero positivo che, per una volta, non viene adombrato dalla presenza costante e distruttiva di Tony Stark. 

  Harley sa benissimo che, quell'istante, durerà troppo poco e che, sicuro, Peter non riuscirà ad accettarlo. E quando l'intensità di quel bacio si fa più dolce e più intensa, Spider-Man lo scansa con uno spintone e Harley non è poi così sorpreso. Harley non è Tony Stark. Non può fare quello che l'uomo faceva, pretendendo di ricevere in cambio lo stesso. E, per quanto non sia facile da accettare, è meno sorpreso e schiacciato di quanto dovrebbe. Ha fatto quel passo solo ed esclusivamente perché era il momento. Ma, di fatto, non lo è più. 

  Peter si asciuga la bocca. La pulisce col dorso della mano. Come se, effettivamente, quel bacio avesse contaminato tutti quelli che Tony gli ha dato. Come se avesse cancellato quelli che, nella sua memoria, restano impressi sulle sue labbra come un tatuaggio all'inchiostro di veleno. Ha gli occhi sbarrati e una ciocca di capelli che gli cade sugli occhi.

  «Peter?»

  Peter non gli dà l'attenzione che cerca. Sprofonda, sempre più giù, in un abisso dal quale Harley avrebbe voluto tirarlo fuori. Con quel bacio quel ragazzo gli ha teso di nuovo la mano, lui lo ha afferrato, poi gli è scivolato via, inesorabilmente, dalle dita. 

  «Peter.»

  «Ti prego, ti supplico... va' via.» Lo guarda. Alza la folta corolla di ciglia e gli dona una luce, che Peter è inconsapevole di aver accesso in quelle castane, brillanti, sfere luminose che gli fanno da occhi. Harley si perde. Si perde sempre, quando lo guarda. Gli prende una mano. Lascia scivolare le falangi nelle sue. Le stringe — anche se, Peter, non fa lo stesso. Resta immobile nel suo dolore e per quanto gli abbia chiesto di andar via, continua a non scansarlo. Continua a lanciargli sguardi che poi distoglie. Continua a chiedergli di rimanere e di allontanarsi da lui. Peter non sa cosa vuole.

  No. Non è vero: sa esattamente cosa vuole, ma ne è terrorizzato. 

  Harley lo spinge contro il piano della cucina. Torna a baciarlo. Peter gli si aggrappa immediatamente alle spalle. Ricambia. Saliva e brividi si fondono di nuovo. Sono così vicini — così attaccati l'uno al cuore dell'altro, che il suo si accartoccia e fa un male spaventoso. Harley si stacca e Peter lo reclama ancora. Gli fa scorrere una mano dietro la nuca e gli affonda le labbra nelle sue, in un carnale, disperato, urgente bisogno di sentirsi — con lui, una cosa sola. Forse perché Peter è diviso. Spezzato, da quando Tony è morto. Molto più di chiunque altro. E magari — Harley lo sa, è un arrogante a pensarlo — lui può rimpiazzare finalmente quella metà mancante. 

  Se lo porta più vicino. Gli esplora la bocca con la lingua umida di libido, libera da un desiderio che è diventato realtà. Qualcosa che trema ancora, che è instabile, ma — perlomeno, ha una base che prima non c'era. Peter gli stringe le braccia intorno al collo. Vuole di più, ma chiede anche distanza. Il suo corpo vuole una cosa, e la sua mente ne vuole un'altra. E il cuore? 

  Che cosa vuole il tuo cuore, Peter?

  Si staccano. Un rivolo di saliva li tiene incatenati in quell'assurda e inaspettata follia che hanno appena condiviso, sotto le luci soffuse dei faretti abbassati della cucina. Avvinghiati con l'anima e col corpo, premuti contro il piano di marmo che fa male alla schiena.

  Peter lo guarda stupito e impaurito. Lo guarda con le labbra umide di chi ha lasciato scivolare via tutto. Tutto quello che avrebbe voluto a parole, ma che non era in grado di fare. Harley gli carezza leggermente la punta del naso col suo. Peter alza le ciglia sui suoi occhi. Poggia la fronte alla sua. 

  «Che sto facendo...?», gli chiede. Harley gli dà un leggero e velenoso bacio a fior di labbra, solo per ricordargli che non ha ucciso nessuno, per aver baciato qualcun altro che non è Tony Stark.

  «Non lo stai tradendo. Non lo stai deludendo. Non lo stai dimenticando.» Harley glielo dice sulle labbra. Gli stringe le dita intorno ai fianchi. Se lo spinge contro. Trattiene un mugugno tra le labbra. Peter fa male. Peter gli fa un male cane. Lo stringe. Gli chiede tacitamente di non lasciarlo solo. Di non lasciarselo scivolare via dalle dita, come è successo con Tony. Harley lo asseconda. Alza la testa. Il naso incontra i capelli di Peter. Inala il suo odore e lo fa suo. Gli lascia un bacio sulla testa e sospira. Sa che per Peter è difficile accettare quei cambiamenti. Sa che Peter non dimenticherà mai Iron-Man ma sa anche che, quella paura, è data dal fatto che, per fortuna, Peter vede lui e Tony come due persone diverse e che, di conseguenza, Harley non dovrà essere il Tony di nessuno. Peter alza la testa e cerca nei suoi occhi la risposta alla domanda che gli ha posto. Si guardano così intensamente che il tempo, quasi, sembra fermarsi. 

  «No? E allora cosa sto facendo?», gli chiede, e ha gli occhi lucidi. Eppure non lo lascia andare, sembra libero. Lo stringe ancora, e ci si aggrappa come un'ancora. Quella che Harley avrebbe voluto essere per lui.

  Gli lascia un sorriso da ammirare. Gli scosta una ciocca di capelli da davanti al viso e prima di dargli un altro bacio, gli risponde con l'unica risposta possibile. «Stai andando avanti.»

 
 


Fine Capitolo III


 



 

Angolo angoloso di Miryel:
Ma salve, gente di Mare! Come la va? 
Ebbene, siamo giunti al penultimo capitolo di questa piccina, picciò minilong, dedicata a questa inusuale ma interessante – almeno per me, coppia! Sono felice di vedere che l'apprezzamento ci sia ancora e spero che, con questo capitolo praticamente risolutivo nei riguardi dei sentimenti che albergano questi due giovani da molto, vi sia piaciuto.
La mia idea è quella che, un amore, non nasce dal nulla... certo. Ma da qualce parte, si aggrappa già dal primo sguardo. Quando qualcuno ti entra nella vita, così, all'improvviso, specie dopo un colpo forte come quello che Peter ha vissuto, e questa persona è potenzialmente affine a te, non può rimanerti indifferente. Il capitolo serve un po' a spiegare questo lato di Peter, che tra tutte le sue paturnie, le sue sofferenze, c'era questo immenso, spropositato senso di colpa nei riguardi non solo del non aver salvato Tony, ma di nutrire un interesse sentimentale per qualcun altro. una sorta di tradimento del cuore... che non c'è. Come Tony. Non c'è più e rimarrà il suo ricordo, ma non si va avanti senza niente di concreto trale dita... e, non sapete quanto dolore ho nel cuore, nel sostenere tutto questo ma... si deve andare avanti, quando ciò che avevamo di più caro non c'è più. Harley non è il Tony di Peter, e questo è proprio ciò che spaventa il nostro amichevole Spider-Man di quartiere. Amare, volere, baciare qualcuno che non è l'amore della sua vita, sembra quasi una vergogna, ma ha fatto un passo importante e, col prossimo capitolo, scoprirete quanto è stato grande ♥
Grazie a tutti, come sempre, per il vostro sostegno e le vostre parole! Sono la mia benzina!
Se vi va, lasciatemi un commentino anche a questo ♥
un abbraccio,
Miry
 
   
 
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